In base al principio del contrarius actus

Consiglio di Stato, sezione seconda, Sentenza 5 agosto 2019, n. 5517.

La massima estrapolata:

In base al principio del contrarius actus, qualora in sede di rilascio di una concessione edilizia sia stato acquisito il parere della Commissione edilizia, tale parere va acquisito anche all’atto dell’annullamento d’ufficio del suddetto titolo abilitativo, fatte peraltro salve le ipotesi in cui il provvedimento di autotutela sia supportato da evidenti ragioni formali, ovvero da ragioni meramente logico-giuridiche e non, quindi, tecnico-edilizie.

Sentenza 5 agosto 2019, n. 5517

Data udienza 11 giugno 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4444 del 2008, proposto dalla società
Im. Oi. s.r.l., già Fi. s.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Gi. Bo., dall’avv. Gi. De. e dall’avv. An. De Vi., con domicilio eletto presso lo studio An. De Vi. in Roma, piazza (…);
contro
Comune di (omissis) (BO), in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dapprima dall’avv. Gi. Br. e dall’avv. Pi. d’A. e, da ultimo, dall’avv. Fe. Gu., con domicilio eletto presso lo studio Pl. S.n. c.in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna Sezione Prima n. 00580/2008, resa tra le parti, concernente cambio di destinazione d’uso di fabbricato
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 giugno 2019 il Consigliere Fulvio Rocco e udito per la parte appellante l’avvocato To. Ma. su delega dell’avvocato Fe. Gu.; nessuno comparso per la parte appellata;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.1.L’attuale appellante, società Oi. s.r.l., già Fi. s.r.l., espone di essere proprietaria di un immobile nel territorio comunale di (omissis) (BO), frazione (omissis), al civico (omissis) di Via (omisssi).
Fi. ebbe a chiedere in data 24 gennaio 1991 al Comune di (omissis) il rilascio di una concessione edilizia per il cambio di destinazione d’uso di tale immobile, da residenziale a circolo privato, corredando tale istanza con gli elaborati progettuali previsti e con la dichiarazione di asseverazione del progettista, ing. Se. La., attestante la conformità del progetto alla disciplina urbanistico-edilizia vigente per l’area e alle norme di sicurezza (cfr. la relativa documentazione, già prodotta nel primo grado di giudizio e qui riprodotta quale doc. 4 di parte appellante).
A seguito della presentazione di tale istanza l’Ufficio Tecnico del Comune comunicò il nominativo del geom. Da. Fr. quale responsabile del relativo procedimento.
Questi, dopo aver svolto le verifiche di competenza, trasmise la pratica alla Commissione edilizia comunale che nella seduta del 31 gennaio 1991 – secondo quanto riferisce l’appellante – avrebbe espresso parere favorevole al progetto, fatte salve le prescrizioni sui profili igienico-sanitari che sarebbero state eventualmente imposte dal Servizio Igiene Pubblica dell’allora funzionante Unità Sanitaria Locale n. 25 di San Giorgio di Piano, non ancora acquisito.
La medesima appellante espone che – peraltro – tale parere dell’Unità Sanitaria Locale era già stato da essa direttamente chiesto con sua domanda ivi prodotta in data 29 gennaio 1991 (cfr. ibidem, doc. 6,) “stante la necessità di garantirsi quanto prima il rilascio del titolo abilitativo” (così a pag. 2 dell’atto introduttivo del presente giudizio).
L’appellante afferma pure che tale sua domanda direttamente presentata all’Unità Sanitaria Locale sarebbe stata corredata dai medesimi elaborati progettuali allegati alla richiesta di concessione edilizia, in ordine ai quali l’Ufficio Tecnico Comunale aveva svolto la propria istruttoria ed acquisito l’anzidetto parere favorevole della Commissione Edilizia Comunale.
In pendenza dell’espressione del parere da parte dell’Unità Sanitaria Locale, con provvedimento del Sindaco di (omissis) Prot. n. 18 dd. 4 febbraio 1991 fu comunque rilasciata a Fi. la concessione edilizia (cfr. ibidem, doc. 7).
Giova sin d’ora rilevare che nel corpo di tale provvedimento si legge testualmente, tra l’altro: “Fissate le seguenti prescrizioni: Commissione edilizia: il parere della Commissione è vincolato a quello dell’U.S.L.; il cambio di destinazione d’uso non deve comportare modifiche strutturali e tipologiche” (cfr. ibidem).
A questo punto l’appellante, “stante il perdurante silenzio mantenuto dall’organo sanitario” e posto quindi che l’espressione del parere da parte (rectius; nulla-osta) da parte di quest’ultimo evidentemente condizionava la validità del titolo edilizio, riferisce di aver depositato “in data 30 aprile 1991 formale sollecito al rilascio del nulla- osta” sanitario anzidetto, “attestante la piena conformità del progetto alla normativa che tutela i profili igienico-sanitari dell’attività edilizia” (cfr. pag. 3 dell’atto introduttivo del presente giudizio).
L’appellante afferma di aver quindi direttamente ricevuto parere igienico-sanitario in questione, datato 12 giugno 1991, espresso in senso favorevole e senza l’apposizione di prescrizioni (cfr. doc. 8 di parte appellante).
L’appellante afferma inoltre che l’U.S.L. le avrebbe contestualmente inoltrato al proprio indirizzo anche “gli elaborati debitamente vistati dagli uffici comunali e dall’organo sanitario” (cfr. ibidem, doc. 16): atti, questi, che essa avrebbe quindi inoltrato al Comune (cfr. ibidem, doc. 9).
A questo punto Fi. potè ritirare in data 7 settembre 1991 presso l’Ufficio Tecnico Comunale l’anzidetta concessione edilizia Prot. n. 18 dd. 4 febbraio 1991 corrispondendo al riguardo la somma di Lire 25.673.945.- (pari ad Euro 13.259,48.-) oneri di urbanizzazione per oneri di urbanizzazione.
Tuttavia, con ordinanza n. 94 dd. 20 giugno 1992 il Sindaco di (omissis) annullò d’ufficio tale titolo edilizio, “Viste le note dell’Ufficio Tecnico Comunale in data 14 maggio 1992 e 4 giugno 1992, con le quali vengono evidenziate irregolarità presenti nella concessione 18/91… emerse in fase di istruttoria della pratica finalizzata all’ottenimento del certificato di abitabilità ; Rilevato che gli elaborati grafici oggetto di concessione edilizia non risultano essere uguali a quelli originariamente presentati ed esaminati sia dall’Ufficio Tecnico che dalla Commissione Edilizia; Considerato che la suddetta concessione edilizia, a seguito di7un più attento esame, è risultata è rtanto affetta da illegittimità in quanto: non conforme alle no4rmative di P.R.G. relative agli edifici in Zona Agricola non più annessi alla coltivazione del fondo; Ritenuto, pertanto, doversi avvalere dell’esercizio di autotutela dell’amministrazione mediante l’annullamento di detto atto; ritenuto che gli effetti che derivano dall’annullamento coincidono, o comunque non contrastano, con il concreto ed attuale interesse pubblico; Considerato che l’annullamento opera ex tunc nel senso che i suoi effetti retroagiscono alla data del provvedimento annullato” (cfr. ibidem, doc. 3).
Nel dispositivo di tale provvedimento si legge, quindi – tra l’altro, e per quanto qui segnatamente interessa – che “il fabbricato dovrà essere rimesso in pristino stato entro 90 giorni dalla data di notifica della presente ordinanza” e che “entro lo stesso termine potrà essere presentata istanza di concessione in sanatoria ai sensi degli artt. 13 e 11 della l. 28 febbraio 1985, n. 47 e successive modifiche ed integrazioni” (cfr. ibidem).
Per esigenze di sistematicità espositiva dei fatti di causa è pure qui opportuno citare taluni stralci della relazione che il geom. Da. Fr. stilò in data 14 maggio 1992 su quanto accaduto (cfr. ibidem, doc. 10) e che, come ora si è visto, è puntualmente citata nelle premesse del provvedimento di annullamento della concessione edilizia
In tale relazione si precisa innanzitutto che l’edificio in ordine al quale era stata chiesta e ottenuta la concessione per il mutamento della destinazione d’uso “era già stato oggetto di concessione edilizia n. 44 del 13 maggio 1988; in quella occasione veniva trasformato da uso agricolo in residenziale relativamente a piano terra e primo, entro le quantità ammesse dal P.R.G. e aveva esaurito tutte le possibilità edificatorie sia per la parte residenziale che per quella a servizi”.
Nella relazione medesima si afferma quindi che in data 31 gennaio 1991, ossia durante l’istruttoria
Aperta in esito alla domanda di concessione edilizia per cambio d’uso presentata una settimana prima da Fi., che la pratica risultava carente del “parere preventivo” igienico-sanitario e che, proprio su sollecito del medesimo Ufficio Tecnico Comunale Fi., avanzò la relativa richiesta in data 29 gennaio 1991, producendo quindi la relativa fotocopia agli atti dell’istruttoria curata dal Comune.
Sempre secondo quanto si legge nella relazione, la pratica risultava a quel momento carente – altresì – di “dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, atto di proprietà, relazione tecnica, tavole interventi, fotografia stato di fatto”. Peraltro “l’istruttoria svolta era favorevole con specificato che il cambio d’uso si riferiva alla parte residenziale; gli accessori agricoli (stalla, fienile e magazzino) venivano trasformate in cantina, ripostiglio, ecc. Opera rilevata l’apertura di una porta al piano primo; in pari data (31 gennaio 1991) la Commissione edilizia integrata esprimeva parere favorevole vincolandolo a quello dell’U.S.L. (come riportato nella concessione sotto la voce prescrizioni). Successivamente gli elaborati grafici, composti dalle tavole stato di fatto e progetto, prospetti, planimetria generale, venivano da me consegnate alla proprietà per regolarizzare la pratica presso l’U.S.L., acquisendone il parere preventivo. Il 19 giugno 1991 protocollo generale 4890 veniva consegnata la documentazione presentata all’U.S.L. e parere del 12 giugno 1991 da cui risulta che la richiesta era stata inoltrata all’U.S.L. in data 30 aprile 1991 e, pertanto, di molto successiva a quella presentata in copia prima della seduta della Commissione edilizia. Dall’esame degli elaborati allegati si è riscontrato che gli stessi non sono quelli esaminati dalla Commissione edilizia, in quanto nel progetto vi figurano variazioni consistenti alla destinazione d’uso: la stalla e il magazzino al piano terra sono trasformati in sala da pranzo e sala riunioni con annessi servizi igienici, il fienile al piano primo viene denominato sala meeting e l’apertura di una grande finestra su una terrazza; con un raddoppio della superficie utile (non conforme alle norme di P.R.G.). LO stato di fatto corrisponde a quello esaminato dalla Commissione edilizia; come progetto, non corrispondente al progetto allegato alla concessione edilizia n. 44/1988. Da quanto sopra esposto si desume che gli elaborati sono stati sostituiti all’atto della trasmissione all’U.S.L. per l’acquisizione del parere; ciò ha comportato anche una diversa determinazione nel calcolo degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria e costo di costruzione (questo nell’ipotesi in cui l’intervento fosse stato ammissibile). Si riscontrano anche altre imprecisioni dovute alla sostituzione degli elaborati. Il Progetto 4 non evidenzia la grande finestra; la tavola planimetrie mostra una correzione in rosso eseguita in data 12 giugno 1991 all’atto del ritiro del parere dell’U.S.L.; la relazione tecnica cita “Cambio d’uso senza opere edilizie sostanziali ecc.”. Infine, i documenti presentati il 17 aprile 1992, protocollo generale 2775 alla richiesta di abitabilità /agibilità al punto 3 “Relazione e disegni legge 373″ non erano stati richiesti in quanto l’intervento non ne prevedeva la presentazione e comunque avrebbero dovuto essere presentati all’inizio dei lavori; la comunicazione inizio lavori è pervenuta il 21 marzo 1992, protocollo generale 2034 con data inizio del 23 marzo 1992; la comunicazione fine lavori è pervenuta il 15 aprile 1992 protocollo generale 2729 con fine lavori in data 14 marzo 1992” (cfr. ibidem).
1.2. In data 20 giugno 1992 l’amministrazione comunale inoltrò gli atti all’allora operante Procura della Repubblica presso la Pretura Circondariale di Bologna, la quale aprì sub R.G. 3308/1992 un procedimento per il reato all’epoca contemplato dall’art. 20 della l. 47 del 1985.
Nel corso di tale procedimento l’immobile venne pure assoggettato a sequestro a fini probatori unitamente a tutta la sopradescritta pratica edilizia (cfr. doc. 13 di parte appellante).
Peraltro in esito alle indagini preliminari il Pubblico Ministero chiese l’archiviazione del procedimento medesimo in quanto gli elementi acquisiti erano risultati “non idonei a sostenere l’accusa in giudizio”.
L’archiviazione venne quindi disposta dal giudice per le indagini preliminari in data 11 marzo 1998 (cfr. ibidem, doc. 14).
1.3.1. Nel frattempo con ricorso proposto sub R.G. 1756 del 1992 Fi. chiese innanzi al T.A.R. per l’Emilia Romagna, Sede di Bologna, l’annullamento dell’ordinanza del Sindaco di (omissis) n. 94/1992 recante l’annullamento della concessione edilizia n. 18 del 1992.
La ricorrente in primo grado dedusse al riguardo, in particolare, l’avvenuta violazione dell’art. 7 e ss. della l. 7 agosto 1990 n. 241, eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione sotto più profili, la falsità del presupposto di fatto su cui – a suo dire – si fondava il provvedimento impugnato, nonché eccesso di potere per sviamento mediante l’infondata imputazione di comportamenti illegittimi se non illeciti in capo al soggetto destinatario del provvedimento.
1.3.2. In tale primo grado di giudizio dispiegò intervento ad adiuvandum Il Ci. Co. Cl., associazione conduttrice dell’immobile.
1.3.3. Si costituì pure in giudizio il Comune di (omissis), replicando puntualmente alle censure avversarie e concludendo per la reiezione del ricorso.
1.3.4. Con ordinanza n. 585 dd. 11 settembre l’adito T.A.R. dispose à sensi dell’allora vigente art. 21 della l. 6 dicembre 1971 n. 1034 la sospensione cautelare del provvedimento impugnato, ravvisando in capo alla riparte ricorrente la sussistenza di un pregiudizio grave ed irreparabile altrimenti discendente dall’esecuzione del provvedimento medesimo.
1.3.5. Nel frattempo con provvedimento n. 21 dd. 30 agosto 1997 il Sindaco di (omissis) emise a favore di Fi. la concessione in sanatoria in accoglimento dell’istanza di condono edilizio presentato da quest’ultima in data 28 febbraio 1995 à sensi dell’art. 39 della l. 23 dicembre 1994, n. 724 in relazione all’abuso contestato mediante l’anzidetta ordinanza sindacale n. 94/1992.
1.3.6. Alla pubblica udienza del 24 gennaio 2008 venne chiamato per la discussione il ricorso proposto da Fi..
A fronte dell’eccezione di improcedibilità del ricorso dedotta dalla difesa del Comune con riguardo alla sopravvenuto accoglimento della domanda di condono edilizio presentata da Fi., quest’ultima – per contro – insistette per l’accoglimento dell’impugnativa, evidenziando che in tale auspicata ipotesi il Comune sarebbe stato obbligato a restituirle i maggiori oneri concessori corrisposti in dipendenza della sanatoria.
1.3.7. Con sentenza n. 580 dd. 28 febbraio 2008 la Sezione II^ dell’adito T.A.R. respinse l’eccezione di improcedibilità del ricorso dedotta dalla difesa del Comune, ma nel merito rigettò l’impugnativa proposta da Fi., condannandola altresì in solido con la parte interveniente alla rifusione in favore del Comune delle spese e degli onorari di tale primo grado di giudizio, complessivamente liquidati nella misura di Euro 3.250,00.- (tremiladuecentocinquanta/00), oltre ai diritti della Cassa previdenza forense e all’I.V.A.
2.1. Con l’appello in epigrafe la sola Oi. S.r.l., nel frattempo subentrata per incorporazione a Fi., chiede ora la riforma di tale sentenza, deducendo i seguenti tre ordini di motivi:
1) eccesso di potere per travisamento e falso presupposto di fatto in ordine all’asserita sostituzione delle tavole progettuali da parte della socità appellante; eccesso di potere per illogicità e irragionevolezza, per assenza di istruttoria e per difetto assoluto di motivazione;
2) contraddittorietà della sentenza impugnata per mancato apprezzamento delle risultanze del procedimento penale;
3) omesso esame della congruità e dell’adeguatezza della motivazione addotta dall’amministrazione comunale; sviamento di potere esercitato rispetto alla sua causa tipica; eccesso di potere per difetto di istruttoria in ordine alla mancata acquisizione del prescritto parere della Commissione edilizia integrata; violazione dei princí pi di trasparenza e buon andamento dell’azione amministrativa e autotutela.
2.2. Anche nel presente grado di giudizio si è costituito il Comune di (omissis), concludendo per la reiezione dell’appello.
3. All’odierna pubblica udienza l’appello in epigrafe è stato trattenuto per la decisione.
4.1. Tutto ciò premesso, l’appello in epigrafe va respinto.
4.2. Giova innanzitutto rimuovere dall’economia della presente causa un equivoco di fondo.
L’appellante, nel riprendere nel presente grado di giudizio i motivi-cardine del ricorso proposto innanzi al T.A.R., si sofferma essenzialmente su argomenti – per così dire – “diversivi” rispetto alla questione sostanziale che la vicenda di per sé racchiude.
Tale questione si identifica con la circostanza – puntualmente descritta nella surriferita relazione dd. 14 maggio 1992 a firma del geom. Da. Fr., responsabile del procedimento presso l’Ufficio Tecnico Comunale -che la disciplina di P.R.G. vigente all’epoca della presentazione della domanda di concessione edilizia per mutamento di destinazione d’uso da parte di Fi., prevedeva per gli “edifici in zona agricola stralciati”, ossia non più annessi alla coltivazione del fondo, che la concessione medesima esaurisse le potenzialità del fabbricato in termini di superficie utile da destinare ad uso residenziale, tenuto conto che per tale tipologia di edifici la superficie utile massima sconsentita era pari a mq. 220.
Fi. aveva acquisito la proprietà dell’edificio di cui trattasi mediante compravendita conclusa con i precedenti proprietari, Signori La.- Fr., i quali in precedenza avevano ottenuto il rilascio della concessione edilizia n. 44//1988, poi – per l’appunto – volturata a favore della società acquirente.
Tale titolo edilizio, conformemente alla predetta disciplina di P.R.G., contemplava il cambio di destinazione da uso agricolo ad uso residenziale limitatamente a talune porzioni già ad uso di abitazione rurale situate ai piani terra e primo del fabbricato, rimanendo viceversa escluse dalla trasformazione ad uso residenziale le annesse, ulteriori porzioni del fabbricato medesimo individuate come stalla e magazzino al piano terra e fienile al primo piano.
In questo contesto l’allora vigente disciplina di P.R.G. escludeva che gli anzidetti spazi dell’edificio indicati a quel momento come adibiti ad uso agricolo (e cioè la stalla, il magazzino e il fienile) potessero essere trasformati in superfici ad uso residenziale, essendo possibile ottenere soltanto una loro destinazione ad accessori (cantine e ripostigli).
In coerenza a tutto ciò, la domanda di nuova concessione edilizia per mutamento di destinazione d’uso presentata da Fi. in data 24 gennaio 1991 non avrebbe potuto che contemplare, al di là dell’invero breviloquente oggetto ivi apposto a mano (“cambio di destinazione ad uso da residenziale a circolo privato”):
a) il mutamento di destinazione da residenziale a circolo privato, riferita alla sola porzione del fabbricato già destinata a residenza à sensi della concessione edilizia n. 44/1988 precedentemente rilasciata;
b) la trasformazione delle residue porzioni a destinazione rurale (stalla, magazzino e fienile) in cantina e ripostigli.
Posto ciò, risulta altrettanto evidente che gli elaborati grafici assentiti mediante la concessione edilizia Prot. n. 18 dd. 4 febbraio 1991 e così come consistenti nella loro versione vidimata sia dall’U.S.L. che dal’Uufficio Tecnico Comunale in ogni caso non rispettavano, per quanto segnatamente atteneva alla cantina e ai ripostigli, la normativa urbanistica allora in essere, in quanto gli elaborati medesimi contemplavano destinazioni di talune porzioni del fabbricato comunque difformi da quanto era stabilito dalla disciplina di P.R.G.
Segnatamente venivano previste la trasformazione della stalla e del magazzino al piano terra in sala da pranzo e sala riunioni con annessi servizi igienici, nel mentre il fienile al primo piano veniva trasformato in “sala meeting” anche mediante la realizzazione di una nuova finestra aperta su di una terrazza, con conseguente raddoppio della superficie utile.
Come ben si vede, dunque, non solo veniva prevista la destinazione di locali ad utilizzazioni non consentite dalla vigente disciplina di P.R.G., ma veniva anche violata la prescrizione inserita nel testo della concessione medesima in forza della quale, conformemente al parere reso al riguardo dalla Commissione edilizia integrata, “il cambio di destinazione d’uso non deve comportare modifiche strutturali e tipologiche”.
Risulta oltremodo significativo il silenzio su tutto ciò da parte dell’appellante, come del resto ana atteggiamento sul punto è stato mantenuto da parte della ricorrente in primo grado.
Se così è, tali invero eclatanti difformità tra le disposizioni dell’allora vigente P.R.G. e le previsioni degli elaborati grafici formalmente annessi alla concessione medesima, nonché l’intrinseca contraddittorietà tra la prescrizione che vietava di apportare modificazioni strutturali all’edificio e la previsione negli anzidetti elaborati grafici della realizzazione della nuova superficie finestrata con aumento della superficie utile, non potevano che essere eliminate mediante un provvedimento adottato nelle forme dell’autotutela che rimuovesse un titolo edilizio certamente illegittimo in quanto senza ombra di dubbio intrinsecamente contraddittorio nelle sue parti e comunque contrario alla disciplina dettata dal vigente P.R.G.
Questa conclusione rimane confermata anche a prescindere dalla questione – essa sì, per l’appunto, “diversiva” – di chi e quando abbia eventualmente sostituito nel corso del procedimento di rilascio della concessione edilizia gli elaborati grafici precedentemente presentati assieme alla domanda della concessione medesima; e rimane confermata anche se, in luogo di una malizia da parte della società richiedente la concessione, dovesse essere accertato un errore da parte dell’amministrazione comunale, ossia dell’Ufficio Tecnico Comunale che potrebbe avere in tal senso vidimato elaborati grafici non coerenti con le norme di piano oltrechè con lo stesso contenuto della domanda di rilascio del titolo edilizio: errore, questo, in ordine al quale per certo sussiste un interesse pubblico alla sua eliminazione.
Questo giudice, infatti, non è per certo preposto alla ricerca delle responsabilità su quanto avvenuto, posto che l’oggetto dell’accertamento del presente giudizio si identifica e si esaurisce nella rilevata materialità del contrasto tra il titolo edilizio e la sovrastante disciplina di P.R.G., ossia essenzialmente sulla verifica della legittimità della concessione edilizia n. 18/1991, da intendersi, per l’appunto, quale conformità – o meno – di tale titolo edilizio alle norme di P.R.G. all’epoca vigenti, e sulla conseguente legittimità – o meno – del provvedimento con il quale è stato disposto l’autoannullamento del titolo medesimo anche con riguardo alla sussistenza di ragioni di pubblico interesse ulteriori e distinte da quelle del mero ripristino della legittimità violata.
Se, come in effetti è stato acclarato, il titolo edilizio era illegittimo per i motivi testè illustrati, e se – come sarà evidenziato al § 4.4. della presente sentenza – a fronte delle esigenze di pubblico interesse non era sussistente in termini comparativi un contrario interesse giuridicamente rilevante del privato alla conservazione del provvedimento, legittimamente l’amministrazione comunale ha esercitato il proprio potere di autotutela,.
Si ricava pertanto da ciò anche la manifesta irrilevanza nell’economia della presente causa degli esiti del procedimento penale scaturito dall’inoltro, da parte del Comune, alla Procura della Repubblica presso la Pretura Circondariale di Bologna degli atti relativi all’annullamento d’ufficio della concessione edilizia n. 18/1991.
Tale procedimento penale, infatti, ha essenzialmente riguardato, à sensi dell’allora vigente art. 20 della l. 47 del 1985, i soli aspetti penali oggettivamente discendenti dall’abuso edilizio nella specie realizzato in dipendenza dell’avvenuta violazione delle norme di P.R.G., nel mentre non ha riguardato le modalità attraverso le quali era stato perfezionato il provvedimento che, prima di essere rimosso in via di autotutela, aveva comunque costituito il supporto amministrativo per la realizzazione dell’abuso medesimo.
Tale procedimento à stato archiviato in data 11 marzo 1998, ossia successivamente al rilascio della concessione in sanatoria n. 21 dd. 30 agosto 1997 in esito all’istanza di condono edilizio presentata da Fi. à sensi dell’art. 39 della l. 724 del 1994, il cui accoglimento aveva comunque determinato, à sensi degli artt. 35, primo comma, e 38, secondo comma, della l. 47 del 1985, l’estinzione del reato.
Da tali eventi, non considerati dal giudice penale con una sentenza dotata della forza della cosa giudicata à sensi dell’art. 648 c.p.p. e per gli effetti dell’art. 654 c.p.p., non è dunque possibile ricavare alcun elemento utile per la definizione del presente giudizio.
4.3. Quanto sin qui esposto assume valenza assorbente e consente pertanto di respingere senz’altro i primi due ordini di motivi d’appello proposti da Oi..
Va peraltro soggiunto che l’approccio argomentativo del giudice di primo grado appare diverso sul punto, posto che nella sentenza impugnata invero si legge che “è sufficiente rilevare la dolosa sostituzione del progetto da parte della società ricorrente ed il contrasto del nuovo progetto con le zone del P.R.G., per giustificare il provvedimento (di annullamento in autotutela) adottato. In presenza della malafede del destinatario di un atto della P.A. non occorre alcuna motivazione né indicazione dell’interesse pubblico alla rimozione dell’atto, non sussistendo alcun interesse da tutelare” (così a pag. 5 della sentenza impugnata).
Questa recisa considerazione del T.A.R. in ordine alla malafede di Fi. è – come si è detto innanzi, e a ben vedere – del tutto pleonastica rispetto alla già dianzi evidenziata sufficienza, ai fini della legittimità dell’autoannullamento, dell’oggettiva difformità del titolo edilizio rispetto alle allora vigenti norme del P.R.G.
Tuttavia (ciò si rileva per mera aspirazione alla completezza espositiva) quanto affermato dal giudice di primo grado non è apodittico, ma trova – anzi – non evanescenti conferme negli atti di causa.
Innanzitutto, appare francamente singolare che la Commissione edilizia integrata abbia nella specie fatto inserire nel testo del titolo edilizio, redatto in data 4 febbraio 1991, l’espresso divieto di “apportare modifiche strutturali e tipologiche” in presenza di elaborati grafici che, ove in effetti si identifichino nel loro contenuto con quelli solo successivamente inoltrati all’U.S.L. e da questa vidimati, comunque prevedono la realizzazione di opere che infrangono tale chiarissimo divieto.
Né – a ben vedere – la ricorrente in primo grado ha comprovato in modo inequivocabile di aver inoltrato in data 29 gennaio 1991 all’U.S.L. di San Giorgio in Piano la richiesta di rilascio del parere igienico-sanitario allegando ” n. ° 3 copie degli elaborati grafici e n° 2 copie della relazione tecnica”.
La copia del corrispondente documento, riproposta anche nel presente grado di giudizio quale doc. 6 dell’appellante, risulta infatti priva di qualsivoglia prova della sua ricezione da parte dell’U.S.L. ivi in indirizzo, né postale, né mediante l’apposizione di un qualsivoglia timbro per ricevuta quale raccomandata a mano.
Invero l’appellante a pag. 3 dell’atto introduttivo del presente giudizio afferma che avrebbe presentato in data 30 aprile 1991 alla medesima U.S.L. un formale “sollecito” per la definizione della relativa pratica, “stante il perdurante silenzio mantenuto dall’organo sanitario”.
Nondimeno, il parere reso dall’U.S.L. in data 12 giugno 1991 (cfr. doc. 8 di parte appellante, riproposto anche nel presente grado di giudizio), indica quale data della richiesta presentata da Fi. quella del 30 aprile 1991, ossia la data non già dell’asserita presentazione della domanda predetta, ma quella del suo parimenti asserito “sollecito”.
Queste incongruenze in effetti possono confortare la conclusione secondo cui gli elaborati grafici in questione sono stati in realtà inoltrati da Fi. all’U.S.L. soltanto in data 30 aprile 1991 e non già in data 29 gennaio 1991, e che gli elaborati medesimi, già vistati dall’U.S.L. nel periodo intercorrente tra la data del 30 aprile 1991 e quella del 12 giugno 1991, erano verosimilmente diversi rispetto a quelli esaminati dalla Commissione edilizia integrata in data 31 gennaio 1991 e restituiti poi brevi manu con l’intesa che gli stessi fossero poi trasmessi a cura di quest’ultima all’U.S.L. per il parere di competenza.
Tali primi elaborati, in realtà mai poi trasmessi all’U.S.L., non riportavano la vidimazione dell’Ufficio Tecnico Comunale.
Viceversa, accedendo alla sopradescritta prospettazione, la vidimazione non può che essere stata apposta dall’Ufficio Tecnico Comunale dopo aver ricevuto da parte di Fi. gli elaborati grafici vidimati dall’U.S.L., verosimiulmente peraltro differenti da quelli a suo tempo visionati dal medesimo Ufficio Tecnico Comunale e dalla Commissione edilizia integrata.
Ma c’è a tale riguardo un’ulteriore aspetto che fa propendere per questa non remota eventualità .
Afferma infatti l’appellante, a pag. 9 dell’atto introduttivo del presente grado di giudizio, “che la normativa all’epoca vigente prevedeva (e prevede tutt’ora) che sia il responsabile del procedimento ad acquisire i prescritti pareri degli uffici comunali, nonché dell’Azienda sanitaria locale” (recte: all’epoca ancora Unità Sanitaria Locale, non essendo ancora entrato in vigore il d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502).
Questa ricostruzione storica che l’appellante propone in ordine alla sussistenza anche a quel tempo di un obbligo del responsabile del procedimento presso il Comune di acquisire direttamente il parere igienico-sanitario propedeutico al rilascio del titolo edilizio precorre invero la disciplina attualmente in vigore (cfr. al riguardo gli artt. 5, 6-bis e 9-bis del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 e succ. modd.), ma assolutamente non rispecchia il materiale contenuto della disciplina in vigore al tempo dei fatti di causa.
L’art. 220 del t.u. delle leggi sanitarie, approvato dal r.d. 27 luglio 1934, n. 1265, ad oggi abrogato per effetto dall’arti. 136, comma 2, lett. a), del d.P.R. 380 del 2001, come modificato dall’art. 3 del d.l. 20 giugno 2002, n. 122 convertito con modificazioni in l. 1 agosto 2002 n. 185 ma – per l’appunto – in vigore all’epoca dei fatti di causa – disponeva che “ì progetti per le costruzioni di nuove case, urbane o rurali, quelli per la ricostruzione o la sopraelevazione o per modificazioni, che comunque possono influire sulle condizioni di salubrità delle case esistenti debbono essere sottoposti al visto del sindaco, che provvede previo parere dell’ufficiale sanitario e sentita la commissione edilizia”.
Il “parere” dell’organo tecnico-sanitario (di fatto un nulla-osta prodromico alla presentazione al Comune della pratica edilizia) doveva essere pertanto “previo”, e quindi doveva essere acquisito prima della presentazione della domanda di rilascio del titolo edilizio, a cura dello stesso privato richiedente.
Anche da una lettura della disciplina di principio contenuta nel testo originario dell’art. 6 della l. 7 agosto 1990, n. 241 – all’epoca recentemente entrato in vigore – non sembra che, pur con riguardo alle incombenze di “accertamento d’ufficio dei fatti” ovvero di “accertamenti tecnici” ivi contemplate quali obblighidi quell’epoca per il responsabile del procedimento, si possa pervenire ad una conclusione diversa.
Risponde pertanto al vero che, nel caso di specie, Fi. ha direttamente provveduto ad interloquire con l’U.S.L in ordine al rilascio del parere sanitario., ma ha iniziato a farlo soltanto dopo che l’Ufficio Tecnico Comunale ha rimarcato nelle vie brevi, come riferito dal responsabile del procedimento, la mancata presentazione del parere medesimo.
Il Comune ha comunque provveduto ad acquisire il parere della Commissione edilizia integrata e all’emissione ma non al rilascio della concessione edilizia in attesa che la medesima Fi. depositasse il parere anzidetto.
Ma proprio tale scelta dell’amministrazione comunale, per certo intesa a favorire la parte privata in ordine ai tempi del procedimento, ha di fatto propiziato anche l’accadimento dell'”incidente” della vidimazione da parte dell’Ufficio Tecnico Comunale di elaborati tecnici difformi dalle norme di P.R.G. e dallo stesso testo della relativa concessione edilizia.
4.4. Residua a questo punto la trattazione del terzo ordine di motivi d’appello proposto da Oi..
E’ qui sufficiente evidenziare che la motivazione addotta dall’amministrazione comunale ai fini dell’annullamento in via di autotutela risulta di per sé congrua e adeguata con riguardo alla compiutezza dell’esposizione delle ragioni che imponevano la rimozione ex tunc della concessione edilizia precedentemente rilasciata.
Inoltre, se è vero che I presupposti per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio dei titoli edilizi sono costituiti dall’originaria illegittimità del provvedimento, dall’interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione (diverso dal mero ripristino della legalità violata), tenuto conto anche delle posizioni giuridiche soggettive consolidate in capo ai destinatari, risulta altrettanto assodato che l’esercizio del potere di autotutela è espressione di una rilevante discrezionalità che non esime, tuttavia, l’Amministrazione dal dare conto, sia pure sinteticamente, della sussistenza dei menzionati presupposti, e che l’ambito di motivazione esigibile è integrato dall’allegazione del vizio che inficia il titolo edilizio, dovendosi tenere conto, per il resto, del particolare atteggiarsi dell’interesse pubblico in materia di tutela del territorio e dei valori che su di esso insistono, che possono indubbiamente essere prevalenti, se spiegati, rispetto a quelli contrapposti dei privati, nonché dall’eventuale negligenza o malafede del privato che ha indotto in errore l’Amministrazione (cfr. sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 7 settembre 2018, n. 5277).
Nella presente fattispecie, se non si vuole propriamente parlare di malafede da parte del privato, perlomeno la sua negligenza – per quanto detto poc’anzi – risulta innegabile; e in conseguenza di ciò, pertanto, la salvaguardia dell’interesse pubblico qui non necessita certamente di essere posta in comparazione con quello della parte privata.
Da ultimo – a differenza di quanto affermato dall’appellante – nella specie non risultava necessaria l’acquisizione, ai fini del contrarius actus, di un nuovo parere da parte della Commissione edilizia integrata.
E’ invero assodato in giurisprudenza che, in base al principio del contrarius actus, qualora in sede di rilascio di una concessione edilizia sia stato acquisito il parere della Commissione edilizia, tale parere vada acquisito anche all’atto dell’annullamento d’ufficio del suddetto titolo abilitativo, (cfr. al riguardo, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. V, 12 novembre 2003, n. 7218, citata dal medesimo appellante, nonché ad es., più risalente nel tempo, Consi, Stato, Sez. V, 18 agosto 1998, n. 1272) fatte peraltro salve le ipotesi in cui il provvedimento di autotutela sia supportato da evidenti ragioni formali, ovvero da ragioni meramente logico-giuridiche e non, quindi, tecnico-edilizie (cfr., Cons. Stato, Sez. V, 12maggio.2011, n. 2821; Sez. IV, 31.marzo 2009, n. 1909): e nella specie tale ultimo tipo di ragioni per certo non sussisteva,
5. Le spese e gli onorari del presente grado di giudizio seguono la regola della soccombenza, e sono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la parte appellante al pagamento delle spese e degli onorari del presente grado di giudizio, complessivamente liquidate nella misura di Euro 3.000,00.- (tremila/00)
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 giugno 2019 con l’intervento dei magistrati:
Fabio Taormina – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere
Fulvio Rocco – Consigliere, Estensore
Antonella Manzione – Consigliere
Cecilia Altavista – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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