Consiglio di Stato, Sentenza|17 febbraio 2021| n. 1451.
Se è vero che il termine per il compimento dei lavori può essere prorogato, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso, tuttavia per il legislatore tali fatti (che possono consistere nel factum principis o in altri casi di forza maggiore) non hanno un rilievo automatico, ma possono costituire oggetto di valutazione in sede amministrativa soltanto quando l’interessato proponga una domanda di proroga, il cui accoglimento è indefettibile perché non vi sia la pronuncia di decadenza.
Sentenza|17 febbraio 2021| n. 1451
Data udienza 10 novembre 2020
Integrale
Tag – parola chiave: Interventi edilizi – Permesso di costruire – Termine di compimento dei lavori – Proroga – Presupposti – Individuazione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8716 del 2011, proposto dai sigg. Ri. Fr. e Bi. Ma. Gi., rappresentati e difesi dagli avvocati Ma. Bu. Vi. e Pa. Di Ri., anche disgiuntamente, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, viale (…)
contro
Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Ra. Ag., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Gi. Sa. in Roma, via (…)
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria Sezione Prima del 15 settembre 2010, n. 465
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore il Cons. Francesco Guarracino nell’udienza pubblica del giorno 10 novembre 2020, svoltasi con modalità telematica ai sensi dell’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, nessuno comparso per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria i sigg. Fr. Ri. e Ma. Gi. Bi. impugnavano, unitamente agli atti presupposti e conseguenziali, il provvedimento del 27 gennaio 2009, prot. n. 1578, con il quale il responsabile dello Sportello Unico per l’Edilizia e le Attività Produttive del Comune di (omissis) aveva imposto loro una serie di prescrizioni finalizzate al rilascio dei titoli abilitativi necessari alla prosecuzione dei lavori di ristrutturazione dei loro immobili – un fabbricato rurale ed un annesso adibiti ad agriturismo – siti nel medesimo comune in località (omissis), Palazzetto Ne., in precedenza assentiti con autorizzazione paesaggistica e permesso di costruire del 5 ottobre 2008, prot. 16227, prat. n. 196/04.
Con sentenza del 15 settembre 2010, n. 465, il T.A.R. adito respingeva il ricorso.
Avverso la decisione di primo grado i ricorrenti hanno proposto ricorso in appello, al quale ha resistito il Comune di (omissis).
Le parti hanno prodotto memorie di discussione e repliche ed alla pubblica udienza del 10 novembre 2020 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. – E’ appellata la sentenza con la quale il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria ha respinto il ricorso con cui gli odierni appellanti avevano contestato sia la possibilità per l’Amministrazione di imporre loro prescrizioni per la prosecuzione dei lavori, come se il permesso di costruire fosse scaduto, sia il contenuto stesso di quelle prescrizioni.
Per una miglior intelligenza delle questioni proposte, occorre richiamare il contenuto dei principali atti che hanno scandito la vicenda amministrativa per cui è causa.
2. – Con l’istanza del 2 ottobre 2008, prot. 15997, i sigg. Fr. Ri. e Ma. Gi. Bi., in qualità di titolari del permesso di costruire n. 196/2004 relativo ai lavori di ristrutturazione di una porzione del loro fabbricato principale e del limitrofo annesso rurale, avente scadenza 6 ottobre 2004, “ne chiedono il rinnovo per la durata di anni due in quanto i lavori da esso autorizzati non sono ancora stati ultimati.
Allo stesso tempo dichiarano che niente del progetto originario ha subito modifiche, e che se ciò avverrà durante il prosieguo dei lavori, ciò sarà oggetto di successiva comunicazione di variante”.
In risposta, l’Amministrazione rappresentava, con nota del 14 ottobre 2008, prot. n. 16713, che “la pratica potrà essere presa in esame solamente dopo la presentazione dei seguenti documenti e/o integrazioni: Relazione illustrativa dettagliata sulle opere ancora da realizzare”.
I richiedenti, quindi, recapitavano al Comune un atto (prot. 17066 del 20 ottobre 2008) in cui affermavano: “Ad integrazione della nostra richiesta inviata in data 02.10.08 relativa all’oggetto ed a seguito della Vostra del 14.10.08, comunichiamo che la parte dei lavori ancora da realizzare consiste nella esecuzione di parte del muro di confine a nord della proprietà e del recupero dell’adiacente locale forno da adibire a lavanderia, cosi come autorizzati con Permesso n° 196/2004”.
Il giorno seguente, tuttavia, il Comune rispondeva che “è necessario acquisire la progettazione esecutiva della recinzione (muro di confine) indicata nella nota sopra citata, in quanto negli elaborati allegati al Permesso originario l’opera in questione non compare con sufficiente precisione” (nota del 21 ottobre 2008, prot. 17136).
Seguivano un’ordinanza di sospensione dei lavori, un’istanza di variante dell’11 novembre 2008, prot. 18431, ed un’ulteriore interlocuzione tra le parti nei termini descritti nella sentenza appellata, su cui non occorre qui ritornare, al cui esito gli istanti rimettevano al Comune una relazione tecnica illustrativa, datata 4 dicembre 2008, con allegata la progettazione di dettaglio (Tav. 1 – Nuova soluzione della recinzione; Tav. 2 – Verifica della superficie/box).
Nella relazione, come anche riassunto nell’atto di appello, il realizzando muro al confine nord con la proprietà comunale non veniva più previsto come una struttura unica senza soluzione di continuità, come nel progetto già assentito, ma come recinzione realizzata alternando porzioni di muratura a porzioni costituite da pannelli di lamiera di ferro.
Nella seduta del 22 gennaio 2009 la Commissione per la qualità architettonica e per il paesaggio esprimeva il proprio parere favorevole con prescrizioni (“tenuto conto dei vincoli in cui l’opera ricade, sia per effetto del D.Lgs. 42/04 e sia per effetto del nuovo PRG, ritiene … che si dovranno adottare tutte le soluzioni possibili per mitigare e minimizzare l’inserimento dei manufatto (recinzione) nell’ambiente circostante”).
Sulla scorta di questo parere, con la nota del 27 gennaio 2009, prot. 1578, il responsabile dello Sportello per l’Edilizia e per le Attività Produttive comunicava agli istanti una serie di prescrizioni finalizzate al rilascio dei titoli abilitativi necessari alla prosecuzione dei lavori, riguardanti sia la nuova recinzione e la lavanderia, sia la recinzione già realizzata, e rappresentava di restare in attesa della presentazione, in quadruplice copia, dei progetti aggiornati con le prescrizioni suddette, comprensivi di tutta la documentazione necessaria, e che nel frattempo la pratica sarebbe restata sospesa ed i lavori non avrebbero potuto essere proseguiti.
Successivamente, con la nota prot. 4753 del 18 marzo 2009, il medesimo funzionario chiariva, tra l’altro, che le opere di realizzazione della recinzione e connesse dovevano considerarsi opere non soggette a proroga, il cui procedimento era ancora in corso, a differenza delle opere di ristrutturazione degli immobili per le quali la proroga richiesta sarebbe stata rilasciata il 7 novembre 2008 a mezzo della DIA n. 461/08.
3. – Nel giudizio di primo grado sono stati impugnati il parere della Commissione, la nota del 27 gennaio e quella del 18 marzo 2009.
Secondo i ricorrenti, l’amministrazione avrebbe frainteso le loro istanze, considerandole come dirette ad ottenere un nuovo titolo edificatorio per realizzare le opere che, al momento della scadenza del permesso di costruire, non erano state ancora compiute, mentre essi, al contrario, si sarebbero limitati a chiedere la proroga del termine per l’esecuzione delle opere prima della scadenza del termine stesso, senza apportare alcuna variante al progetto iniziale; la presentazione dell’istanza di proroga, ai sensi dell’art. 16 della l.r. dell’Umbria n. 1 del 18 febbraio 2004 e dell’art. 15, comma 2, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, avrebbe avuto l’effetto di impedire la decadenza del permesso di costruire e quindi di precludere all’Amministrazione di imporre prescrizioni come se il permesso fosse scaduto.
Con un secondo motivo di censura contestavano nel merito le prescrizioni, le quali avrebbero comportato la realizzazione di opere del tutto diverse sia rispetto a quelle già assentite, sia rispetto a quelle prospettate in sede progettuale, avrebbero inciso anche sul tratto di muro di cinta già eseguito, sarebbero state in contrasto col parere della Commissione comunale ed avrebbero avuto un contenuto illogico e vessatorio.
4. – Il T.A.R, pur ritenendo che i ricorrenti, con l’istanza del 1° ottobre 2008, avessero effettivamente inteso chiedere, al di là della terminologia usata, la proroga del permesso di costruire (traendo argomento dal fatto che l’istanza era antecedente alla scadenza del titolo edilizio e che vi era chiesto il differimento dell’efficacia temporale del provvedimento per un biennio, secondo il paradigma proprio della proroga), riscontrava che nell’istanza stessa non erano stati indicati “i fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso” che non avevano consentito il completamento dell’opera assentita nel termine legale dei quattro anni, che, ai sensi dell’art. 16 della l.r. umbra n. 1/2004 e dell’art. 15, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001, costituivano il presupposto della proroga (poiché questa era possibile solo con provvedimento motivato, era indispensabile un’istanza circostanziata per consentire all’Amministrazione di valutare la fondatezza e la rilevanza delle sue ragioni giustificatrici).
Per il giudice di primo grado “[a]ppare conseguentemente legittima l’operazione interpretativa compiuta dall’Amministrazione che, per dare un senso all’istanza dell’1 ottobre 2008, l’ha intesa come domanda di nuovo permesso di costruire per le opere ancora da eseguire, in applicazione del più volte citato art. 16, comma 4, della l.r. n. 1 del 2004; del resto, nulla osta a che la domanda di rinnovo sia presentata prima della scadenza del precedente titolo edilizio”; né avrebbe costituito ostacolo la mancata declaratoria formale della decadenza del permesso di costruire, poiché, trattandosi di effetto di diritto dell’inutile decorso del termine previsto per il completamento dell’opera (art. 16, comma 2, ultimo periodo, l.r. n. 1/2004), la decadenza del titolo poteva realizzarsi in modo automatico, senza essere subordinata ad una necessaria dichiarazione con atto amministrativo.
Anche il secondo motivo di ricorso era giudicato infondato.
Ad avviso del T.A.R., le condizioni e prescrizioni imposte col provvedimento non risultavano manifestamente irragionevoli od illogiche ed erano compatibili col parere della Commissione comunale; esse, inoltre, erano rese possibili dal fatto che il permesso di costruire rinnovato, e non semplicemente prorogato, costituiva autonomo titolo edilizio soggetto alla normativa vigente al momento della sua adozione, tra cui il nuovo art. 83 delle N.T.A. del P.R.G. – parte strutturale, concernente le recinzioni in ambito extraurbano, ragion per cui, afferma la sentenza, “il sopravvenuto assetto normativo e la valutazione dell’interesse pubblico connesso anche all’incidenza dell’opera su di un’area vincolata giustificano le variazioni progettuali rispetto a quanto assentito con il precedente titolo edilizio”.
5. – I motivi originari di ricorso sono sostanzialmente riproposti in prospettiva critica rispetto alla decisione di primo grado attraverso i due motivi di gravame (riportati sub II e sub III dell’atto di appello) in cui si articola il ricorso ora in esame.
6. – Preliminarmente, vanno esaminate le eccezioni sollevate in rito dall’Amministrazione.
7. – Secondo l’Amministrazione, gli appellanti avrebbero dovuto impugnare anche l’ulteriore provvedimento dell’8 ottobre 2010, col quale il Comune avrebbe motivatamente opposto il suo diniego alla loro istanza.
Sebbene l’atto non sia stato prodotto in giudizio, la sua esistenza ed il suo contenuto, trascritto nella memoria dall’Amministrazione, non sono contestati dagli appellati, i quali hanno piuttosto negato che fosse necessario e finanche possibile impugnarlo in giudizio.
Secondo quanto riferito dall’Amministrazione, agli appellanti era stato comunicato quanto segue:
“1. con riferimento all’istanza presentata dalla SS.VV. in data 02 ottobre 2008 prot. 15997, qualora la stessa sia da intendersi quale richiesta di proroga del Permesso di Costruire ed Autorizzazione Paesaggistica n. 196 del 05 ottobre 2004, si comunica che la stessa non può essere accolta. Ciò perché con detta istanza, contrariamente al dettato di cui all’art. 16 della L.R. n. 1/2004, nonché di quelli di cui all’art. 15, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001, non sono stati indicati i fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso che non hanno consentito il completamento dell’opera assentita nel termine legale dei quattro anni previsto dalla sopra richiamata Legge Regionale, condizione costituente il presupposto necessario per poter concedere la richiesta proroga.
2. qualora invece l’istanza medesima prot. 15997/2008, sia da intendersi come richiesta di rinnovo del Permesso di Costruire ed Autorizzazione Paesaggistica n. 196/2004, ci si riporta integralmente al procedimento svolto ed al contenuto del nostro precedente provvedimento prot. n. 1578 del 27 gennaio 2009, che qui di seguito deve intendersi totalmente ritrascritto. A tal proposito si invitano pertanto le SS.LL., entro e non oltre il termine di trenta giorni dal ricevimento della presente, a voler produrre a sostegno di detta richiesta di rinnovo, quattro copie del progetto aggiornato con tutte le prescrizioni contenute nel provvedimento prot. n. 1578/2009 sopra richiamato (complete di tutta la documentazione ed i pareri previsti dalla legge, inclusa la relazione paesaggistica di cui al D.P.C.M. 12 dicembre 2005), sulla quale, all’esito di detta procedura, l’Ufficio scrivente si riserva ogni provvedimento di legge anche in relazione agli esiti del procedimento previsto dal D.Lgs. n. 42/04 per l’acquisizione del parere vincolante della Soprintendenza. Si evidenzia che nel caso in cui il termine indicato nel punto 2) non venisse rispettato, l’istanza di rinnovo più volte ricordata, dovrà senz’altro ritenersi definitivamente archiviata con la conseguente ripresa del procedimento avviato ai sensi dell’art. 3 della L.R. n. 21/2004 giunto all’ordinanza di sospensione n. 2055 del 28 ottobre 2008 notificata in data 30 ottobre 2008, che dovrà concludersi con l’emissione dell’ordinanza di demolizione e rimessa in pristino dei luoghi”.
8. – L’eccezione è fondata.
L’atto indicato era anteriore alla proposizione del ricorso in appello, ma successivo al deposito della sentenza di primo grado.
Quest’ultima, come si è visto, aveva già riconosciuto, all’epoca, la legittimità di un’operazione interpretativa sulla istanza presentata il 2 ottobre 2008, più propriamente consistente nella conversione della domanda di proroga, siccome priva di un elemento essenziale, in domanda di rinnovo del titolo edilizio.
E’ indubbio, peraltro, che nell’atto del 27 gennaio 2009 l’Amministrazione avesse inteso quella istanza come una istanza di rinnovo (conformemente, peraltro, alla costante terminologia adoperata dalla parte istante) e come tale l’avesse trattata.
La nota dell’8 ottobre 2010 non segnava una inversione di rotta, perché non prendeva posizione sulla natura della istanza e non arrecava, in questi termini, alcuna lesione, nuova ed attuale, agli interessi degli appellanti, nella misura in cui la protasi realizzata fosse, per l’appunto, quella del secondo periodo ipotetico (vale a dire, la qualificazione della istanza come istanza di rinnovo), limitandosi a ribadire il contenuto e le prescrizioni del precedente provvedimento del 27 gennaio.
Ma non intendendo prestare acquiescenza alla sentenza di primo grado sulla qualificazione della loro istanza, nella prospettiva di ottenere in appello la tutela dell’interesse pretensivo all’adozione di un provvedimento di proroga del termine di conclusione dei lavori, gli appellanti, proprio perché imputano ora alla sentenza di aver fornito, di propria iniziativa, una motivazione postuma al provvedimento impugnato, non potevano ignorare e non impugnare, senza con ciò incorrere in carenza di interesse all’appello, il provvedimento sopravvenuto con cui la stessa Amministrazione aveva opposto la carenza delle condizioni per concedere la proroga.
9. – L’Amministrazione reitera, inoltre, l’eccezione di inammissibilità secondo cui gli appellanti non avrebbero avuto interesse all’impugnazione dei provvedimenti gravati, perché meramente confermativi di precedenti provvedimenti della stessa Amministrazione, divenuti inoppugnabili.
L’eccezione, siccome proposta con semplice memoria, è inammissibile, perché, come puntualmente eccepito da controparte, essa era stata espressamente esaminata e respinta dal T.A.R. in apposito capo di sentenza, la cui contestazione richiedeva che fosse proposto appello incidentale.
10. – Peraltro, l’appello è anche infondato nel merito.
11. – Deducono gli appellanti col primo motivo di gravame l’erroneità della sentenza appellata perché non avrebbe tenuto conto che con lettera del 1° dicembre 2008 essi avevano rappresentato all’Amministrazione le ragioni, indipendenti dalla loro volontà, che non avevano consentito la tempestiva ultimazione delle opere, quando il procedimento di proroga sarebbe stato ancora in itinere; censurano, altresì, la medesima sentenza perché l’Amministrazione non avrebbe mai effettuato alcuna operazione interpretativa sulla loro istanza, che avrebbe, invece, costantemente considerato come finalizzata al rilascio di un nuovo titolo edificatorio, sicché la decisione appellata avrebbe attribuito al provvedimento impugnato una valenza ed un significato che non aveva, integrandone, di propria iniziativa, la motivazione; la sentenza sarebbe erronea anche nel riconoscere l’automatismo della decadenza del titolo edilizio per decorso del termine di conclusione dei lavori, poiché, quando sussistono ragioni oggettive, indipendenti dalla volontà del titolare del permesso di costruire, che abbiano impedito di terminare i lavori nel termine di legge e la proroga è stata richiesta tempestivamente ed il relativo procedimento non è stato ancora definito, allora sarebbe necessaria ed imprescindibile l’esplicita declaratoria di decadenza del titolo edilizio.
Il motivo è infondato.
Se è vero che il termine per il compimento dei lavori può essere prorogato, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso, tuttavia per il legislatore tali fatti (che possono consistere nel factum principis o in altri casi di forza maggiore) non hanno un rilievo automatico, ma possono costituire oggetto di valutazione in sede amministrativa soltanto quando l’interessato proponga una domanda di proroga, il cui accoglimento è indefettibile perché non vi sia la pronuncia di decadenza (ex aliis, C.d.S., sez. II, 29 agosto 2019, n. 5978).
Una volta inutilmente decorso il termine, la decadenza si produce di diritto, qualora il termine stesso non sia stato prorogato, senza bisogno di alcuna pronuncia da parte dell’autorità, a differenza della proroga che richiede un provvedimento motivato, ragion per cui non si dubita che l’eventuale dichiarazione di decadenza ha natura vincolata, meramente ricognitiva del venir meno degli effetti del titolo per inerzia del titolare, e ha decorrenza ex tunc (ex ceteris, C.d.S., sez. IV, 5 luglio 2017, n. 3283).
La proroga, quale provvedimento di secondo grado che modifica il complesso degli effetti giuridici delineati dall’atto originario operando uno spostamento in avanti del suo termine finale di efficacia, è disposta con atto motivato sulla scorta di una valutazione discrezionale che si traduce nella verifica delle condizioni oggettive che la giustificano.
Se il titolare del permesso di costruire non sottopone tempestivamente i fatti sopravvenuti alla valutazione dell’amministrazione mediante la domanda di proroga, come avvenuto nel caso in esame, la decadenza non può essere evitata.
Nel caso di specie il titolo scadeva l’8 ottobre e le ragioni che avrebbero impedito la tempestiva ultimazione delle opere sono state rappresentate soltanto il 1° dicembre.
Il fatto che l’amministrazione si sia determinata sulla istanza degli appellati considerandola come domanda di rilascio di un nuovo titolo edilizio in luogo di quello ormai scaduto non solo era coerente con la terminologia adoperata nella istanza medesima e nella nota integrativa del 18 ottobre, ma anche con la possibilità di una conversione della pretesa istanza di proroga (carente dei presupposti) in istanza di rinnovo del titolo edilizio, nel che, come già detto, si risolve in definitiva l’operazione interpretativa di cui discorre la sentenza appellata, che non viene ad integrare, impropriamente, la motivazione del provvedimento impugnato, ma ne individua il presupposto tacito.
12. – Infondato è anche il secondo motivo, con il quale gli appellanti ripropongono, sull’assunto che il giudice di primo grado ne avrebbe, sostanzialmente, eluso l’esame, la censura secondo cui le prescrizioni imposte dall’Amministrazione sarebbero state macroscopicamente illogiche, avendo come risultato un’opera diversa da quella proposta e, dunque, anche da quella esaminata dalla Commissione comunale.
Le prescrizioni concernenti la recinzione determinerebbero, con l’inserimento delle lame verticali in ferro, un impatto del manufatto ancor maggiore sull’ambiente circostante; tali modifiche risulterebbero disfunzionali rispetto alle esigenze di protezione visiva dall’esterno della proprietà degli appellanti e di maggiore costo, oltre che immotivate; l’imposizione della realizzazione di una tettoia, piuttosto che del timpano, sul vano lavanderia sarebbe altrettanto illogica ed immotivata; le prescrizioni secondo cui il muretto ed i pilastri della recinzione dovevano essere rivestiti con malta premiscelata del tipo “centro storico” sarebbero inconferenti con le caratteristiche degli immobili degli appellanti, rivestiti con intonaci del tipo “rustico-schizzato”; non sarebbe giustificata la prescrizione volta ad ottenere l’assunzione dell’impegno a rimuovere la recinzione entro un anno dalla fine dell’attività, tanto meno con riferimento alla porzione di muro già realizzata; del pari ingiustificata sarebbe l’imposizione di ridurre l’altezza del tratto di muro di recinzione già costruito, al fine di realizzare anche su di esso la prescritta recinzione con lame verticali in ferro.
Le censure sono infondate.
La Commissione per la Qualità Architettonica e per il Paesaggio del Comune di (omissis), nel valutare in termini favorevoli la pratica, aveva tuttavia prescritto l’adozione di tutte le soluzioni possibili per mitigare e minimizzare l’inserimento del manufatto (la recinzione) nell’ambiente circostante.
E’ evidente che l’osservanza della prescrizione dovesse comportare, in parte qua, una modifica del progetto sottoposto in origine alla Commissione, e ciò proprio in ottemperanza a quel parere.
Il giudizio dell’appellante secondo cui l’inserimento delle lame verticali in ferro avrebbe piuttosto aggravato l’impatto visivo, come pure quello relativo al contrasto tra gli intonaci ed alla illogicità dell’imposizione di una tettoia, in luogo del timpano, sul vano lavanderia, anch’essa motivata da ragioni d’inserimento nel contesto, appare meramente soggettivo e non suffragato da alcun concreto e dimostrato indice dell’irrazionalità delle prescrizioni di dettaglio imposte dall’Amministrazione comunale.
A loro volta, le esigenze di protezione visiva dall’esterno della proprietà degli appellanti ed i profili di maggior costo dell’intervento attengono ad interessi privati che sono recessivi rispetto alla tutela del bene ambientale in zona vincolata.
Che le prescrizioni riguardassero anche la porzione di muro già realizzata e il tratto di recinzione già costruito era giustificato da ragioni di omogeneità, intrinseche all’esigenza di minimizzare l’impatto del manufatto.
Infine, la richiesta al proprietario di fornire una dichiarazione con cui si obbligasse al ripristino dei luoghi, nel rispetto delle norme vigenti nello spazio rurale, entro un anno dalla cessazione dell’attività, era giustificata dall’applicabilità della normativa sopravvenuta (art. 83, comma 6, lett. e), NTA del PRG, parte strutturale) conseguente al fatto che non si trattava di proroga dell’originario permesso di costruire. Quanto all’obiezione che l’art. 83, comma 6, cit. prevedeva la dichiarazione di impegno alla rimozione della recinzione nel caso in cui fossero realizzate recinzioni in virtù di “… particolari esigenze dell’impresa agricola…”, alle quali non rispondeva quella che gli appellanti avevano chiesto di poter completare, essa non tiene conto della ratio della previsione, che la rendeva senz’altro applicabile anche alle recinzioni realizzate per le esigenze, invece, di un agriturismo, mirando tale previsione a garantire il ripristino dello stato dei luoghi a cura dello stesso soggetto cui era stato consentito di recintare un’area in zona vincolata, una volta che le esigenze che avevano giustificato la sua realizzazione fossero cessate.
13. – Per queste ragioni, in conclusione, l’appello dev’essere respinto.
14. – La particolarità delle questioni esaminate giustifica la compensazione tra le parti delle spese del presente grado del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa le spese del presente grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso dalla Seconda Sezione del Consiglio di Stato con sede in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 novembre 2020, svoltasi in videoconferenza con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:
Claudio Contessa – Presidente
Giovanni Sabbato – Consigliere
Francesco Frigida – Consigliere
Cecilia Altavista – Consigliere
Francesco Guarracino – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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