Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 3 giugno 2020, n. 3483.
La massima estrapolata:
Il titolare di una concessione di costruzione che, con atto d’obbligo, abbia limitato lo scomputo degli oneri di urbanizzazione alle sole opere di urbanizzazione primaria non può successivamente, alterando ingiustificatamente, mediante l’iniziativa unilaterale, le basi stesse del consenso, chiedere di non essere assoggettato ad alcun onere di urbanizzazione perché il valore delle opere eseguite ha ecceduto quello cumulato degli oneri di urbanizzazione (primaria e secondaria) precedentemente determinati dal Comune.
Sentenza 3 giugno 2020, n. 3483
Data udienza 26 maggio 2020
Tag – parola chiave: Interventi edilizi – Concessione di costruzione – Oneri di urbanizzazione – Scomputo degli oneri di urbanizzazione alle sole opere di urbanizzazione primaria – Atto d’obbligo – Alterazione delle basi del consenso – Non è ammessa
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6024 del 2010, proposto dalla Società Gi. Sc. a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pa. Bo., Fe. Ca. e Al. Pe., elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avvocato Al. Pe. in Roma, via (…),
contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco in carica pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ma. Be., elettivamente domiciliato presso lo studio degli avvocati Gr. e As. S. r. l. in Roma, corso (…),
per la riforma
della sentenza in forma semplificata del T.a.r. per la Lombardia, sede di Milano, Sezione II, n. 482 del 1° marzo 2010, resa inter partes, concernente gli oneri di urbanizzazione per la edificazione di edifici residenziali nell’ambito di un piano di lottizzazione.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 84, comma 5, del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 maggio 2020, svoltasi con modalità telematica ai sensi del d.l. 17 marzo 2020 n. 18, il consigliere Giovanni Sabbato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso n. 161/2010, proposto innanzi al T.a.r. per la Lombardia, sede di Milano, la Società Gi. Sc. a r.l. (di seguito la società ) aveva chiesto quanto segue:
a) l’annullamento delle note comunali del 14 ottobre 2009 (prot. n. 18388) e del 6 dicembre 2007 (prot. n. 22455), recanti invito e diffida al pagamento degli oneri di urbanizzazione secondaria previsti dall’art. 6 della convenzione urbanistica, stipulata il 29 settembre 1998 per l’attuazione di un piano di lottizzazione d’ufficio in località (omissis) “C1”;
b) l’accertamento dell’insussistenza della pretesa creditoria del Comune e la declaratoria che nulla è dovuto dalla ricorrente a titolo di oneri di urbanizzazione secondaria;
c) la condanna del Comune al risarcimento del danno derivante dall’asserito inadempimento di obbligazioni derivanti dall’approvazione del P.L.U. (Piano di Lottizzazione d’Ufficio) in località (omissis).
2. A sostegno dell’azione così articolata la società aveva dedotto, tra l’altro, di avere eseguito opere di urbanizzazione non di propria competenza, così come previste dalle due convenzioni di lottizzazione stipulate, sulla base della volontà dell’Amministrazione comunale espressa attraverso due missive con le quali chiedeva l’esecuzione di opere aggiuntive quali il ponte su una roggia e le opere di modifica del tracciato e allacciamento dell’Acquedotto della Brianza.
3. Costituitasi l’Amministrazione comunale resistendo, il Tribunale adì to Sezione II, ritenuti sussistenti i presupposti per la decisione della controversia in forma semplificata, ha così deciso il gravame al suo esame:
– ha respinto il ricorso, reputando infondate tutte le censure articolate;
– ha respinto, di conserva, anche la domanda risarcitoria;
– ha condannato la società alla rifusione delle spese di causa (Euro 3.000,00 oltre IVA e CPA).
4. In particolare, il Tribunale ha ritenuto che:
– “un diritto allo scomputo, per l’esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione, è configurabile non in modo indiscriminato, ma nella misura e “con le modalità ” stabilite dal Comune in via unilaterale (in sede di rilascio della concessione, ora permesso di costruire), ovvero concordate tra le parti (in sede di stipula della convenzione urbanistica)”;
– “Nessuna clausola convenzionale contempla la scomputabilità incrociata delle opere di urbanizzazione primaria realizzate direttamente con gli oneri di urbanizzazione secondaria”;
– “le note 9 dicembre 2004 e 12 maggio 2005 non esprimono alcuna volontà del Comune di alterare il sistema derivante dagli artt. 5 e 6 della convenzione”;
– “Va inoltre considerato – e ciò priva di fondamento anche la domanda risarcitoria – che dal ricorso non è dato evincere quali opere di urbanizzazione primaria, che già non fossero di sua competenza, la ricorrente (o la sua dante causa) avrebbero realizzato in luogo del Comune”.
5. Avverso tale pronuncia la società ha interposto appello, notificato il 12 giugno 2010 e depositato il 3 luglio 2010, lamentando, attraverso due motivi di gravame (pagine 14-26), quanto di seguito sintetizzato:
I) il Tribunale avrebbe violato la normativa processuale che fissa i presupposti per la decisione della causa in forma semplificata avendo preso atto, nel corpo della motivazione, dell’incompletezza dell’istruttoria;
II) il Tribunale non avrebbe considerato che la normativa in materia fonda il diritto del concessionario allo scomputo delle opere infrastrutturali direttamente eseguite a prescindere dall’accordo con il Comune, che peraltro ben poteva intervenire anche dopo la stipula della convenzione, tant’è che, attraverso un comportamento concludente, non richiedeva il pagamento degli oneri di urbanizzazione al momento del riscontro della d.i.a. presentata per la realizzazione di una palazzina.
6. L’appellante ha concluso chiedendo, in riforma dell’impugnata sentenza, l’accoglimento del ricorso di primo grado.
7. In data 22 luglio 2010, il Comune di (omissis) si è costituito con memoria, al fine di chiedere il rigetto del gravame evidenziando, tra l’altro, che le lettere comunali del 9 dicembre 2004 e del 12 maggio 2005 non rifletterebbero alcuna volontà del Comune di alterare gli equilibri delle rispettive prestazioni secondo gli articoli 5-6 della convenzione.
8. In vista della trattazione nel merito del ricorso le parti non hanno svolto difese scritte.
9. La causa, chiamata per la discussione alla pubblica udienza svoltasi con modalità telematica del 26 maggio 2020, è stata ivi trattenuta in decisione.
10. Il Collegio ritiene che l’appello sia infondato e sia pertanto da respingere.
10.1 Priva di pregio è la prima censura, atteso che non può costituire motivo di appello la scelta del giudice di primo grado di pronunciare con uno od un altro dei tipi di sentenza previsti dall’ordinamento processuale e, quindi, anche con sentenza in forma semplificata, potendo solo essere censurata la motivazione che sorregge la pronuncia, quanto a congruità e correttezza. Se una sentenza è resa in forma semplificata (con ciò supponendosi una più stringata motivazione in relazione all’esame e decisioni assunte sui motivi di ricorso), ciò rileva non sul piano formale, poiché è irrilevante la qualificazione testuale dell’atto del giudice, bensì sul piano sostanziale, e cioè in ordine alla concreta sussistenza dei presupposti, quali la completezza di istruttoria e di contradditorio, nonché l’adeguatezza della motivazione; il che comporta la proposizione, in sede d’impugnazione, di un motivo che impinge il merito della decisione assunta dal primo giudice, e non già di una censura meramente formale (Cons. Stato, sez. IV, 20 novembre 2012, n. 5879).
In altri termini, nel processo d’appello la censura con la quale si denuncia la carenza dei presupposti per la definizione del giudizio di primo grado con sentenza in forma semplificata all’esito della camera di consiglio fissata dal T.a.r. per la trattazione dell’incidente cautelare, oltre ad essere inammissibile se le parti – espressamente informate dell’intenzione del collegio giudicante di definire immediatamente nel merito la causa – nulla hanno obiettato, è anche infondata nel merito, atteso che la doglianza si sostanzia in una censura di difetto di motivazione della sentenza impugnata, che non rileva nel giudizio di secondo grado, giacché l’effetto devolutivo di quest’ultimo consente al giudice di appello di provvedere, eventualmente integrando la motivazione mancante (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 19 marzo 2018, n. 1723).
10.2 Infondato è anche il secondo motivo d’appello, col quale si afferma il diritto allo scomputo degli oneri di urbanizzazione secondaria per le opere supplementari su descritte.
10.2.1 Parte appellante, nel ritenere non necessario l’accordo col Comune, richiama l’art 11 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 secondo cui “A scomputo totale o parziale della quota dovuta, il concessionario può obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione con le modalità e le garanzie stabilite dal Comune”.
In realtà, non si può fare a meno del consenso dell’Amministrazione ai fini del consolidamento del diritto allo scomputo delle opere di urbanizzazione realizzate. In tal senso, in termini generali, si è espresso questo Consiglio, avendo ritenuto che “Il titolare di una concessione di costruzione che, con atto d’obbligo, abbia limitato lo scomputo degli oneri di urbanizzazione alle sole opere di urbanizzazione primaria non può successivamente, alterando ingiustificatamente, mediante l’iniziativa unilaterale, le basi stesse del consenso, chiedere di non essere assoggettato ad alcun onere di urbanizzazione perché il valore delle opere eseguite ha ecceduto quello cumulato degli oneri di urbanizzazione (primaria e secondaria) precedentemente determinati dal Comune” (Cons. Stato, sez. IV, 28 luglio 2005, n. 4015).
Si tratta quindi di verificare se sussista quantomeno un consenso implicito del Comune ai fini dell’allargamento del perimetro convenzionale, tale da ricomprendere anche le opere non previste originariamente in convenzione.
Il Collegio ritiene di condividere quanto osservato dal Tribunale, secondo cui “la corrispondenza con gli uffici comunali non esprimerebbe la volontà del Comune di alterare il sistema derivante dagli artt. 5 e 6 della convenzione, in quanto riguardante i lavori di spostamento dell’acquedotto, ribadisce che “tali opere (così come la costruzione del ponte) potranno essere realizzate a scomputo degli oneri concessori, così come peraltro previsto nelle convenzioni stipulate”.
In effetti, come evidenziato da parte appellata, il Piano di lottizzazione elaborato dall’Ufficio, definitivamente approvato con delibera di Consiglio comunale n. 16 del 7 marzo 1989, veniva attuato progressivamente mediante una pluralità di convenzioni di lottizzazione, tutte conformi allo schema tipo approvato, stipulate in tempi diversi (1992-1998) tra il Comune e i proprietari dei lotti dei terreni interessati all’edificazione. La palazzina per la quale ora si controverte circa il pagamento degli oneri secondari (pratica edilizia n. 154/04) veniva realizzata dalla società in base a d.i.a. del 24 dicembre 2004, presentata dalla Società Sa. S.r.l., ex proprietaria dei terreni nonché “lottizzante” e dante causa dell’odierna appellante.
Orbene, l’impianto delle due convenzioni urbanistiche stipulate (in data 29 settembre 1998) non contemplava la scomputabilità anche “incrociata” degli oneri secondari con le opere di urbanizzazione primaria e che pertanto deve ritenersi non consentita. L’art. 6, infatti, statuiva sì nel senso della possibile scomputabilità di detti oneri ma nel caso della realizzazione di opere di urbanizzazione secondaria (e quindi non primaria) oltre che a seguito di “insindacabile giudizio” del Comune.
Per quanto poi attiene alla pretesa estraneità delle opere realizzate rispetto al novero di quello dovute in base alla convenzione, l’art. 5 di questa prevedeva che “I lottizzanti si impegnano inoltre a realizzare il ponte carraio sul torrente Molgora in sostituzione dell’esistente ponte”. Non si comprende quindi, anche alla luce della dettagliata declinazione delle opere di urbanizzazione contemplate da tale articolo e poste a carico della parte privata, quale fosse la reale differenza con quelle realizzate dall’appellante (ponte sulla roggia e conseguente modifica dell’acquedotto oltre che spostamento della rete gas e delle tubazioni Telecom). Non si ricava, quindi, la volontà dell’Ente comunale di ricondurre nel novero delle opere scomputabili quelle in contestazione vuoi al momento della preparazione della piattaforma convenzionale vuoi successivamente attraverso le missive valorizzate dall’appellante e nelle quali, come si ricava dal loro tratto testuale, il Comune opera un preciso rinvio proprio alle clausole convenzionali.
Ma nemmeno è dato inferire, dalle articolazioni difensive e dalla documentazione agli atti di giudizio, la precisa consistenza di tali pretese opere addizionali, al fine di coglierne le significative differenze con quelle diffusamente descritte in convenzione, ove pure si discorre della realizzazione di un ponte carraio sul torrente Molgara. Vertendosi su diritti soggettivi, invero, competeva alla società, in nome del “principio dell’onere della prova ex articoli 2697 del Cc e 115 del Cpc” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 2 maggio 2018, n. 2613), il compito di fornire adeguata dimostrazione della posizione giuridica vantata.
Parte appellante, nel contestare le argomentazioni rese dal Tribunale con le impugnate statuizioni reiettive, osserva che la volontà dell’Amministrazione di consentire lo scomputo degli oneri di urbanizzazione secondaria sarebbe chiaramente desumibile sia dal contenuto della lettera del 9 dicembre 2004 (ove si discorre della possibilità di realizzare le opere ivi descritte a scomputo degli oneri di urbanizzazione) sia dal fatto che il Comune, con la nota del 5 agosto 2005, richiedeva, in relazione alla predetta d.i.a., il pagamento del solo contributo di costruzione e non anche degli oneri di urbanizzazione.
Nemmeno sotto tal profilo le deduzioni dell’appellante risultano convincenti, non potendosi desumere da tali circostanze, complessivamente considerate, alcun comportamento concludente che denoti la volontà dell’Ente di rinunciare alla corresponsione degli oneri di urbanizzazione secondaria a fronte di quanto espressamente previsto dalle clausole convenzionali circa la scomputabilità di tali oneri soltanto nel caso di realizzazione di opere di urbanizzazione secondaria (e non primaria come avvenuto nel caso di specie).
11. In conclusione, l’appello è infondato e deve essere respinto.
12. Le spese del presente grado di giudizio, per il principio di soccombenza, sono a carico di parte appellante e sono liquidate come in dispositivo, in base ai criteri stabiliti dal regolamento n. 55 del 2014 e dall’art. 26, comma 1, c.p.a.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto (n. r.g. 6024/2010), lo respinge.
Condanna l’appellante alla rifusione, in favore del Comune appellato, delle spese del presente grado di giudizio che liquida in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre agli accessori di legge (I.V.A., C.P.A. e rimborso spese generali al 15%).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso dalla Seconda Sezione del Consiglio di Stato con sede in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 maggio 2020 convocata con modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:
Giulio Castriota Scanderbeg – Presidente
Giovanni Sabbato – Consigliere, Estensore
Cecilia Altavista – Consigliere
Francesco Guarracino – Consigliere
Roberto Politi – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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