In ambito sanitario l’articolo 8 ter Dlgs n. 502/1992

Consiglio di Stato, Sentenza|3 marzo 2021| n. 1802.

In ambito sanitario l’articolo 8 ter Dlgs n. 502/1992 stabilisce che la realizzazione di strutture e l’esercizio di attività sanitarie e socio – sanitarie è subordinata ad autorizzazione, per la verifica sia dei requisiti minimi strutturali, tecnologici ed organizzativi, che di compatibilità del progetto, da parte della Regione, effettuata in rapporto al fabbisogno complessivo e alla localizzazione territoriale delle strutture presenti in ambito regionale, anche al fine di meglio garantire l’accessibilità ai servizi e valorizzare le aree di insediamento di nuove strutture.

Sentenza|3 marzo 2021| n. 1802

Data udienza 18 febbraio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Attività sanitaria – Accreditamento – Ampliamento – Autorizzazione sanitaria – Processo amministrativo – Mancata proposizione di domanda risarcitoria – Interesse a fini risarcitori – Valutazione – Esclusione – Art. 34 cpa – Applicazione

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2219 del 2020, proposto dalla società Ar. s.r.l. di Ma. An. Ma. & C., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pa. Ki. Ma., Ma. Ro. Am., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Regione Campania, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Ro. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l’Ufficio di rappresentanza della Regione Campania in Roma, via (…);
Comune di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. An., Br. Cr., An. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Lu. Le. in Roma, via (…);
Commissario ad Acta per l’Attuazione del Piano di Rientro Sanitario della Regione Campania, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
A.S.L. Napoli 1 Centro non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Prima n. 05819/2019.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Campania, del Comune di Napoli e del Commissario ad Acta per l’Attuazione del Piano di Rientro Sanitario della Regione Campania;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 febbraio 2021, svolta in modalità da remoto, il Cons. Umberto Maiello e dato atto della presenza, ai sensi di legge, degli avvocati delle parti come da verbale dell’udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. La società Ar. s.n. c. di Ma. An. Ma. & C., già autorizzata ed accreditata all’erogazione di prestazioni di laboratorio generale di base con settori specializzati A1 (chimica clinica) e A2 (microbiologia e sieroimmunologia), con il mezzo qui in rilievo chiede la riforma della sentenza n. 5819 del 10/12/2019 con la quale il TAR per la Campania, sede di Napoli, Sez. I, previa riunione dei relativi giudizi, ha, in parte, dichiarato improcedibili e, in parte, respinto i ricorsi n. 1699/2015 e rg. 1615/2019 proposti avverso gli atti di diniego dell’istanza di autorizzazione ex art. 8 ter del D.Lgs. n. 502/1992 per l’erogazione di prestazioni di genetica medica – settore specializzato di laboratoristica A6.
2. L’originaria istanza, acquisita dal Comune di Napoli in data 30.12.2014 con prot.llo 1026390, veniva dichiarata non procedibile (prot. n. 027/Comm. del 21 gennaio 2015) in ragione del c.d. “blocco delle autorizzazioni regionali” di cui ai decreti del Commissario ad acta n. 21/2009 e n. 5/2010. Tale statuizione veniva impugnata con un primo ricorso iscritto al numero di R.G. 1699/2015, integrato con plurimi motivi aggiunti mediante i quali la contestazione attorea veniva estesa, oltre che alle note confermative della suddetta statuizione, anche ad atti di governo generale della rete laboratoristica e implementata con una richiesta di risarcimento danni.
Nel corso del suddetto giudizio la società Ar. presentava, ai sensi dell’art. 116, comma 2, del c.p.a., un’istanza diretta ad ottenere l’accesso agli atti di programmazione regionale e dell’A.S.L. Napoli 1 Centro e di determinazione e individuazione dell’offerta esistente e del fabbisogno sanitario nel settore laboratoristico della genetica medica, che il TAR accoglieva, nominando nello sviluppo di tale contenzioso un commissario ad acta avverso la cui relazione conclusiva la parte ricorrente proponeva reclamo ai sensi dell’art. 114, comma 6, del c.p.a., ritenendo non compiutamente adempiuto l’incarico.
3. Il secondo segmento del giudizio di prime cure attivato con il distinto ricorso R.G. n. 1615/2019 è, invece, direzionato avverso il provvedimento prot. n. 258027 del 19/3/2019 con cui il Comune di Napoli ha respinto la domanda di autorizzazione all’implementazione del laboratorio con attivazione del settore A6 (genetica), nel frattempo riproposta e sulla quale il TAR aveva pronunciato la sentenza n. 3202/2018 di accertamento dell’illegittimità del silenzio dell’Amministrazione. L’opposto diniego riposa sul parere contrario reso dalla commissione regionale ex D.G.C.R. n. 7301/2001 che ha rilevato la definizione del fabbisogno regionale di prestazioni laboratoristiche di genetica con decreto n. 58/2018 del Commissario ad Acta per la prosecuzione del piano di rientro e la saturazione dei relativi volumi.
4. Il TAR, con la decisione qui appellata, ha così provveduto:
A) ha riunito i ricorsi in ragione della rilevata connessione soggettiva ed oggettiva;
B) quanto al ricorso n. 1699/2015 per come integrato dai motivi aggiunti:
– ha disatteso una richiesta di rinvio motivata dalla necessità di acquisire gli esiti degli accertamenti emergenti nel giudizio R.G. n. 1615/2019 da far valere con azione risarcitoria mediante proposizione di motivi aggiunti, opponendo la prospettazione meramente ipotetica di tale aggiuntiva azione e la necessità di una sollecita definizione del giudizio oramai maturo per la decisione;
– ha poi dichiarato l’improcedibilità del ricorso introduttivo per sopravvenuta carenza di interesse. Tanto in ragione della riattivazione del procedimento volto al conseguimento dell’autorizzazione e definito con l’atto di diniego prot. n. 258027 del 19/3/2019 impugnato con il separato giudizio r.g. 1615/2019. Il TAR ha sul punto soggiunto che nemmeno può ritenersi permanga l’interesse all’accertamento della illegittimità della condotta ex articolo 34 c.p.a. perché, per i profili qui in rilievo, non risulta azionata una pretesa risarcitoria, riferita, invece, alla illegittimità del gravato decreto commissariale n. 59/2015 e alle presunte inadempienze dell’amministrazione sanitaria in merito ai tempi e alle modalità del processo di aggregazione laboratoristica;
– ha respinto il reclamo ex art. 114, comma 6, del c.p.a. opponendo che, essendo stata azionata la pretesa ostensiva endoprocessuale ex articolo 116 comma 2 c.p.a., in via strumentale rispetto agli altri interessi azionati in giudizio, la declaratoria di improcedibilità del ricorso principale comporta anche il venir meno dell’interesse alla coltivazione di tale rimedio accessorio. Peraltro, nel merito, il contenuto dell’ordinanza collegiale n. 2071/2017 sarebbe stato esplicitato e chiarito mediante la successiva ordinanza n. 1643/2019 resa in sede di incidente di esecuzione attivato su iniziativa di parte ricorrente ai sensi dell’art. 114 c.p.a. in ossequio al principio del c.d. giudicato a formazione progressiva. Rispetto a tale ultimo arresto decisorio il TAR ha evidenziato che, pur essendo rimasta ineseguita quella parte dell’ordinanza che richiedeva di specificare anche quali fossero le strutture private meramente autorizzate per la genetica nel territorio dell’A.S.L. Napoli 1 Nord, non vi è necessità di completare l’acquisizione sia per la rilevata improcedibilità del ricorso originario sia perché in data 5/6/2017 l’A.S.L. Napoli 1 Centro ha depositato documentazione concernente i procedimenti di autorizzazione ai sensi della D.G.R.C. n. 7301/2001 che, seppur manchevole di alcuni atti evidenziati dalla ricorrente (cfr. memoria depositata il 26/10/2017), reca comunque indicazione dei centri che hanno inoltrato richieste di autorizzazioni per la genetica, non avendo la parte presentato una richiesta mirata per colmare eventuali e rilevanti lacune;
– ha dichiarato i motivi aggiunti in parte improcedibili ed in parte infondati. Segnatamente, l’improcedibilità avverso le note recanti le ragioni ostative all’accoglimento della richiesta di autorizzazione impinge nella già evidenziata sovrapposizione del nuovo provvedimento di diniego prot. n. 258027 del 19/3/2019. Ha, invece, respinto nel merito la richiesta di invalidazione del DCA n. 59/2015 (“Piano di Riassetto della Rete Laboratoristica privata ai sensi del Decreto Commissariale n. 109 del 19.11.2013. Ulteriori disposizioni ed adempimenti successivi”) con cui, in sede di interpretazione autentica, veniva ridimensionata e circoscritta la portata innovativa del primo decreto 109/2013, vanificando così gli investimenti medio tempore realizzati e che riposavano sulla originaria previsione che consentiva l’estensione automatica dell’autorizzazione a tutti settori specializzati della laboratoristica (quindi anche alla genetica), a prescindere dal contenuto delle precedenti autorizzazioni già rilasciate agli operatori aggregati. Analoga richiesta involgeva anche i successivi decreti commissariali n. 17/2016 e n. 28/2016 con valenza confermativa del DCA n. 59/2015. A tale pretesa si collegava, come già sopra anticipato, anche la domanda risarcitoria estesa anche alle inadempienze dell’amministrazione sanitaria in merito ai tempi e alle modalità del processo di aggregazione laboratoristica. Il TAR ha, invece, opposto la legittimità degli atti impugnati e, dunque, per converso, l’infondatezza della domanda, inclusa quella risarcitoria, ribadendo il principio secondo cui l’eventuale aggiunta di nuove prestazioni laboratoristiche specializzate ad altre generali di base con settori specializzati, come tali qualitativamente distinte, integra, in sostanza, una estensione delle attività che richiede il rilascio di uno specifico provvedimento di autorizzazione ex art. 8 ter del D.Lgs. n. 502/1992;
C) quanto al ricorso 1615/2019, il TAR:
– ha disatteso l’eccezione di inammissibilità sollevata dal Comune resistente;
-ha ritenuto infondati, anzitutto, i rilievi attorei sulla pretesa incompetenza dell’organo che ha rassegnato il parere sulla istanza di autorizzazione, essendo stato questo rilasciato dalla commissione regionale ex D.G.R.C. n. 7301/2001, quindi dall’organo collegiale competente;
– ha opposto che, contrariamente a quanto dedotto, il DCA n. 58/2018 nell’allegato “B” reca l’espressa indicazione del fabbisogno prestazionale di test genetici in ambito regionale elaborato dal Gruppo Tecnico – Scientifico istituito con decreto commissariale n. 147 del 17/12/2012 pubblicato sul B.U.R.C. n. 33 del 17/6/2013 per il riordino della rete assistenziale della Genetica Medica, stima ottenuta “dalla valutazione dei dati epidemiologici regionali, dalla analisi dei costi pregressi sostenuti dalla Regione e dalla previsione, derivata dai nuovi LEA, delle nuove esigenze dovute all’innovazione tecnologica e ai progressi scientifici soprattutto nel campo della genomica medica (cfr. Allegato “B” del DCA). Il TAR ha, dunque, concluso nel senso che il diniego opposto dall’amministrazione è legittimo in quanto la fattispecie rientra nelle ipotesi in cui opera il blocco delle autorizzazioni in quanto, pur essendo stato determinato il fabbisogno delle prestazioni sanitarie di genetica medica, le strutture pubbliche e private già autorizzate ed accreditate sono in grado di coprirlo interamente.
4. Avverso il suindicato, articolato decisum la società appellante deduce:
a) che sarebbe, anzitutto, illegittimo il capo della decisione appellata che ha respinto la richiesta di rinvio della trattazione del ricorso rg. n. 1699/2015, compromettendo tale statuizione il pieno svolgimento delle facoltà difensive;
b) che, del pari, andrebbe riformata la decisione appellata nella parte in cui ha ritenuto improcedibile la domanda di accertamento dell’illegittimità del blocco all’esame delle domande di rilascio di autorizzazione di cui alla nota prot. n. 027/Com del 21/1/2015 ed alle successive note regionali impugnate con motivi aggiunti al ricorso rg. 1699/2015.
Di contro, l’interesse processuale all’accertamento dell’illegittimità del denunciato blocco procedimentale – proprio in considerazione del fatto che la domanda di autorizzazione è stata successivamente negata per un fatto sopravvenuto (adozione del decreto commissariale n. 58 nel luglio 2018) – permarrebbe in capo al ricorrente al fine di temporalizzare la procedibilità della domanda ovvero individuare, in riferimento ai fatti di causa, con esattezza da quando le domande di rilascio delle autorizzazione fossero divenute procedibili.
Oltretutto, nel costrutto giuridico dell’appellante, la statuizione del TAR trascurerebbe la circostanza che i ricorsi per motivi aggiunti sono stati proposti tra l’altro avverso i decreti commissariali n. 59/2015 e 17/2016 nella parte in cui – riformando in peius il decreto commissariale n. 109/2013 – hanno eliminato la possibilità per i soggetti facenti parte delle aggregazioni costituite ai sensi dello stesso DCA n. 109/2013 di potere erogare tutte le prestazioni sanitarie afferenti il laboratorio generale di base con annessi settori specializzati;
c) la statuizione di rigetto del reclamo sull’accesso comporterebbe, poi, un chiaro vulnus alla pienezza ed effettività della tutela sulla richiesta – accolta con ordinanza ex art. 116 cp.a. n. 2071/2017 passata in giudicato – di accesso agli atti inoltrata dal ricorrente. Contrariamente a quanto ritenuto, l’improcedibilità del ricorso non comporterebbe anche, con la pretesa automaticità, la sopravvenuta carenza di interesse anche in ordine alla decisione sul reclamo ex art. 114, comma 6, del c.p.a., anche in considerazione della disposta riunione con il distinto giudizio 1615/2019, in cui peraltro lo stesso giudice avrebbe valutato la documentazione (solo parzialmente) acquisita proprio in virtù dell’accesso. L’accesso ad eventuali autorizzazioni rilasciate illegittimamente medio tempore non solo avrebbe consentito a parte ricorrente di argomentare ulteriormente nei giudizi pendenti ma avrebbe altresì consentito di argomentare e difendere i propri interessi in merito alla motivazione resa sul diniego ovvero alla saturazione del fabbisogno, qualora si fosse appreso che l’Amministrazione regionale avesse considerato – nell’offerta esistente di cui al fabbisogno riferito – anche le autorizzazioni rilasciate in dispregio delle presunto blocco opposto a parte ricorrente.
Né sarebbe condivisibile la statuizione di rigetto del suddetto reclamo sulla premessa che il Commissario si sarebbe attenuto alla successiva ordinanza di chiarimenti (ordinanza n. 1643/2019), avendo il principio del giudicato a formazione progressiva una portata tendenzialmente espansiva e non restrittiva. Né potrebbe condividersi la decisione di restringere l’accesso alle autorizzazioni (comunque non rese accessibili) ed agli accreditamenti della sola Asl Na 1 Centro in considerazione del fatto che la stessa Regione motiva il diniego in ragione di una presunta saturazione del fabbisogno regionale, come peraltro previsto dall’art. 8ter del d.lgs. n. 502/92;
d) l’appellante ripropone poi le contestazioni avverso la statuizione di improcedibilità riferita alle note n. 386036 del 4.6.2015 e n. 306068 del 4/6/2015, replicando i motivi già sopra esposti;
e) la società Ar. reputa erroneo anche il capo della decisione appellata che ha respinto le censure sollevate avverso il DCA n. 59/2015, nonché avverso i successivi decreti commissariali n. 17/2016 e n. 28/2016 che hanno confermato la medesima previsione limitativa contenuta nel DCA n. 59/2015;
f) non sarebbe corretto il capo della sentenza appellata nella parte in cui ritiene infondato il primo motivo di ricorso sull’incompetenza in quanto il verbale della commissione ex DGRC n. 7301/2001 e s.m.i. è stato prodotto in giudizio solo ed esclusivamente in seguito alla notifica del ricorso. A cagione di ciò, secondo l’appellante, il TAR avrebbe dovuto semmai prospettare una sopravvenuta carenza di interesse;
g) meriterebbe di essere riformato anche il capo della decisione appellata nella parte in cui ha ritenuto illegittimo il diniego opposto all’ampliamento della struttura in ragione della intervenuta saturazione del fabbisogno rilevato con DCA n. 58/2018.
Tanto in ragione del fatto che:
– non potrebbe opporsi un blocco delle autorizzazioni che delineerebbe un sistema chiuso;
– contrariamente a quanto ritenuto, il decreto commissariale n. 58/2018 non avrebbe determinato il fabbisogno di prestazioni sanitarie di genetica medica né la relativa saturazione, limitandosi il DCA in argomento – sulla scorta di studi fermi al 2012 – ad indicare la quantità di prestazioni complessive (non il numero di erogatori dislocati sul territorio) da acquistare e/o comunque da garantire alla popolazione campana in forma di assistenza sanitaria pubblica e/o convenzionata (quindi a spese dell’erario pubblico) nonché l’insufficienza delle sole strutture pubbliche a coprire tutto il fabbisogno prestazionale nell’ambito della genetica medica. Tanto prescindendo dai piani aziendali territoriali, dal fabbisogno di cui alla DGRC n. 7301/2001, dalla localizzazione territoriale della domanda e dell’offerta del servizio;
– il TAR non avrebbe considerato il parere positivo di cui alla nota prot.n. 358/Comm del 24/9/2018 né avrebbe rilevato la contraddittorietà tra il suddetto parere e quello regionale;
– il giudice di primo grado non avrebbe adeguatamente tenuto conto del fatto che, con sentenza n. 5293/2019 resa in giudizio in cui la stessa Regione era stata parte, (peraltro confermata anche dalla successiva ordinanza n. 805/2020), si era già rilevata la mancata adozione della programmazione dei bisogni territoriali anche in considerazione dei PAT aziendali da parte della stessa Regione, come peraltro confermato dalla stessa nota prot. 76655 del 5/2/2020 a firma della Direzione Generale della Tutela della Salute;
– il giudice di prime cure non avrebbe considerato che la centralità nella definizione dei bisogni territoriali nelle procedure autorizzatorie disciplinate dalla DGRC n. 7301/2001 è proprio il Distretto, il quale non è semplicemente una porzione più piccola del territorio dell’Asl, come si riferisce in sentenza, bensì è l’articolazione amministrativa più rappresentativa nei processi di pianificazione della domanda e dell’offerta sanitaria;
– la mancanza di un’effettiva stima del fabbisogno conclamerebbe anche la dedotta violazione degli effetti conformati rinvenienti dalla sentenza n. 3202/2018.
5. Resistono in giudizio il Commissario ad acta, la Regione Campania, il Comune di Napoli.
5.1. All’udienza del 18.2.2021 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
6. L’appello è parzialmente fondato e, pertanto, va accolto nei limiti di seguito evidenziati.
6.1. In via preliminare, rispetto alla delibazione delle plurime ed articolate questioni veicolate nel mezzo in epigrafe s’impone la ricognizione della cornice giuridica di riferimento alla stregua delle cui coordinate andrà condotto lo scrutinio dei singoli motivi di gravame. Tanto anche a cagione della sovrapposizione, rispetto al modello legale di riferimento, di disposizioni normative a valenza temporale circoscritta dettate da contingenti esigenze.
6.2. Ed, invero, vanno, anzitutto, richiamate le prescrizioni predicabili, in via ordinaria, in subiecta materia e segnatamente, anzitutto, l’art. 8-bis del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), a mente del quale l’esercizio di attività sanitarie per conto ed a carico del Servizio sanitario nazionale è subordinato all’autorizzazione, all’accreditamento ed alla stipulazione degli accordi contrattuali, secondo le modalità prescritte dalle norme contenute nel medesimo atto legislativo.
Per quanto qui di più diretto interesse, il successivo art. 8 ter del D.Lgs. n. 502/1992 stabilisce che la realizzazione di strutture e l’esercizio di attività sanitarie e socio – sanitarie è subordinata ad autorizzazione, per la verifica sia dei requisiti minimi strutturali, tecnologici ed organizzativi (quarto comma) che di compatibilità del progetto da parte della Regione, effettuata in rapporto al fabbisogno complessivo e alla localizzazione territoriale delle strutture presenti in ambito regionale, anche al fine di meglio garantire l’accessibilità ai servizi e valorizzare le aree di insediamento di nuove strutture (terzo comma).
Nella Regione Campania, la disciplina del procedimento di autorizzazione è poi completata dalle delibere di Giunta Regionale n. 3958/2001 e n. 7301/2001 ed in virtù di tale ultima delibera “nel regime autorizzativo per la realizzazione di nuove strutture rientrano anche le seguenti fattispecie: a) gli ampliamenti di strutture già esistenti ed autorizzate, in essi compresi:…2) l’attivazione di funzioni sanitarie e/o socio-sanitarie aggiuntive rispetto a quelle già autorizzate”, con l’effetto di rendere predicabile l’autorizzazione comunale anche nei casi in cui si intendano attivare funzioni sanitarie ulteriori ed integrative rispetto a quelle già originariamente assentite.
6.3. Alla detta disciplina ordinaria si è, poi, sovrapposta, in via transitoria, una disciplina speciale, così sintetizzabile:
– il legislatore statale, con l’art. 1, comma 796, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2007), ha adottato misure per far cessare gli accreditamenti “provvisori” e “transitori”, che non fossero confermati da accreditamenti definitivi, e nello stesso tempo ha posto un limite al rilascio di nuovi accreditamenti da parte delle Regioni, in assenza di un provvedimento di ricognizione e determinazione del fabbisogno di prestazioni sanitarie, allo scopo di evitare un ulteriore aggravio della spesa in tale settore;
– il Commissario ad acta per il Piano di Rientro dal disavanzo, con decreti n. 21/ 2009, n. 5/2010 e n. 31/2011, ha vietato alle AA.SS.LL. competenti di procedere sia all’autorizzazione alla realizzazione/ampliamento sia all’accreditamento istituzionale di nuove strutture sanitarie private, fino alle determinazioni che saranno assunte in conseguenza dell’adozione del piano di riassetto della rete ospedaliera, della rete laboratoristica e della rete di assistenza specialistica ambulatoriale;
– la Regione Campania ha recepito le prescrizioni statali statuendo con legge regionale n. 23/2011, modificativa dell’art. 1, comma 237 quater, introdotto dalla L.R n. 4/2011, che “Ferma restando la sussistenza del fabbisogno e delle condizioni di cui agli articoli 8 ter e 8 quater, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della L. 23 ottobre 1992, n. 421), in conformità ai principi generali del sistema, ai sensi dell’articolo 1, comma 796, lettere s) e t), della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), il fabbisogno va soddisfatto, prioritariamente, attraverso l’accreditamento delle strutture private transitoriamente accreditate, da intendersi provvisoriamente accreditate alla data del 1 luglio 2007, successivamente delle strutture private già in esercizio e solo successivamente mediante l’accreditamento delle strutture o attività di nuova realizzazione. Il rilascio di nuove autorizzazioni per la realizzazione, nonché l’accreditamento di nuove strutture è subordinato al completamento delle procedure di cui ai commi da 237 quinquies a 237 unvicies”.
7. Così ricostruita la cornice normativa di riferimento, è possibile passare ora in rassegna le doglianze affidate al mezzo qui in rilievo. Con il primo motivo di gravame l’appellante contesta la decisione del TAR di non concedere il rinvio del giudizio rg. n. 1699/2015.
7.1. Il TAR ha, invero, opposto nelle preliminari statuizioni processuali compendiate nel decisum appellato che la prospettazione meramente ipotetica di un’aggiuntiva azione risarcitoria, da attivare a seguito degli accertamenti emergenti nel connesso giudizio R.G. n. 1615/2019, non giustificasse il rinvio a fronte della prospettata necessità di una sollecita definizione del giudizio oramai pronto per la decisione.
7.2. Segnatamente, la società Ar. così motivava l’istanza di rinvio “in considerazione della pluralità delle domande azionate nell’odierno giudizio, ivi compresa la domanda risarcitoria su una fattispecie a formazione progressiva dell’azione amministrativa, ancora in progress e sulla quale è necessario acquisire gli accertamenti emergenti nel giudizio rg. n. 1615/2019, si chiede il rinvio del presente giudizio alfine di consentire alla parte ricorrente la proposizione di motivi aggiunti sulla domanda risarcitoria, anche alla luce delle predette emergenze e della sentenza del Consiglio di Stato versata in atti”.
Nell’economia del costrutto giuridico attoreo, per come integrato nell’atto di appello, sarebbe stato necessario accertare quali (con data di rilascio) autorizzazioni ed accreditamenti fossero stati rilasciati nel settore della genetica medica nella Regione Campania, nel periodo intercorrente tra la domanda di autorizzazione del ricorrente (anno 2014) ad oggi.
I suddetti elementi avrebbero, infatti, potuto condurre alla necessità di proporre motivi aggiunti alla domanda risarcitoria alla luce di tali evenienze.
Di contro, la conclusione di non concedere il richiesto e motivato rinvio e/o la cancellazione della sola trattazione di merito del giudizio rg. n. 1699/2015 nelle more della corretta esecuzione dell’ordinanza di accesso, essendo fondata su una ricostruzione del fatto del tutto parziale ed omissiva, avrebbe pregiudicato in modo sostanziale la possibilità per la ricorrente di ottenere una tutela piena ed effettiva.
7.3. Ritiene il Collegio che la doglianza non abbia pregio avendo il giudice di prime cure fatto, invece, buon governo dei principi di gestione del processo mediante una statuizione che si dispiega in coerenza con le coordinate del giusto processo mutuabili dalla Costituzione riflettendo un coerente punto di equilibrio tra le esigenze in campo, quella di rapida definizione della lite già pendente e quella del pieno sviluppo delle facoltà difensive.
Nella suddetta prospettiva il TAR ha dato, infatti, il giusto rilievo alla risalente data di introduzione del giudizio ed alla sua immediata definibilità alla stregua proprio del contenuto specifico dell’intero ventaglio delle plurime domande formulate e del materiale processuale acquisito di guisa che, proprio in ossequio ai richiamati principi, s’imponeva la trattazione della controversia dovendo, viceversa, accordarsi rilievo recessivo alla prospettata necessità di differimento che, nel disegno di parte ricorrente, avrebbe dovuto poi condurre ad un possibile, eventuale ampliamento del thema decidendum mediante la solo ipotetica proposizione aggiuntiva di un ulteriore capo nella domanda risarcitoria già introdotta e fondata, però, su fatti diversi.
7.4. In altri termini, nello specifico caso qui in rilievo il differimento non era legato ad un’esigenze concreta ed attuale che, muovendo da dati già noti siccome parte del materiale processuale, richiedesse, nella valutazione soggettiva della parte, l’aggiornamento delle originarie pretese mediante allineamento alle nuove emergenze processuali.
Di contro, la richiesta di differimento, disattesa in prime cure, si agganciava ad una proiezione futura ed incerta di un possibile scenario che, ove riscontrato in concreto, avrebbe indotto la società ad estendere il ventaglio delle proprie contestazioni mediante una diversa azione risarcitoria agganciata ad ipotetiche nuove emergenze processuali.
7.5. La valutazione del TAR appare, dunque, corretta perché riferita alla puntuale perimetrazione della res iudicanda per come definita dalla stessa parte e calibrata, pertanto, sulle esigenze conoscitive ad essa funzionali.
7.6. Né è possibile giustificare l’istanza in argomento in relazione ai possibili sviluppi dell’accesso endoprocessuale – sui quali ci si soffermerà in prosieguo – dal momento che in tal modo, svincolandolo dalla funzione strumentale rispetto alla lite pendente, emergerebbe una vocazione del suddetto mezzo tendenzialmente autonoma che, per definizione, non potrebbe più condizionare, proprio perché da esso scissa, la definizione del giudizio pendente.
7.7 D’altro canto, è noto che non esiste norma giuridica o principio di diritto che attribuisca al ricorrente il diritto al rinvio della discussione del ricorso, ancorché motivato dall’esigenza di acquisire i mezzi istruttori necessari per la migliore difesa in giudizio, atteso che la parte interessata ha solo la facoltà di illustrare al giudice le ragioni che potrebbero giustificare il differimento dell’udienza o la cancellazione della causa dal ruolo, ma la decisione finale in ordine ai concreti tempi della discussione spetta comunque al giudice, il quale deve verificare l’effettiva opportunità di rinviare l’udienza, giacché solo in presenza di situazioni particolarissime, direttamente incidenti sul diritto di difesa delle parti, il rinvio dell’udienza è per lui doveroso, e in tale ambito si collocano, fra l’altro, i casi di impedimenti personali del difensore o della parte, nonché quelli in cui, per effetto delle produzioni documentali effettuate dall’Amministrazione, occorra riconoscere alla parte, che ne faccia richiesta, il termine di sessanta giorni per la proposizione dei motivi aggiunti (Consiglio di Stato sez. V, 22/02/2010, n. 1032; Cons. Stato, Sez. III, 30 novembre 2018, n. 6823; Consiglio di Stato sez. II, 27/11/2019, n. 8100).
8. Immune dai vizi prospettati si rivela, poi, il capo della decisione appellata recante la dichiarazione di parziale improcedibilità del ricorso del 1699/2015 che, nell’economia dictum del primo giudice, resta circoscritta al ricorso originario ovvero alle contestazioni veicolate con i primi motivi aggiunti avverso le note depositate dall’amministrazione regionale in adempimento delle ordinanze istruttorie del TAR n. 769/2015 e n. 1041/2015, note che avevano opposto il regime normativo di blocco al rilascio delle nuove autorizzazioni.
8.1. Segnatamente, con il ricorso originario veniva impugnata la nota dell’A.S.L. Napoli 1 Centro prot. n. 027/Comm. del 21 gennaio 2015, con cui era stata dichiarata non procedibile la richiesta di autorizzazione all’ampliamento del settore A6 (genetica) a cagione del c.d. “blocco delle autorizzazioni regionali” di cui ai DCA n. 21/2009 e n. 5/2010, blocco poi confermato con le note del 2015, gravate con i motivi aggiunti, che richiamano anche le preclusioni di cui all’articolo 1 comma 237 quater della legge regionale n. 4/2001.
8.2. Il TAR ha rilevato, in parte qua, l’improcedibilità dei suddetti mezzi, dal momento che la società Ar. ha riattivato il procedimento di autorizzazione ex art. 8 ter del D.Lgs. n. 502/1992 per l’ampliamento al settore specializzato di genetica A6 e tale procedimento – anche a seguito e per effetto della sentenza del TAR Campania, Napoli, n. 3202/2018 – è stato definito con il diniego (cfr. nota prot. n. 258027 del 19/3/2019) opposto dal Comune di Napoli, all’esito del rinnovato procedimento amministrativo, sulla scorta del parere negativo rassegnato dalla commissione regionale istituita presso l’organo giuntale ex D.G.R.C. n. 7301/2001, provvedimento impugnato nel giudizio connesso introdotto con il ricorso 1615/2019 sul quale ci si soffermerà in prosieguo.
8.3. Così perimetrato, infatti, il capo della decisione in argomento tale approdo non può che essere condiviso apparendo di tutta evidenza come l’interesse sotteso alla detta impugnativa giammai potrebbe trovare un utile sbocco essendo, anzitutto, sopravvenuto un provvedimento che vale ad oggi a regolare i rapporti tra le parti e su cui, dunque, inevitabilmente si sposta l’interesse attoreo.
8.4. D’altro canto, ciò che nell’economia dei primi provvisori arresti procedimentali veniva opposto come ragione di impedimento allo sviluppo del procedimento ed alla sua definizione risulta superato com’è fatto palese dalla riattivazione del procedimento e dalla sua definizione su nuove basi di guisa che l’ostacolo che, con i mezzi qui in rilievo, l’appellante intendeva rimuovere è definitivamente venuto meno.
8.5. Né a diverse conclusioni può condurre un astratto interesse risarcitorio eventualmente riferibile alla rilevata improcedibilità dell’istanza di autorizzazione.
Sul punto devono, invero, ritenersi corretti i rilievi svolti dal TAR nella parte in cui evidenzia che “il ricorso introduttivo non reca alcuna richiesta di risarcimento danni; infatti, l’unica domanda di ristoro è quella avanzata con i primi motivi aggiunti ma riguarda un profilo distinto attinente non all’illegittimo diniego di autorizzazione sanitaria ma, come si vedrà, alla illegittimità del gravato decreto commissariale n. 59/2015 e alle presunte inadempienze dell’amministrazione sanitaria in merito ai tempi e alle modalità del processo di aggregazione laboratoristica” soggiungendo che “non è stato allegato, nelle idonee forme processuali, un interesse risarcitorio concreto ed attuale che giustifichi una pronuncia nel merito sulla predetta impugnativa ai sensi dell’art. 34, terzo comma, c.p.a.” e tanto sulla premessa che “laddove tale interesse non sia stato concretizzato tramite la presentazione di una specifica domanda (proponibile entro il termine di cui all’art. 30 c.p.a.) non si può affermare che competa al giudice rilevare ex officio l’ipotetica presenza di un interesse, la cui azionabilità è ancora nel potere della parte interessata, diversamente argomentando verrebbe altresì disatteso il principio processuale di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., richiamato dall’art. 39 c.p.a. (T.A.R. Lombardia, Milano, n. 1516/2019; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, n. 1279/2015; T.A.R. Toscana, 731/2012; T.A.R. Lombardia, Milano, 2352/2011; T.A.R. Lombardia, Brescia, 373/2011)”.
Ed, invero, autorevole e recente giurisprudenza, anche di questa Sezione, ha evidenziato, nell’esegesi dell’articolo 34 del c.p.a., che tale disposizione normativa non può essere interpretata nel senso che, in seguito ad una semplice generica indicazione della parte e in mancanza di una specifica domanda in tal senso, il giudice debba verificare la sussistenza di un interesse a fini risarcitori, anche perché, sul piano sistematico, diversamente opinando, perderebbe di senso il principio dell’autonomia dell’azione risarcitoria enucleato dall’art. 30 dello stesso c.p.a. e verrebbe svalutato anche il principio dispositivo che informa il giudizio amministrativo e che preclude la mutabilità ex officio del giudizio di annullamento, una volta azionato (cfr. Cons. Stato, III, 29 gennaio 2020, n. 736; IV, 17 gennaio 2020, n. 418; III, 8 gennaio 2018, n. 5771; Cons. St., Ad. plen., 13 aprile 2015, n. 4; id., sez. III, 23 agosto 2018, n. 5034).
8.6. D’altro canto, ad avvalorare tale tesi, occorre, anzitutto, soggiungere che nella Regione Campania il principio del c.d. “blocco degli accreditamenti e delle autorizzazioni sanitarie” trovava diretto alimento nella disposizione di cui all’art. 1 comma 237-quater, della L. Reg. Campania 4/2011, a mente della quale “Ferma restando la sussistenza del fabbisogno e delle condizioni di cui agli articoli 8-ter e 8-quater, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502…il fabbisogno va soddisfatto, prioritariamente, attraverso l’accreditamento delle strutture private transitoriamente accreditate, da intendersi provvisoriamente accreditate alla data del 1° luglio 2007, tenendo conto dell’organizzazione dei servizi ospedalieri di diagnosi e cura rappresentata e offerta a tal data in regime di accreditamento provvisorio, con le correlate prestazioni ospedaliere erogate nell’ambito delle specialità così come espresse e conseguenzialmente riconosciute successivamente delle strutture private già in esercizio e solo successivamente mediante l’accreditamento delle strutture o attività di nuova realizzazione. Il rilascio di nuove autorizzazioni per la realizzazione, nonché l’accreditamento di nuove strutture è subordinato al completamento delle procedure di cui ai commi da 237-quinquies a 237-unvicies”). Da tale norma, nella declinazione operativa attuata dalla giurisprudenza, si ricavano le seguenti indicazioni: I) va data priorità, ai fini del soddisfacimento del fabbisogno, alle strutture provvisoriamente accreditate alla data del 1 luglio 2007 rispetto a quelle già in esercizio ma non accreditate e, inoltre, a queste ultime rispetto a quelle di nuova realizzazione; II) quindi, la priorità per le strutture accreditate e per quelle già operative, è testualmente riferita all’obiettivo dell’accreditamento definitivo ed è collegata all’esigenza di non saturare il fabbisogno prima di aver definito l’accreditamento delle strutture che godono della priorità . La giurisprudenza amministrativa ha poi risolto in senso affermativo anche la questione dell’applicabilità del regime di blocco ex art. 1, comma 237 quater, della citata legge regionale alle ipotesi di rilascio di autorizzazioni sanitarie svincolate dall’erogazione di prestazioni a carico del Servizio Sanitario Regionale. Al riguardo, si è ritenuto che, nel bilanciamento di diritti costituzionalmente protetti, ma contrapposti, appare, per un verso, ragionevole e, per l’altro, conforme ai parametri dalla normativa statale di principio la scelta del legislatore regionale di sospendere il rilascio della autorizzazioni per nuove attività fino alla adozione dei piani di riassetto delle reti sanitarie, che costituiscono il presupposto della valutazione del fabbisogno complessivo e della localizzazione territoriale, dando la priorità, comunque, al completamento della procedura di accreditamento definitivo delle strutture già provvisoriamente accreditate nel luglio 2007. Infatti, pur considerando l’ipotesi del rilascio delle autorizzazioni alla realizzazione non preordinato alla successiva richiesta di accreditamento, tuttavia è intuibile che il blocco delle autorizzazioni di nuove attività, comunque, mantiene una congrua ragionevolezza quando le misure di razionalizzazione dell’offerta sanitaria a carico del Servizio Sanitario Regionale non sono ancora giunte a compimento; potrebbe, invero, rilevarsi che già le strutture accreditate siano in grado di soddisfare i fabbisogni di prestazioni richieste a carico dell’erario in una certa area, garantendo una soddisfacente accessibilità al servizio sanitario pubblico, cosicché la eventuale sufficienza dell’offerta di prestazioni da parte delle strutture accreditate, nell’ambito della programmata razionalizzazione del Servizio Sanitario Regionale, non risulta una variabile irrilevante anche quando la valutazione di compatibilità riguarda una struttura sanitaria, che, erogando prestazioni non a carico delle finanze pubbliche, non comporta ulteriori oneri finanziari al bilancio regionale (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 3762/2014; n. 5908/2014).
Orbene, l’appellante insiste molto sulla necessità di una “temporizzazione” della improcedibilità dell’istanza che, però, in questa sede assume rilievo nei soli limiti in cui risulta formalmente devoluta per effetto di un’esplicita contestazione, evenienza qui circoscritta all’impugnazione delle note recanti l’allegazione del regime di blocco e riferita, pertanto, ad un definito torno di tempo.
A tal riguardo non va sottaciuto che, entro la detta soglia temporale, lo stadio di avanzamento del percorso di accreditamento definitivo, alla stregua di quanto evincibile dalla nota 0386063 del 4.6.2015, evidenziava un percorso di accreditamento in fase di completamento ma non ancora ultimato, risultando all’epoca ancora in fase di scrutinio 13 istanze di cui 2 con richieste riferite al settore A6.
In definitiva, rispetto alle note regionali recanti l’opposizione del blocco delle autorizzazioni – e che contestualizzano alla detta data l’improcedibilità dell’istanza – anche in una più ampia prospettiva di valutazione non residua, ad un esame obiettivo ed in assenza di ulteriori e più conferenti elementi, un interesse alla coltivazione del gravame e la decisione di prime cure va confermata.
8.7. Né ad una diversa conclusione può giungersi per il solo fatto che, nel procedimento di cui al ricorso iscritto al numero di R.G. 1699/2015, risultavano gravate anche le determinazioni commissariali compendiate nel DCA n. 59/2015 e che precisavano, in senso sfavorevole all’odierna appellante, il contenuto delle previsioni prescrittive contenute nel precedente decreto commissariale n. 109/2013. Nella prospettazione attorea si è sostenuto, con distinto capo di domanda, che il DCA n. 109/2013 avesse legittimamente introdotto la possibilità per tutti i laboratori, e quindi anche per la ricorrente, di erogare le prestazioni attinenti a tutti i settori, nell’ottica di un’ottimizzazione dell’offerta, e dunque anche del settore di genetica medica con il solo obbligo di aggiornare il titolo di autorizzazione ed accreditamento senza soggiacere ad alcun tipo di preclusione dal punto di vista programmatico.
Tali ulteriori rivendicazioni non erano, però, consustanziali alla prima pretesa (riferita al blocco delle autorizzazioni), in quanto di per se stesse, nel costrutto giuridico dell’odierna appellante, conducevano autonomamente, e dunque per via diversa, e cioè attraverso l’estensione automatica dell’autorizzazione a tutti settori specializzati della laboratoristica, al soddisfacimento dell’interesse attoreo all’ampliamento aziendale.
E d’altro canto, proprio in ragione di ciò, sul punto il TAR ha svolto una valutazione di merito qualificando, in parte qua, il ricorso come infondato e non come improcedibile.
La statuizione di improcedibilità contenuta nella sentenza appellata, e qui confermata, non può, dunque, dirsi condizionata dalla pendenza di tali ulteriori questioni sulle quali ci si soffermerà nei paragrafi seguenti.
9. Approfondendo nel merito le questioni da ultimo evocate mette conto evidenziare che l’appellante reputa erronea la statuizione che ha respinto le censure sollevate avverso il DCA n. 59/2015, nonché avverso i successivi decreti commissariali n. 17/2016 e n. 28/2016, avendo tali deliberati, a suo giudizio, illegittimamente compresso le prospettive di ampliamento previste dal DCA n. 109/2013, in tal modo sacrificando il ragionevole affidamento maturato in capo agli operatori, e vanificato l’investimento di mezzi e di risorse dagli stessi attuato per dar vita ad un nuovo centro aggregato (nella specie l’acquisto di un immobile e di macchinari da destinare all’erogazione delle prestazioni di genetica A6).
E, invero, secondo l’appellante, avendo recepito un nuovo modello organizzativo a rete, in via consequenziale e del tutto logica, il DCA n. 109/2013 aveva previsto che il “modello di rete…potrà erogare tutte le prestazioni relative alla branca di Medicina di Laboratorio, modulando così l’assetto assistenziale in ragione delle prestazioni che intende erogare. A tale riguardo dovrà aggiornare la propria autorizzazione all’esercizio…”. In virtù della suddetta previsione, nella ricostruzione dell’appellante, il laboratorio qui in rilievo, all’epoca già autorizzato ed accreditato per l’erogazione di prestazioni di laboratorio generale di base con settori specializzati A1 (chimica clinica) e A2 (microbiologia e sieroimmunologia), avendo manifestato l’intenzione di procedere all’aggregazione prevista dal DCA 109/2013, avrebbe potuto procedere, in via automatica, ad erogare anche tutte le prestazioni specialistiche di branca, ivi incluse quelle di genetica A6.
Tale facoltà sarebbe stata, invece, illegittimamente conculcata dal sopravvenuto DCA n. 59/2015 (e da quelli successivi, parimenti confluiti nel fuoco della contestazione attorea) che, peraltro a ridosso della programmata attuazione dell’aggregazione secondo la richiamata disciplina, precisava, invece, che “..con riferimento alle previsioni di cui al DCA n. 109/2013, laddove recita che il laboratorio centralizzato ‘potrà erogare tutte le prestazioni relative alla branca di Medicina di Laboratorio, modulando così l’assetto assistenziale in ragione delle prestazioni che intende erogarè, la formulazione ‘tutte le prestazioni relative alla brancà deve intendersi riferita a tutte quelle prestazioni rientranti nei settori specializzati per i quali i singoli laboratori facenti parte dell’aggregazione risultano già autorizzati e accreditati”. Da qui anche l’articolazione di una mirata domanda risarcitoria.
9.1. Ritiene, di contro, il Collegio che la decisione appellata rifletta una sufficiente capacità di resistenza alle dette censure.
Ed, infatti, come correttamente evidenziato dal TAR l’indirizzo interpretativo privilegiato nel DCA n. 59/2015 si muove nel solco di un consolidato principio a mente del quale l’eventuale aggiunta di nuove prestazioni laboratoristiche specializzate ad altre generali di base con settori specializzati, come tali qualitativamente distinte e disomogenee, implica un nuovo vaglio dell’Autorità procedente destinato a confluire in uno specifico provvedimento di autorizzazione ex art. 8 ter del D.Lgs. n. 502/1992, principio peraltro conforme, come già sopra anticipato, alle prescrizioni compendiate nella delibera di Giunta Regionale n. 7301/2001, in virtù della quale “nel regime autorizzativo per la realizzazione di nuove strutture rientrano anche le seguenti fattispecie: a) gli ampliamenti di strutture già esistenti ed autorizzate, in essi compresi:…2) l’attivazione di funzioni sanitarie e/o socio-sanitarie aggiuntive rispetto a quelle già autorizzate”, con l’effetto di rendere predicabile l’autorizzazione comunale anche nei casi in cui si intendano attivare funzioni sanitarie ulteriori ed integrative rispetto a quelle già originariamente assentite.
D’altro canto tale impostazione riflette vieppiù un’intrinseca ragionevolezza logica ove rapportata a livelli specialistici – quale indubbiamente è quello qui in rilievo – che implicano una valutazione calibrata sui profili specifici del singolo settore soggetto ad esigenze che rispondono a standard di efficienza con esso coerenti e che mal si prestano ad automatismi.
Né può essere sottaciuto – quanto ai dedotti rilievi in tema di affidamento – che le previsioni compendiate nel DCA n. 109/2013 nemmeno accreditavano in modo univoco l’opzione qui sostenuta dall’appellante non affermando il suddetto deliberato la sopravvenuta irrilevanza dell’autorizzazione e implicando, invece, l’aggiornamento del titolo autorizzatorio senza al contempo chiarire in cosa consistesse il relativo adempimento ed i corrispondenti poteri predicabili in capo alle Autorità competenti.
10. Rispetto al capo della decisione riferito all’ostensione della documentazione richiesta in corso di giudizio vanno, anzitutto, ricostruiti gli sviluppi successivi alla presentazione dell’istanza di accesso, partecipata via pec in data 28/06/2016 alla ASL Napoli 1 Centro, alla Regione Campania e al Commissario ad acta per la prosecuzione del piano di rientro del Settore Sanitario Regione Campania ed avente ad oggetto l’ostensione di documentazione utile ai fini della completa tutela degli interessi azionati in giudizio (atti di programmazione regionale e aslina e quindi di determinazione ed individuazione dell’offerta esistente e del fabbisogno, con indicazione delle strutture sanitarie private già autorizzate ed accreditate per la genetica medica; della data di rilascio delle autorizzazioni e degli accreditamenti rilasciati alle altre strutture sanitarie esistenti e relative al settore della genetica medica – A6, nell’ambito della branca di patologia clinica):
– con ordinanza n. 2071/2017, il T.A.R. per la Campania accoglieva l’istanza;
– in riscontro alla suddetta ordinanza l’A.S.L. Napoli 1 Centro depositava, in data 5.6.2017, la documentazione in suo possesso, mentre alcun riscontro veniva fornito dalla Regione Campania e dal Commissario ad acta. Segnatamente, la Regione si limitava a depositare, in data 13.11.2018, una nota della Direzione Generale per la Tutela della Salute ed il Coordinamento del Sistema Sanitario Regionale prot. n. 316732 del 17.5.2018 recante elenco delle strutture accreditate per il settore della genetica A6 nel territorio dell’A.S.L. Napoli 1 Centro ma privo di allegati;
– su sollecitazione della società Ar., in data 07/07/2017, il TAR procedeva alla nomina di un commissario ad acta;
– con successiva istanza del 10.4.2018 la medesima parte chiedeva, ai sensi dell’articolo 114 comma 6 del c.p.a., un intervento del TAR affinché sollecitasse ed impartisse mirate istruzioni all’organo commissariale ai fini della puntuale esecuzione dell’ordinanza di accesso concessa;
– il TAR, con ordinanza n. 1643/2019, nel confermare la nomina commissariale, specificava che “per la celere definizione del giudizio occorre fornire specifiche indicazioni in ordine all’oggetto dell’incarico commissariale di seguito riportate: accertare, acquisendo pertinente documentazione presso le amministrazioni interessate: a) se sia stato determinato o meno il fabbisogno di prestazioni laboratoristiche di genetica medica A6 in ambito regionale e, in particolare, nel territorio dell’A.S.L. Napoli 1 Centro in cui opera la ricorrente; b) in caso positivo, se tale fabbisogno sia stato o meno esaurito, indicando quante strutture sanitarie pubbliche e private operino nel predetto settore sul territorio dell’A.S.L. Napoli 1 Centro, distinguendo quelle pubbliche, private accreditate o meramente autorizzate”;
– in data 3/7/2019 il commissario ad acta depositava la relazione conclusiva e produceva, tra l’altro, l’atto di programmazione del fabbisogno di test genetici in Campania (DCA n. 58/2018 recante “Rete di genetica Medica Clinica e di Laboratorio della Regione Campania”), l’elenco delle strutture sanitarie accreditate per il settore della genetica medica laboratoristica – A6 nel territorio dell’A.S.L. Napoli 1 Centro con indicazione degli estremi dei relativi decreti (nota della Direzione Generale per la Tutela della Salute della Giunta Regionale della Campania del 17/5/2018) ed il parere negativo espresso dalla competente commissione regionale ex D.G.R.C. n. 7301/2001 in merito alla richiesta di autorizzazione avanzata dalla società Ar., in cui si dava atto della saturazione del fabbisogno regionale del settore della genetica;
– la società Ar., da parte sua, interponeva reclamo 114 c.p.a., comma 6, del c.p.a. avverso la relazione depositata dal commissario ad acta lamentando, da un lato, che sarebbe inconferente l’acquisizione del DCA n. 58/2018 siccome adottato solo in data successiva all’istanza di accesso ex art. 116 c.p.a. e, dall’altro, la mancanza di documentazione relativa alle autorizzazioni e agli accreditamenti riferiti a tutto il territorio regionale (e non solo all’A.S.L. Napoli 1 Centro) con indicazione delle date di rilascio dei titoli, così come disposto con ordinanza del T.A.R. per la Campania n. 2071/2017;
-il TAR, con la sentenza qui appellata, respingeva il reclamo opponendo che:
a) l’istanza di accesso del 30/9/2016 è stata proposta non via autonoma bensì in corso di causa ex art. 116, comma 2, del c.p.a. di guisa che risulterebbe processualmente condizionata al ricorso (numero di R.G. 1699/2015) al quale accede, nella specie dichiarato improcedibile;
b) il contenuto dell’ordinanza collegiale n. 2071/2017 era stato chiarito dalla successiva ordinanza n. 1643/2019, che integrava l’originario disposto del provvedimento con statuizioni che ne costituiscono non mera esecuzione ma attuazione in senso stretto, dando luogo al c.d. giudicato a formazione progressiva. In tal senso il Commissario ad acta avrebbe correttamente espletato il relativo incombente avendo riferito, oltre che sulla individuazione del fabbisogno di prestazioni di genetica medica A6 e sulle strutture pubbliche operanti nel predetto settore (cfr. DCA n. 58/2018), anche sui centri privati accreditati nel territorio dell’A.S.L. Napoli 1 Centro, di cui sono stati riportati gli estremi dei titoli (nota della Direzione Generale per la Tutela della Salute della Giunta Regionale della Campania del 17/5/2018).
Soggiunge, inoltre, il TAR che, pur non risultando adempiuta quella parte dell’ordinanza che richiedeva di specificare anche quali fossero le strutture private meramente autorizzate (e non accreditate) per la genetica nel territorio dell’A.S.L. Napoli 1 Nord (cfr. lett. ‘b’ dell’ordinanza n. 1643/2019), in data in data 5/6/2017 l’A.S.L. Napoli 1 Centro ha depositato documentazione concernente i procedimenti di autorizzazione ai sensi della D.G.R.C. n. 7301/2001 che, seppur manchevole di alcuni atti evidenziati dalla ricorrente (cfr. memoria depositata il 26/10/2017), reca comunque indicazione dei centri che hanno inoltrato richieste di autorizzazioni per la genetica; ebbene, rispetto a tale elenco puntuale non vi sarebbe stata alcuna specifica richiesta da parte della società istante che si sarebbe piuttosto doluta della mera incompletezza formale del contestato adempimento.
10.1. L’appellante oppone, con il mezzo in epigrafe, che la statuizione di rigetto del reclamo sull’accesso comporterebbe un chiaro vulnus alla pienezza ed effettività della tutela concessa – con ordinanza ex art. 116 cp.a. n. 2071/2017 passata in giudicato – in relazione alla istanza di accesso agli atti inoltrata in corso di causa. Contrariamente a quanto ritenuto, l’improcedibilità del ricorso in cui si innestava l’istanza di accesso non comporterebbe anche, con la pretesa automaticità, la sopravvenuta carenza di interesse in ordine alla decisione sul reclamo ex art. 114, comma 6, del c.p.a., anche in considerazione della disposta riunione con il distinto giudizio 1615/2019, in cui peraltro lo stesso giudice avrebbe valutato la documentazione (solo parzialmente) acquisita. L’accesso ad eventuali autorizzazioni rilasciate illegittimamente medio tempore non solo avrebbe consentito a parte ricorrente di argomentare ulteriormente nei giudizi pendenti ma avrebbe altresì consentito di argomentare e difendere i propri interessi in merito alla motivazione resa sul definitivo diniego all’autorizzazione ovvero rispetto alla pretesa saturazione del fabbisogno qualora si fosse appreso che l’Amministrazione regionale avesse considerato – nell’offerta esistente di cui al fabbisogno riferito – anche le autorizzazioni rilasciate in dispregio del blocco normativo opposto a parte ricorrente.
Né sarebbe condivisibile la statuizione di rigetto del suddetto reclamo sulla premessa che il Commissario si sarebbe attenuto alla successiva ordinanza di chiarimenti (ordinanza n. 1643/2019), avendo il principio del giudicato a formazione progressiva una portata tendenzialmente espansiva e non restrittiva, non potendo nemmeno condividersi la decisione di restringere l’accesso alle autorizzazioni (comunque non rese accessibili) ed agli accreditamenti della sola Asl Na 1 Centro in considerazione del fatto che la stessa Regione motiva il diniego in ragione di una presunta saturazione del fabbisogno regionale, come peraltro previsto dall’art. 8ter del d.lgs. n. 502/92.
10.2. L’appello è, rispetto a tale capo di domanda, è fondato e, pertanto, va accolto.
Anzitutto, va data continuità al più recente indirizzo giurisprudenziale a mente del quale il ricorso per l’accesso agli atti proposto in corso di giudizio ai sensi dell’art. 116, comma 2, c.p.a. ha natura autonoma e il provvedimento che conclude il relativo procedimento giurisdizionale ha carattere decisorio, poiché, fra l’altro, il fatto che un’istanza di accesso agli atti possa essere proposta in pendenza di un giudizio, come risulta dall’art. 116, comma 2, c.p.a., non significa che detta istanza perda la sua autonomia di actio ad exhibendum per trasformarsi in richiesta di carattere meramente istruttorio rivolta al Giudice del c.d. ricorso principale, tanto più che si tratta di istanza da notificare all’Amministrazione e agli eventuali controinteressati, conformemente al regime tipico della instaurazione del rapporto giuridico processuale in seguito a proposizione di ricorso (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, ordinanza n. 3028/2018; T.A.R. per il Veneto, Sez. III, 26/07/2019, n. 894; TAR Campania, Napoli, ordinanza n. 186 dell’11/1/2018).
Ancora di recente questa Sezione (cfr. Cons. St., Sez. III, 7 ottobre 2010, n. 5944) ha evidenziato come occorra distinguere, in seno alle ordinanze emesse ai sensi dell’art. 116, comma 2, c.p.a., tra:
– quelle a carattere meramente istruttorio – che si pronunciano sulla domanda, dando rilievo essenzialmente alla rilevanza degli atti dei quali si chiede l’ostensione rispetto al thema decidendum del giudizio in corso, come tali non appellabili;
– quelle, invece, di natura autonoma e decisoria – come nella specie – volte a valutare se sussistano o meno i presupposti inerenti all’accesso in quanto tale, ai sensi della richiamata normativa della l. n. 241 del 1990, a prescindere dal rilievo che la documentazione richiesta assume nell’ambito del giudizio nel quale l’istanza ex art. 116, comma 2, c.p.a. si incardina: ordinanze, queste, invece, appellabili (cfr. in tal senso Cons. di Stato, sez. V, 14 ottobre 2019, n. 6950; sez. V, 12 giugno 2019, n. 3936; sez. IV, 20 marzo 2018, n. 1759; sez. IV, 22 febbraio 2016, n. 725; sez. III, 21 ottobre 2015, n. 4806). In altri termini, l’istanza ex art. 116 comma 2 c.p.a. è autonoma – e così l’ordinanza che ne accerta la meritevolezza – se e nella misura in cui essa implica esclusivamente un giudizio sulla rilevanza degli interessi da tutelare con l’accesso agli atti, ai sensi dell’art. 22, comma 1, lett. b), L. n. 241/1990, a prescindere dal rilievo che la documentazione richiesta possa assumere nell’ambito del giudizio principale nel quale l’istanza ostensiva risulta incardinata.
Ancora più recentemente questa Sezione ha ulteriormente precisato la sottile linea di confine che separa l’accesso su basi autonome e il provvedimento “istruttorio” stricto sensu inteso, poiché questo, a differenza della prima, impinge in modo automatico sulla “rilevanza probatoria” del documento, laddove le valutazioni circa la “strumentalità ” dell’accesso a fini difensivi esaurisce la sua portata nell’accertamento di un qualificato collegamento tra l’interesse e il documento, di guisa che il giudizio di rilevanza probatoria sottende una prognosi sulla potenziale “decisione” finale mentre il giudizio di strumentalità una valutazione di mera “pertinenza” del documento alla tipologia di tutela azionata o azionabile (cfr. Cons. St., Sez. III, 11 febbraio 2021 n. 1253).
Nel caso all’esame, l’ordinanza collegiale n. 2071 del 13.4.2017 del TAR Campania rivestiva certamente carattere decisorio, non essendosi in alcun modo pronunciata sulla rilevanza istruttoria, nei termini suindicati, dei documenti di cui l’appellante rivendica l’ostensione.
Nella detta previsione, una volta svincolata l’azionata pretesa dai vincoli di rigida strumentalità istruttoria rispetto al giudizio principale in cui si incardina, non può dubitarsi della permanenza dell’interesse a conoscere quali (con data di rilascio) autorizzazioni ed accreditamenti fossero state rilasciate nel settore della genetica medica nel territorio della Regione Campania, nel periodo successivo alla domanda di autorizzazione avanzata dalla ricorrente (anno 2014).
D’altro canto, come efficacemente rimarcato dall’appellante questa Sezione (cfr. Sentenza Consiglio di Stato sez. III n. 6192 del 29/12/2017) ha già avuto modo di riconoscere la sussistenza dell’interesse dell’operatore qualificato a conoscere singoli provvedimenti autorizzatori rilasciati a favore di altre strutture nel periodo nel quale la sua domanda è rimasta inevasa. Tali autorizzazioni, infatti, potrebbero aver saturato il mercato, impedendole di entrarvi una volta definito il relativo fabbisogno. L’appello va dunque accolto, e in riforma della sentenza di primo grado, va accolto il reclamo. Va quindi ribadito l’obbligo delle Amministrazioni appellate – ciascuna per la parte di propria competenza – di provvedere all’esibizione degli atti indicati nell’istanza della società ricorrente, segnatamente quanto alle autorizzazioni ed accreditamenti rilasciate nel territorio regionale, quanto al campo della genetica medica, con data di rilascio degli stessi nei termini già positivamente apprezzati dall’ordinanza n. 2071 del 13.4.2017.
11. Rispetto ai motivi di gravame che involgono il capo della decisione appellata riferito al ricorso 1615/2019, mette conto evidenziare che, a sostegno dell’opposto diniego, l’amministrazione locale ha richiamato il parere contrario della commissione regionale ex D.G.R.C. n. 7301/2001 secondo cui, rispetto al fabbisogno regionale di prestazioni laboratoristiche di genetica definito con DCA n. 58/2018, i volumi di prestazioni di analisi cliniche programmati sono stati raggiunti e rapidamente esauriti dalle strutture pubbliche e private già accreditate con conseguente saturazione del mercato.
Il TAR nel validare il suddetto approdo decisorio ha, innanzitutto, confermato la coerenza, sotto il profilo formale e procedurale, della complessiva azione amministrativa con la cornice regolatoria di riferimento contenuta nella D.G.R.C. n. 7301/2001 che prevede i seguenti essenziali snodi istruttori: I) la commissione istituita presso l’A.S.L. territorialmente competente effettua la verifica di compatibilità del progetto rispetto al fabbisogno complessivo, alla localizzazione territoriale e ai requisiti minimi strutturali ed impiantistici; II) la commissione regionale appositamente istituita presso l’organo giuntale valuta il parere di compatibilità espresso dall’A.S.L. e trasmette il parere definitivo al Comune e all’A.S.L.; III) il Comune adotta il provvedimento conclusivo sull’istanza di autorizzazione sanitaria.
Ha, dunque, disatteso le doglianze che impingevano nell’incompetenza funzionale del direttore generale, cui va ascritta la nota prot. n. 145077 del 5/3/2019, a tal fine evidenziando, con il conforto degli atti di causa, che il parere “di seconda istanza” è stato espresso dalla commissione regionale ex D.G.R.C. n. 7301/2001, quindi dall’organo collegiale competente a valutare il parere di compatibilità rassegnato dalla commissione presso l’A.S.L., ed è stato solo successivamente comunicato con nota del Direttore Generale Tutela della Salute prot. 0145077 del 5/3/2019 impugnata.
11.1. Sul punto, l’appellante lamenta che tale statuizione sarebbe erronea in quanto riposa sulla produzione documentale sopravvenuta al momento della spedizione del ricorso di guisa che, a suo dire, sarebbe stato più corretto definire improcedibile la censura.
11.2. Tale deduzione non può essere condivisa: in mancanza di un’esplicita rinuncia alla sua coltivazione (nonostante la chiara smentita rinveniente dalla richiamata produzione) il giudice di prime cure, in ossequio al principio della necessaria corrispondenza del chiesto al pronunciato, non ha potuto esimersi dal delibare la censura per come confezionata dalla ricorrente correttamente rilevando come non fosse allineata alle emergenze processuali.
12. Nel merito, poi, l’ordito argomentativo del giudice di prime cure muove dal principio di derivazione giurisprudenziale (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 3762/2014; n. 5908/2014)secondo cui il blocco delle autorizzazioni sanitarie previsto dalla legge regionale mantiene una sua intrinseca ragionevolezza a condizione che il fabbisogno di prestazioni sanitarie nel settore di cui si controverte non sia ancora stato quantificato, oppure che, pur essendo stato determinato, le strutture già definitivamente o provvisoriamente accreditate, sommate a quelle autorizzate e già in esercizio e interessate ad ottenere l’accreditamento, appaiano in grado di coprirlo interamente, con l’ulteriore precisazione che, nel calcolo delle strutture idonee a coprire il fabbisogno, rientrano anche le strutture pubbliche eventualmente programmate, anche se non ancora operanti (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 2448/2017).
Nella dichiarata applicazione di tale principio il TAR ha reputato, dunque, legittimo il diniego opposto dall’amministrazione dal momento che il blocco delle autorizzazioni troverebbe giustificazione nella saturazione del fabbisogno delle prestazioni sanitarie di genetica medica, essendo le strutture pubbliche e private già autorizzate ed accreditate in grado di coprirlo interamente.
A tali conclusioni il giudice di prime cure giunge valorizzando la natura programmatoria del DCA n. 58/2018 (Rete di Genetica Medica Clinica e di Laboratorio della Regione Campania) che nell’allegato “B” reca l’espressa indicazione del fabbisogno prestazionale di test genetici in ambito regionale elaborato dal Gruppo Tecnico – Scientifico istituito con decreto commissariale n. 147 del 17/12/2012 pubblicato sul B.U.R.C. n. 33 del 17/6/2013 per il riordino della rete assistenziale della Genetica Medica, stima ottenuta “dalla valutazione dei dati epidemiologici regionali, dalla analisi dei costi pregressi sostenuti dalla Regione e dalla previsione, derivata dai nuovi LEA delle nuove esigenze dovute all’innovazione tecnologica e ai progressi scientifici soprattutto nel campo della genomica medica” (cfr. Allegato “B” del DCA) ed opponendo che le scelte programmatorie sono connotate da ampia discrezionalità con la conseguenza che i dati relativi al fabbisogno non possono essere sindacati se non per macroscopici vizi di illogicità o di arbitrarietà che non sono stati evidenziati nel ricorso.
Il diniego si fonderebbe, dunque, sulla rilevata saturazione del fabbisogno in ambito regionale e locale, dato quest’ultimo coerente con la presenza di diversi operatori accreditati nel territorio dell’A.S.L., non risultando provato alcun fabbisogno insoddisfatto nel predetto territorio, tale da giustificare l’ampliamento dell’operatività del centro ricorrente.
Né a diverse conclusioni – secondo il TAR – è possibile giungere in virtù del parere favorevole alla ricorrente, prot. 358/Comm del 24/9/2018, rilasciato dall’ASL; tanto in ragione del fatto che la nota A.S.L. del 27/12/2017 – richiamata nel predetto parere – si limita a riferire della inesistenza di strutture accreditate per la genetica non nel territorio dell’A.S.L. ma in un suo distretto, quindi in una porzione di territorio più circoscritta. L’intervenuta definizione dell’iter procedimentale comportava, poi, il rigetto delle censure di elusione o violazione del giudicato.
12.1. Avverso le suddette statuizioni l’appellante oppone, in radice, l’illegittimità di un blocco generalizzato al rilascio delle autorizzazioni che determinerebbe, al più, l’improcedibilità della domanda.
12.2. La parte appellante non sembra, però, aver colto in modo corretto il senso dei rilievi contenuti nei dicta del giudice territoriale che, in sintesi, ha semplicemente opposto l’insussistenza, nell’attualità ed in riferimento ad una situazione contingente, di spazi per l’implementazione delle capacità operative dell’appellante attraverso la richiesta estensione del suo campo di intervento a fronte di un fabbisogno oramai saturo, in ciò ponendosi giustappunto nel solco dei principi che governano un mercato contingentato quale quello qui in rilievo.
Ne discende che l’asse di osservazione si sposta dall’affermazione di principio, in sé corretta, all’effettiva riscontrabilità nelle risultanze processuali delle premesse su cui si fonda.
12.3. Di poi, la società Ar. si duole della impropria valenza assegnata dal TAR al decreto commissariale n. 58/2018 che arresterebbe la sua efficacia nella stima delle quantità di prestazioni complessive da garantire alla popolazione campana in forma di assistenza sanitaria pubblica e/ convenzionata e, quindi, a spese dell’erario, prescindendo dai piani aziendali territoriali ovvero dal contesto programmatorio di cui alla DGRC n. 7301/2001, laddove l’Asl Na 1 Centro con il parere positivo di cui alla nota prot. n. 358/Comm del 24/9/2018 avrebbe, invece, dato corretta e legittima esecuzione non solo alla sentenza del Tar per la Campania n. 3208/2018 ma alla stessa normativa di settore.
12.4. Orbene, mette conto, anzitutto, evidenziare che, con la nota prot. 358/COMM del 24.9.2018, la Commissione aslina è pur vero che ha licenziato un parere favorevole all’appellante in ordine all’istanza da questa avanzata di autorizzazione all’ampliamento delle prestazioni di laboratorio per l’implementazione del settore di genetica medica (A6), limitandosi, però, quanto al tema qui in discussione della verifica di compatibilità (il possesso dei requisiti non è, infatti, contestato) a richiamare, in assenza di un piano aziendale delle attività territoriali, i contenuti della nota prot. 1569 del 27.12.2018 (recte del 27.12.2017) del direttore del distretto sanitario 30, nel cui ambito si colloca il laboratorio Ar. e sul punto la nota suddetta, a sua volta, si limita ad affermare che “sul territorio del DSB30 non insistono strutture accreditate per il settore A6”.
La suddetta valutazione registra, dunque, la situazione locale facendo esclusivamente riferimento al dato, di per se stesso non esaustivo, della mancata copertura di una zona circoscritta non solo del territorio regionale ma finanche della stessa ASL Napoli 1 Centro, cui d’altro canto mettono capo più distretti sanitari con distinti bacini di utenza, di guisa che, contrariamente a quanto ritenuto dall’appellante, colgono nel segno le valutazioni negative in merito svolte dal giudice di prime cure sulla portata di certo non appagante di tale avviso di per sé stesso inidoneo – a cagione della deficienza del suo contenuto che non riflette appieno la missione istituzionale ad esso assegnata – ad esprimere le effettive esigenze nel predetto territorio.
12.5. Ciò nondimeno, analoga inettitudine, contrariamente a quanto sostenuto dal TAR, va colta nel superiore avviso regionale che, parimenti, si rivela del tutto inadeguato ad assolvere al compito di fondare la verifica di compatibilità su basi ed obiettivi coerenti con quelli previsti dalla disciplina di settore.
Vale premettere che, di recente, in una fattispecie in parte analoga, questa Sezione (cfr. Cons. St., Sez. III, 16 dicembre 2020, n. 8083) ha riaffermato i seguenti postulati, qui replicati siccome tuttora condivisi:
– l’autorizzazione per lo svolgimento di attività sanitaria privata segue un’regimè differenziato rispetto all’attività in accreditamento, e, tuttavia, per ragioni attinenti non solo alla tutela della salute, quale irrinunciabile interesse della collettività (art. 32 Cost.), ma anche alla tutela della concorrenza, l’autorizzazione per la realizzazione delle strutture sanitarie e sociosanitarie, ai sensi dell’art. 8-ter, comma 3, del d.lgs. n. 502 del 1992, deve necessariamente restare inserita nell’ambito della programmazione regionale, in quanto la verifica di compatibilità, effettuata dalla Regione, ha proprio il fine di accertare l’armonico inserimento della struttura in un contesto di offerta sanitaria rispondente al fabbisogno complessivo e alla localizzazione territoriale delle strutture presenti in ambito regionale, anche al fine di garantire meglio l’accessibilità ai servizî e di valorizzare le aree di insediamento prioritario delle nuove strutture;
– un regime di previa autorizzazione amministrativa, perché sia giustificato anche quando deroghi ad una delle libertà fondamentali garantite dai Trattati e dal diritto dell’Unione, deve però essere fondato “su criteri oggettivi, non discriminatori e noti in anticipo, che garantiscono la sua idoneità a circoscrivere sufficientemente l’esercizio del potere discrezionale delle autorità nazionali” (§ 64 della sentenza della Corte di Giustizia, Grande Camera, 10 marzo 2009, C-169/07);
– la valutazione del fabbisogno, alla quale la legislazione nazionale vincola il rilascio dell’autorizzazione, non può essere, pertanto, illimitata né schiudere la strada ad ingiustificate e sproporzionate restrizioni dell’iniziativa economica, senza trovare un ragionevole e proporzionato controbilanciamento nella cura in concreto, da parte della pubblica amministrazione decidente, dell’interesse pubblico demandatole;
Si richiede, quindi, una valutazione del fabbisogno in concreto, accurata ed attualizzata, che sia preceduta e sorretta da una idonea istruttoria sull’esistenza di una determinata domanda sanitaria sul territorio e di una correlativa offerta da parte delle strutture private, senza che ciò si traduca di fatto in un illegittimo blocco, a tempo indeterminato, all’accesso del nuovo operatore sul mercato, con una indebita limitazione della sua libertà economica, che non solo non risponde ai criterî ispiratori dell’art. 8-ter, comma 3, d.lgs. n. 502 del 1992, ma è contrario ai principî del diritto eurounitario affermati dalla Corte di Giustizia in riferimento alla pur ampia discrezionalità del legislatore in materia sanitaria (cfr. 1637/2020);
– in definitiva, l’art. 8 – ter del d.lgs. 502/1992 subordina il rilascio del titolo autorizzatorio non all’esistenza di uno strumento pianificatorio generale, ma ad una valutazione in concreto e attuale del fabbisogno complessivo di assistenza in ambito regionale, dell’idoneità della nuova struttura a soddisfare detto fabbisogno, prendendo in considerazione le strutture presenti in ambito regionale, secondo i parametri dell’accessibilità ai servizi ed avuto riguardo alle aree di insediamento prioritario di nuovi presidi;
– l’inerzia della Regione, ove si protrae per parecchi anni senza aggiornamento dei dati relativi al fabbisogno, si tradurrebbe sostanzialmente in un “illegittimo blocco, a tempo indeterminato, all’accesso del nuovo operatore sul mercato, con una indebita limitazione della sua libertà economica, che non solo non risponde ai criterî ispiratori dell’art. 8-ter, comma 3, del d.lgs. n. 502 del 1992, ma è contrario ai principî del diritto eurounitario affermati dalla Corte di Giustizia in riferimento alla pur ampia discrezionalità del legislatore in materia sanitaria” (cfr. n. 1589 del 7/03/2019).
12.6. Orbene, in applicazione dei suindicati principi, il Collegio rivela che le ragioni ostative opposte alla positiva delibazione dell’istanza attorea e valorizzate dal giudice di prime cure non appaiono, di per se stesse, sufficienti e, dunque, convincenti.
Il DCA 58/2018 è pur vero che reca la definizione del fabbisogno complessivo regionale di test genetici, e dunque nello specifico ambito settoriale qui in rilievo, ma allo stesso tempo, per plurime ragioni, non fornisce adeguato supporto per il corretto svolgimento delle valutazioni richieste all’Autorità regionale nei termini suesposti dovendo quest’ultima esprimere il proprio definitivo avviso in considerazione del complessivo fabbisogno regionale – non solo in funzione delle prestazioni a carico del SSR – e tenendo conto della localizzazione territoriale delle strutture già operanti onde far emergere eventuali carenze in alcuni bacini di utenza.
Ed, invero, il suindicato provvedimento colloca la stima del fabbisogno regionale nell’ambito di una valutazione orientata in funzione di obiettivi dichiarati e segnatamente consistenti nel programmato riordino della rete assistenziale della genetica medica, come peraltro fatto palese dalla valorizzazione nelle proiezioni contenute nella tabella 4 di riferimenti anche ai “costi pregressi sostenuti dalla Regione e dalla previsione, derivata dai nuovi LEA delle nuove esigenze dovute all’innovazione tecnologica e ai progressi scientifici soprattutto nel campo della genomica medica”
Nella detta prospettiva il DCA definisce, dunque, il contesto programmatorio di riferimento ed opera un censimento delle strutture pubbliche a tali fine attrezzate (alle quali potranno affiancarsi i laboratori accreditati) fornendo, sul piano organizzativo, le coordinate di riferimento per il riordino della complessiva rete assistenziale di genetica medica, clinica e di laboratorio della Regione Campania anche rispetto ai potenziali bacini di utenza.
12.7. Pur tuttavia, rispetto alla divisata cornice di riferimento, dalla quale pur potrebbero essere evinti elementi di partenza utili per la validazione del fabbisogno complessivo (ad esempio rispetto al censimento della popolazione regionale ed ai dati epidemiologici regionali), restano necessari, ai fini qui in rilievo, ulteriori e significativi sviluppi conoscitivi che consentano di ricostruire, rispetto alle diverse finalità evocate dal procedimento autorizzatorio qui in rilievo, l’offerta effettivamente ad oggi garantita dal SSR, non emergendo né dal richiamato DCA né dal verbale istruttorio posto a fondamento della nota regionale 146077 del 5.3.2019 una puntuale ricognizione dell’effettiva adeguatezza dei volumi di test genetici assicurati rispetto al fabbisogno e men che meno una mappatura della suddetta offerta che consenta di stimare come adeguata ed omogenea la relativa copertura territoriale, onde garantire all’utenza l’accessibilità ai servizi in argomento in misura da rendere sconsigliabile il rilascio di nuove autorizzazioni.
In tal senso tornano calzanti – a fronte della valenza non esaustiva del DCA 58/2018 e della parziarietà degli elementi da esso evincibili – i rilievi attorei sulla mancanza di una puntuale ricognizione del fabbisogno assistenziale territoriale nella macroarea della specialistica ambulatoriale accertati con la recente sentenza di questa Sezione n. 5293/2019 resa in giudizio di cui era parte la stessa Regione Campania (cui ha fatto seguito la successiva ordinanza n. 805/2020) e, viceversa, frettolosamente sminuiti dal giudice di prime cure.
Vanno, dunque, annullati l’atto di diniego ed il parere regionale su cui si fonda con conseguente obbligo di rivalutazione dell’istanza con riferimento al parametro del fabbisogno in concreto, per come sopra evidenziato, tenuto conto degli atti medio tempore sopravvenuti.
Le spese del doppio grado di giudizio, in considerazione della complessità dei temi scrutinati e della reciproca soccombenza, possono essere compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti indicati in parte motiva e, per l’effetto, in riforma parziale della decisione appellata, accoglie nei limiti suddetti il ricorso 1615/2019, nonché la pretesa all’ostensione della documentazione non ancora resa disponibile secondo quanto indicato in parte motiva e conseguentemente ordina a ciascuna delle Amministrazioni appellate, per la parte di relativa competenza, l’esibizione degli atti indicati nell’ordinanza del TAR Campania, Napoli, n. 2071 del 13.4.2017, nel termine di giorni trenta decorrente dalla comunicazione o, se a questa anteriore, dalla notificazione della presente decisione.
Compensa le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 18 febbraio 2021, svolta in modalità da remoto, con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini – Presidente
Giulio Veltri – Consigliere
Paola Alba Aurora Puliatti – Consigliere
Giovanni Pescatore – Consigliere
Umberto Maiello – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Per aprire la pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *