Illegittimità del provvedimento amministrativo

Consiglio di Stato, Sezione quarta, Sentenza 4 febbraio 2020, n. 909.

La massima estrapolata:

Ai fini del riconoscimento della spettanza del risarcimento dei danni, l’illegittimità del provvedimento amministrativo di per sé non può fare riscontrare la colpevolezza-rimproverabilità dell’Amministrazione, rilevando invece altri elementi, quali il grado di chiarezza della normativa applicabile, la semplicità degli elementi di fatto, il carattere vincolato della statuizione amministrativa, l’ambito più o meno ampio della discrezionalità dell’amministrazione; con specifico riferimento all’elemento psicologico la colpa della pubblica amministrazione viene individuata non nella mera violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ma quando vi siano state inescusabili gravi negligenze od omissioni, oppure gravi errori interpretativi di norme, in ragione dell’interesse giuridicamente protetto di colui che instaura un rapporto con l’amministrazione.

Sentenza 4 febbraio 2020, n. 909

Data udienza 23 gennaio 2020

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9160 del 2016, proposto dalla s.r.l. Bo. Ar., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Al. Ca., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Viale (…);
contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato En. Mi., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
nei confronti
la s.r.l. Ag. Sv. Pr. pe. le Co. Ro., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;
per la revocazione
della sentenza del Consiglio di Stato – Sez. IV n. 1344/2016, resa tra le parti.
Visti il ricorso in revocazione e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 gennaio 2020 il Cons. Alessandro Verrico e uditi per le parti l’avvocato Al. Ca. e l’avvocato An. Co., su delega dell’avvocato En. Mi.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. In data 9 gennaio 2006 la società Bo. Ar. presentava – nella procedura di cui all’avviso pubblico del 12 settembre 2005 per la concessione di agevolazioni amministrative, nell’ambito del Patto Territoriale “Colline Romane” (attivato con la sottoscrizione del Protocollo d’Intesa del 18 settembre 2001, conformemente a quanto disciplinato dalla delibera CIPE del 21 marzo 1997) – un progetto (denominato “Bo. Ar.”) di realizzazione di un centro sperimentale per lo sviluppo delle culture autoctone e rare con annesso complesso turistico, su area sita nel territorio del Comune di (omissis).
1.1. Detto progetto superava l’esame di fattibilità tecnico-economica ed era stato ammesso “al godimento dei benefici procedurali di Patto” a seguito di ricorso giurisdizionale contro il parere contrario espresso in merito dal soggetto incaricato dell’istruttoria economico-finanziaria.
1.2. Tuttavia, quanto alla verifica tecnica del progetto, della sua realizzabilità e rispondenza alle scelte programmatorie del Comune di appartenenza, vista l’inerzia del Comune di (omissis) nell’adozione degli atti deliberativi di competenza, in data 17 luglio 2007 l’Ag. Sv. Pr. pe. le Co. Ro. s.r.l. (d’ora in poi A.S.P.), soggetto responsabile del predetto Patto Territoriale, sollecitava l’ente comunale “all’adozione degli atti amministrativi di competenza necessari per l’attivazione delle successive fasi di Patto Territoriale”, rinnovando poi il sollecito in data 26 ottobre 2007 e 27 febbraio 2008.
1.3. A seguito di atto di interpello presentato dalla ricorrente il 30 settembre 2008, il Comune, convocato dall’A.S.P. alla conferenza dei servizi pre-decisoria del 25 novembre 2008, in tale sede rappresentava la necessità di integrazione documentale, incombente al quale l’interessata provvedeva in data 15 gennaio 2009.
1.4. Ciò nonostante, il Comune non si presentava alla conferenza di servizi pre-decisoria del 6 agosto 2009, convocata a seguito di atto di interpello notificato dalla ricorrente in data 4 giugno 2009, motivando l’assenza con la mancata pronuncia del Consiglio Comunale “in merito alla realizzabilità dell’intervento ed in merito alla conseguente variante di PRG”.
1.5. La conferenza si concludeva con l’invito rivolto alla Provincia di esaminare nella successiva riunione del tavolo di concertazione la richiesta di attivazione dei poteri sostitutivi previsti dall’art. 7 del Protocollo d’Intesa del 4 novembre 2002.
2. Con il ricorso avanti al T.a.r. per il Lazio, sede di Roma (R.G. n. 7816 del 2009), la s.r.l. Bo. Ar. chiedeva l’annullamento del silenzio-rifiuto sulla diffida notificata dalla società ricorrente in data 4 giugno 2009 per l’adozione degli atti relativi al summenzionato progetto.
2.1. Il T.a.r. del Lazio, sede di Roma, Sezione II-bis, con la sentenza n. 268/2010, accoglieva il ricorso proposto avverso il silenzio serbato dal Comune di (omissis), e, per l’effetto, ordinava allo stesso di adottare i provvedimenti di competenza entro il termine di novanta giorni, provvedendo a nominare commissario ad acta per il caso dell’ulteriore inerzia.
3. Con delibera 16 gennaio 2010 n. 4 il Consiglio comunale di Albano Laziale esprimeva parere positivo di realizzabilità del progetto.
3.1. In sede di tavolo di concertazione, convocato dall’A.S.P. il 21 giugno 2010, le parti davano atto della sentenza T.a.r. del Lazio, Sez. II, 14 gennaio 2010 n. 268, e, tenuto conto della deliberazione C.C. n. 4/2010, stabilivano che il Comune avrebbe dovuto pubblicare la variante e di seguito emettere delibera di controdeduzioni alle osservazioni presentate o attestazione di presa d’atto della mancanza di osservazioni.
3.2. Alla riunione del tavolo di concertazione in data 30 giugno 2010, il rappresentante del Comune chiedeva e otteneva rinvio, mentre alla successiva riunione del 13 dicembre 2010, assente la rappresentanza del Comune, si dava atto dell’inottemperanza a quanto stabilito precedentemente.
4. Con la sentenza 22 maggio 2012, n. 4600, il T.a.r. del Lazio, sede di Roma, Sezione II-bis, in parziale accoglimento del ricorso presentato dalla società Bo. Ar. (R.G. n. 5687/2011), riconosceva la sussistenza dell’obbligo del Comune di (omissis) di concludere il procedimento e all’uopo fissava il termine di centoventi giorni dalla comunicazione della sentenza, riservando la nomina del commissario ad acta sostitutivo nel caso di ulteriore inadempienza.
Il Tribunale respingeva, invece, la domanda risarcitoria, “considerato che i tempi tecnici prevedibili per l’approvazione della variante e l’esecuzione del progetto appaiono escludere pregiudizi colpevoli e giuridicamente rilevanti che traggano origine nell’attuale momento d’inerzia dell’Amministrazione e che potrebbero essere collegati alla messa a regime dell’investimento preventivato”.
5. Con la delibera 3 ottobre 2012, n. 44, il Consiglio comunale di Albano Laziale dava atto che, con delibera C.C. 15 gennaio 2010, n. 4, era stata adottata la variante al piano regolatore generale necessaria per l’esecuzione del progetto della società Bo. Ar. e che, a seguito del compimento delle procedure di pubblicazione e deposito degli atti inerenti la variante, era stata presentata un’osservazione (n. prot. 53176 del 7 dicembre 2011) ritenuta meritevole di accoglimento, provvedendo pertanto ad incaricare il responsabile del Servizio I Settore IV di attivare le procedure consequenziali.
6. Il T.a.r. del Lazio, sede di Roma, Sezione II-bis, dapprima, con l’ordinanza n. 2548 dell’11 marzo 2013, intimava al Comune di provvedere nell’ulteriore termine di sessanta giorni, con riserva di nomina di un commissario ad acta, quindi, con l’ordinanza n. 7649 del 26 luglio 2013, nominava commissario ad acta il dott. Daniele Riera per l’esecuzione della sentenza n. 4600/2012.
6.1. Quest’ultimo, con la deliberazione n. 156 del 26 settembre 2013, deliberava “di concedere al progetto presentato dalla Soc.r.l. Bo. Ar. l’accesso alle agevolazioni amministrative richieste”.
7. Con l’ordinanza n. 4712 del 6 maggio 2014, il T.a.r. del Lazio dichiarava pertanto la chiusura della procedura attivata dinanzi al Comune di (omissis).
8. Nel conseguente giudizio di appello (R.G. n. 6996/2012) avverso la sentenza 22 maggio 2012 n. 4600 del T.a.r. del Lazio, avente ad oggetto la statuizione in merito al rigetto della pretesa risarcitoria per danno da ritardo ed il capo relativo alla compensazione tra le parti delle spese del giudizio, il Consiglio di Stato, Sezione IV, con sentenza n. 1344/2016 depositata in data 6 aprile 2016, respingeva l’appello e compensava tra le parti le spese del giudizio.
8.1. In particolare la Sezione ha escluso che nel caso di specie si configurino a carico dell’Amministrazione gli estremi di una responsabilità suscettibile di risarcimento del danno da ritardo, per l’assenza dell’elemento costitutivo della colpa, in considerazione delle circostanze di fatto che hanno contrassegnato il procedimento di gestione dell’iter amministrativo di definizione del progettato intervento.
Invero, “la cadenza anche temporale degli atti sopra indicati induce ragionevolmente ad escludere che nella specie ci si trovi di fronte ad una condotta del Comune connotata da negligenza o da intenzionale volontà di dilatare i tempi di gestione e definizione di propria competenza della istanza de qua”.
9. Con ricorso in revocazione ex art. 395, primo comma, numeri 4) e 5), c.p.c. e ss. la s.r.l. Bo. Ar. agisce avverso la sentenza n. 1344/2016 del Consiglio di Stato, Sezione IV, depositata in data 6 aprile 2016, chiedendone la riforma per i seguenti motivi, così rubricati:
i) “Violazione art. 395, n. 4, c.p.c. in riferimento all’art. 106 CPA”;
ii) “Violazione art. 395, n. 4, c.p.c. in riferimento all’art. 106 CPA, per omesso esame di uno o più motivi di impugnazione”;
iii) “Violazione art. 395, n. 5, c.p.c. in riferimento all’art. 106 CPA: violazione di giudicato”.
Inoltre, quanto alla fase rescissoria la società, nel richiamare i motivi dell’atto di appello, evidenzia che dall’assenza di contestazione da parte del Comune deriva che devono ritenersi acquisiti in causa tutti gli elementi dedotti in ordine alla sussistenza della responsabilità dell’amministrazione ed alla quantificazione del relativo danno oggetto della domanda risarcitoria.
9.1. Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis), il quale, opponendosi al ricorso, ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità di esso, non essendo configurabile un errore di fatto revocatorio. Nel merito, oltre ad insistere nelle eccezioni preliminari di irricevibilità e di improcedibilità del ricorso di primo grado, il Comune ha rilevato l’insussistenza dei presupposti per il risarcimento del danno da ritardo a fronte dell’intervenuta emanazione di un provvedimento negativo, atteso che:
i) a seguito del citato provvedimento del commissario ad acta, la s.r.l. Bo. Ar., con istanza del 4 ottobre 2013, chiedeva alla A.S.P. la convocazione della conferenza di servizi decisoria con la partecipazione della Regione (come previsto dall’art. 27 della Guida agli adempimenti per i progetti in variante agli strumenti urbanistici);
ii) a fronte dell’inerzia nella convocazione (nonostante l’intervenuto deposito della documentazione integrativa richiesta), la società Bo. Ar. proponeva un ulteriore ricorso per silenzio inadempimento (R.G. n. 8880 del 2014), che veniva accolto dal T.a.r. del Lazio con sentenza n. 620 del 15 gennaio 2015, con cui è stato affermato l’obbligo di provvedere dell’Agenzia sviluppo provincia all’avvio della fase relativa alla convocazione della conferenza di servizi decisoria;
iii) la conferenza di servizi, successivamente convocata per la prima seduta del 20 luglio 2015, si è conclusa il 4 dicembre 2015 con esito negativo all’approvazione del progetto, in relazione al parere non favorevole della Direzione territorio, urbanistica, mobilità e rifiuti della Regione Lazio, basato sulla destinazione agricola dell’area nel p.r.g. del Comune di (omissis) e sulle prescrizioni del P.T.P.R., nonché sulla presenza a 700 metri dall’area oggetto della variante di un impianto di smaltimento di rifiuti;
iv) avverso tali conclusioni della conferenza di servizi è stato proposto ricorso straordinario al Capo dello Stato, poi trasposto per l’opposizione notificata dalla Regione Lazio (RG. 4499/2016), deciso dal T.a.r. Lazio con la sentenza n. 7315/2017 di rigetto del ricorso e della domanda di risarcimento danni;
v) il relativo appello (R.G. n. 6788 del 2017) è stato deciso dal Consiglio di Stato con la sentenza di rigetto n. 4413/2018, anch’essa oggetto di ricorso per revocazione ad oggi pendente (R.G. n. 2015/2019).
Il Comune, infine, deduce il difetto di prova da parte della società ricorrente sia in ordine all’assentibilità del progetto che in merito alla maggiorazione delle spese per una costruzione postuma.
9.2. In data 23 dicembre 2019 la società ricorrente ha depositato una memoria conclusiva e di replica, con cui in particolare ha evidenziato che la fase finale rappresentata dalla conferenza di servizi decisoria esorbita dall’oggetto del presente giudizio e, inter alia, ha precisato che la pretesa al risarcimento del danno da ritardo nella conclusione del procedimento amministrativo è stata formulata anche in termini di indennizzo da mero ritardo di cui all’art. 2-bis, comma 2, l. n. 241 del 1990, introdotto dall’art. 28, d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni nella l. 9 agosto 2013, n. 98, ristoro configurabile per il solo decorso del termine, a prescindere anche dall’elemento della colpa.
10. All’udienza del 23 gennaio 2020 la causa è stata discussa e trattenuta in decisione dal Collegio.
11. Quanto alla fase rescindente, la società ricorrente lamenta che il giudice d’appello – laddove ha sostenuto che “nella specie non si ravvisano a carico dell’Amministrazione gli estremi di una responsabilità suscettibile di risarcimento del danno da ritardo, per l’assenza del decisivo elemento costitutivo della colpa e tanto in ragione delle circostanze di fatto che hanno contrassegnato il procedimento amministrativo di gestione dell’iter amministrativo di definizione del progettato intervento” – avrebbe errato nella percezione esatta della portata sostanziale di tali atti.
Invero, il giudice di appello non avrebbe ravvisato, a causa di un vizio di percezione, i seguenti elementi fattuali di rilevanza determinante:
a) la deliberazione consiliare n. 4 del 15 gennaio 2010, con cui il Comune nell’esprimersi positivamente in ordine al progettato intervento adottava la relativa variante al PRG con prescrizioni, non veniva adottata spontaneamente, ma in esecuzione delle statuizioni di carattere sanzionatorio di cui alla sentenza del T.a.r. del Lazio n. 268/2010;
b) la deliberazione del 21 giugno 2010, con cui il tavolo di concertazione del Patto Territoriale delle Colline Romane prendeva atto delle determinazioni assunte dal Comune, piuttosto che dare atto delle attività svolte dal Comune per compiere il procedimento di Patto in corso dal 2006, riferiva proprio della sentenza già citata (T.a.r. Lazio n. 268/2010);
c) la pubblicazione della variante sulla Gazzetta Ufficiale in data 29 novembre 2011 e successivamente sull’Albo Pretorio del Comune avveniva su ordine della sentenza n. 268/2010 del gennaio del 2010 (quindi circa due anni prima) assegnando un termine di 90 giorni, nonché a seguito di sollecitazione dell’A.S.P. del 13 dicembre 2010 (poi ribadita dalla stessa con un’ulteriore messa in mora);
d) l’osservazione al progetto della società Bo. Ar. presentata dal Settore IV Tecnico del Comune, con la nota del 7 dicembre 2011, veniva firmata dal medesimo tecnico che aveva dato il parere per l’approvazione della variante e, non essendo in grado di rimettere in discussione quanto stabilito in sede di adozione della variante proposta dalla società istante, non aveva alcun seguito;
e) la deliberazione n. 44 del 3 ottobre 2012, con cui il Consiglio comunale si faceva carico di controdedurre alla citata osservazione, era approvata dopo lunghissimo tempo dall’avvio del procedimento (nonché dopo la nomina di un commissario ad acta da parte del T.a.r. Lazio con l’ordinanza n. 7649 del 20 giugno 2013) e non è vero che successivamente l’A.S.P. trasmetteva al Comune una nuova progettazione (avendola trasmessa soltanto prima della deliberazione di adozione della relativa variante, con del. C.C. n. 4/2010);
11.1. In secondo luogo, la società ricorrente, nuovamente con riferimento alla già citata statuizione della sentenza di cui si chiede la revocazione, rileva l’ulteriore vizio revocatorio della mancata pronuncia in ordine al motivo portante del gravame, cioè quello relativo all’an, esposto nell’atto di appello a pag. 13, sub 2, nonché al motivo sub 1 dell’appello, elaborato a pag. 7 del medesimo atto di impugnazione.
Invero, il Consiglio di Stato, nel modificare la motivazione del rigetto della domanda risarcitoria (dall’assenza dei danni all’assenza di elementi di colpa), avrebbe omesso la pronuncia.
11.2. Infine, come terzo motivo di revocazione, la società ricorrente rileva che la pronuncia impugnata disconosce quanto affermato, in ordine alla colpa della P.A., dalla sentenza del T.a.r. Lazio n. 268 del 14 gennaio 2010, resa tra le stesse parti ed avente il medesimo oggetto (il completamento del procedimento di Patto), da tempo passata in giudicato, ossia l’addebito di grave responsabilità, con i connotati anche del dolo laddove il tecnico comunale, se inizialmente dava il proprio assenso al progetto, in seguito esprimeva un radicale ripensamento.
12. I tre motivi di revocazione, che in ragione della stretta connessione tra loro devono avere una trattazione congiunta, risultano inammissibili, risolvendosi nella contestazione della decisione su un punto controverso su cui la sentenza ha espressamente pronunciato.
13. Al riguardo, il Collegio intende primariamente rilevare che – per la pacifica giurisprudenza – l’errore di fatto – idoneo a fondare la domanda di revocazione ai sensi degli artt. 106, c.p.a. e 395 n. 4, c.p.c., – deve rispondere a tre requisiti:
a) derivare da una pura e semplice errata o mancata percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, che abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto fattuale, ritenendo così un fatto documentalmente escluso, ovvero inesistente un fatto documentalmente provato;
b) attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non ha espressamente motivato;
c) essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa.
13.1. Inoltre, l’errore deve apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive od indagini ermeneutiche.
In tale ottica, l’errore di fatto revocatorio è configurabile nell’attività preliminare del giudice, relativa alla lettura ed alla percezione degli atti acquisiti al processo quanto alla loro esistenza ed al loro significato letterale, ma non coinvolge la successiva attività di interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni, ai fini della formazione del convincimento.
14. Nel caso di specie, nella sentenza impugnata non è rilevabile alcuna errata o mancata percezione del contenuto materiale degli atti del giudizio.
Peraltro, la domanda di revocazione prende a riferimento un punto oggetto di specifico contraddittorio nel corso del precedente giudizio, in ordine al quale la decisione ha peraltro motivato in maniera espressa.
14.1. Al riguardo occorre preliminarmente dare atto che la sentenza impugnata afferma testualmente che “nella specie non si ravvisano a carico dell’Amministrazione gli estremi di una responsabilità suscettibile di risarcimento del danno da ritardo, per l’assenza del decisivo elemento costitutivo della colpa e tanto in ragione delle circostanze di fatto che hanno contrassegnato il procedimento amministrativo di gestione dell’iter amministrativo di definizione del progettato intervento.
In effetti l’iter procedurale è stato particolarmente articolato, snodandosi in varie fasi così contraddistinte:
a) con deliberazione consiliare n. 4 del 15/1/2010 il Comune nell’esprimersi positivamente in ordine al progettato intervento ha adottato la relativa variante al PRG con prescrizioni;
b) con deliberazione del 21/6/2010 il Tavolo di Concertazione del Patto Territoriale delle Colline Romane prendeva atto delle determinazioni assunte dal Comune;
c) la predetta variante veniva pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 29/11/2011 e successivamente all’Albo Pretorio del Comune;
d) in ordine al progetto di Bo. Ar. con nota del 7/12/2011 il Settore IV Tecnico del Comune presentava una articolata osservazione circa le problematiche di ordine urbanisitico- edilizio connesse all’insediamento oggetto dell’adottata variante;
e) il Consiglio Comunale con deliberazione n. 44 del 3/10/2012 si faceva carico di controdedurre alla osservazione presentata e tale delibera era poi trasmessa con nota prot. n. 57539 del 27/12/2012 all’Agenzia Sviluppo Provincia Colline Romane.
L’Asp. a sua volta ha inoltrato al Comune nuova progettazione con l’inserimento di correzioni e l’Amministrazione comunale ha preso atto delle predette correzioni con determinazione dirigenziale n. 477 del 6/6/2013 poi trasmessa per il prosieguo all’Agenzia Sviluppo Provincia in data 11/6/2013.
Infine, in attuazione dell’ordinanza Tar Lazio n. 7649/2013 il Commissario ad acta con determinazione n. 156 del 26/9/2013 disponeva di concedere al progetto presentato dalla srl Bo. Ar. l’accesso alle agevolazioni amministrative richieste dalla istante”.
14.2. Ciò premesso, il Collegio rileva che i vizi revocatori sollevati dalla società ricorrente si sostanziano in una errata percezione – da parte del giudice d’appello – dell’elemento psicologico dell’amministrazione, alla luce delle statuizioni giurisdizionali emesse sulla vicenda in precedenza alla impugnata sentenza (e passate in giudicato). Gli stessi vizi risulterebbero pertanto ammissibili esclusivamente nei limiti in cui tali sentenze avessero affermato chiaramente la responsabilità dell’Amministrazione nell’essere rimasta inerte nell’adozione degli atti richiesti.
14.3. Al riguardo, il Collegio, passando in rassegna le statuizioni intervenute nell’iter procedimentale rilevanti a tal fine, deve per converso osservare che:
a) il T.a.r. Lazio, con la sentenza n. 268/2010, nell’accogliere il ricorso avverso il silenzio del Comune, affermava che: “il contegno omissivo del Comune, rimasto del tutto ingiustificato, è illegittimo in quanto si pone in stridente contrasto con gli impegni da questo assunti in sede di programmazione negoziata nei confronti delle controparti con la sottoscrizione del Protocollo d’Intesa del 18.09.2001, del Protocollo d’Intesa dell’11.02.2002 relativo al Progetto Generale di Sviluppo delle Colline Romane e l’approvazione del Programma di Sviluppo Integrato delle Colline Romane, nel cui ambito si inserisce l’Avviso per la concessione dei benefici per l’anno 2005, nonché con le specifiche previsioni da questo dettate all’art. 1.
La norma stabilisce, infatti, che: “Ciascun Comune, entro 60 giorni dalla consegna della documentazione progettuale da parte “dell’ASP, provvede all’istruttoria dei progetti localizzati nel proprio territorio…”. Inoltre “nella fattispecie in esame, il Comune, unico responsabile dell’istruttoria tecnica, anziché procedere alle verifiche sopra indicate, si è limitato, peraltro a notevole distanza di tempo rispetto alla presentazione del progetto da parte della ricorrente, e ben oltre il termine di 60 giorni prescritto dall’art. 17 in parola, a richiedere all’interessata integrazioni documentali, da questa tempestivamente fornite, senza tuttavia proseguire ulteriormente l’iter dell’istruttoria, come avrebbe dovuto, in virtù delle previsioni dell’avviso sopra riportate (e degli impegni assunti nei confronti degli altri soggetti partecipanti al Patto territoriale), impedendo in tale modo le successive fasi di valutazione del progetto, e violando il generale principio di doverosa conclusione del procedimento sancito dall’art. 2 della legge n. 241/90, oltre che dell’ancor più elementare esigenza di correttezza e buona fede”;
b) il T.a.r. del Lazio, con la sentenza n. 4600/2012, statuiva che: “il Comune è tenuto a concludere il procedimento con una risposta definitiva all’istanza di Bo. Ar., previa conclusione della procedura utile a far acquisire efficacia alla variante urbanistica preliminare all’esecuzione del progetto medesimo, in ordine alla quale l’Ag. Sv. Pr. pe. le Co. Ro., competente alla gestione delle iniziative da realizzare nell’area, ha inoltrato sollecito all’Amministrazione comunale in data 30.1.2012”, senza tuttavia nulla specificare in ordine ai tratti caratterizzanti l’eventuale responsabilità del Comune.
Anzi, al riguardo, il T.a.r. affermava in senso contrario che “non può essere accolta, invece, la domanda risarcitoria, considerato che i tempi tecnici prevedibili per l’approvazione della variante e l’esecuzione del progetto appaiono escludere pregiudizi colpevoli e giuridicamente rilevanti che traggano origine nell’attuale momento d’inerzia dell’Amministrazione e che potrebbero essere collegati alla messa a regime dell’investimento preventivato”;
c) peraltro, il T.a.r. del Lazio, sede di Roma, Sezione II-bis, con l’ordinanza n. 2548 dell’11 marzo 2013, rilevava, inter alia, che “l’Amministrazione si è attivata per concludere il procedimento e considerata la complessità in fattispecie dell’azione amministrativa”.
14.4. L’esame di tali statuizioni conduce a rilevare come più volte il Tribunale amministrativo si sia limitato a sottolineare la mera inerzia del Comune nel non aver rispettato i termini di legge per provvedere, senza nulla evidenziare in ordine ai presupposti per l’eventuale affermazione di una responsabilità dell’Amministrazione per i danni derivanti dal proprio ritardo. In senso contrario, come visto, si rilevano invece elementi descrittivi che potrebbero far deporre per ritenere che l’azione amministrativa da esercitare nella fattispecie sia caratterizzata da un certo grado di complessità (cfr. T.a.r. del Lazio – Roma, Sez. II-bis, ord. n. 2548/2013), tale da escludere i profili della colpa.
14.5. Invero, ai fini dell’accertamento della responsabilità, il Collegio condivide il costante orientamento giurisprudenziale (da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 7 novembre 2019, n. 7602; id., 17 maggio 2019, n. 3191; id., sez. III, 8 maggio 2018, n. 2724), dal quale non ravvisa motivo per discostarsi, secondo cui la responsabilità risarcitoria non può prescindere dalla ravvisabilità (quantomeno) della colpa in capo all’Amministrazione.
Invero, ai fini del riconoscimento della spettanza del risarcimento dei danni, l’illegittimità del provvedimento amministrativo di per sé non può fare riscontrare la colpevolezza-rimproverabilità dell’Amministrazione, rilevando invece altri elementi, quali il grado di chiarezza della normativa applicabile, la semplicità degli elementi di fatto, il carattere vincolato della statuizione amministrativa, l’ambito più o meno ampio della discrezionalità dell’amministrazione; con specifico riferimento all’elemento psicologico la colpa della pubblica amministrazione viene individuata non nella mera violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ma quando vi siano state inescusabili gravi negligenze od omissioni, oppure gravi errori interpretativi di norme, in ragione dell’interesse giuridicamente protetto di colui che instaura un rapporto con l’amministrazione.
Pertanto, la responsabilità deve essere negata quando l’indagine conduce al riconoscimento dell’errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. III, 6 settembre 2018, n. 5228).
14.6. Peraltro, tali coordinate ermeneutiche di carattere generale trovano pedissequa applicazione nell’ipotesi, rilevante nel caso in esame, di risarcimento del danno da ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento amministrativo, in quanto, sebbene l’art. 2-bis l. n. 241 del 1990 rafforzi la tutela risarcitoria del privato nei confronti della pubblica amministrazione, la domanda deve essere comunque ricondotta ai principi generali in materia di responsabilità amministrativa per l’identificazione dei suoi elementi costitutivi (Cons. Stato, Sez. V, 22 settembre 2016, n. 3920; Sez. VI, 5 maggio 2016, n. 1768; Sez. V, 9 marzo 2015, n. 1182; Sez. IV, 22 maggio 2014, n. 2638).
Ne consegue che, in questi casi, la valutazione dell’elemento psicologico non può essere basata soltanto sul dato oggettivo del procrastinarsi del procedimento amministrativo, pur potendo questo costituire un indice significativo, necessitando della dimostrazione che la p.a. sia incorsa in un comportamento doloso o negligente, in inescusabile contrasto con i canoni di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa (Cons. Stato, Sez. II, 24 luglio 2019, n. 5219; Sez. V, 18 giugno 2018, n. 3730; Sez. IV, 4 settembre 2013, n. 4452; ).
14.7. Ciò considerato, ritiene il Collegio che nelle summenzionate sentenze non emerge la descrizione dei presupposti atti a configurare un colpevole ritardo dell’Amministrazione, essendosi il Tribunale più volte pronunciato esclusivamente in merito alla ingiustificata o illegittima inerzia dell’Amministrazione ovvero al ritardato esercizio della funzione amministrativa, elementi come visto di per sé inidonei a ritenere integra la colpa dell’Amministrazione.
15. Per completezza, il Collegio rileva che l’A.S.P., alla luce del verbale del tavolo di concertazione del 21 giugno 2010 e della mancata contestazione dal Comune di (omissis), ha trasmesso un progetto rivisitato dalla proponente prima della deliberazione di adozione della relativa variante (del. C.C. n. 4/2010).
15.1. Ad ogni modo, nell’ottica della decisione in ordine alla sussistenza della colpa nella condotta dell’Amministrazione comunale rilevante ai fini dell’affermazione della responsabilità da ritardo, tale errore non riveste, alla luce del quadro complessivo degli elementi richiamati, carattere determinante ai fini della revocazione della sentenza ex art. 395, c. 1, n. 4, c.p.c.
16. Conclusivamente, il ricorso per revocazione è inammissibile, non sussistendo le condizioni previste dal combinato disposto degli artt. 106 e segg. c.p.a. e 395, nn. 4) e 5) c.p.c., in linea con la giurisprudenza del Consiglio di Stato in tema di presupposti per la revocazione (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. V, 2 marzo 2018, n. 1297).
17. Le spese della presente fase del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione R.G. n. 9160/2016, dichiara inammissibile la domanda di revocazione.
Condanna la società ricorrente al pagamento in favore del Comune di (omissis) delle spese della presente fase del giudizio, nella misura di euro 12.000,00 (dodicimila/00), oltre accessori di legge se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 23 gennaio 2020, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Leonardo Spagnoletti – Consigliere
Daniela Di Carlo – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Per aprire la pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *