Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 11 giugno 2018, n. 26614.
La massima estrapolata:
Il solo stato di avanzata gravidanza non può di per sé costituire, anche per nozione di comune esperienza, causa di legittimo impedimento in mancanza di specifiche attestazioni sanitarie indicative del pericolo derivante dall’espletamento delle attività ordinarie e/o professionali.
Sentenza 11 giugno 2018, n. 26614
Data udienza 23 marzo 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PAOLONI Giacomo – Presidente
Dott. RICCIARELLI Massimo – Consigliere
Dott. CAPOZZI Angelo – Consigliere
Dott. CORBO Antonio – Consigliere
Dott. VIGNA Maria S. – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 17/05/2017 della Corte di appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Maria Sabina Vigna;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. FILIPPI Paola che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso;
udito il difensore, avv. (OMISSIS) che si e’ riportato ai motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza emessa all’esito di giudizio abbreviato dal Tribunale di Monza in data 7 ottobre 2015 che condannava (OMISSIS) alla pena di mesi sei di reclusione in relazione alla commissione del reato di resistenza a pubblico ufficiale e di danneggiamento aggravato dell’automezzo di servizio degli operanti.
Il compendio probatorio e’ costituito dalla comunicazione di notizia di reato, nonche’ dai certificati medici redatti nei confronti dei Carabinieri attestanti lesioni guaribili in 10 giorni.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore di fiducia dell’imputato deducendo i seguenti motivi:
2.1. Violazione di legge in relazione agli articoli 599, 127 e 420 ter c.p.p.. E’ stato violato il diritto di difesa dell’imputato nonche’ il diritto del difensore alla tutela della propria salute.
Il difensore aveva inviato presso la cancelleria della Corte d’appello istanza di rinvio per legittimo impedimento, attestando, con certificazione medica ospedaliera, di trovarsi in stato avanzato di gravidanza (trentunesima settimana). La Corte rigettava l’istanza ritenendo che una tale motivazione non costituisse impedimento del difensore alla partecipazione dell’udienza mancando specifiche attestazioni sanitarie indicative del pericolo derivante dall’espletamento dell’attivita’ professionale. Disponeva procedersi oltre e nominava un difensore di ufficio ai sensi dell’articolo 97 c.p.p., comma 4.
2.2. Deve essere sollevata questione di legittimita’ costituzionale degli articoli 599, 127 e 420 ter c.p.p. in relazione agli articoli 24, 31 e 3 Cost. nella parte in cui non prevedono espressamente che il giudice debba disporre il rinvio dell’udienza se richiesto dal difensore legittimamente impedito per motivi di salute e, in particolare, per maternita’ clinicamente documentata secondo le leggi speciali in materia.
Deve essere sollevata questione di illegittimita’ costituzionale dell’articolo 420-ter c.p.p. per violazione degli articoli 24, 31 e 3 Cost. nella parte in cui non prevede espressamente che le udienze devono essere sempre rinviate laddove il difensore ne faccia istanza in virtu’ del proprio stato di gravidanza.
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento agli articoli 62-bis e 133 cod. pen., in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
La Corte di appello ha semplicemente richiamato la presenza di numerosi precedenti a carico di (OMISSIS) e la commissione del fatto in se’.
I precedenti di (OMISSIS) sono di non particolare gravita’ e risalenti nel tempo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ manifestamente infondato e deve, conseguentemente, essere dichiarato inammissibile.
2. Quanto al primo motivo, deve evidenziarsi che, secondo il prevalente orientamento di questa Corte di legittimita’, nel giudizio abbreviato di appello, soggetto al rito camerale, si applica l’articolo 420-ter c.p.p., comma 5, che impone il rinvio del procedimento in caso di dedotto legittimo impedimento del difensore, fermo restando che, ove il difensore non comparso non abbia dedotto legittimo impedimento, il procedimento puo’ proseguire senza necessita’ di provvedere alla sua sostituzione ex articolo 97 c.p.p., comma 4, (vedi Sez. 2, n. 8 del 16/11/2016, dep. 02/01/2017, Rv. 268765; vedi anche Sez. 3, n. 35576 del 05/04/2016, Rv. 267632).
La Corte distrettuale ha fatto buon uso di tale regula iuris perche’ ha dapprima ritenuto non legittimo l’impedimento fornendo adeguata motivazione sul punto e ha successivamente ha disposto procedersi oltre, provvedendo anche alla non dovuta nomina di un difensore di ufficio ex articolo 97 c.p.p., comma 4.
Mette conto rilevare che, con specifico riferimento allo stato di gravidanza, il nuovo testo dell’articolo 420-ter c.p.p., in vigore dal 1.01.2018, prevede al comma 5-bis che: “Agli effetti di cui al comma 5 il difensore che abbia comunicato prontamente lo stato di gravidanza si ritiene legittimamente impedito a comparire nei due mesi precedenti la data presunta del parto e nei tre mesi successivi ad esso”.
Trattasi di una norma non avente valore retroattivo, stante la sua natura processuale e che, in ogni caso, non poteva trovare applicazione nel caso de quo, posto che mancavano piu’ di due mesi alla data del parto del difensore.
3. Non sfugge al giudizio di manifesta infondatezza anche il secondo motivo di ricorso.
La Corte di appello si e’ correttamente attenuta all’insegnamento per il quale “il solo stato di avanzata gravidanza non puo’ di per se’ costituire, anche per nozione di comune esperienza, causa di legittimo impedimento in mancanza di specifiche attestazioni sanitarie indicative del pericolo derivante dall’espletamento delle attivita’ ordinarie e/o professionali” (Sez. 5, n. 8129 del 14/02/2007 Rv. 236526 in fattispecie relativa alla 34 settimana; Sez. 4, n. 46564 del 2004, in fattispecie relativa a gravidanza alla 37 settimana; Sez. 5, 14 dicembre 2005, Santelli, in fattispecie relativa a gravidanza alla 39 settimana).
Il giudice, nel valutare, secondo il proprio libero convincimento, la prova dell’assoluto impedimento a comparire, ben puo’ disattendere la prognosi contenuta in un certificato medico senza ricorrere a nuovi accertamenti ed avvalendosi di comuni regole di esperienza o di conoscenze mediche di base, specie se si considera, tra l’altro, che la legge richiede l’assoluta impossibilita’ di comparire e che la prognosi di una malattia e’ pur sempre un giudizio fondato sulla probabilita’ e non sulla certezza (Sez. 1, n. 405 del 1998).
Tale principio, a maggior ragione, deve essere applicato nella fattispecie in esame, nella quale il difensore dell’imputato non risultava affetta da alcuna malattia e, se e’ vero che dalla certificazione medica risultava il suo stato di gravidanza alla trentunesima settimana, nondimeno, come ha correttamente rilevato la Corte, mancava qualsiasi attestazione del sanitario circa la presenza di uno stato di malattia ovvero di minaccia di parto prematuro e, dunque, dell’assoluta impossibilita’ per il professionista di presenziare al dibattimento.
3.2. Ne’ ha rilievo, in proposito, sotto il profilo della illegittimita’ costituzionale della norma, l’aspetto sottolineato dal ricorrente relativo alla tutela della maternita’ della professionista, perche’, secondo l’orientamento ormai consolidato delle sezioni civili di questa Corte, “l’indennita’ di maternita’ prevista dalla L. 11 dicembre 1990, n. 379, articolo 1 in favore della libera professionista iscritta ad una cassa di previdenza e assistenza di cui alla tabella A) allegata alla stessa legge, spetta per i periodi di gravidanza e di puerperio considerati dalla norma, anche se in detti periodi la professionista non si sia astenuta dall’attivita’ lavorativa, considerata in particolare la finalita’ di speciale tutela perseguita dalla legge medesima che ha voluto che la professionista, per assolvere in modo adeguato alla funzione materna, non sia turbata da alcun pregiudizio alla sua attivita’ professionale” (v., per tutte, Cass., Sez. Lav., Sentenza n. 7447 del 1999; Sez. Lav., sent. n. 7857 del 2003).
Alla luce di quanto sopra esposto, le questioni di illegittimita’ costituzionale dell’articolo 420-ter c.p.p. appaiono manifestamente infondate.
4. E’ inammissibile il terzo motivo di ricorso, posto che la Corte territoriale motiva puntualmente in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche facendo riferimento all’assenza di elementi che possano essere positivamente valutati, ai numerosi precedenti penali di (OMISSIS), alla gravita’ del fatto commesso senza apparente motivo e mettendo in serio pericolo l’incolumita’ dei militari.
La mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e’, quindi, giustificata da motivazione esente da manifesta illogicita’, che, pertanto, e’ insindacabile in cassazione (Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419), anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non e’ necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e’ sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Rv. 248244).
Nel caso in esame, peraltro, la Corte territoriale, a fronte della mancata indicazione di elementi positivi, risulta avere individuato la valenza ostativa alla invocata concessione anche in forza di altri elementi rispetto a quelli censurati nel ricorso, ossia l’evidente gravita’ dei fatti e i precedenti penali dell’imputato.
Trattasi, all’evenienza, di circostanze attinenti sia alla gravita’ del reato che alla personalita’ del colpevole che rendono congruo il giudizio negativo espresso dal giudice del merito che risulta, dunque, incensurabile in sede di legittimita’.
5. Alla inammissibilita’ del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali.
In ragione delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che si ravvisano ragioni di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’, deve, altresi’, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della cassa delle ammende.
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