Corte di Cassazione, civile, Sentenza|3 agosto 2022| n. 24061.
Il terzo che intenda far valere un diritto sulla cosa assoggettata a confisca
Il terzo che intenda far valere un diritto sulla cosa assoggettata a confisca penale non può adire direttamente il giudice civile, perché l’art. 676 c.p.p. attribuisce al giudice dell’esecuzione penale la competenza a disporre la restituzione all’avente diritto della cosa sottoposta alla misura reale e prevede l’intervento del giudice civile, su sollecitazione del giudice dell’esecuzione penale, solo ove quest’ultimo ravvisi una controversia sulla proprietà del bene.
Sentenza|3 agosto 2022| n. 24061. Il terzo che intenda far valere un diritto sulla cosa assoggettata a confisca
Data udienza 9 giugno 2022
Integrale
Tag/parola chiave: USUCAPIONE
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere
Dott. VARRONE Luca – Consigliere
Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 13305/2017 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avv. (OMISSIS), che li rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
AGENZIA DEL DEMANIO, in persona del legale rappresentante pro tempore, MINISTERO ECONOMIA FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, e MINISTERO DEI BENI E DELLE ATTIVITA’ CULTURALI E DEL TURISMO, in persona del Ministro pro tempore, domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1261/2016 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 01/12/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/06/2022 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA;
letta la conclusione scritta del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Il terzo che intenda far valere un diritto sulla cosa assoggettata a confisca
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 5.5.2000 (OMISSIS) evocava in giudizio il Ministero dell’Economia e Finanze ed il Ministero dei Beni e le Attivita’ Culturali innanzi il Tribunale di Genova per sentir dichiarare, in tesi ai sensi dell’articolo 1159 bis c.c., ed in ipotesi in forza dell’articolo 1158 c.c., l’intervenuto acquisto per usucapione, in suo favore, della proprieta’ di un immobile sito in (OMISSIS), costituito da terreno con sovrastante manufatto ad uso abitativo.
Si costituivano i convenuti resistendo alla domanda ed invocando, in via riconvenzionale, la condanna dell’attore al pagamento di una indennita’ per l’abusiva occupazione dell’immobile oggetto di causa.
Il giudizio, nel quale interveniva anche l’Agenzia del Demanio, soggetto preposto alla gestione dei beni di proprieta’ dello Stato, veniva deciso con sentenza n. 986/2011, con la quale il Tribunale dichiarava il difetto di legittimazione passiva dei convenuti in relazione alla domanda svolta dall’attore, e di legittimazione attiva dei medesimi in riferimento alla domanda riconvenzionale da essi proposta nei confronti dell’ (OMISSIS).
Interponevano appello avverso detta decisione Ministero dell’Economia e Finanze, Ministero dei Beni Culturali e Agenzia del Demanio. Si costituivano in seconde cure, con separate comparse, (OMISSIS) e (OMISSIS), da un lato, e (OMISSIS), dall’altro lato, tutti eredi di (OMISSIS), i quali spiegavano appello incidentale in relazione alla domanda di usucapione gia’ proposta in prime cure.
Il terzo che intenda far valere un diritto sulla cosa assoggettata a confisca
La Corte di Appello di Genova, con la sentenza impugnata, n. 1261/2016, accoglieva l’appello principale, dichiarando che il bene oggetto di causa e’ di proprieta’ dello Stato, rigettava le impugnazioni incidentali e condannava (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), in solido tra loro, al pagamento di una indennita’ per l’occupazione sine titulo del bene oggetto di giudizio.
Propongono ricorso per la cassazione della decisione di seconda istanza (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), affidandosi a dieci motivi.
Resistono con controricorso Ministero dell’Economia e Finanze, Ministero dei Beni Culturali e Agenzia del Demanio.
In prossimita’ dell’udienza pubblica, la parte ricorrente ha depositato memoria.
Il P.G., nella persona del Sostituto Dott. Tommaso Basile, ha depositato conclusioni scritte con le quali ha invocato il rigetto del ricorso.
Il terzo che intenda far valere un diritto sulla cosa assoggettata a confisca
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’articolo 240 c.p. e articoli 673-676 c.p.p., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perche’ la Corte di Appello avrebbe erroneamente escluso che la confisca dell’abbazia benedettina sia stata posta nel nulla dalla sentenza della Corte di Appello, che aveva dichiarato ineseguibili le pene principali ed accessorie. Secondo i ricorrenti, poiche’ la confisca applicata nel caso specifico era quella, facoltativa, di cui all’articolo 240 c.p., il giudice penale avrebbe dovuto dichiararne l’intervenuta cessazione dell’efficacia, perche’ la misura presuppone logicamente una condanna per un illecito penale. Inoltre, poiche’ l’ (OMISSIS) avrebbe iniziato a possedere il bene nel 1951, al momento dell’introduzione della legge sulla cui base era stato disposto il sequestro dell’abbazia (1976) era gia’ maturato il termine ventennale previsto per l’usucapione. Di conseguenza, il giudicato derivante dalle sentenze della Corte di Appello del 15.3.1983 e del 17.4.1991 sarebbe stato meramente formale, non avendo dette pronunce alcun effetto per l’ (OMISSIS), estraneo al procedimento penale nel cui ambito la misura reale era stata disposta.
La censura e’ inammissibile.
La pretesa del terzo che si assuma proprietario, o comunque titolare di un diritto reale, sulla cosa assoggettata a confisca penale, va esercitata – a prescindere da qualsiasi considerazione relativa alla natura della confisca ed alla sua idoneita’, o meno, di resistere alla abolitio criminis – di fronte al giudice dell’esecuzione penale. Sul punto, va data continuita’ al principio secondo cui “A seguito di confisca disposta in Sede penale a norma dell’articolo 240 c.p., la pretesa di restituzione del bene, proveniente dal soggetto nei cui confronti e’ stata disposta la confisca, ovvero da un terzo, va proposta nelle forme dell’incidente di esecuzione, di cui agli articoli 628 c.p.p. e segg., ed al giudice di tale incidente spetta di controllare la regolarita’ formale del titolo esecutivo, nonche’ la confiscabilita’ del bene, mentre se insorga controversia sulla proprieta’, deve rimetterne la soluzione al giudice civile (articolo 624 c.p.p., richiamato dall’articolo 655 c.p.p.), difettando di potestas iudicandi in proposito, con la conseguenza che l’eventuale decisione non pregiudica comunque l’instaurabilita’ di tale controversia in sede civile. Peraltro, detto obbligo di rimessione al giudice civile, e, correlativamente, in caso d’inosservanza, la rivendicabilita’ del bene in sede civile, postulano che la questione della proprieta’ sia rilevante ai fini della confisca…” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4915 del 10/08/1988, Rv. 459735).
Il terzo che intenda far valere un diritto sulla cosa assoggettata a confisca
Detto principio, affermato gia’ nella vigenza del codice di procedura penale a suo tempo approvato con Regio Decreto n. 1399 del 1930, e’ stato in seguito ribadito anche con riferimento al sistema processuale penale conseguente all’entrata in vigore del codice approvato con Decreto del Presidente della Repubblica n. 447 del 1988 (sul punto, cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 21398 del 18/09/2013, Rv. 627966, secondo cui “… colui che deduca l’illegittimita’ della confisca disposta nei suoi confronti, per essere rimasto estraneo al relativo procedimento penale, puo’ chiedere la restituzione del bene appreso non promuovendo una controversia sulla proprieta’ dinanzi al giudice civile, ma esperendo incidente di esecuzione, ai sensi degli articoli 665 e 676 c.p.p., dinanzi al giudice penale, il quale potra’ in tale sede, ed ai soli fini concernenti la confisca stessa, valutare l’implicazione quanto meno colposa nella lottizzazione abusiva del soggetto istante”).
Le sezioni penali di questa Corte hanno precisato che “La statuizione, contenuta in una sentenza divenuta irrevocabile, con cui sia stata disposta la confisca fa stato nei confronti dei soggetti che hanno partecipato al procedimento di cognizione, con la conseguenza che solamente i terzi che non abbiano rivestito la qualita’ di parte nel predetto giudizio sono legittimati a richiedere la revoca della confisca in sede esecutiva” (Cass. Pen. Sez. 1, Sentenza n. 4096 del 24/10/2018 Cc., dep. 28/01/2019, Rv. 276163 – 01). Di conseguenza, “Il terzo che rivendichi la legittima proprieta’ del bene confiscato o altro diritto reale sullo stesso e ne chieda la restituzione, qualora non abbia partecipato al procedimento nel quale e’ stata applicata la misura puo’ proporre incidente di esecuzione, nell’ambito del quale puo’ svolgere le deduzioni e chiedere l’acquisizione di elementi utili ai fini della decisione” (Cass. Pen. Sez. 1, Sentenza n. 14928 del 21/02/2008 Cc., dep. 09/04/2008, Rv. 240164 – 01).
Analoga situazione si verifica nel caso di confisca disposta con sentenza irrevocabile di applicazione della pena, pronunciata nei confronti di un coimputato diverso da quello che rivendica la titolarita’ dei beni interessati; quest’ultimo, infatti, assume la posizione di terzo e, in tale veste, puo’ far valere le proprie ragioni restitutorie avanti al giudice dell’esecuzione (Cass. Pen. Sez. 2, Sentenza n. 53656 del 09/11/2016 Cc., dep. 16/12/2016, Rv. 268979 – 01).
Stesso dicasi per il caso di confisca disposta su beni di proprieta’ di un soggetto assolto dal reato con sentenza irrevocabile: questi, infatti, “… e’ legittimato a proporre incidente di esecuzione per ottenere la revoca del provvedimento ablativo qualora, pur avendo esperito impugnazione per contestare la legittimita’ del vincolo, non abbia ottenuto una pronuncia nel merito della relativa questione” (Cass. Pen. Sez. 1, Sentenza n. 51468 del 14/06/2017 Cc., dep. 10/11/2017, Rv. 271843 – 01).
Il giudice dell’esecuzione penale, competente alla restituzione delle cose sequestrate o confiscate, deve accertare l’effettiva sussistenza del diritto alla restituzione a favore del richiedente, poiche’ non e’ sufficiente il criterio del favor possessionis, ma occorre la prova positiva dello ius possidendi (Cass. Pen. Sez. U., Sentenza n. 9149 del 03/07/1996 Ud., dep. 17/10/1996, Rv. 205705 – 01). Ove non sussista dubbio sull’appartenenza della res al terzo richiedente, o sulla configurabilita’, in capo al predetto, di un possesso tutelabile, il giudice dell’esecuzione penale provvede sulla richiesta con ordinanza. Diversamente, qualora si configuri una controversia sulla proprieta’ della cosa, il giudice dell’esecuzione penale “… ne rimette la risoluzione al giudice civile del luogo competente in primo grado…”, mantenendo nel frattempo la misura (cfr. articolo 623 c.p.p., comma 3).
Da quanto precede discende che gli odierni ricorrenti avrebbero dovuto, prima di adire il giudice civile per il riconoscimento dell’usucapione del cespite oggetto di causa, proporre al giudice dell’esecuzione penale un’istanza di restituzione dello stesso. Tale passaggio processuale e’ ineludibile, poiche’ la legge processuale attribuisce al giudice dell’esecuzione penale la competenza a disporre la restituzione all’avente diritto della cosa sottoposta alla misura reale, e prevede l’intervento del giudice civile, su sollecitazione del giudice dell’esecuzione penale, solo nell’eventualita’ in cui quest’ultimo ravvisi una controversia sulla proprieta’ della res. Va, di conseguenza, esclusa la possibilita’ di adire direttamente il giudice civile per far valere un diritto sulla cosa sequestrata o confiscata che avrebbe dovuto essere rivendicato in sede penale, nelle forme di cui all’articolo 676 c.p.p..
Il terzo che intenda far valere un diritto sulla cosa assoggettata a confisca
Quanto sopra, evidentemente, prescinde da qualsiasi considerazione in merito:
1) alla natura, obbligatoria o facoltativa, della confisca;
2) alla sua idoneita’, o meno, a resistere ad una pronuncia che dichiari l’ineseguibilita’ della pena, principale o accessoria, per sopravvenuta abolizione della norma incriminatrice;
3) alla possibilita’ di configurare un effetto derivato dalla abolitio criminis rispetto ad una fattispecie esaurita, in considerazione del fatto che la confisca costituisce un modo di acquisto della proprieta’ a titolo originario;
4) alla mancata specificazione, nella censura in esame, del soggetto destinatario della misura ablativa e della sua posizione nell’ambito del processo penale al quale la confisca accede.
Con il terzo motivo, che per ragioni logiche merita di essere esaminato prima del secondo, i ricorrenti lamentano la violazione dell’articolo 1159 bis c.c., articoli 112, 113, 115 e 132 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, perche’ la Corte di Appello non avrebbe esaminato la domanda con la quale essi avevano invocato l’accertamento dell’intervenuto acquisto, in loro favore, della proprieta’ del bene conteso per usucapione abbreviata, ai sensi dell’articolo 1159 c.c.. Ad avviso dei ricorrenti, tra la data della vendita dell’abbazia alla societa’ estera (24.4.1968) e quella in cui e’ passata in giudicato la sentenza della Corte di Appello di Genova che, in sede di rinvio, aveva confermato la confisca (5.10.1983) sarebbero passati oltre 15 anni, termine sufficiente per la configurazione dell’usucapione della piccola proprieta’ rurale ai sensi dell’articolo 1159-bis c.c..
Con l’ottavo motivo, logicamente connesso al terzo, i ricorrenti lamentano la violazione dell’articolo 1151 bis c.c. (recte, articolo 1159 bis), in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perche’ la Corte di Appello avrebbe prima affermato che il rapporto di detenzione dell’ (OMISSIS) con il bene era cessato all’atto della vendita dalla (OMISSIS) alla societa’ estera (24.4.1968) e poi avrebbe omesso di considerare che da tale data, e sino al passaggio in giudicato della sentenza che aveva disposto la confisca del bene (5.10.1983) erano passati oltre 15 anni senza atti interruttivi, posto che la nuova proprietaria aveva inviato diffide all’ (OMISSIS), ma non aveva mai rivendicato la proprieta’ del cespite mediante atti giudiziari.
Le due censure, suscettibili di esame congiunto, sono infondate.
La Corte di Appello, dopo aver escluso la configurabilita’ di una usucapione nel periodo successivo alla confisca, ha affermato che “Va anche escluso che parte attrice possa aver usucapito il bene prima che lo stesso divenisse di proprieta’ dello Stato. Il compendio immobiliare in considerazione venne venduto dalla (OMISSIS) con atto in data 24.4.68 alla societa’ (OMISSIS). Il fatto che il sig. (OMISSIS) fosse stato precedentemente immesso nel possesso (rectius: nella detenzione) dei beni per cui e’ causa da parte dei monaci Benedettini, che ne erano proprietari, in base ad un asserito titolo contrattuale (verbale), comporta che il periodo antecedente alla cessione dell’immobile alla societa’ (OMISSIS) non possa essere considerato utile a fondare la pretesa usucapione dell’immobile stesso per assenza di un valido atto di interversione del possesso da parte dell’attore” (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata).
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Con tale passaggio motivazionale, il giudice di seconde cure ha ritenuto che l’ (OMISSIS) sia entrato in rapporto con la res, quando questa era ancora di proprieta’ dei monaci benedettini, in virtu’ di un titolo convenzionale, e dunque in veste di detentore. Ha poi escluso che il medesimo (OMISSIS) abbia fornito la prova di un atto di interversio possessionis, idoneo a trasformare la sua posizione soggettiva, da detenzione in possesso. E, di conseguenza, ha negato il riconoscimento dell’usucapione anche in relazione al periodo anteriore all’acquisto del bene in capo allo Stato, per effetto della sua confisca disposta in sede penale. In tal senso, il riferimento -contenuto nel passaggio della motivazione appena richiamato – al “… periodo antecedente alla cessione dell’immobile alla societa’ (OMISSIS)…” costituisce un evidente lapsus calami, dovendosi in realta’ intendere che il giudice di merito abbia voluto indicare l’intero periodo anteriore alla confisca, incluso l’intervallo temporale tra la vendita alla societa’ estera e la confisca medesima. La possibilita’ di configurare l’usucapione prima della vendita, infatti, e’ esclusa in ragione della posizione di mero detentore rivestita dall’ (OMISSIS) nei confronti dei monaci benedettini, all’epoca proprietari del cespite; ne consegue che il riferimento, operato dal giudice di appello, alla cessione del bene alla societa’ estera si giustifica soltanto per escludere l’usucapione anche durante l’intervallo temporale corrente tra detto atto e la confisca; tanto e’ vero che, nel prosieguo della stessa frase, la Corte distrettuale specifica che l’usucapione va esclusa “… per assenza di un valido atto di interversione del possesso da parte dell’attore”. In definitiva, quindi, la Corte ligure ha ritenuto non conseguita la prova dell’usucapione per il periodo anteriore alla confisca, in considerazione della derivazione della relazione con la res da un originario titolo, e dunque della posizione di mera detenzione configurabile in capo all’ (OMISSIS), e della mancata dimostrazione di un valido atto di interversione del possesso.
Tale statuizione, che si sostanzia in un accertamento in punto di fatto, resiste alle censure in esame, con le quali i ricorrenti propongono una lettura alternativa delle risultanze istruttorie, invocando un riesame del merito.
Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione degli articoli 112, 113, 115 e 132 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perche’ il Giudice di merito non avrebbe pronunciato in relazione alla possibilita’ di comprendere anche l’immobile oggetto della domanda di usucapione nell’ambito del complesso abbaziale oggetto del vincolo storico artistico del 15.1.1934. Ad avviso del ricorrente, infatti, tale vincolo riguardava soltanto la chiesa ed il chiostro, e dunque non anche i beni accessori, pur compresi nel complesso abbaziale, come quello di cui e’ causa.
Con il quarto motivo, i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli articoli 822 e 823 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perche’ la Corte di Appello avrebbe omesso la motivazione sulla ritenuta natura demaniale dei beni oggetto di causa.
Il terzo che intenda far valere un diritto sulla cosa assoggettata a confisca
Con il quinto motivo, i ricorrenti denunciano l’omesso esame di fatto decisivo, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, perche’ la Corte distrettuale avrebbe erroneamente valorizzato il pagamento eseguito dall’ (OMISSIS) nel 1987 per escludere il suo animus possidendi. Secondo i ricorrenti, la Corte di merito non avrebbe in alcun modo considerato che l’Alboreo aveva dichiarato di aver eseguito detto versamento per aver occupato, per un certo periodo, alcuni locali posti all’interno dell’abbazia propriamente detta, e non a fronte dell’utilizzazione dei diversi cespiti oggetto della domanda di usucapione di cui e’ causa: detta circostanza, avente contenuto decisivo, non sarebbe stata in alcun modo considerata dal giudice di appello.
Con il settimo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1141 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perche’ la Corte di Appello avrebbe omesso di considerare, da un lato, il possesso esercitato dall’ (OMISSIS), mediante l’utilizzazione della casetta oggetto della controversia come magazzino e ricovero e la coltivazione del fondo ad essa annesso, senza soluzione di continuita’; dall’altro lato, il fatto che il pagamento eseguito nel 1987 era dipeso dal temporaneo utilizzo di altri locali, che peraltro l’ (OMISSIS) aveva spontaneamente riconsegnato, proprio in quanto era cosciente di non poter vantare su di essi alcun possesso utile ad usucapionem.
Tutte le richiamate censure, suscettibili di esame congiunto, sono assorbite dal rigetto del terzo ed ottavo motivo. Una volta esclusa, infatti, la prova di un valido possesso ad usucapionem, in ragione della posizione di detentore rivestita originariamente dall’ (OMISSIS) e dell’assenza della prova di un atto di interversione del possesso, diviene irrilevante, ai fini della decisione, qualsiasi considerazione relativa alla natura, demaniale o meno, dei beni oggetto della domanda di usucapione, alla loro ricomprensione nell’ambito del complesso abbaziale soggetto a vincolo, nonche’ all’imputabilita’, ad essi o a diversi cespiti, del pagamento eseguito dall’ (OMISSIS) nel 1987.
Con il sesto motivo, i ricorrenti denunciano la violazione dell’articolo 132 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perche’ la sentenza impugnata sarebbe contraddistinta da una motivazione eccessivamente schematica e contraddittoria. In particolare, la contraddizione sarebbe ravvisabile nel fatto che il giudice di merito avrebbe utilizzato le parole “possesso” e “detenzione” come sinonimi.
La censura e’ infondata.
La motivazione resa dalla Corte di Appello e’ certamente sufficiente, in quanto idonea a soddisfare il cd. minimo costituzionale. Il percorso logico seguito dal giudice di merito e’ agevolmente intellegibile e le eventuali imprecisioni terminologiche non riverberano in contrasti logici insanabili. E’ infatti chiaro che la Corte di Appello ha da un lato ritenuto ininfluente, ai fini dell’usucapione, il periodo anteriore alla confisca, perche’ l’ (OMISSIS) aveva dedotto una relazione con la res fondata su un titolo negoziale e non aveva dimostrato di aver compiuto un valido atto di interversio possessionis; dall’altro lato, ha ravvisato l’impossibilita’ di usucapire il cespite dopo il 15.10.1983, in funzione della sua intervenuta acquisizione, da tale data, al demanio storico-artistico dello Stato. Altrettanto chiaro e’ che la Corte di Appello abbia ravvisato la sopravvivenza della confisca alla sentenza di ineseguibilita’ delle pene, principali ed accessorie, per intervenuta abolitio criminis, in funzione del fatto che la misura predetta non costituisce pena, ma misura di sicurezza a contenuto reale. La motivazione, in fatto e in diritto, della decisione impugnata e’ dunque pienamente comprensibile.
Con il nono motivo, i ricorrenti lamentano la violazione degli articoli 112, 113 e 115 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perche’ la Corte di Appello avrebbe riconosciuto la legittimazione passiva ed attiva delle Amministrazioni dello Stato, senza consentire agli odierni ricorrenti di completare il quadro probatorio, mediante l’ammissione delle istanze istruttorie che erano state riproposte in appello.
La censura e’ inammissibile.
Da un lato, essa e’ formulata in termini assolutamente generici, senza alcun richiamo al contenuto delle istanze istruttorie delle quali si lamenta la mancata ammissione (le quali, per inciso, anche in secondo grado risultano riproposte in modo generico e con rinvio per relationem alle memorie ex articolo 184 c.p.c., depositate in prime cure). Di conseguenza, il collegio non e’ posto in condizione di valutare la decisivita’ delle istanze di cui si discute.
Dall’altro lato, non puo’ sottacersi che la censura relativa alla legittimazione attiva e passiva delle amministrazioni dello Stato, ravvisata dal giudice di merito, appare intrinsecamente contraddittoria con la scelta processuale operata dagli odierni ricorrenti, i quali hanno proposto domanda di riconoscimento dell’acquisto della proprieta’ dei beni oggetto di causa, per usucapione, evocando in giudizio, in prime cure, il “Demanio dello Stato, Ministero delle Finanze” e il “Ministero per I Beni e delle Attivita’ Culturali” (cfr. notificazione dell’atto di citazione in Tribunale, eseguita in data 5.5.2000). Salvo poi rivendicare, nell’ambito della loro prospettazione difensiva, l’intervenuta maturazione del loro acquisto per usucapione gia’ prima della confisca, e quindi nei confronti di soggetti mai neppure evocati in giudizio. Dal che deriva un evidente profilo di carenza di interesse alla censura in esame, poiche’ in ogni caso dall’eventuale dimostrazione della carenza di legittimazione attiva e passiva delle amministrazioni dello Stato evocate in giudizio dagli odierni ricorrenti non potrebbe derivare l’accoglimento di una domanda di usucapione rivolta nei confronti di parti non evocate in giudizio.
Infine, con il decimo ed ultimo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione dell’articolo 2043 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perche’ la Corte di Appello li avrebbe erroneamente condannati al pagamento di una indennita’ di occupazione del bene oggetto di causa.
La censura e’ infondata.
La condanna dei ricorrenti al pagamento di una indennita’ di occupazione del bene di cui si controverte discende dal rigetto della domanda di usucapione da essi proposta e dal riconoscimento della proprieta’ del cespite in capo al demanio, per effetto dell’acquisto a titolo originario conseguente alla confisca.
Gli odierni ricorrenti sostengono, a contrario, che non sarebbe configurabile un danno per le amministrazioni dello Stato, sia nel caso in cui fosse accertata la loro carenza di legittimazione, attiva e passiva, sia nell’ipotesi in cui fosse accolta la domanda di usucapione. A prescindere dalla fondatezza della doglianza, posto che l’occupazione senza titolo di un bene altrui ne implica l’indisponibilita’ per il legittimo proprietario, poiche’ nel caso di specie la Corte di Appello non ha escluso la legittimazione attiva e passiva delle amministrazioni dello Stato, ne’ ha accolto la domanda di usucapione proposta dagli odierni ricorrenti, la censura va disattesa.
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimita’, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 6.000 oltre rimborso delle spese prenotate a debito.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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