Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 13 luglio 2020, n. 4527.
La massima estrapolata:
Nel processo amministrativo affinché una parte possa spiegare in appello l’intervento ad opponendum c.d. “proprio”, ovvero quello svolto a sostegno dell’amministrazione resistente in primo grado, è sufficiente la semplice titolarità di un interesse di mero fatto sotteso al mantenimento dell’assetto determinato dai provvedimenti impugnati, che consenta, come nella specie, di ritrarre un vantaggio indiretto e riflesso dalla reiezione del ricorso.
Sentenza 13 luglio 2020, n. 4527
Data udienza 20 luglio 2020
Tag – parola chiave: Processo amministrativo – Impugnazioni – Intervento ad opponendum proprio – Presupposti – Individuazione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8106 del 2013, proposto da
Sa. Gu. e An. Gu., rappresentati e difesi dall’avvocato Sa. Di Cu., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Gi. Lu., prima e dall’avvocato Sa. Cr., successivamente, con domicilio digitale di pec come da registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ca. De Vi., in Roma, via (…);
e con l’intervento di
ad opponendum:
Fa. Am. Me. – Mo. Ec. Eu., rappresentato e difeso dagli avvocati Pa. De Ca. e Fe. Be., con domicilio digitale di pec come da registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, viale (…);
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania – Salerno Sezione Prima n. 00632/2013, resa tra le parti, concernente un diniego sanatoria;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis);
Visto l’atto d’intervento ad opponendum di Fa. Am. Me. – Mo. Ec. Eu.;
Visti tutti gli atti della causa;
Vista l’istanza con cui, ai sensi dell’art. 4 del D.L.30 aprile 2020, n. 28 gli avvocati Pa. De Ca., Sa. Di Cu. e Sa. Cr. hanno chiesto il passaggio in decisione;
Udita la relazione esposta dal Cons. Alessandro Maggio nella camera di consiglio del giorno 20 luglio 2020, svoltasi, ai sensi dell’art. 84, comma 5, del D.L.n. 18 del 17 marzo 2020, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto dalla circolare 13 marzo 2020, n. 6305 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con istanza in data 29/9/1986 il sig. Vi. Gu. ha presentato al Comune di (omissis) domanda di condono edilizio, ai sensi della legge 28/2/1985, n, 47, per un edificio ad uso residenziale, ultimato nell’anno 1981, realizzato in assenza di titolo abilitativo.
L’istanza è stata respinta con nota 27/4/2012, n. 32402 sul presupposto che l’opera ricada in area plurivincolata.
Ritenendo il diniego illegittimo il sig. Gu. l’ha impugnato con ricorso straordinario al Capo dello Stato poi trasposto al T.A.R. Napoli – Salerno, il quale, con sentenza 21/2/2013, n. 632, lo ha respinto.
Avverso la sentenza hanno proposto appello i sig.ri Sa. Gu. e An. Gu., eredi del ricorrente di primo grado, nel frattempo deceduto.
Per resistere al ricorso si è costituito in giudizio il Comune di (omissis).
Ha proposto intervento ad opponendum l’associazione Fa. Am. Me. – Mo. Ec. Eu. (d’ora in poi solo Fa. Am.).
Con ordinanza 7/12/2018, n. 6925 la Sezione ha disposto incombenti istruttori.
Successivamente, con ordinanza 5/7/2019, n. 4653, è stata dichiarata l’interruzione del giudizio in conseguenza dell’intervenuto collocamento a riposo del difensore comunale.
Il processo è stato riassunto a opera della suddetta associazione ambientalista.
Dopo che tutte le parti con ulteriori scritti hanno meglio illustrato le rispettive tesi difensive la causa è passata in decisione.
Poiché successivamente al passaggio in decisione della causa sono emersi dubbi in ordine alla legittimazione dell’associazione Fa. Am., a riassumere il processo, il Collegio ha assegnato alle parti un termine, ex art. 73, comma 3 c.p.a., per contraddire sul punto.
Acquisite le ulteriori memorie e note d’udienza delle parti la causa è definitivamente passata in decisione all’udienza telematica del 2/7/2020.
In via preliminare va affrontata l’eccezione con cui parte appellante contesta l’ammissibilità dell’intervento ad opponendum, spiegato dall’associazione Fa. Am., sul presupposto che la legittimazione di quest’ultima sarebbe limitata alla difesa dei valori ambientali dovendosi escludere che la medesima possa intervenire a tutela di interessi urbanistici come nella specie.
L’eccezione è infondata.
Intanto occorre rilevare che i requisiti concernenti la legittimazione a impugnare devono essere tenuti distinti da quelli relativi alla legittimazione a intervenire, essendo questi ultimi assai meno stringenti dei primi.
E invero, affinché una parte possa spiegare in appello l’intervento ad opponendum c.d. “proprio”, ovvero quello svolto a sostegno dell’amministrazione resistente in primo grado, è sufficiente la semplice titolarità di un interesse di mero fatto sotteso al mantenimento dell’assetto determinato dai provvedimenti impugnati, che consenta, come nella specie, di ritrarre un vantaggio indiretto e riflesso dalla reiezione del ricorso (Cons. Stato, A.P., 28/1/2015, n. 1; Sez. IV, 10/2/2017, n. 573; Sez. III, 4/2/2016, n. 442).
A prescindere da ciò, la tesi dell’appellante, secondo cui la legittimazione ad agire delle associazioni ambientaliste dovrebbe ritenersi limitata alla tutela della sfera paesaggistico-ambientale in senso stretto, non trova ormai credito in giurisprudenza.
Difatti, l'”ambiente” (a tutela del quale l’associazione interveniente è legittimata ad agire in giudizio) non può identificarsi con una materia in senso stretto, dovendosi piuttosto intendere come un valore costituzionalmente protetto, integrante una sorta di “materia trasversale” (Corte Cost., 20/10/2017, n. 218), che coinvolge, in unico coacervo, interessi plurimi (urbanistici, edilizi, ambientali, paesaggistici, culturali e socio-economici) suscettibili di reciproche interferenze.
Da qui la conseguenza che la tutela degli interessi ambientali legittimi le associazioni ambientalistiche a impugnare atti o a dedurre vizi di natura urbanistico-edilizia (Cons. Stato, Sez. IV, 14/4/2020, n. 2405; 9/1/2014, n. 36; Sez. V, 19 febbraio 2015, n. 839).
Può prescindersi, invece, dalla questione di rito concernente la legittimazione dell’interveniente ad opponendum a riassumere il processo interrotto essendo, comunque, il ricorso infondato nel merito.
Coi primi tre motivi si deduce che il Tribunale avrebbe errato a ritenere l’area interessata dall’intervento abusivo soggetta a vincolo di inedificabilità assoluta, atteso che il vincolo sulla medesima gravante sarebbe di natura relativa, cosicché l’opera, una volta acquisiti i pareri degli enti preposti alla tutela del vincolo, risulterebbe sanabile ai sensi dell’art. 32 della legge n. 47/1985, mentre non sarebbe applicabile alla fattispecie l’art. 33 della medesima legge.
Peraltro, il comune avrebbe condonato altri manufatti realizzati nella medesima zona.
Il giudice di prime cure non avrebbe, inoltre, enunciato le ragioni che lo avrebbero indotto a ritenere l’area soggetta a vincolo di inedificabilità assoluta.
Secondo la giurisprudenza la domanda di condono si intenderebbe accolta tacitamente al ricorrere dei presupposti previsti dalla legge per il formarsi del silenzio assenso, presupposti nella fattispecie sussistenti.
In ogni caso, anche laddove l’area oggetto d’intervento fosse stata gravata da vincolo di inedificabilità assoluta, il comune avrebbe dovuto adottare l’avversato diniego di condono previa adeguata istruttoria e acquisizione dei pareri degli enti preposti alla tutela dei vincoli.
Infatti tali pareri andrebbero richiesti anche nel caso in cui il vincolo, benché assoluto, sia sopravvenuto all’esecuzione dell’opera abusiva.
I motivi di gravame così sinteticamente riassunti, nessuno dei quali meritevole di accoglimento, si prestano a una trattazione congiunta.
Giova premettere che, per consolidato orientamento giurisprudenziale, la doglianza con cui si contesta il difetto di motivazione della sentenza è resa inammissibile dall’effetto devolutivo dell’appello.
Infatti, in secondo grado il giudice valuta tutte le domande proposte, integrando – ove necessario – le argomentazioni della sentenza appellata senza che, quindi, rilevino le accidentali carenze motivazionali di quest’ultima (cfr, fra le tante, Cons. Stato, Sez. VI, 18/4/2019, n. 2973; 6/2/2019, n. 897; 14/4/2015, n. 1915; Sez. V, 23/3/2018, n. 1853; 19/2/2018, n. 1032 e 13/2/2009, n. 824; Sez. IV, 5/2/2015, n. 562).
Venendo alla sostanza delle questioni poste occorre puntualizzare che l’impugnato provvedimento di diniego scaturisce, tra l’altro, dall’appartenenza (acclarata in sede di verificazione) dell’area interessata dall’intervento abusivo alla Zona Speciale Forestale a Tutela, di cui al P.R.G., vigente all’epoca di adozione del provvedimento sanzionatorio impugnato, approvato con decreto del Ministro dei Lavori Pubblici 30/3/1972, n. 1636.
La normativa del detto strumento urbanistico prescrive, per tale zona, il divieto di alterazione dello stato di fatto, senza prevedere alcun indice di sfruttamento volumetrico (è consentita unicamente la localizzazione di impianti sportivi non permanenti).
Correttamente, pertanto, l’amministrazione prima e il Tribunale poi, hanno rilevato che, in base all’art. 33, comma 1, della legge n. 47/1985, l’opera degli appellanti, realizzata successivamente alla imposizione del suddetto vincolo, non poteva ottenere il condono edilizio.
Obiettano gli appellanti che il vincolo di inedificabilità imposto dallo strumento urbanistico avrebbe perso efficacia, ma l’obiezione è inammissibile, sia perché prospettata per la prima volta in secondo grado, sia perché dedotta con memoria non notificata alle controparti.
Posto che come sopra rilevato il vincolo di piano gravante sull’area degli appellanti comporta l’inedificabilità assoluta, non occorreva, ai fini dell’adozione dell’avversato provvedimento di diniego, richiedere alcun parere all’ente preposto alla sua tutela, ente peraltro coincidente con la medesima amministrazione comunale.
Né, una volta constatato che la costruzione abusiva sorgeva su area soggetta a vincolo di inedificabilità assoluta, occorreva, ai fini della legittimità dell’impugnato diniego di condono, porre in essere ulteriori attività istruttorie.
Inammissibile è il dedotto vizio di disparità di trattamento, sia perché non dedotto in primo grado, sia perché concernente un profilo dell’atto privo di discrezionalità .
Il motivo sarebbe, comunque, infondato atteso che il vizio di disparità di trattamento non può essere utilmente invocato rivendicando l’applicazione in proprio favore di posizioni giuridiche riconosciute ad altri soggetti in modo illegittimo (Consiglio di Stato, Sez. VI, 30/12/2019, n. 8893; Sez. IV, 27/3/2018, n. 1906; 11/7/2016, n. 3079).
Va, infine, respinta la doglianza con cui gli appellanti rivendicano che sull’istanza di condono avanzata dal loro dante causa si sarebbe formato il silenzio assenso.
Infatti, come correttamente rilevato dal Tribunale la deduzione si scontra con il chiaro disposto dell’art. 35, comma 17, della legge n. 47/1085, che esclude espressamente “i casi di cui all’articolo 33” dall’ambito operativo del meccanismo del c.d. silenzio assenso.
In ogni caso il silenzio assenso su una domanda di sanatoria edilizia può prodursi solo in presenza di tutti i requisiti, formali e sostanziali, per il suo accoglimento (Cons. Stato, Sez. VI, 8/6/2020, n. 3636).
Ne consegue che il provvedimento tacito non può formarsi se, sorgendo l’opera abusiva su area soggetta a vincolo di inedificabilità assoluta, la stessa non può essere condonata.
Col quarto motivo si denuncia l’errore commesso dal giudice di prime cure nel ritenere che, il carattere vincolato del provvedimento impugnato lo renderebbe immune, ex art. 21-octies della legge n. 7/8/1990, n. 241, dagli effetti invalidanti dei dedotti vizi procedimentali.
E invero una volta ricevuta l’istanza di condono il comune avrebbe dovuto, previa adeguata istruttoria, acquisire i pareri degli enti preposti alla tutela dei vincoli e motivare congruamente il proprio operato.
La doglianza è infondata.
Come più sopra rilevato, nel descritto contesto fattuale, il diniego di condono si poneva come conseguenza doverosa e vincolata, per cui esattamente il Tribunale ha escluso, in applicazione della norma di cui all’art. 21-octies della citata legge n. 241 del 1990, la rilevanza dei dedotti vizi procedimentali.
Col quinto motivo si deduce l’errore commesso dal giudice di prime cure nel non dare rilievo all’affidamento riposto dalla parte appellante sulla possibilità di ottenere il titolo abilitativo.
La doglianza è priva di pregio.
Al riguardo è sufficiente rilevare che non può sussistere affidamento tutelabile a fronte di una situazione connotata da palese illiceità, quale quella di specie laddove l’edificazione abusiva ha riguardato un’area soggetta a vincolo di inedificabilità assoluta.
L’appello va, in definitiva, respinto.
Le spese di verificazione, da liquidarsi con separato provvedimento, vanno poste a carico della parte appellante.
Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi od eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Spese e onorari di giudizio, liquidati come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Pone a carico degli appellanti le spese di verificazione, da liquidarsi con separato provvedimento.
Condanna la parte appellante al pagamento delle spese processuali in favore del Comune di (omissis) e della Fa. Am. Me. – Mo. Ec. Eu., liquidandole forfettariamente in complessivi Euro 2.000/00 (duemila) pro parte, oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 luglio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere, Estensore
Giovanni Orsini – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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