Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|11 gennaio 2023| n. 509.
Il Trattamento Sanitario Obbligatorio
Il Trattamento Sanitario Obbligatorio è un evento terapeutico straordinario, finalizzato alla tutela della salute mentale del paziente, che può essere legittimamente disposto solo dopo aver esperito ogni iniziativa concretamente possibile, sia pur compatibilmente con le condizioni cliniche, di volta in volta accertate e certificate, in cui versa il paziente – ed ove queste lo consentano – per ottenere il consenso del paziente ad un trattamento volontario. Si può intervenire con un trattamento sanitario obbligatorio anche a prescindere dal consenso del paziente se sono contemporaneamente presenti tre condizioni: a) l’esistenza di alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici; b) la mancata accettazione da parte dell’infermo degli interventi terapeutici proposti; c) l’esistenza di condizioni e circostanze che non consentano di adottare tempestive e idonee misure sanitarie extra-ospedaliere.
Ordinanza|11 gennaio 2023| n. 509. Il Trattamento Sanitario Obbligatorio
Data udienza 4 ottobre 2022
Integrale
Tag/parola chiave: Trattamento sanitario obbligatorio – Assenza del consenso – Sussistenza di tre condizioni – Alterazioni psichiche tali da richiedere interventi urgenti, mancata accettazione terapie e non possibilità di misure extra ospedaliere
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere
Dott. PORRECA Paolo – Consigliere
Dott. GORGONI Marilena – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25787/2018 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS) presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
Ministero Dell’interno in persona del Ministro pro tempore, domiciliato ex lege in Roma Via Dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale Dello Stato da cui e’ difeso per legge;
-controricorrente –
nonche’ contro
Azienda Sanitaria Universitaria Integrata Di (OMISSIS) in persona del Legale Rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS) presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 214/2018 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 19/05/2018.
Il Trattamento Sanitario Obbligatorio
Rilevato che
1.Primo giudizio. Il signor (OMISSIS) conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Trieste, l’A.S.S n. (OMISSIS) e il Ministero dell’Interno, per sentirli condannare al risarcimento dei danni subiti per essere stato sottoposto ad un Trattamento sanitario obbligatorio.
L’attore deduceva che il l’11 settembre 2001 si era recato presso il Centro di Salute Mentale di (OMISSIS) per ritirare copia di una propria cartella clinica. In tale occasione, veniva trattenuto presso i locali della struttura, anche mediante l’ausilio della forza pubblica, per la sottoposizione ad un trattamento sanitario obbligatorio. Tale trattamento, proposto dalla dottoressa (OMISSIS) e convalidato dalla dottoressa (OMISSIS), era stato ordinato dal Sindaco del Comune di (OMISSIS) nella sua qualita’ di Ufficiale di Governo, e il relativo provvedimento era stato convalidato, in data 13 settembre 2001, dal giudice tutelare di (OMISSIS).
Il trattamento sanitario obbligatorio si era reso necessario in conseguenza della manifestazione, da parte del signor (OMISSIS), di un disturbo delirante cronico in fase di scompenso, nonostante il ricorrente non avesse inizialmente accettato gli interventi terapeutici proposti. Peraltro, dopo 16 giorni di trattamento, in data 27 settembre 2001, il paziente dichiarava di accettare volontariamente la prosecuzione dei trattamenti terapeutici.
Il Tribunale di Udine, dichiarato il difetto di legittimazione nei confronti del Comune di (OMISSIS), respinse la domanda proposta nei confronti dell’A.S.S. n. (OMISSIS).
1.2. Secondo giudizio. A distanza di 10 anni circa dall’evento, sono stati convenuti in giudizio per il risarcimento dei danni derivanti da responsabilita’ contrattuale, sempre innanzi al Tribunale di Trieste e per i medesimi fatti, l’A.S.S. n. (OMISSIS) e il Ministero dell’Interno.
Il Tribunale di Trieste, con la sentenza n. 655/2016, rigetto’ la domanda proposta nei confronti del Ministero dell’Interno ritenendo impredicabile, nella specie, qualsiasi ipotesi di contatto sociale che giustificasse la proposizione di una richiesta risarcitoria a titolo di responsabilita’ contrattuale; quanto alla posizione dell’azienda Sanitaria Universitaria Integrata di (OMISSIS), ritenuto, per converso, configurabile la fattispecie del contatto sociale tra paziente e Struttura, la domanda fu respinta nel merito per difetto di prova.
2. Avverso tale sentenza il (OMISSIS) ha proposto appello, insistendo sulle argomentazioni gia’ dedotte in primo grado e dolendosi che il Tribunale avesse rigettato la domanda di danno da mancato consenso informato perche’ non proposta in primo grado. Il Ministero dell’Interno si e’ costituito reiterando l’eccezione di difetto di legittimazione passiva atteso che, ai sensi della L. 23 dicembre 1978 numero 833 articolo 33 comma 3, i trattamenti sanitari obbligatori sono disposti con provvedimento del Sindaco nella sua qualita’ di Autorita’ Sanitaria, su proposta motivata di un medico, con conseguente legittimazione passiva esclusiva del Servizio Sanitario.
2.1. La Corte d’appello, rilevata la tardivita’ della domanda sul danno da mancanza del consenso informato, ha respinto nel merito l’impugnazione, ritenendo assorbita ogni altra questione sollevata dal Ministero in tema di contatto sociale.
3. Avverso tale sentenza (OMISSIS) propone ricorso sulla base di due motivi.
4. Resistono con controricorso il Ministero dell’Interno e l’Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di (OMISSIS).
Considerato che:
4.1. Con il primo motivo di ricorso, parte ricorrente lamenta “la violazione dell’articolo 163 c.p.c. in relazione all’articolo 360 n. 3 del c.p.c. per avere il giudice d’appello errato nel ritenere tardiva la richiesta risarcitoria relativa al difetto di consenso informato”.
4.2. Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta “la violazione dell’articolo 2697 c.c. in relazione all’articolo 360 n. 3 del c.p.c. per avere il giudice d’appello errato nel ritenere genericamente evocato il danno, come tale non riscontrabile in re ipso”.
5. Il ricorso pone, preliminarmente, una questione di ammissibilita’ per violazione dell’articolo 366 n. 3 c.p.c., in quanto l’esposizione del fatto in esso contenuta non risulta del tutto conforme ai criteri normativamente richiesti, per come interpretati dalla giurisprudenza di questa Corte.
La esposizione sommaria dei fatti, prescritta a pena di inammissibilita’ del ricorso per cassazione dall’articolo 366, comma 1 n. 3, c.p.c., e considerata dalla norma come uno specifico requisito di contenuto-forma del ricorso, deve consistere, infatti, in una rappresentazione, sintetica ma esaustiva, funzionale a consentire alla Corte di cassazione una chiara e completa cognizione tanto del fatto sostanziale che ha originato la controversia, quanto di quello processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass. sez. un. 11653 del 2006). La prescrizione del requisito in parola non risponde ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass. sez. un. 2602 del 2003).
Il ricorso, nell’esposizione del fatto, si pone ai limiti dell’ammissibilita’, sub specie del rispetto di tali contenuti.
5.1. Procedendo, purtuttavia, allo scrutino nel merito dei due motivi di ricorso, entrambi risultano infondati per le ragioni che seguono.
Questa Corte, con la sentenza n. 7248/2018 – successivamente confermata, tra le altre, dalle pronunce n. 28985/2019, n. 9706/2020 e n. 24471/2020 – ha affermato i seguenti principi (cui il collegio intende dare seguito) in tema di consenso informato: 1) la manifestazione del consenso del paziente alla prestazione sanitaria costituisce esercizio del diritto fondamentale all’autodeterminazione in ordine al trattamento medico propostogli e, in quanto diritto autonomo e distinto dal diritto alla salute, trova fondamento diretto nei principi degli articoli 2, 13 e 32, comma 2, Cost.; 2) sebbene l’inadempimento dell’obbligo di acquisire il consenso informato del paziente sia autonomo rispetto a quello inerente al trattamento terapeutico (comportando la violazione dei distinti diritti alla liberta’ di autodeterminazione e alla salute), in ragione dell’unitarieta’ del rapporto giuridico tra medico e paziente – che si articola in plurime obbligazioni tra loro connesse e strumentali al perseguimento della cura o del risanamento del soggetto – non puo’ affermarsi una assoluta autonomia dei due illeciti tale da escludere ogni interferenza tra gli stessi nella produzione del medesimo danno; e’ possibile, invece, che anche l’inadempimento dell’obbligazione relativa alla corretta informazione sui rischi e benefici della terapia si inserisca tra i fattori “concorrenti” della serie causale determinativa del pregiudizio alla salute, dovendo quindi riconoscersi all’omissione del medico una astratta capacita’ plurioffensiva, potenzialmente idonea a ledere due diversi interessi sostanziali, entrambi suscettibili di risarcimento qualora sia fornita la prova che dalla lesione di ciascuno di essi siano derivate specifiche conseguenze dannose; 3) qualora venga allegato e provato, come conseguenza della mancata acquisizione del consenso informato, unicamente un danno biologico, ai fini dell’individuazione della causa “immediata” e “diretta” (ex articolo 1223 c.c.) di tale danno-conseguenza, occorre accertare, mediante giudizio contro fattuale, quale sarebbe stata la scelta del paziente ove correttamente informato, atteso che, se egli avesse comunque prestato senza riserve il consenso a quel tipo di intervento, la conseguenza dannosa si sarebbe dovuta imputare esclusivamente alla lesione del diritto alla salute, se determinata dalla errata esecuzione della prestazione professionale; mentre, se egli avrebbe negato il consenso, il danno biologico scaturente dalla inesatta esecuzione della prestazione sanitaria sarebbe riferibile “ab origine” alla violazione dell’obbligo informativo, e concorrerebbe, unitamente all’errore relativo alla prestazione sanitaria, alla sequenza causale produttiva della lesione della salute quale danno-conseguenza; 4) le conseguenze dannose che derivino, secondo un nesso di regolarita’ causale, dalla lesione del diritto all’autodeterminazione, verificatasi in seguito ad un atto terapeutico eseguito senza la preventiva informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli, e dunque senza un consenso legittimamente prestato, devono essere debitamente allegate dal paziente, sul quale grava l’onere di provare il fatto positivo del rifiuto che egli avrebbe opposto al medico, tenuto conto che il presupposto della domanda risarcitoria e’ costituito dalla sua scelta soggettiva (criterio della cd. vicinanza della prova), essendo il discostamento dalle indicazioni terapeutiche del medico eventualita’ non rientrante nell’id quod plerumque accidit (Cass. 2847/2010 e successive conformi): al riguardo, la prova puo’ essere fornita con ogni mezzo, ivi compresi il notorio, le massime di esperienza e le presunzioni, non essendo configurabile, nell’attuale sistema della responsabilita’ civile, un danno risarcibile in re ipsa – nella specie, derivante esclusivamente dall’omessa informazione.
Pertanto, i confini entro cui ci si deve muovere ai fini del risarcimento in tema di consenso informato, con riferimento al caso di specie, sono i seguenti: a) nell’ipotesi di omessa o insufficiente informazione riguardante un intervento che non abbia cagionato danno alla salute del paziente e al quale egli avrebbe comunque scelto di sottoporsi, nessun risarcimento sara’ dovuto; b) nell’ipotesi di omissione o inadeguatezza informativa che non abbia cagionato danno alla salute del paziente ma che gli ha impedito tuttavia di accedere a piu’ accurati e attendibili accertamenti, il danno da lesione del diritto, costituzionalmente tutelato, all’autodeterminazione sara’ risarcibile qualora il paziente alleghi che dalla omessa informazione siano comunque derivate conseguenze dannose, di natura non patrimoniale, in termini di sofferenza soggettiva e di contrazione della liberta’ di disporre di se’, in termini psichici e fisici.
In termini sostanzialmente analoghi si e’ sottolineato che “il diritto al consenso informato del paziente, in quanto diritto irretrattabile della persona, va comunque e sempre rispettato dal sanitario, a meno che non ricorrano casi di urgenza” (purche’ questi si profilino, comunque, “a seguito di un intervento concordato e programmato, per il quale sia stato richiesto ed ottenuto il consenso”, e siano inoltre “tali da porre in gravissimo pericolo la vita della persona”), ovvero che non “si tratti di trattamento sanitario obbligatorio”.
5.2. Osserva il collegio come l’ospedalizzazione in regime di trattamento sanitario obbligatorio (TSO) per un disturbo mentale costituisce un evento intriso di problematicita’, essendo associata ad una presumibile condizione di incapacita’ del paziente a prestare un valido consenso. Nonostante, dal punto di vista normativo, un paziente sia considerato, secondo una visione dicotomica, capace oppure incapace, la realta’ clinica suggerisce che possano esistere degli spazi di autonomia e liberta’ decisionale residui anche in pazienti sottoposti a TSO.
Un approccio di tipo multidimensionale, basato sulla valutazione, nel singolo paziente, della capacita’ a prestare consenso (menta’ capaciffi, costituisce un possibile terreno sul quale ricostruire, all’interno della relazione medico-paziente, un percorso di ripristino della capacita’ di prestare consenso alle cure.
Esistono tuttavia alcune condizioni nelle quali si puo’ prescindere dal consenso del paziente e tra queste, appunto, ci sono le quelle previste dagli articoli 34 e 35 della Legge 833/78 sui Trattamenti Sanitari Obbligatori.
Il Trattamento Sanitario Obbligatorio per malattia mentale prevede che le cure vengano prestate in condizioni di degenza ospedaliera solamente se sono contemporaneamente presenti tre condizioni:
a) l’esistenza di alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici;
b) la mancata accettazione da parte dell’infermo degli interventi di cui sopra;
c) l’esistenza di condizioni e circostanze che non consentano di adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extra-ospedaliere.
Il Trattamento Sanitario Obbligatorio e’, pertanto, un evento straordinario – finalizzato alla tutela della salute mentale del paziente che non deve essere considerate una misura di difesa sociale, che deve essere attivato solo dopo aver ricercato, con ogni iniziativa possibile, il consenso del paziente ad un intervento volontario, e che richiede una specifica procedura, attivata da parte di un medico che verifica e certifica l’esistenza:
– dell’avvenuta convalida della proposta da parte di un altro medico, dipendente pubblico, generalmente specialista in psichiatria;
– dell’emanazione da parte del Sindaco dell’ordinanza esecutiva (entro 48 ore);
– della notifica al Giudice Tutelare (entro 48 ore), che provvede a convalidare o meno il provvedimento, comunicandolo al Sindaco.
La durata del provvedimento e’ di 7 giorni, con possibilita’ di proroga se persistono le tre condizioni necessarie (da comunicare al Sindaco ed al Giudice Tutelare) o di cessazione se anche solo una delle condizioni viene meno (da comunicare al Sindaco ed al Giudice Tutelare).
5.3. Sulla base di tali presupposti procedurali, il principio di diritto da enunciare con riferimento al caso di specie e’, pertanto, il seguente:
Il Trattamento Sanitario Obbligatorio e’ un evento terapeutico straordinario, finalizzato alla tutela della salute mentale del paziente, che puo’ essere legittimamente disposto solo dopo aver esperito ogni iniziativa concretamente possibile, sia pur compatibilmente con le condizioni cliniche, di volta in volta accertate e certificate, in cui versa il paziente – ed ove queste lo consentano – per ottenere il consenso del paziente ad un trattamento volontario.
Si puo’ intervenire con un trattamento sanitario obbligatorio anche a
prescindere dal consenso del paziente se
sono contemporaneamente presenti tre condizioni:
a) l’esistenza di alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici;
b) la mancata accettazione da parte dell’infermo degli interventi terapeutici proposti;
c) l’esistenza di condizioni e circostanze che non consentano di adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extra-ospedaliere.
Nel caso di specie, era stato attivato il TSO al signor (OMISSIS), affetto da un disturbo delirante cronico in fase di scompenso, dopo che egli aveva ripetutamente rifiutato gli interventi terapeutici proposti, nella comprovata sussistenza dei tre presupposti poc’anzi indicati. Il paziente, inoltre, veniva trattenuto presso i locali della struttura ove si era recato in ragione della sua condizione psichica; il provvedimento di trattenimento veniva proposto dalla dottoressa (OMISSIS) e convalidato dalla dottoressa (OMISSIS); il trattamento veniva ordinato dal Sindaco del Comune di (OMISSIS) nella sua qualita’ di Ufficiale di Governo; tale provvedimento veniva successivamente convalidato dal giudice Tutelare di (OMISSIS).
6. Il ricorso va pertanto rigettato
6.1. Le spese del giudizio di legittimita’ seguono la soccombenza.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimita’ in favore di ciascun controricorrente che liquida in complessivi Euro 3.200, oltre Euro 200 per esborsi, accessori di legge e spese generali; per il Ministero dell’Interno spese prenotate a debito.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dall’articolo 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, da’ atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale ammesso al gratuito patrocinio, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis del citato articolo 13.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Le sentenze sono di pubblico dominio.
La diffusione dei provvedimenti giurisdizionali “costituisce fonte preziosa per lo studio e l’accrescimento della cultura giuridica e strumento indispensabile di controllo da parte dei cittadini dell’esercizio del potere giurisdizionale”.
Benchè le linee guida in materia di trattamento di dati personali nella riproduzione di provvedimenti giurisdizionali per finalità di informazione giuridica non richiedano espressamente l’anonimizzazione sistematica di tutti i provvedimenti, e solo quando espressamente le sentenze lo prevedono, si possono segnalare anomalie, richiedere oscuramenti e rimozioni, suggerire nuove funzionalità tramite l’indirizzo e-mail info@studiodisa.it, e, si provvederà immediatamente alla rimozione dei dati sensibili se per mero errore non sono stati automaticamente oscurati.
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