In assenza del formale impulso di parte ai sensi dell’art. 80 comma 1 c.p.a.

Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 6 agosto 2020, n. 4963.

La massima estrapolata:

Qualora, dopo che è stata disposta la sospensione del giudizio, questo venga riavviato d’ufficio in assenza del formale impulso di parte ai sensi dell’art. 80, comma 1, c.p.a., si verifica – non diversamente dall’ipotesi in cui, al contrario, sia omessa la sospensione del giudizio in un caso in cui questa è necessaria a norma dell’art. 295 c.p.c. – una lesione del diritto di difesa idonea a determinare l’annullamento della sentenza con rinvio della causa al primo giudice ai sensi dell’art. 105 del medesimo codice.

Sentenza 6 agosto 2020, n. 4963

Data udienza 23 giugno 2020

Tag – parola chiave: Processo amministrativo – Sospensione del giudizio – Riavvio d’ufficio – Esclusione

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8860 del 2013, proposto dal signor Ro. Ga., rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Ca. e Se. Dr., con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via (…),
contro
la Provincia autonoma di Trento, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fa. Lo., Ma. Da. Se. e Ni. Pe., con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via (…), nonché dall’avvocato Ma. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,
nei confronti
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio,
per la riforma
della sentenza del T.R.G.A. della Provincia di Trento n. 257/2013, resa tra le parti, concernente il diniego di sanatoria di opere realizzate sulla sponda di un lago.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Provincia autonoma di Trento;
Viste le note di udienza della Provincia autonoma di Trento versate in atti il 20 giugno 2020;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 23 giugno 2020, il Cons. Antonella Manzione e dati per presenti, ai sensi dell’art. 84, comma 5, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, i difensori delle parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Il signor Ro. Ga. ha impugnato dinanzi al Tribunale Regionale per la Giustizia Amministrativa di Trento il provvedimento di diniego di condono edilizio prot. n. 2836 del 26 maggio 2003 avente ad oggetto un’abitazione in muratura con annesso ripostiglio, darsena, muretti e recinzioni sulla riva del lago di (omissis), ultimati nel mese di ottobre 1972, nonché gli atti ad esso presupposti, tra cui il verbale della Commissione dei Dirigenti generali della Provincia di Trento n. 778 del 24 giugno 2002 e quelli delle Conferenze dei servizi n. 1906 bis e 1906 ter del 12 dicembre 2001. Il diniego era motivato con riferimento a vincoli di natura paesaggistica ed idraulica, nonché all’insistenza delle opere su demanio lacuale.
2. Il T.R.G.A., con sentenza non definitiva n. 285/2006, in relazione alla darsena, al ripostiglio e al muretto di recinzione, respingeva il ricorso, sulla base dell’affermata esistenza di un vincolo paesaggistico-ambientale sui terreni ove erano stati realizzati tali manufatti. Per l’edificio ad uso abitativo (“casetta”), invece, riconosceva la rilevanza della invocata questione di pregiudizialità ex art. 295 c.p.c., ai fini dell’accertamento dell’appartenenza (o meno) del sedime al demanio idrico, con riferimento alla pertinente causa instaurata dal ricorrente nel corso del 2004 presso il competente T.R.A.P. di Venezia. Con successiva sentenza n. 257/2013, tuttavia, melius re perpensa, disponeva la revoca di ridetta sospensione, “non sussistendo più motivi di pregiudizialità “, nonché la reiezione nel merito anche di tale residua parte del ricorso originario di primo grado. In particolare, ravvisava l’avvenuto superamento di tale pregiudizialità nel proprio revirement interpretativo, cristallizzato nella sentenza n. 285/2009, con la quale veniva respinto un successivo ricorso proposto, tra gli altri, anche dal signor Ga., avverso la reiezione da parte del Comune di (omissis) della nuova istanza di condono presentata ai sensi della legge provinciale 8 marzo 2004, n. 3, motivata pure con riferimento al contrasto con la disciplina urbanistica vigente. Con la richiamata pronuncia il T.R.G.A. avrebbe infatti fissato alcuni imprescindibili punti fermi, tali da mutare il contesto nel quale era stata assunta la precedente decisione. In particolare, si dava per presupposta la demanialità dei terreni de quibus, non necessitante in positivo della definizione per il tramite di alcun procedimento amministrativo, assumendo rilievo la mera situazione di fatto anche nel profilo ambientale, all’opposto della sua cessazione, che presuppone sempre uno specifico iter avente carattere costitutivo.
3. Avverso la sentenza n. 257/2013 propone appello il ricorrente in primo grado, articolando tre distinti motivi di gravame sostanzialmente incentrati sulla ritenuta irritualità della revoca della precedente decisione, con conseguente violazione del diritto di difesa e delle regole sulla giurisdizione. Gli artt. 5, comma 2, e 7, comma 3, della l. 6 dicembre 1971 n. 1034, legittimavano infatti il riavvio del procedimento giurisdizionale già instaurato, su richiesta di ciascuna delle parti, solo all’esito della decisione del T.R.A.P. Nel caso di specie, invece, il giudice di prime cure ha utilizzato strumentalmente l’ordinanza istruttoria n. 116/2012, da subito contestata, con la quale richiedeva “una relazione predisposta dal Servizio urbanistica di tutela del paesaggio della Provincia Autonoma di Trento sui fatti di causa con dettagliata documentazione fotografica dello stato dei luoghi e indicazione di ogni elemento utile ai fini della risoluzione della vertenza”. Irrituale e illegittima si paleserebbe infine la motivazione mutuata da una sentenza sopravvenuta (la n. 285/2009), e con appello ancora pendente al Consiglio di Stato. Nel merito, nel richiamare le doglianze esplicitate nell’atto di appello n. r.g. 5537/2010, avente ad oggetto proprio ridetta sentenza n. 285/2009, contestava la avvenuta applicazione da parte del Comune della disciplina urbanistica sopravvenuta, con ciò di fatto facendola indebitamente retroagire, in maniera peraltro impropria, stante che il riferimento alle “spiagge” non si attaglierebbe in alcun modo alla morfologia della sponda nord-est del lago di (omissis), caratterizzato da profilo scosceso e immediata profondità delle acque.
4. Si è costituita nel presente giudizio la Provincia autonoma di Trento con atto di stile per chiedere il rigetto dell’appello. Con successiva memoria versata in atti in data 20 gennaio 2020 ha stigmatizzato come “pretestuosa” la prospettazione di parte, essendovi ormai un orientamento consolidato nel senso della insussistente pregiudizialità tra il giudizio di accertamento dei confini lacuali e quelli concernenti la legittimità dei dinieghi opposti alle istanze di condono di opere realizzate in prossimità ovvero addirittura in corrispondenza degli stessi. Nel caso di specie, dunque, così come affermato nella definizione delle analoghe controversie, i terreni sarebbero inedificabili, e la violazione demaniale sarebbe ormai cristallizzata nella sentenza del T.R.A.P. n. 54/2019, che ha individuato nella deliberazione del 1979, e non in quella del 1976, la fonte dell’attuale perimetrazione dello specchio d’acqua.
In vista dell’odierna udienza, le parti hanno depositato ulteriori memorie.
L’appellante da ultimo con due memorie, di cui una in controdeduzione, versate in atti rispettivamente in data 22 maggio 2020 e 29 maggio 2020, ha avanzato richiesta di rinvio per la ribadita necessità di attendere gli esiti della controversia instaurata innanzi al giudice delle acque per la esatta delimitazione dei confini lacuali. Essendo stata l’udienza di trattazione innanzi alla Corte di Cassazione differita al 22 settembre 2020 in applicazione della normativa emergenziale, auspica una postergazione a tale data, siccome già avvenuto con riferimento a vicenda di ana tenore (v. ordinanza n. 3399 del 29 maggio 2020).
La Provincia autonoma di Trento dal canto suo, da ultimo con note di udienza del 20 giugno 2020, ha ribadito l’insussistenza di nesso di pregiudizialità, insistendo sui contenuti dirimenti della sentenza del T.S.A.P. n. 54 del 4 febbraio 2019. Alla ipotetica sussistenza dello stesso è altresì estranea la decisione di cui alla richiamata ordinanza n. 3399/2020, riferita esclusivamente all’applicazione delle norme sull’emergenza sanitaria, essendo in quel procedimento i termini per il deposito delle memorie difensive scaduti nel periodo di sospensione disposto con l’art. 84 del d.l. n. 18/2020. Ha infine ricordato l’insussistenza di spazi per poter addivenire a soluzioni conciliative della vertenza in atto.
5. All’udienza pubblica del 23 giugno 2020 la causa è stata trattenuta in decisione con le modalità di cui all’art. 84, comma 5, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, dando puntuale atto nel verbale di udienza della insussistenza delle invocate ragioni di opportunità del rinvio in attesa degli esiti del giudizio di Cassazione.

DIRITTO

6. Preliminarmente il Collegio ritiene necessario chiarire la ragione della reiezione dell’istanza di rinvio, di cui si è dato atto nel verbale di udienza.
La peculiarità dell’odierna controversia, che vede nelle modalità della denegata pregiudizialità il fulcro della decisione, non ne consente un’ulteriore differimento, che peraltro si risolverebbe in un inutile allungamento dei tempi di definizione della stessa, vertente su questione di rito e non di merito.
7. La sentenza impugnata costituisce dunque il trait d’union tra la precedente del 2006 e la successiva del 2009, entrambe connotate peraltro dal medesimo n. r. 285, riferite tuttavia a due distinte tipologie di atti, dei quali i primi di competenza della Provincia di Trento, i secondi, invece, del Comune di (omissis) e ad autonome istanze di condono, basate su diversi presupposti normativi, ma accomunate dall’oggetto, stante che a distanza di tempo l’interessato ha sostanzialmente riproposto la domanda di sanatoria dei medesimi abusi realizzati in epoca ormai risalente sulla sponda del lago.
Con la prima delle sentenze sopra citate, avuto riguardo alla “casetta” o abitazione, il T.R.G.A. ha affermato che “non risulta alcun vincolo paesaggistico-ambientale ma solo vincoli o limiti sia idraulici che di demanio idrico; ed invero tale vincolo paesaggistico è stato ritenuto, nel caso, superabile”. Da qui la ritenuta necessità di una valutazione di pregiudizialità ex art. 295 c.p.c., “essendovi causa relativa in corso, proprio per i più volte detti assorbenti aspetti idrico ed idraulico, presso il competente TRAP di Venezia”.
Con la successiva, n. 285/2009, avente ad oggetto il diniego da parte dei competenti uffici comunali del condono edilizio richiesto ai sensi della legge provinciale 8 marzo 2004, n. 3, oltre a ribadire la sussistenza del vincolo paesaggistico-ambientale in ragione della demanialità del suolo, si è ritenuta quest’ultima certa; salvo poi inferirne che “il vincolo idraulico preesisteva rispetto all’edificazione abusiva, posto che l’articolo 96, primo comma, lettera f), del regio decreto 25.7.1904, n. 523 ha introdotto il divieto assoluto di costruire a distanza minore di 10 metri dalle sponde, divieto poi reso derogabile dall’articolo 7 della legge provinciale 8.7.1976, n. 18, la quale ha però previsto che le eventuali deroghe “potranno essere concesse fino alla distanza di metri 4″”. Il lago di (omissis), inoltre, rientra nel demanio idrico in quanto iscritto nell’elenco delle acque pubbliche della Provincia di Trento approvato con r.d. 15 gennaio 1942, sia per quanto riguarda l’acqua che per quanto concerne il terreno che la stessa ricopre durante le piene ordinarie.
8.1. La sospensione necessaria del processo è istituto previsto dall’art. 295 c.p.c., oggi codificato nel processo amministrativo all’art. 79, comma 1, c.p.a., con specifica applicazione, in subiecta materia, del rinvio esterno di cui all’art. 39 c.p.a., e consegue all’ipotesi in cui il giudice stesso o altro giudice “deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa”. Essa costituisce un’eccezione al principio generale dell’autonomia dei giudizi che ormai informa l’intera giurisdizione, e proprio per tale ragione, determinando un arresto del giudizio che può risolversi in un allungamento, anche notevole, dei tempi processuali, deve essere interpretata in una “accezione restrittiva dei presupposti su cui si fonda” (cfr. sul punto Cons. Stato, sez. VI, 12 marzo 2012, n. 1386).
L’art. 295 del codice di rito civile, dunque, postula non un mero collegamento tra due statuizioni emanande, ma un vincolo di stretta consequenzialità, tale per cui l’altro giudizio, oltre a coinvolgere le medesime parti, investe un indispensabile antecedente giuridico, la cui soluzione sia determinante, in tutto o in parte, con effetto di giudicato, per l’esito della causa da sospendere (Cons. Stato, sez. V, 15 febbraio 2007, n. 642).
Scopo della sospensione necessaria è dunque quello di evitare il contrasto di giudicati, assicurando l’uniformità delle decisioni (v. ex multis Cass. civ., sez. un., ord. 27 luglio 2004, n. 14060; sez. VI, ord. 29 luglio 2014, n. 17235, 8 febbraio 2012, n. 1865, 9 dicembre 2011, n. 26469, 18 febbraio 2011, n. 3059; Cons. Stato, sez. V, 17 febbraio 2016, n. 640; sez. IV, 18 novembre 2014, n. 5662; sez. VI, 12 marzo 2012, n. 1386).
Al di fuori di questa ipotesi la sospensione non è mai obbligatoria, perché, come debitamente evidenziato dalla Suprema Corte nella richiamata ordinanza del 27 luglio 2004, n. 14060, essa determina l’arresto del processo dipendente per un tempo indeterminato “e certamente non breve […] fino al passaggio in giudicato della decisione sulla causa pregiudiziale […] onde evitare il rischio di conflitto tra giudicati” (§ 5.1 della parte “in diritto”), così dilatando i tempi della decisione finale del giudizio e le aspettative ad una sua rapida definizione che le parti che si oppongono alla sospensione legittimamente possono vantare.
Come chiarito da questo Consiglio di Stato (Sez. IV, 14 maggio 2014, nn. 2483 e 2484), la pregiudizialità necessaria si pone tra rapporti giuridici diversi, collegati in modo tale per cui la situazione giuridica della causa pregiudiziale si pone come elemento costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo del distinto rapporto dedotto nella causa dipendente, la cui esistenza è dunque necessariamente presupposta dalla prima.
9. Nel caso di specie, dunque, il giudice di prime cure ha ritenuto di trovarsi al cospetto di tale tipologia di collegamento tra l’azione di accertamento dei confini lacuali e la valutazione di legittimità del diniego di condono che trova il suo unico presupposto motivazionale nel mancato rispetto della distanza da tali confini (vincolo idraulico di inedificabilità assoluta); ha ritenuto al contrario di doverne prescindere laddove la motivazione del diniego fosse rinvenibile anche aliunde (nel vincolo paesaggistico-ambientale, per le decisioni della Provincia, ovvero nello stesso e nella disciplina urbanistica, per quelle del Comune). La prima situazione è stata ritenuta sussistente con riferimento agli atti della Provincia aventi ad oggetto l’abitazione, per la quale il vincolo paesaggistico, se mai esistente, non ha assunto rilevanza ostativa; la seconda, per le relative pertinenze (darsena, muretti e recinzioni). Gli atti comunali, invece, oggetto del giudizio sfociato nella sentenza n. 285/2009, hanno pur sempre un’autonoma motivazione nella ritenuta inedificabilità sotto il profilo urbanistico, tale da escludere a sua volta, ove giudicata legittima, qualsivoglia nesso di pregiudizialità con questioni inerenti la proprietà pubblica del suolo.
10. La sospensione di cui all’art. 295 c.p.c. va disposta, secondo il c.p.a., con ordinanza, dichiarata appellabile: in un’ottica di ragionevole durata del processo, infatti, non vi è più spazio per una scelta di sospensione non ex lege sottratta ad ogni successivo sindacato. La giurisprudenza amministrativa anteriore al c.p.a., cui occorre piuttosto fare riferimento ratione temporis, aveva invece negato tale impugnabilità dell’ordinanza de qua, sulla base della sua affermata natura non decisoria (Cons. Stato, sez. V, 10 maggio 2010, n. 2768).
Nel caso di specie, il T.R.G.A. non ha adottato alcuna ordinanza, incorporando la decisione sulla pregiudizialità nella sentenza parziale n. 285/2006, con la quale rinvia per la “residuale” parte della vicenda agli esiti del giudizio innanzi al giudice delle acque. L’affermazione secondo la quale il diniego di condono della casetta si fonderebbe solo sulla violazione del limite idraulico o comunque su questioni attinenti la demanialità, contenuta nella medesima sentenza, non è stata oggetto di alcun rilievo da parte della Provincia autonoma di Trento nell’ambito del procedimento incardinato con ricorso n. r.g. 9254/2007.
11. Con la sentenza n. 257/2013 il Tribunale regionale della giustizia amministrativa di Trento ha auto emendato la propria decisione del 2006, ritenendo dirimenti quali circostanze sopravvenute i fatti – rectius, i principi – affermati all’esito di un altro ricorso, riguardante, come già detto, atti distinti ma i medesimi luoghi. Ciò a prescindere da qualsivoglia iniziativa di parte, in una logica di mera razionalizzazione delle pendenze e di smaltimento dell’arretrato, secondo la ricostruzione dell’appellante, in assenza peraltro di effettivi elementi di novità del contesto.
L’istruttoria integrativa disposta con ordinanza n. 116/2012, che parrebbe porsi pure in contrasto con il divieto di effettuazione di nuovi atti nella fase della sospensione di cui all’art. 298 c.p.c., appare al Collegio comunque ininfluente ai fini dell’odierna decisione, stante che su di essa non si fonda alcun riferimento motivazionale, neppure in termini di mero richiamo.
Causa del ripensamento, pertanto, sarebbe esclusivamente la mutata ricostruzione giuridica della vicenda cristallizzata nella sentenza n. 285/2009, conseguente a ricorso collettivo coinvolgente anche l’odierno appellante: con tale pronuncia, infatti, si è radicalmente modificata l’impostazione seguita fino a quel momento, volta ad escludere la pregiudizialità non in ragione della sua ritenuta insussistenza, bensì avuto riguardo all’esistenza di autonome ragioni di diniego oltre quelle rivenienti dal vincolo idraulico, tali da rendere superfluo comprendere la portata di quest’ultimo.
In maniera in verità più assertiva che motivata, infatti, si è affermata la natura ontologica della demanialità in presenza dei relativi presupposti accertati da soggetto qualificato; e tuttavia tale elemento (la demanialità, appunto), non ha comunque assunto rilievo ex se, ma in quanto intersecante vincoli di tipo diverso (in particolare, quello paesaggistico-ambientale), nonché l’incompatibilità urbanistica, tale peraltro da mantenere il procedimento in ambito comunale, senza necessità di attivare il diverso livello di governo preposto alla tutela degli ulteriori interessi pubblici in gioco.
12. La riattivazione del processo sospeso, trova oggi una regolamentazione propria e autonoma rispetto a quella processualcivilistica nell’art. 80, comma 1, c.p.a. che non opera alcuna distinzione tra cause di sospensione, così recependo quell’indirizzo giurisprudenziale, prevalente nel vigore della legge processuale anteriore, che facendo applicazione analogica, ma in maniera chirurgica, degli artt. 297 c.p.c. e 367 c.p.c., richiedeva e nel contempo riteneva bastevole una mera istanza di fissazione dell’udienza entro sei mesi dalla conoscenza legale che era cessata la causa di sospensione (v. Cons. Stato, sez. VI, 15 giugno 2009, n. 3829). Anche in passato, dunque, non si è mai revocata in dubbio la necessità di un’iniziativa di parte per superare il temporaneo stallo del procedimento, salvo discutersi circa la forma di tale iniziativa, ora individuata nella mera istanza di fissazione dell’udienza ora in quella anche di riassunzione, ovvero sulla tempistica della sua proposizione e sull’esatta individuazione del dies a quo per il relativo computo (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 9 ottobre 2002, n. 5634; id., 17 febbraio 2000, n. 911). Con ciò non consentendosi comunque, rileva la Sezione, un’iniziativa d’ufficio se non funzionale alla declaratoria di perenzione, men che meno a prescindere dall’avvenuto superamento della causa di sospensione (nel caso di specie, la definizione del procedimento per l’accertamento dei confini lacuali).
13. Ritenendo, dunque, più corretta la linea interpretativa seguita nella sentenza n. 285/2009, se ne sono acquisiti i principi come fattore di novità sopravvenuta, con ciò pretermettendo che essi si riferiscono ad un ricorso non soltanto deciso, ma addirittura incardinato (n. r.g. 120/2007) dopo che quello su cui si pretende di farli impattare era già stato definito (con la ormai nota sentenza n. 285/2006).
Nell’operare tale indebita osmosi, peraltro, il T.R.G.A. non si è limitato a mutuare l’affermazione della demanialità della sponda del lago di (omissis), a prescindere dall’esatto tracciamento della relativa linea di confine, acquisendola come un dato di fatto storicizzato, anziché il frutto di una precisa scelta interpretativa; ma ne ha affermato l’irrilevanza stante che le costruzioni insistono “su aree comprese nell’ambito delle zone destinate dal PRG a spiaggia, assoggettate ad inedificabilità assoluta, sicché, l’eventuale auspicato esito favorevole del giudizio di rivendica da essi promosso, comportante al più una diversa perimetrazione della delimitazione del demanio idrico, in considerazione della disposizione urbanistica appena richiamata che estende il vincolo di inedificabilità alla fascia contigua demaniale, sarebbe comunque ininfluente ai fini del condono, confermando l’insussistenza di alcun vincolo di pregiudizialità fra giudizi”. Affermazione questa estranea all’odierno procedimento, avente ad oggetto gli atti di competenza della Provincia autonoma di Trento, che non toccano gli aspetti meramente urbanistici, contrariamente a quelli rimessi al vaglio del Comune di (omissis), che proprio da tale rilevato contrasto con la disciplina urbanistica fa conseguire anche la gestione in proprio del relativo procedimento.
Quanto detto giustifica la introduzione da parte appellante dei motivi di doglianza inerenti la asserita retroattività dei vincoli di inedificabilità, anche descrittivi (le spiagge inesistenti) di cui al P.R.G., pur se estranei ai profili contenutistici degli atti della Provincia autonoma di Trento. In realtà, la commistione tra le due vicende ha comportato in parte qua un – in verità non eccepito – vizio ultra petitorio, con utilizzazione delle motivazioni sottese ad atti impugnati altrove per giustificare l’autonoma correttezza anche di quelli oggetto dell’odierno procedimento.
14. Acclarata dunque la fondatezza delle doglianze del ricorrente, occorre interrogarsi su quali ne siano le conseguenze processuali.
Il Collegio ritiene che la revoca extra legem della sospensione possa essere assimilata quoad effectum all’erroneo diniego della stessa: in un caso, infatti, il potenziale nocumento alla parte consegue ab origine alla decisione del giudice che trattenga la causa che avrebbe dovuto sospendere; nell’altro, il medesimo effetto consegue alla riattivazione del processo decisionale sospeso, nonostante non ve ne fossero i presupposti. In sintesi, ciò che rileva nell’odierno giudizio non è la fondatezza o meno del giudizio di pregiudizialità, ma la illegittimità della sua modifica a situazione in fatto e in diritto sostanzialmente immutata.
Poiché dunque il riscontrato vizio della sentenza appellata va qualificato come un difetto di procedura che si è risolto nella sostanziale violazione del diritto di difesa, sotteso alla disciplina della riattivazione ad iniziativa di parte del processo sospeso, l’accoglimento dell’appello comporta l’annullamento dell’impugnata sentenza di primo grado, con rinvio dell’esame della controversia al Tribunale amministrativo competente (sulla necessità di rinvio al primo giudice in un caso di pronuncia intervenuta malgrado la pendenza di un regolamento di giurisdizione, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 29 luglio 2007, n. 3724).
Diversamente opinando, infatti, si addiverrebbe alla paradossale conseguenza di lasciare in piedi una decisione “monca” in una sua specifica parte: ridetto annullamento, in quanto in grado di travolgere anche l’effetto devolutivo che il giudice di prime cure si è autoattribuito con riferimento al segmento di decisione già sospeso con la sentenza n. 285/2006, non consentirebbe mai di addivenire ad un esito finale sulla relativa questione, privata per sempre di un epi, tanto più che tale aspetto della vicenda neppure ha interessato il giudizio di appello avverso la stessa.
15. La fondatezza dell’appello ed il suo accoglimento comportano, per l’effetto, l’annullamento della sentenza impugnata e il conseguente rinvio, ai sensi dell’art. 105, comma 1, c.p.a., della causa al giudice di primo grado per la nuova trattazione del giudizio, all’esito del contenzioso per l’accertamento dei confini lacuali, in vista della definizione del quale è stata disposta la sospensione ex art. 295 c.p.c.
Ricorrono, in ragione della peculiarità della fattispecie, giustificati motivi per compensare integralmente fra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, ai sensi dell’art. 105, comma 1, c.p.a., annulla la sentenza impugnata e rimette la causa al giudice di primo grado.
Compensa le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso dalla Sezione Seconda del Consiglio di Stato con sede in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 giugno 2020, tenutasi con modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:
Raffaele Greco – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere
Giancarlo Luttazi – Consigliere
Francesco Frigida – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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