Consiglio di Stato,Sentenza|14 aprile 2021| n. 3083.
In ambito sanitario la garanzia dei LEA non implica una necessaria, piena omogeneità sul territorio nazionale dei corrispettivi per le prestazioni degli operatori sanitari ma una garanzia di accesso a tutti i cittadini ad un livello minimo di prestazioni essenziali, per assicurare il quale è riconosciuto allo Stato il potere di fissare la tipologia, la quantità e la qualità di prestazioni cui tutti gli utenti hanno diritto nell’intero territorio nazionale.
Sentenza|14 aprile 2021| n. 3083
Data udienza 8 aprile 2021
Integrale
Tag – parola chiave: Sistema sanitario nazionale – Protesi dentarie – Tariffe – Sistema tariffario – LEA – Garanzia – Risvolti applicativi
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5718 del 2020, proposto da
Amplifon S.p.A., Associazione Nazionale Audioprotesisti – Ana, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentate e difese dall’Avvocato Giuseppe Franco Ferrari, con domicilio digitale come da PEC indicata in atti e domicilio fisico presso il suo studio in Roma, via (…);
contro
ASUR Marche, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato Gianfranco Borgani, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Regione Marche non costituita in giudizio;
per la riforma
per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche Sezione Prima n. 193/2020, resa tra le parti, in data 8 gennaio 2020 e pubblicata in data 23 marzo 2020 e notificata a mezzo posta elettronica certificata in data 12 maggio 2020, con cui era respinto il ricorso proposto per l’annullamento
– della determinazione del Direttore dell’ASUR Marche – Area Vasta n. 3, n. 1303/AV3 del 27 settembre 2017 con la quale l’Amministrazione:
a) ha preso atto della sentenza del Tribunale civile di Ancona n. 1971 del 2016 (che ha accolto il ricorso in opposizione a decreto ingiuntivo promosso dall’ASUR Marche avverso un decreto emesso in favore di un fornitore di protesi acustiche, affermando il principio per cui “…la maggiorazione del 9% sui prezzi delle protesi acustiche non sia dovuta da ASUR Marche e che eventuali pagamenti effettuati con detta maggiorazione debbano essere restituiti in quanto privi di causa…”);
b) ha stabilito che, in base al principio enunciato dal Tribunale di Ancona, a tutte le ditte che forniscono protesi acustiche all’Area Vasta n. 3 avrebbe dovuto essere richiesta la fatturazione secondo le tariffe previgenti stabilite con d.m. n. 332 del 1999;
c) ha stabilito, inoltre, che le ditte stesse che hanno fornito protesi acustiche all’Area Vasta avrebbero dovuto restituire le somme corrisposte a titolo di maggiorazione del 9% e non dovute;
– della comunicazione dell’ASUR Marche, Area Vasta n. 3, prot. n. 119759 del 30 ottobre 2017, inviata a tutti i fornitori di protesi acustiche, con cui quest’ultima li ha invitati ad uniformarsi alla predetta sentenza n. 1971 del 2016, preannunciando che sarebbero stati a breve inviati “i conteggi per ogni singola ditta con l’importo da restituire”;
– di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’art. 1, co. 17, d.l. 183 del 2020 che proroga quanto stabilito dall’art. 25 del d.l. n. 137/2020 con riferimento allo svolgimento con modalità telematica delle udienze pubbliche e delle camere di consiglio del Consiglio di Stato sino alla data del 30 aprile 2021;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’ASUR Marche;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza con modalità da remoto del giorno 8 aprile 2021 il Cons. Solveig Cogliani e uditi per le parti gli Avvocati Guiseppe Franco Ferrari e Gianfranco Borgani;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Oggetto del presente contenzioso è l’applicabilità automatica o meno della maggiorazione del 9% sui prezzi delle protesi acustiche a norma dell’art. 2, comma 380 della l. n. 244/2007.
Con la sentenza appellata il giudice di primo grado ha respinto il ricorso proposto dall’odierna parte appellante, a seguito della riassunzione del giudizio in esito alla sentenza n. 4374 del 26 giugno 2019, di questa Sezione, che ha ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo sulla presente controversia.
Il T.A.R., infatti, ha condiviso l’interpretazione dell’art. 2, comma 380, della legge n. 244 del 2007 offerta prima dal giudice civile di Ancona (sentenza n. 1971 del 2016) e poi dall’ASUR, nell’atto impugnato, secondo cui la maggiorazione in discorso è subordinata all’adozione, da parte della Regione, di un apposito tariffario.
Ciò sulla base delle seguenti considerazioni:
“- “la garanzia dei LEA non implica una necessaria, piena omogeneità sul territorio nazionale dei corrispettivi per le prestazioni degli operatori sanitari ma una garanzia di accesso a tutti i cittadini ad un livello minimo di prestazioni essenziali, per assicurare il quale è riconosciuto allo Stato il potere di fissare la tipologia, la quantità e la qualità di prestazioni cui tutti gli utenti hanno diritto nell’intero territorio nazionale” (cfr., Cons. giust. Amm. Sicilia, sez. giurisd., 19 gennaio 2015, n. 16);
– il contemplato aumento del 9% è riferito alle tariffe fissate quali tariffe “massime” dall’art. 4 del d.m. della salute del 12 settembre 2006; ciò comporta la potestà delle Regioni di stabilire, ai sensi dell’art. 8 del d.m. n. 332 del 1999, in relazione alle risorse finanziarie disponibili, i prezzi massimi di remunerazione dei dispositivi sanitari in favore dei fornitori (in tal senso, sarebbe l’orientamento espresso dal T.A.R. Umbria, Perugia, 19 settembre 2016, con le sentenze n. 615 e n. 616, con le quali è stata affermata la legittimità della d.G.R. n. 332 del 2015, con cui la Regione Umbria si era avvalsa della possibilità di ridurre le tariffe nell’ambito del livello massimo di quelle da corrispondere ai soggetti erogatori; il T.A.R. ha ritenuto che a ciò non fosse di ostacolo la prevista possibilità di modifica delle tariffe solo in sede di prima applicazione del decreto n. 332 del 1999 (art. 8, comma 1), dal momento che l’omesso esercizio del potere di intervento statale sul regime tariffario non potrebbe paralizzare quello regionale, ove i costi del dispositivi a carico del servizio sanitario non siano più coerenti con le risorse disponibili);
– pertanto, sebbene, come precisato anche dall’anzidetta circolare ministeriale, l’aumento del 9% incida direttamente sugli importi fissati come tariffe massime, esso non potrebbe essere applicato dalle Aziende sanitarie senza la previa approvazione di un tariffario regionale; ciò sia per l’esigenza di rispettare i livelli di spesa programmati e le risorse finanziarie disponibili, che costituisce un principio di carattere generale ineludibile in materia di spesa sanitaria a carico del servizio sanitario pubblico, sia perché le Regioni sarebbero tenute definire il proprio tariffario entro gli importi massimi consentiti, in base ad autonome valutazioni e nel rispetto dei vincoli di spesa;
– lo stesso art. 4 del d.m. 12 settembre 2006, espressamente richiamato dall’art. 2, comma 380, della l. n. 244 del 2007, nel prevedere che “gli importi tariffari stabiliti con provvedimenti regionali e superiori alle tariffe massime di cui al comma precedente, restano a carico dei bilanci regionali per la parte eccedente le tariffe di cui al medesimo comma”, fa salvo il potere regionale di determinazione delle tariffe, che possono anche essere incrementate, a discrezione della Regione, rispetto a quelle massime di cui al d.m. n. 332 del 1999, con oneri a suo carico.
Quanto al censurato illegittimo esercizio del potere di autotutela, il primo giudice ha richiamato l’orientamento giurisprudenziale, secondo cui, in caso di indebita erogazione di denaro pubblico, l’affidamento del percettore delle somme e la stessa buona fede non sono di ostacolo all’esercizio, da parte dell’Amministrazione, del potere-dovere di recupero, in linea con il canone costituzionale di buon andamento (ex multis, Consiglio di Stato, sez. III, 23 dicembre 2019, n. 8737).
Con riferimento alla corretta esecuzione degli accordi negoziali intercorsi tra l’Azienda sanitaria con i singoli fornitori, nonché l’eventuale azione di ripetizione dell’indebito, il T.A.R. ha demandato alla giurisdizione ordinaria ogni questione sui relativi diritti.
Avverso siffatta sentenza, parte appellante ora deduce i motivi di seguito indicati.
1. Erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 380, l. 244/2007; violazione e falsa applicazione degli artt. 8 e 9, d.m. n. 332/1999; violazione e falsa applicazione del d.m. 12 settembre 2006; violazione e falsa applicazione dell’art. 120, comma 1, d.lgs. n. 112/1998 e dell’art. 117 Cost.; erroneità della sentenza per violazione del d.lgs. 118/2011, del d.lgs. n. 502/1992 e dei principi contabili in materia di LEA.
Espone l’appellante che l’assistenza protesica è riconducibile ai livelli essenziali di assistenza sanitaria (LEA) di cui agli artt. 1, d.lgs. 502/1992, e 6, d.l. 347/2001 (cfr. art. 1, d.P.C.M. 29 novembre 2001).
L’art. 8 sexies, comma 7, d.lgs. 502/1992, stabilisce che “il Ministro della sanità, con proprio decreto, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, disciplina le modalità di erogazione e di remunerazione dell’assistenza protesica, compresa nei livelli essenziali di assistenza di cui all’articolo 1, anche prevedendo il ricorso all’assistenza in forma indiretta”.
Le modalità di erogazione e remunerazione dell’assistenza protesica sono state disciplinate dal c.d. nomenclatore tariffario di cui al d.m. 332/1999, con il quale il Ministero della sanità ha approvato tabelle dedicate a singole tipologie di protesi contenti il prezzo di ogni presidio assistenziale (il preziario è stato determinato sulla scorta di studi di mercato risalenti al 1995).
L’art. 8 del citato d.m. stabiliva che “in sede di prima applicazione del presente regolamento, le regioni fissano il livello massimo delle tariffe da corrispondere nel proprio territorio ai soggetti erogatori, entro un intervallo di variazione compreso tra il valore delle tariffe indicate dall’elenco 1 del nomenclatore allegato nel presente regolamento ed una riduzione di tale valore non superiore al venti per cento”.
In occasione, dunque, della prima applicazione del Nomenclatore Tariffario, le Regioni erano autorizzate a fissare le tariffe massime di remunerazione dei presidi protesici al di sotto dei limiti nazionali, sebbene entro un range di prezzo non inferiore di più del 20% rispetto alla tariffa nazionale. L’assetto, anche all’indomani dell’adozione del d.m. 332/1999, era pertanto disomogeneo sul territorio nazionale.
In data 17 giugno 2004, la Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome ha, successivamente, concordato una revisione tariffaria dei dispositivi protesici, prospettandone l’incremento tariffario del 9% (incremento del 5% dall’1 luglio 2004 – incremento del 4% dall’1 gennaio 2005). L’aumento tariffario non è stato recepito in modo uniforme dalle Regioni.
In tale contesto, la legge finanziaria per il 2005 ha stabilito che alla determinazione delle tariffe relative, tra le altre, all’assistenza protesica “provvede, con proprio decreto, il Ministero della salute, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano”; eventuali importi tariffari superiori a quelli determinati a livello nazionale, “restano a carico dei bilanci regionali. Entro il 30 marzo 2005, con decreto del Ministero della salute, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, si procede alla ricognizione e all’eventuale aggiornamento delle tariffe massime, coerentemente con le risorse programmate per il Servizio sanitario nazionale. Con la medesima modalità e i medesimi criteri si procede all’aggiornamento biennale delle tariffe massime entro il 31 dicembre di ogni secondo anno a decorrere dall’anno 2005” (art. 1, comma 170, l. 311/2004, nel testo vigente al momento dell’entrata in vigore della norma).
L’appellante, dunque, evidenzia come scompaia dalla normativa qualsivoglia riferimento alla facoltà di revisione in peius delle tariffe nazionali.
In applicazione della citata disciplina, l’art. 4, d.m. 12 settembre 2006, ha coerentemente individuato nelle tariffe di cui al d.m. 332/1999 quelle idonee a garantire i livelli adeguati di assistenza protesica rientrante nei LEA, ponendo a carico dei bilanci regionali eventuali scelte tariffarie in melius.
A suo dire, dunque, la ragione fondante del descritto quadro risiede nell’esigenza di garantire l’esplicazione di garanzie minime per tutti gli utenti, posto che la parcellizzazione delle tariffe su base regionale indurrebbe sperequazioni territoriali a livello di utenza.
Dopo l’intervento ministeriale predetto, nella perdurante ottica di dare omogeneità al sistema tariffario, sarebbe, dunque, stato successivamente introdotto l’art. 2, comma 380, l. n. 244/2007, che, con una disciplina di rango primario – secondo la prospettazione dell’appellante ineludibile ad opera di fonti subordinate (tra le quali rientrerebbero quelle regolamentari regionali) – avrebbe pertanto, espressamente uniformato su base nazionale ed a partire dal 2008 le tariffe relative ai sistemi protesici, superando le incertezze applicative dell’accordo del 2004 ed aumentando del 9% il livello di remunerazione delle prestazioni assistenziali in discorso.
Avrebbe, dunque, errato il primo giudice nel ritenere a carico del bilancio regionale le spese per la maggiorazione, rientrando esse nei LEA a norma dell’art. 25, comma 2, d.lgs. n. 68/2011, che specificamente prevede: “il fabbisogno sanitario standard, determinato ai sensi dell’articolo 26, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica e degli obblighi assunti dall’Italia in sede comunitaria, costituisce l’ammontare di risorse necessarie ad assicurare i livelli essenziali di assistenza in condizioni di efficienza ed appropriatezza”.
Il comma 3 aggiunge che “i costi e i fabbisogni sanitari standard determinati secondo le modalità stabilite dal presente Capo costituiscono il riferimento cui rapportare progressivamente nella fase transitoria, e successivamente a regime, il finanziamento integrale della spesa sanitaria, nel rispetto della programmazione nazionale e dei vincoli di finanza pubblica”.
Inoltre, l’art. 26 del citato d.lgs. prevede che “a decorrere dall’anno 2013 il fabbisogno nazionale standard è determinato in coerenza con il quadro macroeconomico complessivo e nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica e degli obblighi assunti dall’Italia in sede comunitaria, tramite intesa, coerentemente con il fabbisogno derivante dalla determinazione dei livelli essenziali di assistenza erogati in condizioni di efficacia ed appropriatezza”.
Il meccanismo sarebbe, dunque, caratterizzato dalla fissazione del fabbisogno sanitario standard nazionale, ossia “dell’ammontare di risorse necessarie per assicurare i livelli essenziali di assistenza in condizione di efficienza e appropriatezza” (art. 25, comma 2 e art. 26).
Una volta fissato tale volume di risorse, che deve essere compatibile con le esigenze generali di finanza pubblica, esso viene ripartito tra le Regioni, che finanziano i LEA con fonti di derivazione nazionale.
Il descritto assetto contabile, riflette il dettato dell’art. 1, d.lgs. 502/1992, a mente del quale, “il Servizio sanitario nazionale assicura, attraverso le risorse finanziarie pubbliche individuate ai sensi del comma 3, e in coerenza con i principi e gli obiettivi indicati dagli articoli 1 e 2 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, i livelli essenziali e uniformi di assistenza definiti dal Piano sanitario nazionale nel rispetto dei principi della dignità della persona umana, del bisogno di salute, dell’equità nell’accesso all’assistenza, della qualità delle cure e della loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze, nonché dell’economicità nell’impiego delle risorse” (comma 1); “l’individuazione dei livelli essenziali e uniformi di assistenza assi cu rati dal Servizi o sanitario nazionale, per il periodo di validità del Piano sanitario nazionale, è effettuata contestualmente all’individuazione delle risorse finanziarie destinate al Servizio sanitario nazionale, nel rispetto delle compatibilità finanziarie definite per l’intero sistema di finanza pubblica nel Documento di programmazione economico- finanziaria” (comma 3).
Pertanto, consentire alla Regione Marche di fare da filtro all’incremento tariffario significherebbe pregiudicare gli assistiti del territorio di competenza sul piano della tipologia del servizio.
Infatti, a parità di costo, il tipo di prodotto accessibile dagli ipoudenti marchigiani non sarebbe lo stesso di cui possono fruire quelli delle Regioni che applicano le tariffe nazionali.
Invoca, a riguardo, i principi fissati dalla Corte cost. con la sentenza 9 maggio 2014, n. 121: “in tema di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali configurabile, non tanto come una “materia” in senso stretto, ma come una competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, in relazione alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare in modo generalizzato sull’intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle, v. le citate sentenze nn. 322/2009 e 282/2002. Nel senso che il parametro di cui all’art. 117, secondo comma, lett. m), Cost. costituisce la base giuridica anche della previsione e della diretta erogazione di una determinata provvidenza, oltre che della fissazione del livello strutturale e qualitativo di una data prestazione, al fine di assicurare più compiutamente il soddisfacimento dell’interesse ritenuto meritevole di tutela”.
2. Erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione, sotto altri profili, dell’art. 2, comma 380, l. n. 244/2007, dell’art. 117, comma 2, lettera m), Cost., nonché dell’art. 120, d.lgs. 112/1998; erroneità della sentenza per violazione del riparto di competenze tra Stato e Regioni in materia di LEA.
La sentenza impugnata sarebbe anche erronea in quanto, nell’affermare la potestà regolamentare regionale in materia di tariffe relative alle prestazioni rientranti nei LEA, invertirebbe la ratio dell’art. 117, comma 2, lettera m), Cost., e violerebbe il riparto di competenze.
3. Erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 21 nonies, l. n. 241/1990; violazione del principio di affidamento, violazione del termine di legge per l’esercizio dell’autotutela; difetto assoluto di motivazione.
4. Eccesso di potere nella forma sintomatica della contraddittorietà, disparità di trattamento, difetto di istruttoria e di motivazione; ingiustizia manifesta. La sentenza (e l’amministrazione) non avrebbe considerato che già in data 24 settembre 2013, pronunciando nell’ambito di una vertenza che aveva ad oggetto l’immediata cogenza della norma in esame e la conseguente debenza dell’incremento tariffario, il Tribunale di Milano aveva statuito che, “dalle disposizioni richiamate emerge il carattere immediatamente cogente dell’aumento tariffario, non eludibile da una diversa determinazione del governo regionale. Pertanto, Amplifon ha legittimamente applicato l’incremento del nove per cento, dovendo trovare applicazione anche nei confronti della Regione Sardegna l’incremento introdotto dalla legge finanziaria per il 2008, trattandosi di una disposizione relativa a materia di esclusiva competenza del potere normativo dello Stato”.
Con memoria l’ASUR Marche resiste all’appello, contro deducendo che l’assunto secondo il quale, a norma dell’art. 2, comma 380 della l. n. 244/2007, la maggiorazione tariffaria di cui è causa troverebbe immediata e diretta applicazione e non sarebbe invece subordinata all’adozione da parte delle Regioni di un apposito tariffario sarebbe sprovvisto di supporto normativo, mentre, al contrario, precisi riferimenti normativi e giurisprudenziali e la costante prassi di tutte le Regioni italiane lo contraddirebbero in modo indiscutibile. Infatti, tutte le regioni italiane si sarebbero dotate di un proprio tariffario.
Il punto m) del 2° comma dell’art. 117 (“determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”) Cost. non potrebbe essere steso fino a ricomprendervi l’oggetto del presente contenzioso.
La Regione Marche, d’altro canto, ha recepito con la d.G.R. n. 1560 del 14 dicembre 2004 il Nomenclatore Tariffario varato con d.m. n. 332/1999, tutt’ora vigente, e l’ha reso esecutivo con l’atto d’intesa del 16 febbraio 2005 che ha siglato con la FI. (Federazione It. de. Op. di Te. Or.).
Mancando ana atto d’intesa con l’ANA, l’adeguamento previsto dal d.m. n. 332/1999 che consente un aumento tariffario sino ad un massimo del 9%, sarebbe stato – correttamente – applicato per tutti gli altri supporti protesici ma non per quelli audiometrici. Ritiene l’amministrazione che la sede appropriata per la pretesa dell’appellante sia quella della contrattazione negoziale con la Regione Marche.
In tal senso, peraltro, si pronunziava il giudice civile con la sentenza n. 1971/2016 (Tribunale civile di Ancona), passata in giudicato, richiamata dalla stessa sentenza impugnata, secondo cui ai sensi dell’art. 2, comma 380, della l. n. 244 del 2007 la maggiorazione di cui è causa sarebbe subordinata all’adozione da parte della Regione di un apposito tariffario.
Ciò in quanto:
– il già citato art. 2, comma 380 l. finanziaria, a mente del quale per l’anno 2008 a livello nazionale ed in ogni singola regione, la spesa per l’erogazione di prestazioni di assistenza protesica relativa a dispositivi su misura di cui all’elenco 1 allegato al Regolamento di cui al D.M. Salute n. 332/1999 non può superare il livello di spesa registrato nell’anno 2007 incrementato del tasso di inflazione programmata. Al fine di omogenizzare sul territorio nazionale la remunerazione delle medesime prestazioni, gli importi delle relative tariffe, fissate quali tariffe massime dall’art. 4 del D.M. Salute del 12 settembre 2006, sono incrementati del 9%;
– l’art. 8 del già citato d.m. salute n. 332/1999, in base al quale “le Regioni fissano il livello massimo delle tariffe da corrispondere nel proprio territorio ai soggetti erogatori”;
– l’art. 9 dello stesso d.m. salute 332/1999, in base al quale le Regioni e le USL “contrattano con i fornitori dei dispositivi di cui all’elenco 1 del nomenclatore operanti sul proprio territorio le modalità e le condizioni delle forniture”;
– la d.G.R. n. 1560 del 14 dicembre 2004 prevedente la fornitura dei dispositivi protesici alle tariffe indicate nell’elenco allegato al d.m. n. 332/1999, con espressa rinuncia dei fornitori a richiedere eventuali aumenti sino al 30 giugno 2005.
Con memoria l’appellante ha ribadito le proprie difese.
Con ulteriore memoria in replica l’Amministrazione ricorda il testo dell’art. 4 del d.m. sanità del 12 settembre 2006 (Aggiornamento delle tariffe per le prestazioni di assistenza protesica) che recita: “Le tariffe massime per la remunerazione delle prestazioni di assistenza protesica sono quelle individuate con il DM Sanità del 27 agosto 1999, n. 332.
A partire dalla data di entrata in vigore del presente decreto gli importi tariffari stabiliti con provvedimenti regionali e superiori alle tariffe massime di cui al precedente comma, restano a carico dei bilanci regionali per la parte eccedente le tariffe di cui al medesimo comma.
Le Regioni debbono dare comunicazione al Ministero della Salute e al Ministero della Economia e delle Finanze, in sede di bilancio di previsione e a consuntivo, delle risorse regionali individuate sul proprio bilancio e destinate alla copertura dei maggiori oneri derivanti dall’adozione degli importi tariffari stabiliti con propri provvedimento e superiori alle tariffe massime di cui al presente decreto”. Dispone il l’art. 8 dell’appena citato D.M.27 agosto 1999 n. 332 – Nomenclatore Tariffario (Tariffe e prezzi di acquisto dei dispositivi protesici): “In sede di prima applicazione del presente regolamento, le regioni fissano il livello massimo delle tariffe da corrispondere nel proprio territorio ai soggetti erogatori, entro un intervallo di variazione compreso tra il valore delle tariffe indicate dall’elenco 1 del nomenclatore allegato nel presente regolamento ed una riduzione di tale valore non superiore al venti per cento”.
Con memoria in replica l’appellante insiste nel ribadire che la Legge finanziaria per il 2008 persegue lo scopo di rendere omogeneo il sistema tariffario su tutto il territorio nazionale, ovviando a situazioni di sperequazione tra Regione e Regione, determinate da regolamenti tariffari differenziati e da accordi in deroga alla tariffa nazionale. In tale senso sarebbe anche l’ordinanza della Cassazione (ord. n. 12908/2020) secondo cui l’aumento tariffario opera automaticamente, posta la natura immediatamente percettiva dell’art. 2, comma 380, l. n. 244/ 2007.
Non varrebbero i precedenti invocati da parte appellata (C.G.A. per la Regione Siciliana, sentenza n. 16/2015 e le sentenze nn. 615 e 616 del TAR Umbria – impugnate con ricorsi nn. r.g. 9423/2016 e 2454/2017 tutt’ora sub iudice), che hanno affermato l’imprescindibilità di atti regionali applicativi dell’incremento tariffario stabilito dal Legislatore nazionale, negando di fatto che la tariffa possa rappresentare uno strumento di garanzia dei LEA, poiché riferibili unicamente alle parti del giudizio e smentite dall’interpretazione resa dal giudice delle leggi con ordinanza n. 12908 del 26 giugno 2020.
Quanto alla portata della circolare n. 25948/2008, l’appellante invoca l’interpretazione resa dalla Corte di Cassazione, secondo cui la suddetta circolare è “del tutto irrilevante ai fini del decidere posto che, dato l’assetto gerarchico delle fonti del diritto (tra cui esse non figurano), non solo non possono derogare alle disposizioni di legge, ma anche laddove abbiano un contento interpretativo della norma, restano comunque atti di indirizzo e direttiva a rilevanza meramente interna”. Emerge evidente, a tale stregua, come diversamente da quanto sostenuto dall’odierna ricorrente l’interpretazione offerta dalla corte di merito risulti formulata all’esito della corretta applicazione da parte della corte di merito dei criteri ermeneutici fissati all’art. 12 preleggi” (C. Cass., Sez. III, 26 giugno 2020, n. 12908; nello specifico, il giudice del merito aveva affermato l’immediata precettivita dell’art. 2, comma 380, l. n. 244/2007, negando l’esigenza di atti regionali intermedi ai fini dell’applicabilità degli incrementi tariffari).
Ribadisce che le Regioni non assumerebbero nel concreto alcuna spesa per le prestazioni rientranti nei LEA, che gravano integralmente sul FSN.
Inoltre, con riguardo alla necessità di accordo, menziona l’accordo stipulato dalla Regione Marche con la FI. (Federazione italiana operatori tecnica ortopedica) al fine di stabilire l’incremento tariffario per le protesi ortopediche.
Tale accordo è stato autorizzato con d.G.R. 1560 del 14 dicembre 2004 e reso esecutivo con l’atto di intesa del 16 febbraio 2005, ossia prima dell’entrata in vigore del d.m. 12 settembre 2006, che ha fissato le tariffe necessarie a garantire i LEA e della Legge finanziaria 2008, che avrebbe reso obbligatorio l’aumento delle tariffe ortopediche su tutto il territorio nazionale, a fini di omogeneità e di garanzia dei diritti di uguaglianza nell’ambito dell’assistenza protesica.
In ogni caso, l’accordo stipulato con la FI. era finalizzato ad ottenere la rinuncia dei federati “a richiedere eventuali aumenti fino al 30.06.2005”. Si trattava degli incrementi tariffari parametrati al tasso inflattivo reale, che sono stati rinunciati dai federati nelle more dell’espletamento della gara finalizzata all’acquisto dei presidi di cui all’elenco 1 del d.m. n. 332/1999.
A seguito della discussione per via telematica, la causa è stata trattenuta in decisione all’udienza dell’8 aprile 2021.
DIRITTO
I – Osserva il Collegio che, ai fini del decidere, è necessario individuare il quadro normativo di riferimento.
L’art. 2, comma 380, della l.n. 244 del 2007 stabilisce che “nell’anno 2008, a livello nazionale e in ogni singola regione, la spesa per l’erogazione di prestazioni di assistenza protesica relativa ai dispositivi su misura di cui all’elenco 1 allegato al regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità 27 agosto 1999, n. 332, non può superare il livello di spesa registrato nell’anno 2007 incrementato del tasso di inflazione programmata. Al fine di omogeneizzare sul territorio nazionale la remunerazione delle medesime prestazioni, gli importi delle relative tariffe, fissate quali tariffe massime dall’articolo 4 del decreto del Ministro della salute 12 settembre 2006, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 289 del 13 dicembre 2006, sono incrementati del 9 per cento”.
A sua volta, l’art. 4 del d.m. 12 settembre 2006 stabilisce che “1. Le tariffe massime per la remunerazione delle prestazioni di assistenza protesica sono quelle individuate dal decreto del Ministro della sanità del 27 agosto 1999, n. 332:
“Regolamento recante norme per le prestazioni di assistenza protesica erogabili nell’ambito del Servizio sanitario nazionale: modalità di erogazione e tariffe”. 2. A partire dalla data di entrata in vigore del presente decreto, gli importi tariffari stabiliti con provvedimenti regionali e superiori alle tariffe massime di cui al comma precedente, restano a carico dei bilanci regionali per la parte eccedente le tariffe di cui al medesimo comma. Le regioni devono dare comunicazione al Ministero della salute e al Ministero dell’economia e delle finanze, in sede di bilancio di previsione e a consuntivo, delle risorse regionali individuate sul proprio bilancio e destinate alla copertura dei maggiori oneri derivanti dall’adozione degli importi tariffari stabiliti con propri provvedimenti e superiori alle tariffe massime di cui al presente articolo”.
Con circolare del Ministero della salute n. 25949 del 5 agosto 2008, sono state dettate le modalità applicative dell’art. 2, comma 380, della l. n. 244 del2007. In particolare, per quanto riguarda il secondo periodo di tale disposizione, la circolare ha precisato che essa “incide direttamente sugli importi fissati come tariffe massime dal citato decreto 12 settembre 2006, incrementandoli del 9%. Resta fermo comunque che le Regioni debbano definire il proprio specifico tariffario, relativo alla fornitura dei dispositivi di cui all’elenco 1 allegato al d.m. n. 332/1999, entro tali importi massimi, in base ad autonome considerazioni e nel rispetto del vincolo di cui al primo periodo del comma 380 citato in precedenza”. Occorre, inoltre tener presente il d.m. n. 332 del 1999 – al quale l’art. 4 del d.m. del 12 settembre 2006 rimanda per la determinazione delle tariffe massime – il cui art. 8, comma 1, fa riferimento ad un potere regionale di fissazione del livello massimo delle tariffe (in sede di prima applicazione esso doveva essere contenuto “entro un intervallo di variazione compreso tra il valore delle tariffe indicate dall’elenco 1 del nomenclatore allegato nel presente regolamento ed una riduzione di tale valore non superiore al venti per cento”) ed il cui art. 9, comma 1, fa invece riferimento ad una fase di contrattazione delle modalità e delle condizioni delle forniture.
II – La controversia in esame pone sostanzialmente una questione di interpretazione della disciplina sin qui richiamata.
Nell’operazione ermeneutica richiesta, dunque, non può prescindersi da quanto ritenuto dalla Suprema Corte (nell’ord. n. 12908/2020), specificamente sull’interpretazione della l. n. 244 del 2007, e dell’art. 2, comma 380, seppure nell’ambito della pronunzia con cui è stato dichiarato inammissibile il ricorso proposto avverso la sentenza del 2 maggio 2018 emessa dalla Corte d’Appello di Cagliari. Con tale sentenza la Corte respingeva il gravame interposto dall’Azienda Sanitaria Locale n. 8 di Cagliari in relazione alla pronunzia Trib. Cagliari n. 2424/2014, di accoglimento della domanda nei suoi confronti proposta dalla società (OMISSIS) s.r.l. di pagamento di somma a titolo di conguaglio corrispondente al mancato pagamento dell’incremento tariffario del 9% introdotto dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 380, (legge finanziaria per il 2008) in ordine a prestazioni protesiche regolarmente autorizzate e collaudate dall’Ausl.
Afferma, dunque, la Corte di Cassazione che:
“Va d’altro canto osservato che l’interpretazione della L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 380, (secondo cui: “1. Nell’anno 2008 a livello nazionale e in ogni singola Regione, la spesa per l’erogazione di assistenza protesica relativa ai dispositivi su misura di cui all’elenco 1 allegato al regolamento di cui al Decreto del Ministro della Sanità 27 agosto 1999, n. 332, non può superare il livello di spesa registrato nell’anno 2007 incrementato del tasso di inflazione programmato.
2. Al fine di omogeneizzare sul territorio nazionale la remunerazione delle medesime prestazioni, gli importi delle relative tariffe, fissate quali tariffe massime dal Decreto del ministro della Sanità 12 settembre 2006, art. 4, sono incrementati del 9 per cento”) offerta dalla corte di merito nell’impugnata sentenza è senz’altro corretta.
Nell’osservare non potersi individuare “tra le due disposizioni di cui si compone la L. n. 244 del 2007, art. 2, commi 380, alcuna connessione che non sia il comune riferimento alle “prestazioni di assistenza protesica relativa ai dispositivi su misura di cui all’elenco 1 allegato al regolamento di cui al Decreto del Ministro della Sanità 27 agosto 1999, n. 332”, il quale solo ha determinato l’inclusione, nell’ambito della manovra economica periodica, di una norma avente una finalità estranea alla programmazione economica del breve periodo e coincidente con il dichiarato scopo di voler “omogeneizzare sul territorio nazionale la remunerazione delle medesime prestazioni, gli importi delle relative tariffe, fissate quali tariffe massime dal Decreto del Ministro della Sanità 12 settembre 2006, art. 4?, fissandola al 9% già adottato da numerose Regioni a seguito dell’accordo revisionale del 2004”, la corte di merito è pervenuta a ritenere “che non sia affatto ravvisabile il contrasto tra norme o la contraddittorietà di finalità paventate dall’appellante, giacché le disposizioni in parola si mantengono autonome essendo volte a perseguire finalità del tutto diverse, l’una (il primo capoverso) di natura programmatica, essendo volta a garantire il contenimento della spesa pubblica, statale e regionale, prevista per l’anno 2008 in relazione alle prestazioni di assistenza protesica per determinati dispositivi, nei limiti dei livelli di spesa registrati nel 2007 con l’incremento ivi previsto, l’altra, invece, di natura dispositiva e immediatamente precettiva, intesa a ristabilire l’uniformità sull’intero territorio nazionale della remunerazione delle medesime prestazioni erogate dai singoli fornitori delle amministrazioni regionali, adeguando le tariffe massime stabilite attraverso la previsione dell’incremento già disomogeneamente recepito a livello regionale ed applicato nel corso degli anni”.
La corte di merito ha quindi escluso “la sussistenza tra le disposizioni in esame del nesso di interdipendenza prospettato dall’appellante, in forza del quale l’indicato incremento tariffario del 9% potrebbe trovare applicazione solo laddove le Regioni non superi il limite di spesa “registrato per l’anno 2007 con incremento del tasso di inflazione programmato””.
Ha al riguardo posto in rilievo che l’opzione ermeneutica sostenuta dall’odierna ricorrente “ove applicata rischierebbe… di provocare, essa sì, contraddizioni ed illogicità non affatto sanabili nella lettura delle norme, giacché non solo relegherebbe la revisione tariffaria introdotta allo stretto lasso temporale dell’anno 2008, rendendo così del tutto incerta l’individuazione della tariffa applicabile per gli anni ad esso successivi (le prestazioni erogate dall’attrice di cui alle fatture in atti sono state rese negli anni 2009 e 2010), ma reintrodurrebbe a livello nazionale quelle disomogeneità nella remunerazione delle prestazioni in commento che si riproponeva di superare, posto che l’incremento tariffario sarebbe garantito ai soli fornitori delle amministrazioni regionali “più virtuose”, quelle, cioè, che nell’anno 2008 avessero osservato i limiti di spesa sopra detti”.
Ha al riguardo posto in rilievo che l’opzione ermeneutica sostenuta dall’odierna ricorrente “ove applicata… condurrebbe… a conseguenze del tutto illogiche, incoerenti ed aleatorie che alcuno sforzo ermeneutico consentirebbe di colmare se non sovvertendo i canoni interpretative di cui all’art. 12 preleggi, tanto di esegesi letterali quanto di interpretazione logica”, sicché, “quand’anche si volesse prescindere dall’interpretazione meramente testuale del secondo capoverso della L. cit. art. 2, comma 380, quale quella adottata dal giudice di prime cure, l’approdo ad un’interpretazione di tipo logico sistematico, volta ad individuare il vero scopo perseguito dal Legislatore del 2007, non lascerebbe spazio a valutazioni conclusive difformi da quelle adottate dal giudice di primo grado, non rinvenendosi nella fattispecie una voluntas legis che non sia quella, fatta palese, di uniformare nell’intero territorio nazionale la remunerazione delle prestazioni per cui è causa e ciò, necessariamente, a prescindere dal contenimento della spesa prefissato per il solo anno 2008”.
In altri termini, la corte di merito ha correttamente ritenuto che “l’aumento degli “importi delle tariffe massime di cui al Decreto del Ministero della Sanità 12 settembre 2006, art. 4, sono incrementate del 9% per cento” è del tutto svincolata dai limiti di spesa”.
Conclusione che ha sottolineato essere invero non smentita ma anzi confermata dalla Circolare del 5/8/2008 con la quale il “Ministero della Salute avrebbe avvertito la necessità di precisare… che le Regioni debbano definire i propri piani tariffari per la fornitura dei dispositivi di cui all’elenco 1 del D.M. n. 332 del 1999, entro gli importi massimi stabiliti dal secondo capoverso e nel rispetto del vincolo di cui al primo capoverso del comma 380”, al riguardo avvertendo che “non solo essa, se letta nei termini prospettata dall’appellante incorrerebbe nei medesimi vizi di incoerenza e contraddittorietà sopra prospettati, ma… la sua valenza sarebbe del tutto irrilevante ai fini del decidere posto che, dato l’assetto gerarchico delle fonti del diritto (tra cui esse non figurano), non solo non possono derogare alle disposizioni di legge, ma anche laddove abbiano un contento interpretativo della norma, restano comunque atti di indirizzo e direttiva a rilevanza meramente interna”.
Emerge evidente, a tale stregua, come diversamente da quanto sostenuto dall’odierna ricorrente l’interpretazione offerta dalla corte di merito risulti formulata all’esito della corretta applicazione da parte della corte di merito dei criteri ermeneutici fissati all’art. 12 preleggi.”
III – In definitiva, ritiene il Collegio di non poter condividere l’assunto del primo giudice per i seguenti motivi, ritenendo fondato il primo gruppo di censure formulato dalle appellanti.
La disposizione in esame dispone – senza possibilità di letture difformi – l’applicazione della maggiorazione sulle tariffe massime. Ciò è effettuato dal legislatore, con fonte primaria e nazionale – in chiara adesione alla ratio evincibile nella volontà di uniformità sul territorio nazionale delle tariffe dei LEA.
Rimane inalterata la possibilità delle regioni di disporre al di là dei predetti margini, e solo ove ciò avvenga allora vale non solo la necessità del rispetto dei limiti di spesa, ma anche – secondo quanto affermato dall’amministrazione appellata – la remunerazione a carico della Regione. L’aumento del 9% incide direttamente sul limite già stabilito e non riguarda lo spazio di contrattazione.
IV – La lettura svolta dal giudice di primo grado, risulta, dunque, non giustificata dalla lettera della norma, né dall’interpretazione della stessa all luce della volontà del legislatore che traspare dalla stessa. Essa, peraltro, si pone in contrasto con la necessità di garantire l’uniformità delle prestazioni rientranti nei Lea nell’ambito del territorio nazionale.
Risulta, pertanto, fondato anche il secondo motivo di appello.
A front della previsione di cui all’art. 117, comma 2, lett. m), Cost., che individua come materia di competenza esclusiva statale la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, l’interpretazione offerta dalla Corte costituzionale, sin dalla sentenza n. 88 del 2003 è stata nel senso di individuare nell’inserimento tra le materie di legislazione esclusiva statale di quella inerente alla “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, l’intento di attribuire “al legislatore statale un fondamentale strumento per garantire il mantenimento di una adeguata uniformità di trattamento sul piano dei diritti di tutti i soggetti, pur in un sistema caratterizzato da un livello di autonomia regionale e locale decisamente accresciuto”. Tale prospettiva risulta ribadita con la sentenza 16 luglio 2012, n. 187 dalla necessaria fissazione unitaria dei livelli essenziali di assistenza si fa discendere una tendenziale uniformità delle modalità di erogazione delle prestazioni.
Ciò non incide sull’ulteriore spazio relativo alla programmazione, all’organizzazione, nonché alla contrattazione spettante all’ambito regionale.
V – A quanto sin qui ritenuto, deve aggiungersi che l’interpretazione posta a fondamento del provvedimento gravato si colloca, necessariamente, per quanto evidenziato, in contraddizione con la scelta del legislatore nazionale di porre fine alla differenziazione e disparità su base regionale e connota, conseguentemente, un difetto di istruttoria e di motivazione, incidendo sulla posizione della parte appellante che ha correttamente fatto affidamento sulla disposizione quanto ai servizi prestati ed autorizzati.
VI – Per quanto sin qui ritenuto, l’appello deve essere accolto. Pertanto, in riforma della sentenza appellata, deve essere annullato il provvedimento gravato in primo grado.
VII – La complessità della fattispecie esaminata, tuttavia, giustifica la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza n. 193 del 2020, annulla il provvedimento gravato.
Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso nella camera di consiglio da remoto del giorno 8 aprile 2021 con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini – Presidente
Giulio Veltri – Consigliere
Paola Alba Aurora Puliatti – Consigliere
Solveig Cogliani – Consigliere, Estensore
Umberto Maiello – Consigliere
>
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Leave a Reply