Il sottotetto non è tra le parti esplicitamente indicate dal codice civile come rientranti tra le parti comuni

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|18 aprile 2023| n. 10269.

Il sottotetto non è tra le parti esplicitamente indicate dal codice civile come rientranti tra le parti comuni

Il sottotetto non è tra le parti esplicitamente indicate dal codice civile come rientranti tra le parti comuni, dunque, per valutarne la destinazione nel caso in cui il titolo del condominio nulla riferisca in merito alla natura condominiale ovvero pertinenziale all’immobile sottostante, deve valutarsi la natura strutturale del bene e la sua finalità. Per un sottotetto delle stesse dimensioni dell’appartamento sottostante, non utilizzabile per fini abitativi e non facilmente accessibile se non da un accesso posto all’ingresso dell’immobile sottostante, se ne deve dedurre la finalità di copertura, protezione ed isolamento del medesimo appartamento e dunque sua pertinenza non già bene di natura condominiale.

Ordinanza|18 aprile 2023| n. 10269. Il sottotetto non è tra le parti esplicitamente indicate dal codice civile come rientranti tra le parti comuni

Data udienza 21 marzo 2023

Integrale

Tag/parola chiave COMUNIONE E CONDOMINIO – CONDOMINIO – PARTI COMUNI

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere

Dott. AMATO Cristina – Consigliere

Dott. PIRARI Valeria – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 36705-2018 R.G. proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) ( (OMISSIS)) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) ( (OMISSIS));
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS);
-intimati-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BOLOGNA n. 1525-2018 depositata il 05/06/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/03/2023 dal Consigliere VALERIA PIRARI.

Il sottotetto non è tra le parti esplicitamente indicate dal codice civile come rientranti tra le parti comuni

Rilevato che:

1. (OMISSIS), proprietario di un appartamento nello stabile condominiale sito in (OMISSIS), premessa l’esistenza, all’ultimo piano del palazzo, di un vano sottotetto, accessibile attraverso una botola situata nel vano scala condominiale e utilizzato dal condominio per il deposito di materiale edile e per l’impianto centralizzato TV, e l’avvenuta esecuzione nel 1995, da parte del proprietario dell’appartamento sottostante, (OMISSIS), di opere murarie che ne avevano reso possibile l’utilizzo esclusivo di una porzione rilevante, benche’ non inclusa nel suo atto di compravendita, convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Bologna, quest’ultimo e (OMISSIS), onde ottenere l’accertamento del diritto di comproprieta’ del vano sottotetto e dell’appropriazione illecita, da parte loro, del predetto immobile, nonche’ la loro condanna alla restituzione alla proprieta’ e all’uso comune del vano, alla rimessione in pristino e al risarcimento dei danni patiti, consistiti nel mancato utilizzo del bene e nel mancato pagamento, da parte loro, dalle spese condominiali, oltre interessi legali e rivalutazione, deducendo che i convenuti.
Il giudizio cosi’ incardinato, nel quale si costituirono i convenuti, chiedendo il rigetto delle domande, esito’ nel parziale rigetto delle domande, pronunciata dal Tribunale adito con la sentenza n. 20998-2010, che, impugnata, dal medesimo (OMISSIS), fu confermata dalla Corte d’Appello di Bologna con sentenza n. 1525-2018.
2. Contro la predetta sentenza (OMISSIS) propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, illustrati anche con memoria. Sono rimasti intimati (OMISSIS) e (OMISSIS).

Il sottotetto non è tra le parti esplicitamente indicate dal codice civile come rientranti tra le parti comuni

Considerato che:

1. Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1117 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere i giudici d’appello affermato che il sottotetto non avesse natura condominiale, ma pertinenziale all’appartamento sottostante, senza considerare che le caratteristiche del bene, come accertate dalla consulenza tecnica d’ufficio svolta nel primo grado, erano tali da far propendere per la comproprieta’ dello stesso, siccome non costituente una mera intercapedine, in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimita’, non avendo tenuto conto dell’esistenza, nel sottotetto, di un’apertura finestrata che consentiva l’accesso all’esterno della copertura per l’esecuzione dei lavori di manutenzione, in contrasto con l’asserzione, contenuta in sentenza, dell’assenza in esso di luci e affacci; l’altezza al colmo misurata in metri 2,15 e tale da escludere la sua funzione di intercapedine al servizio dell’appartamento sottostante e da affermarne la sua potenziale utilizzabilita’ comune, in contrasto con quanto affermato dai giudici secondo cui l’altezza era limitata; l’esistenza di un accesso condominiale al sottotetto posto sopra le scale comuni, tale da attestare il potenziale uso comune; la sua accessibilita’ ai condomini mediante una botola posta sul soffitto del vano scale e con l’utilizzo di una scala condominiale, tale da attestare non solo la potenzialita’ dell’uso, ma l’effettivo utilizzo condominiale; la sussistenza di una scala retrattile all’interno dell’appartamento dei convenuti e la presenza di un muro di separazione, attestanti l’avvenuta abusiva occupazione del bene da parte loro. I giudici, in definitiva, non avevano tenuto conto, ad avviso del ricorrente, del fatto che il sottotetto puo’ considerarsi pertinenza dell’appartamento dell’ultimo piano solo qualora assolva all’esclusiva funzione di isolare e proteggere l’appartamento medesimo dal caldo, freddo e umidita’, ma non anche quando abbia dimensioni e caratteristiche tali da consentirne un utilizzo come vano autonomo, ipotesi questa nella quale l’appartenenza del bene avrebbe dovuto essere valutata sulla base del titolo, essendo altrimenti condominiale.
2. Col secondo motivo, si lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non avere i giudici di merito considerato le caratteristiche del vano, come riportate dal c.t.u. e descritte nel precedente motivo (esistenza di un’apertura finestrata che consente l’accesso all’esterno della copertura, l’altezza al colmo del sottotetto, l’esistenza di un accesso condominiale e l’utilizzo del vano da parte del condominio per il deposito di cavi e delle interconnessioni dell’impianto televisivo).
3. Con il terzo motivo, si lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere il giudice d’appello omesso di considerare che i convenuti, al fine di ottenere il titolo in sanatoria delle opere edilizie realizzate per appropriarsi del bene condominiale, avevano affermato di avere ottenuto il consenso unanime dei condomini all’esecuzione dell’intervento nel 1954, cosi’ riconoscendo l’altruita’ della proprieta’ e dichiarando il falso circa la data di esecuzione dei lavori (risalenti al 2002, come da delibera condominiale).

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4. Con quarto motivo, infine, si lamenta la violazione o falsa applicazione dell’articolo 1102 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere il giudice d’appello omesso di valutare che i convenuti avevano reso una parte di vano comune di esclusiva proprieta’, escludendo di fatto l’utilizzo anche solo potenziale da parte dell’attore e degli altri condomini.
5. Il primo e il quarto motivo, da trattare congiuntamente perche’ strettamente connessi, sono infondati.
Va, innanzitutto, premesso come la previsione legale di condominialita’, stabilita per i beni di cui all’elenco, non tassativo, contemplato dall’articolo 1117 c.c., derivi sia dall’attitudine oggettiva del bene al godimento comune, sia dalla concreta destinazione del medesimo al servizio comune (Cass., Sez. 2, 23/08/2007, n. 17928), e come la proprieta’ immobiliare, estendendosi alla proiezione verticale, nel sottosuolo e nello spazio sovrastante, dell’immobile che ne e’ oggetto, includa, nell’ipotesi di porzione di edificio diviso verticalmente in due parti adiacenti, anche le strutture sovrastanti, che, concorrendo a formare l’unita’ complessa, ne sono accessorie (Cass., Sez. 2, 18/02/1981, n. 991, parla al riguardo espressamente di sottotetto).
Sulla natura del sottotetto, in particolare, questa Corte, muovendo dalla mancata sua inclusione tra le porzioni immobiliari rientranti nella presunzione di condominialita’ di cui al ridetto articolo 1117 c.c., nella versione antecedente al 2012, applicabile ratione temporis, si e’ costantemente espressa sostenendo che la sua determinazione debba tener conto, in primo luogo, del titolo e, soltanto in sua mancanza, della funzione in concreto impressa al bene, dovendo lo stesso essere considerato di proprieta’ esclusiva del titolare dell’appartamento dell’ultimo piano, quale sua pertinenza, quando avente la funzione di isolare e proteggere l’appartamento medesimo dal caldo, dal freddo e dall’umidita’, fungendo da camera d’aria isolante, e, viceversa, di proprieta’ del condominio, quando avente dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo (Cass., Sez. 2, 30/03/2016, n. 6143, Cass., Sez. 2, 28/04/1999, n. 4266; Cass., Sez. 2, 12/8/2011, n. 17249) e oggettiva destinazione concreta, sia pure in via solo potenziale, all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune (Cass., Sez. 2, 28/04/1999, n. 4266, cit., Cass., Sez. 2, 18/03/1987, n. 2722; Cass., Sez. 2, 12/8/2011, n. 17249), in applicazione della presunzione di condominialita’ di cui alla citata disposizione, la quale opera ogniqualvolta, nel silenzio del titolo, il bene sia suscettibile, per le sue caratteristiche, di utilizzazione da parte di tutti i proprietari esclusivi (Cass., Sez. 2, 20/07/1999, n. 7764; Cass., Sez. 2, 30/03/2016, n. 6143).
Orbene, e’ a questi principi che i giudici di merito, nell’affermare la natura pertinenziale della porzione di sottotetto contesa, si sono chiaramente attenuti, non soltanto perche’ vi hanno fatto espresso riferimento, ma anche perche’, alla stregua degli stessi, hanno analizzato struttura e funzione del bene, valorizzando, al riguardo, il fatto che fosse immediatamente sovrastante l’appartamento dei controricorrenti senza debordare, non fosse facilmente accessibile se non attraverso una botola posta sul solaio all’ingresso munita di scala retrattile in metallo, fosse privo di finestre o punti luce e avesse un’altezza limitata e tale da impedire, anche nei punti piu’ alti (mt. 1,80), il facile movimento a causa della presenza di travature in legno piu’ basse.

Il sottotetto non è tra le parti esplicitamente indicate dal codice civile come rientranti tra le parti comuni

Alla stregua di tali elementi di fatto, la Corte d’Appello ha, dunque, ritenuto che il sottotetto, in ragione delle sue dimensioni, delle caratteristiche strutturali, dell’assenza di finestre o affacci e della mancata dimostrazione di un diverso impiego da parte dei condomini antecedentemente all’esecuzione dei lavori, non fosse suscettibile di utilizzo come vano autonomo, siccome inadatto alla presenza di persone, e si configurasse, invece, come mero vano tecnico, con funzione di isolamento termico.
Ne’ il mancato accertamento, da parte del giudice di merito, di un suo uso potenziale puo’ dirsi in contrasto con i principi teste’ enunciati, essendo tale valutazione implicitamente assorbita dal giudizio sulle inutilizzabilita’ in qualsivoglia maniera del bene in ragione delle sue caratteristiche e non essendo comunque sufficiente, al fine di affermarne la natura condominiale, che i condomini usufruiscano in concreto per i piu’ svariati usi del sottotetto, potendo cio’ unicamente comportare l’acquisizione del “sottotetto” al condominio per usucapione (Cass., Sez. 2, 05/04/1982, n. 2090).
Stante la compiuta analisi condotta dai giudici di merito, appare allora evidente come la doglianza si risolva in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento dei predetti, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia di fatto, certamente estranea alla natura e ai fini del giudizio di cassazione (Cass., Sez. U., 25/10/2013, n. 24148).
5.1. Dalla reiezione del primo motivo, deriva necessariamente l’assorbimento c.d. improprio del secondo mezzo, potendosi configurare la violazione dell’articolo 1102 c.c. soltanto nel caso in cui un bene comune esista, ma non anche quando la sua sussistenza sia stata esclusa, come accaduto nella specie.
6. Il secondo e il terzo motivo, da analizzare congiuntamente in ragione della stretta connessione, sono parimenti infondati.
L’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal Decreto Legislativo n. 2 febbraio 2006, n. 40, prevede, infatti, “l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio” come riferita ad un preciso accadimento o ad una precisa circostanza in senso storico-naturalistico (Cass., Sez. 5, 8/10/2014, n. 21152; Cass., Sez. 3, 20/8/2015, n. 17037; Cass., Sez. 1, 8/8/2016, m. 17761; Cass., Sez. 2, 29/10/2018, n. 27415), riferibile ad un fatto principale ex articolo 2697 c.c. (ossia un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o anche a un fatto secondario, purche’ controverso e decisivo (Cass., Sez. 1, 8/8/2016, n. 17761; Cass., Sez. 6, /10/2017, n. 23238), mentre e’ inammissibile la revisione del ragionamento decisorio del giudice, atteso che questa Corte non puo’ mai procedere ad un’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa e che il vizio non puo’ consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, controllare attendibilita’ e concludenza delle prove e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dando liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova, sicche’ mai puo’ essere censurata in se’ la valutazione degli elementi probatori secondo il prudente apprezzamento del giudice (Cass., Sez. 5, 11/6/2020, n. 11227).
Orbene, i fatti posti a fondamento delle due censure non consentono di suffragarne la fondatezza: con riguardo a quelli posti a base del terzo motivo (le dichiarazioni rese dal controricorrente al Comune onde ottenere i titoli abilitativi amministrativi), in quanto non incisivi o determinanti per la decisione, sia perche’ esulano dai criteri che devono guidare la valutazione del giudice al fine di verificare l’appartenenza del sottotetto in assenza di titolo, sia perche’ l’efficacia probatoria dell’atto ricognitivo, avente natura confessoria, si esplica (cosi’ come appunto quella della confessione) soltanto in ordine ai fatti produttivi di situazioni o rapporti giuridici sfavorevoli al dichiarante, nei casi espressamente previsti dalla legge, senza assumere valore di prova circa l’esistenza del diritto di proprieta’ o (al di fuori dei casi previsti) di altri diritti reali (Cass., Sez. 3, 18/6/2003, n. 9687); con riguardo a quelli posti a base del secondo motivo (ossia le caratteristiche del bene), perche’ nient’affatto omessi, ma ampiamente analizzati dal giudice di merito, risolvendosi pertanto la doglianza sul punto nella inammissibile richiesta di revisione del ragionamento decisorio.
Ne consegue l’infondatezza delle censure.
7. In conclusione, va dichiarata l’infondatezza dei motivi. Nulla deve disporsi sulle spese, non avendo gli intimati spiegato difesa.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’articolo 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

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