Il sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica

Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 23 settembre 2019, n. 6315.

La massima estrapolata:

Il sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica è finalizzato a verificare se la pubblica amministrazione ha violato il principio di ragionevolezza tecnica, senza che sia consentito, in coerenza con il principio costituzionale di separazione, sostituire le valutazioni, anche opinabili, espresse con il provvedimento censurato. Non è dunque ammesso un “sindacato sostitutivo” ma soltanto quello che è stato definito sindacato di “attendibilità tecnica”.

Sentenza 23 settembre 2019, n. 6315

Data udienza 18 luglio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 317 del 2017, proposto da
Un. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Ca., An. Cl., Ma. Mi. e St. Co., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato An. Cl. in Roma, via (…);
contro
Ministero dello Sviluppo Economico, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per Gli Affari Regionali, Autorità Garante per ”Energia Elettrica il Gas e il Sistema Idrico – sede di Milano, Presidenza del Consiglio dei Ministri – Conferenza Stato Regioni ed Unificata, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
Ministero per gli Affari Regionali, Dipartimento per gli Affari Regionali e Le Autonomie, Conferenza Unificata Stato Regioni e Enti Locali, non costituiti in giudizio;
nei confronti
Lu. Sa., non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza 14 ottobre 2016, n. 10286 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma, Sezione Terza.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dello Sviluppo Economico e di Presidenza del Consiglio dei Ministri e di Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per Gli Affari Regionali e di Autorità Garante per L’Energia Elettrica il Gas e il Sistema Idrico – Sede di Milano e di Presidenza del Consiglio dei Ministri – Conferenza Stato Regioni ed Unificata;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 luglio 2019 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti gli avvocati Gi. Ca., An. Cl., St. Co., Ma. Mi. e Fe. Va. dell’Avvocatura Generale dello Stato.

FATTO

1.- Le società A2 Reti Gas s.p.a. (oggi Un.), esercente il servizio di distribuzione del gas naturale in 213 comuni italiani (la maggior parte dei quali in Lombardia) con una rete di circa 7.650 km. (per una distribuzione annua di gas pari a 2 mld. circa di metri cubi), ha impugnato, innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con ricorso principale il decreto 22 maggio 2014, con cui il Ministero dello sviluppo economico ha approvato le “Linee guida” sui criteri e le modalità applicative per la valutazione del “valore di rimborso” spettanti ai precedenti concessionari degli impianti di distribuzione del gas.
In particolare, sono stati prospettati plurimi motivi (per violazione delle norme riportate nella parte in diritto), tra i quali quelli con i quali è stata dedotta l’illegittimità delle linee guida nella parte in cui prevedono, sussistendo determinati presupposti, che i criteri da esse stabiliti per la determinazione del valore del rimborso prevalgono rispetto alla volontà delle parti quale fissata, in un tempo anteriore, nel contratto, con conseguente violazione dei principi della certezza del diritto, tutela dell’affidamento e irretroattività degli atti amministrativi.
Con ricorso per motivi aggiunti, la società ha impugnato il decreto ministeriale 20 maggio 2015, n. 106, di modifica del decreto ministeriale n. 226 del 2011, prospettando anche in questo caso plurimi motivi, tra i quali quello con cui si assume l’illegittimità di tale decreto in quanto esso introdurrebbe norme incidenti su antecedenti rapporti convenzionali consolidati, con violazione dei principi di certezza del diritto, affidamento e irretroattività delle norme giuridiche, oltre che di ragionevolezza e proporzionalità .
2.- Il Tribunale amministrativo, con sentenza 14 ottobre 2016, n. 10286, ha dichiarato improcedibile il ricorso principale e in parte ha respinto e in parte ha dichiarato inammissibile il ricorso per motivi aggiunti. In particolare, si è affermato che il rigetto dei motivi aggiunti ha fatto venire meno l’utilità all’eventuale annullamento delle linee guida “perché l’eventuale riedizione della potestà in rilievo non potrebbe che avvenire in conformità alle previsione del d.m. 106/205”.
3.- La società ricorrente in primo grado ha proposto appello, riproponendo i motivi prospettati in primo grado.
3.1.- Si è costituita in giudizio l’amministrazione statale, chiedendo il rigetto dell’appello.
4.- La Sezione, all’esito dell’udienza pubblica del 15 luglio 2017, con ordinanza 5 dicembre 2017, n. 5736, ha adottato una ordinanza con la quale ha disposto un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea al fine di accertare se la normativa nazionale (riportata nella parte in diritto) che prevede una applicazione retroattiva dei criteri di determinazione dell’entità dei rimborsi spettanti agli ex concessionari con incidenza su pregressi rapporti negoziali si ponga in contrasto con il diritto europeo ovvero se tale applicazione sia giustificata, anche alla luce del principio di proporzionalità, dall’esigenza di tutelare altri interessi pubblici, di rilevanza europea, afferenti all’esigenza di consentire una migliore tutela dell’assetto concorrenziale del mercato di riferimento unitamente alla maggiore protezione degli utenti del servizio che potrebbero subire, indirettamente, gli effetti di un eventuale maggiorazione delle somme spettanti agli ex concessionari
4.1.- La Corte di Giustizia, con sentenza 21 marzo 2019, causa C.-702/17 ha ritenuto che, in relazione al profilo esaminato, non sussiste il prospettato contrasto con il diritto europeo.
5.- A seguito della suddetta sentenza l’appellante ha depositato una memoria, con la quale ha ribadito l’illegittimità degli atti impugnati, insistendo, in particolare, perché venga sollevata questione di legittimità costituzionale.
6.- La causa è stata decisa all’esito dell’udienza pubblica del 18 luglio 2019.

DIRITTO

1.- La questione posta all’esame del Collegio attiene ai criteri per la determinazione del valore del rimborso spettante ai gestori del servizio di distribuzione del gas naturale, le cui concessioni sono state dichiarate cessate in via anticipata ex lege al fine di consentire il successivo affidamento con procedura di gara.
2.- In via preliminare è necessario ricostruire il quadro normativo rilevante e riportare gli orientamenti della giurisprudenza del Consiglio di Stato in ordine al sindacato sulla discrezionalità tecnica.
2.1.- Il settore del gas è stato investito da ampi processi di liberalizzazione economica (cd. concorrenza nel mercato).
Il diritto europeo impone, infatti, che le attività economiche vengano svolte in modo da assicurare la libera circolazione delle persone, delle merci e dei capitali. Si ammette una eccezione a questa regola soltanto nel caso in cui l’applicazione delle norme a tutela della concorrenza possano ostacolare l’adempimento della “specifica missione” affidata alle imprese incaricate della gestione di quelli che vengono definiti servizi di interesse economico generale (art. 106 Trattamento sul funzionamento dell’Unione europea). Si tratta di una attività economica “conformata” da obblighi di servizio che hanno lo scopo di indirizzare quella determinata attività a tutela di utenti che, in mancanza di un intervento pubblico regolatorio, non potrebbero usufruire, a prezzi accessibili e non discriminatori, quella determinata prestazione.
La regolazione economica di tali settori è dettata oltre che da norme imperative anche da atti amministrative che la legge attribuisce ad Autorità amministrative indipendenti: nella specie, Autorità per l’energia elettrica, il gas e il settore idrico, istituita con legge 14 novembre 1995, n. 481 Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità (Istituzione delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità ).
Nella fase di scelta del soggetto gestore del servizio è necessario inoltre seguire procedure di garanzia e cioè procedure di gara: cd. concorrenza per il mercato.
Questi principi, nel settore del gas naturale, hanno trovato un ulteriore sviluppo applicativo a livello di fonti derivate con l’adozione delle seguenti direttive: 96/92/CE recante “Norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica”; 98/30/CE recante “Norme comuni per il mercato interno del gas naturale”; 2003/55/CE, recante “Norme comuni per il mercato interno del gas naturale e che abroga la direttiva 98/30/CE”.
La normativa interna di attuazione è contenuta nel decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, che è stato, nel tempo, oggetto di plurime modificazioni alcune delle quali imposte dal diritto europeo.
L’art. 1 dispone che: i) “nei limiti delle disposizioni del presente decreto le attività di importazione, esportazione, trasporto e dispacciamento, distribuzione e vendita di gas naturale, in qualunque sua forma e comunque utilizzato, sono libere” (comma 1); ii) “resta in vigore la disciplina vigente per le attività di coltivazione e di stoccaggio di gas naturale, salvo quanto disposto dal presente decreto” (comma 2).
Il Titolo II disciplina (artt. 3-7) l’attività di approvvigionamento, che ricomprende “importazione” (capo I) e “coltivazione” di idrocarburi (capo II).
Il Titolo III disciplina (artt. 8-10) l’attività di trasporto e dispacciamento, che è qualificata come attività di interesse pubblico (art. 8, comma 1). Si prevede che: “Le imprese che svolgono attività di trasporto e dispacciamento sono tenute ad allacciare alla propria rete gli utenti che ne facciano richiesta ove il sistema di cui esse dispongono abbia idonea capacità, e purché le opere necessarie all’allacciamento dell’utente siano tecnicamente ed economicamente realizzabili in base a criteri stabiliti con delibera dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas” (art. 8, comma 2)
Il Titolo IV disciplina (artt. 11-13) l’attività di stoccaggio del gas natura in giacimenti o unità geologiche profonde, che “è svolta sulla base di concessione, di durata non superiore a venti anni, rilasciata dal Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato ai richiedenti che abbiano la necessaria capacità tecnica, economica ed organizzativa e che dimostrino di poter svolgere, nel pubblico interesse, un programma di stoccaggio” rispondente ai requisiti indicati nel decreto stesso (art. 11)
Il Titolo V disciplina (artt. 14-21) l’attività di distribuzione e vendita.
La prima, che rileva in questa sede, è qualificata dall’art. 14 quale “attività di servizio pubblico”. La stessa norma dispone che: i) “Il servizio è affidato esclusivamente mediante gara per periodi non superiori a dodici anni”; ii) “Gli enti locali che affidano il servizio, anche in forma associata, svolgono attività di indirizzo, di vigilanza, di programmazione e di controllo sulle attività di distribuzione, ed i loro rapporti con il gestore del servizio sono regolati da appositi contratti di servizio, sulla base di un contratto tipo predisposto dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas ed approvato dal Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto”.
2.1.1.- In questo ambito si inserisce il successivo art. 15 il quale reca “Regime di transizione nell’attività di distribuzione”.
A) L’art. 15, comma 5, nella versione originaria, prevedeva che:
– “Per l’attività di distribuzione del gas, gli affidamenti e le concessioni in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché quelli alle società derivate dalla trasformazione delle attuali gestioni, proseguono fino alla scadenza stabilita”, fissata in cinque anni a decorrere dal 31 dicembre 2000 (ovvero sei o sette qualora ricorrono determinati presupposti previsti dal comma 7 dell’articolo in esame);
– “Gli affidamenti e le concessioni in essere per le quali non è previsto un termine di scadenza o è previsto un termine che supera il periodo transitorio, proseguono fino al completamento del periodo transitorio stesso”;
– “In quest’ultimo caso, ai titolari degli affidamenti e delle concessioni in essere è riconosciuto un rimborso, a carico del nuovo gestore ai sensi del comma 8 dell’art. 14, calcolato nel rispetto di quanto stabilito nelle convenzioni o nei contratti e, per quanto non desumibile dalla volontà delle parti, con i criteri di cui alle lettere a) e b) dell’art. 24 del regio decreto 15 ottobre 1925, n. 2578. Resta sempre esclusa la valutazione del mancato profitto derivante dalla conclusione anticipata del rapporto di gestione”.
A.1.) Il richiamato art. 24 del regio decreto n. 2578 del 1925, a sua volta, nell’ambito di una disciplina relativa al riscatto dei Comune di servizi dati in concessione, dispone che occorre tenere in considerazioni i seguenti criteri:
a) “valore industriale dell’impianto e del relativo materiale mobile ed immobile, tenuto conto del tempo trascorso dall’effettivo cominciamento dell’esercizio e dagli eventuali ripristini avvenuti nell’impianto o nel materiale ed inoltre considerate le clausole che nel contratto di concessione siano contenute circa la proprietà di detto materiale, allo spirare della concessione medesima”;
b) “anticipazioni o sussidi dati dai Comuni, nonché importo delle tasse proporzionali di registro anticipate dai concessionari e premi eventualmente pagati ai comuni concedenti, sempre tenuto conto degli elementi indicati nella lettera precedente”.
B) L’art. 16-bis del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159, ha previsto quanto segue: “Al fine di garantire al settore della distribuzione di gas naturale maggiore concorrenza e livelli minimi di qualità dei servizi essenziali, i Ministri dello sviluppo economico e per gli affari regionali e le autonomie locali, sentita la Conferenza unificata e su parere dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, individuano (…) i criteri di gara e di valutazione dell’offerta per l’affidamento del servizio di distribuzione di gas (….), tenendo conto in maniera adeguata, oltre che delle condizioni economiche offerte, e in particolare di quelle a vantaggio dei consumatori, degli standard qualitativi e di sicurezza del servizio, dei piani di investimento e di sviluppo delle reti e degli impianti”.
B.1.) In attuazione di tale decreto-legge è stato adottato il decreto ministeriale 12 novembre 2011, n. 226, il cui art. 5, nella versione originaria, prevedeva che:
“Il valore di rimborso ai titolari degli affidamenti e concessioni cessanti, per i quali non è previsto un termine di scadenza o è previsto un termine di scadenza naturale che supera la data di cessazione del servizio prevista nel bando di gara del nuovo affidamento, viene calcolato in base a quanto stabilito nelle convenzioni o nei contratti, conformemente a quanto previsto nell’articolo 15, comma 5, del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, e sue modificazioni, in particolare per i casi di cessazione anticipata del contratto rispetto alla scadenza naturale” (comma 2);
“Nel caso in cui la metodologia di calcolo del valore di rimborso ai titolari di cui al comma 2 non sia desumibile dai documenti contrattuali, incluso il caso in cui sia genericamente indicato che il valore di rimborso debba essere a prezzi di mercato, si applicano i criteri di cui alle lettere a) e b) dell’articolo 24, comma 4, del regio decreto 15 ottobre 1925, n. 2578, con le modalità specificate nei commi da 5 a 13, limitatamente alla porzione di impianto di proprietà del gestore, che, alla scadenza naturale dell’affidamento, non sia prevista essere trasferita in devoluzione gratuita all’Ente locale concedente” (comma 3).
C) L’art. 4, comma 6, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, dispone che – al fine di facilitare lo svolgimento delle gare per l’affidamento del servizio di distribuzione del gas e di ridurre i costi per gli enti locali e per le imprese – “il Ministero dello sviluppo economico può emanare linee guida su criteri e modalità operative per la valutazione del valore di rimborso degli impianti di distribuzione del gas naturale, in conformità con l’articolo 5 del decreto del Ministro dello sviluppo economico 12 novembre 2011, n. 226”.
D) L’art. 1, comma 16, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, ha modificato l’art. 15, comma 5, del d.lgs. n. 164 del 2000, sostituendo, per la disciplina degli aspetti non disciplinati dalle medesime convenzioni o contratti, il riferimento ai criteri di cui alle lettere a) e b) dell’articolo 24 del r.d. n. 2578 del 1925 con il riferimento “alle linee guida su criteri e modalità operative per la valutazione del valore di rimborso di cui all’articolo 4, comma 6, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69”. Si è aggiunto, inoltre, che: “In ogni caso, dal rimborso di cui al presente comma sono detratti i contributi privati relativi ai cespiti di località, valutati secondo la metodologia della regolazione tariffaria vigente”. In definitiva, per i profili non disciplinati convenzionalmente, i criteri non sono più quelli di cui al r.d. del 1925, ma quelli di cui alle linee guida.
E) Il decreto ministeriale 22 maggio 2014, n. 74951, ha approvato le “linee guida su criteri e modalità applicativa per la valutazione del valore di rimborso degli impianti di distribuzione del gas naturale”.
F) Il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, ha apportato una ulteriore modifica all’art. 15, comma 5, del d.lgs. n. 164 del 2000, stabilendo che il rimborso è calcolato nel rispetto di quanto disposto nelle convenzioni e nei contratti, “purché stipulati prima della data di entrata in vigore” del d.m. n. 226 del 2011.
G) Il decreto ministeriale 20 maggio 2015, n. 106 (di seguito anche “nuovo regolamento”), ha modificato il d.m. n. 226 del 2011 e in particolare l’art. 5, stabilendo che:
– il criterio di determinazione convenzionale opera “purché i documenti contrattuali siano stati stipulati prima dell’11 febbraio 2012 e contengano tutti gli elementi metodologici, quali le voci di prezzario applicabili alle diverse tipologie di cespiti da applicare allo stato di consistenza aggiornato e il trattamento del degrado fisico, incluse le durate utili per le diverse tipologie di cespiti, per il calcolo e per la verifica del valore di rimborso anche da parte dell’Autorità ” (comma 2);
– nel caso in cui la metodologia di calcolo del valore di rimborso “non sia desumibile da documenti contrattuali stipulati prima dell’11 febbraio 2012, inclusi i casi in cui sia genericamente indicato che il valore di rimborso debba essere calcolato in base al regio decreto 15 ottobre 1925 n. 2578, senza precisare la metodologia, o debba essere valutato a prezzi di mercato”, si applicano le modalità specificate nei commi da 5 a 13 dello stesso art. 5, “limitatamente alla porzione di impianto di proprietà del gestore che, alla scadenza naturale dell’affidamento, non sia prevista essere trasferita in devoluzione gratuita all’Ente locale concedente, con le modalità operative specificate nelle linee guida su criteri e modalità operative per la valutazione del valore di rimborso”.
Il comma 2-bis dell’art. 5 prevede, inoltre, che, “indipendentemente da quanto contenuto nei documenti contrattuali, vengono detratti i contributi privati relativi ai cespiti di località, relativi alla porzione di impianto di proprietà del gestore uscente che non sia ceduta all’ente locale concedente a devoluzione gratuita, valutati in base alla metodologia della regolazione tariffaria vigente, ed assumendo le vite utili dei cespiti”.
H) La versione vigente dell’art. 15, comma 5, del d.lgs. n. 164 del 2000, quale risultante dalla combinazione delle modifiche, sopra riportate, effettuate con gli interventi legislativi del 2013 e 2014, dispone che: i) “ai titolari degli affidamenti e delle concessioni in essere è riconosciuto un rimborso, a carico del nuovo gestore (…) calcolato nel rispetto di quanto stabilito nelle convenzioni o nei contratti, purché stipulati prima della data di entrata in vigore del regolamento di cui al decreto del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro per i rapporti con le Regioni e la coesione territoriale 12 novembre 2011, n. 226, e, per quanto non desumibile dalla volontà delle parti nonché per gli aspetti non disciplinati dalle medesime convenzioni o contratti, in base alle linee guida su criteri e modalità operative per la valutazione del valore di rimborso di cui all’articolo 4, comma 6, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98”; ii) “in ogni caso, dal rimborso di cui al presente comma sono detratti i contributi privati relativi ai cespiti di località, valutati secondo la metodologia della regolazione tariffaria vigente”.
2.2.- Il sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica è finalizzato a verificare se la pubblica amministrazione ha violato il principio di ragionevolezza tecnica, senza che sia consentito, in coerenza con il principio costituzionale di separazione, sostituire le valutazioni, anche opinabili, espresse con il provvedimento censurato. Non è dunque ammesso un “sindacato sostitutivo” ma soltanto quello che è stato definito sindacato di “attendibilità tecnica” (Cons. Stato, sez. VI, 15 luglio 2019, n. 4990, sia pure con riferimento ad un settore diverso da quello in esame).
3.- Con il quarto motivo di appello (A.4), che si esamina per primo per ragioni di pregiudizialità, si assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui non ha ritenuto che la previsione dell’art. 1, comma 16, del decreto-legge n. 145 del 2013 – nella parte in cui ha modificato l’art. 15, comma 5, del d.lgs. n. 164 del 2000, sostituendo, per la disciplina degli aspetti non disciplinati dalle medesime convenzioni o contratti, il riferimento ai criteri di cui alle lettere a) e b) dell’articolo 24 del r.d. n. 2578 del 1925 con il riferimento “alle linee guida su criteri e modalità operative per la valutazione del valore di rimborso di cui all’articolo 4, comma 6, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69” – si porrebbe in contrasto con i principi europei di certezza del diritto del diritto e di tutela delle libertà economiche, incidendo retroattivamente su posizioni giuridiche senza che dette previsioni avessero il crisma della prevedibilità .
Il motivo non è fondato.
Questa Sezione, con ordinanza 5 dicembre 2017, n. 5736, ha disposto un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea al fine di accertare se la normativa nazionale, sopra riportata, che prevede una applicazione retroattiva dei criteri di determinazione dell’entità dei rimborsi spettanti agli ex concessionari con incidenza su pregressi rapporti negoziali si ponga in contrasto con il diritto europeo ovvero se tale applicazione sia giustificata, anche alla luce del principio di proporzionalità, dall’esigenza di tutelare altri interessi pubblici, di rilevanza europea, afferenti all’esigenza di consentire una migliore tutela dell’assetto concorrenziale del mercato di riferimento unitamente alla maggiore protezione degli utenti del servizio che potrebbero subire, indirettamente, gli effetti di un eventuale maggiorazione delle somme spettanti agli ex concessionari.
La Corte di Giustizia, con sentenza 21 marzo 2019, causa C.-702/17, ha ritenuto che, in relazione al profilo esaminato, non sussiste il prospettato contrasto con il diritto europeo. In particolare, la Corte ha affermato che la ridiscussione delle concessioni in essere “non discende dal diritto dell’Unione in materia di concessioni di servizio pubblico di distribuzione di gas”. La Corte ha aggiunto che la normativa nazionale “che mira a limitare, in determinate ipotesi, la possibilità per i beneficiari del rimborso di fare riferimento alle clausole del contratto di concessione o al regio decreto del 15 ottobre 1925, n. 2578, non può, di per sé, configurare una disparità di trattamento a danno di imprese che potrebbero essere interessate a un servizio come quello gestito dalla Un. e con sede nel territorio di uno Stato membro diverso dall’Italia”. Ciò in quanto “una tale modifica delle norme di riferimento è indistintamente applicabile alle imprese con sede in Italia e a quelle con sede in un altro Stato membro”.
4.- Con il medesimo quarto motivo si è sostenuta l’illegittimità della normativa, riportata nel precedente punto, per contrasto con: i) l’art. 77 Cost, per carenza dei presupposti di necessità ed urgenza del decreto-legge n. 145 del 2013; ii) con l’art. 3 Cost., per violazione del principio di certezza giuridica e affidamento dei privati in ragione dell’incidenza retroattiva sui rapporti negoziali in corso mediante una normativa sopravvenuta con contenuto non prevedibile; iii) con l’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in quanto, nella prospettiva convenzionale, gli investimenti effettuati dagli operatori economici costituiscono “beni” che devono essere tutelati da ingerenze non consentite nel diritto di proprietà .
Il motivo non è fondato.
In relazione all’asserita violazione dell’art. 77 Cost., la deduzione è generica e, in ogni, caso, sussistevano i presupposti di necessità ed urgenza proprio in ragione dell’esistenza di regolamentare le modalità di determinazione dei rimborsi per definire il passaggio dal regime transitorio al regime definitivo, nonché per assicurare il “contenimento delle tariffe (…) del gas”.
In relazione all’asserita violazione dell’art. 3 Cost., la Corte Costituzionale ha più volte affermato che la legge può introdurre norme che modifichino in senso sfavorevole per gli interessati la disciplina di determinati rapporti, anche quando l’oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti, purché tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate su leggi precedenti, l’affidamento dei cittadini nella “certezza dell’ordinamento giuridico”, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto (Corte cost. n. 69 del 2014, n. 310 e n. 83 del 2013).
Soltanto in materia penale (e, per il diritto amministrativo, in presenza di sanzioni amministrative afflittive) opera il divieto assoluto, ai sensi dell’art. 25, comma 2, Cost., di retroattività delle norme incriminatrici sfavorevoli (Corte cost. n. 5 del 2014).
Al di fuori di questi ambiti, deve sussistere, pertanto, una valida ragione giustificativa all’adozione di una legge retroattiva che, nella prospettiva europea, integra gli estremi di un “motivo imperativo di interesse generale” in grado di giustificare la retroattività (Corte cost. n. 156 del 2014 e n. 264 del 2012).
Nella specie, è bene premettere che il legislatore è intervenuto nella materia in esame per garantire un equilibrato passaggio da un regime pregresso non conforme ai principi europei e nazionali di tutela della concorrenza ad un regime che assicurasse il rispetto di tali principi. Nella definizione di tale passaggio il legislatore ha previsto, inoltre, che gli ex gestori possono partecipare alle prime gare per ambiti territorio su tutto il territorio nazionali, senza limitazioni, anche se essi “gestiscono servizi pubblici locali, anche diversi dalla distribuzione di gas naturale, in virtù di affidamento diretto o di una procedura non ad evidenza pubblica” (art. 15, comma 10, d.lgs. n. 164 del 2000).
In questo contesto, le disposizioni introdotte hanno regolato con efficacia retroattiva i rapporti economici con i precedenti concessionari del servizio, anche se tale retroattività non ha determinato obblighi restitutori di somme già riscosse in virtù dell’applicazione di regole pregresse, in quanto, come precisato dal regolamento del 2015, nelle sue premesse, le “valutazioni del valore di rimborso producono effetti solo all’atto della pubblicazione del bando di gara” di indizione delle nuove gara.
La Sezione ritiene che la normativa sopravvenuta abbia inciso, con le modalità retroattività indicate, sui rapporti negoziali pregressi non in modo irragionevole ma in presenza di una causa giuridica idonea a giustificare la sua adozione. In particolare, l’art. 4, comma 6, del decreto-legge n. 69 del 2013, nel prevedere le linee guida quale strumento idoneo a determinare il valore del rimborso, ha disposto che la finalità perseguita sia stata quella “di facilitare lo svolgimento delle gare per l’affidamento del servizio di distribuzione del gas e di ridurre i costi per gli enti locali e per le imprese”. Inoltre, era necessario introdurre una disciplina organica che assicurasse anche uniformità di trattamento. In definitiva, la valutazione complessiva dell’impianto regolatorio introdotto e l’esigenza di realizzare un più equilibrato bilanciamento tra gli interessi dei concessionari e quelli generali di tutela della concorrenza, degli enti locali, delle imprese e dei consumatori nonché di uniformità di regolazione ha giustificato l’adozione di disposizioni con efficacia retroattiva, oggetto di impugnazione in questa sede.
In relazione alla Cedu, la Corte Europea dei diritti dell’uomo segue un orientamento ana a quello espresso dalla Corte costituzionale, ritenendo necessario, per ammettere la legittimità di una legge retroattiva, la sussistenza di “preminenti esigenze di interesse generale” (Corte eur. dir. uomo, sez. II, 31 maggio 2011, n. 46286). Per ritenere che il contrasto non sussista è, pertanto, sufficiente rinviare a quanto appena esposto.
5.- Con il primo motivo di appello (A.) si assume l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui non ha ravvisato l’illegittimità del nuovo sistema di calcolo dei rimborsi posto dal regolamento del 2015, che ha, in modo arbitrario, sostituito ai criteri di calcolo stabiliti convenzionalmente dalle parti nuovi criteri di calcolo. Si aggiunge che non sarebbe ragionevole, come affermato, invece, dal primo giudice, ritenere applicabile le convenzioni tra le parti soltanto quando le parti stesse abbiamo determinato un procedimento logico-matematico di definizione del valore del rimborso.
Il motivo non è fondato.
L’art. 15, comma 4, del decreto legislativo n. 164 del 2000, sopra già riportato, dispone che il rimborso è “calcolato nel rispetto di quanto stabilito nelle convenzioni o nei contratti, purché stipulati prima della data di entrata in vigore del regolamento di cui al decreto del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro per i rapporti con le Regioni e la coesione territoriale 12 novembre 2011, n. 226, e, per quanto non desumibile dalla volontà delle parti nonché per gli aspetti non disciplinati dalle medesime convenzioni o contratti, in base alle linee guida su criteri e modalità operative”.
L’art. 5, comma 2, del d.m. n. 226 del 2011, come modificato dal d.m. n. 106 del 2005, dispone che si applicano le regole contrattuali definite dalle parti purché esse contengano “tutti gli elementi metodologici, quali le voci di prezzario applicabili alle diverse tipologie di cespiti da applicare allo stato di consistenza aggiornato e il trattamento del degrado fisico, incluse le durate utili per le diverse tipologie di cespiti, per il calcolo e per la verifica del valore di rimborso anche da parte dell’Autorità “.
La riportata disposizione regolamentare non si pone in contrasto con la fonte primaria, costituendone, in coerenza con la finalità della disposizione stessa, legittimo sviluppo applicativo. Infatti, la fonte primaria fa riferimento al “calcolo” del rimborso effettuato pattiziamente dalle parti. E’, pertanto, aderente a tale prescrizione la norma di dettaglio secondo la quale l’accordo deve avere previsto “tutti gli elementi metodologici” per potere operare. Si tratta di una prescrizione ragionevole e anche coerente con le regole che disciplinano i contratti, le quali impongono che il loro contenuto, per essere valido, deve essere determinato o determinabile (cfr. art. 1346 cod. civ.).
4.- Con un secondo motivo di appello (A.2), si assume l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui non ha ritenuto illegittima la previsione contenuta nel nuovo regolamento secondo la quale se i documenti contrattuali non contengono il prezziario si applicano i prezzari della Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura della Provincia di riferimento e, in subordine, i prezzari regionali ma solo se considerati idonei per la specifica applicazione dalle linee guida. In caso di inidoneità si ricorre al prezzario emanato dall’Autorità . Questa previsione, si aggiunge, determinerebbe una irragionevole sostituzione del potere regolamentare alla volontà negoziale, senza, peraltro, che nessuna norma attribuisca tale potere.
Sotto altro aspetto, si assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui non ha ritenuto illegittima l’assimilazione, effettuata in sede regolamentare, tra la mancanza nei documenti contrattuali del riferimento al prezzario al caso in cui si faccia riferimento ai prezzari regionali o provinciali. Né, si assume, sarebbe superabile tale obiezione rilevando, come fatto dal primo giudice, che il suddetto riferimento sia privo di valenza soltanto nel caso in cui il rinvio sia generico. Ciò in quanto le parti del contratto sono sempre tenute ad eseguirlo in conformità alle regole della correttezza.
Il motivo non è fondato.
L’art. 5, comma 7, del d.m. n. 226 del 2011, come modificato dal d.m. n. 106 del 2005, prevede che: i) “qualora i documenti contrattuali non contengano il prezzario (…) si utilizzano i prezzari per lavori edili e per installazione di impianti tecnologici della Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura della provincia dell’ambito, o, in assenza di questi, gli analoghi prezzari regionali, purché i valori non siano considerati inidonei per la specifica applicazione”; ii) tali previsioni si applicano “anche all’eventuale prezzario previsto nei documenti contrattuali (…) qualora sia un prezzario regionale o provinciale”.
In relazione all’asserita violazione del principio di legalità, è sufficiente rilevare che la previsione regolamentare rinviene un fondamento nel riportato art. 15 del d.lgs. n. 164 del 2000. Deve, infatti, ritenersi che il richiamo che sia tale articolo sia l’art. 4, comma 6, del decreto-legge n. 69 del 2013 fanno al decreto ministeriale n. 226 del 2001 deve intendersi non come rinvio statico o fisso ma come rinvio dinamico o mobile, con la conseguente copertura legislativa anche alle successive modifiche ad esso recate dal regolamento del 2015.
In relazione all’incidenza sulle previsioni contrattuali, deve ribadirsi che tale prescrizione è autorizzata dalla legge ed è ad essa conforme. I prezzari delle Camere di commercio operano, infatti, soltanto in mancanza di “prezzi” definiti contrattualmente. Per quanto attiene all’operatività dell’eterointegrazione della volontà negoziale anche nel caso in cui essa abbia fatta riferimento ad un prezziario regionale o provinciale, la previsione deve essere interpretata, come correttamente messo in rilievo dal primo giudice, nel senso che ciò vale soltanto in mancanza di un richiamo puntuale a detti prezzari.
5.- Con un terzo motivo di appello (A.3), si assume come la sentenza non avrebbe considerato il motivo del ricorso di primo grado con il quale era stato dedotto che un regolamento non potrebbe avere valenza retroattiva incidendo negativamente sul regolamento pattizio.
Sotto altro aspetto, si assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui non ha ritenuto illegittimo il regolamento il quale ha disposto che non si debba tenere conto dei contributi dei privati.
Il motivo non è fondato.
In relazione all’asserita illegittima retroattività del regolamento, è sufficiente rilevare che essa rinviene una autorizzazione sempre nella legge, che ha modificato i criteri di calcolo, la quale, per le ragioni sopra esposte, si sottrae alle censure di violazione del diritto costituzionale, europeo e internazionale.
In relazione ai contributi privati, è corretta l’affermazione del primo giudice secondo la quale la previsione è finalizzata ad evitare sovracompensazioni del gestore. Infatti, l’utente versa tale contributo al gestore per i costi delle opere di allacciamento che diventano parte integrante della rete di distribuzione. Ne consegue che consentire di tenere conto di tali contributi comporterebbe una duplice considerazione di un valore economico. Né varrebbe rilevare, come fa l’appellante, che il versamento del contributo è previsto in misura forfettaria nel contratto, con la conseguenza che la previsione contrattuale andrebbe ad incidere sull’equilibrio economico giuridico del contratto. Ciò in quanto, le norme imperative di regolazione dell’entità del rimborso devono assicurare una regolamentazione ragionevole che può anche incidere sull’assetto negoziale quale definito dalle parti.
6.- Con il quinto motivo di appello (A.5) si assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui il regolamento non avrebbe computato nel valore di rimborso l’utile di impresa, tutte le spese generali e gli oneri di sicurezza specificamente riferiti al singolo cantiere. In particolare, si assume che: i) l’utile di impresa non potrebbe costituire una voce già ricompresa nelle tariffe a carico degli utenti, in quanto il prezzario è diverso dalle modalità di determinazione delle tariffe; ii) la non considerazione dei costi generali relativi all’esecuzione dell’appalto sarebbe irragionevole, non potendosi computare come costi quelli che l’impresa avrebbe sostenuto se avesse realizzato direttamente l’opera, in ragione della diversità tra attività industriale svolta dalle imprese di distribuzione e attività di costruzione; iii) gli oneri di sicurezza non sarebbero inclusi nei prezzari.
Il motivo non è fondato.
In relazione all’utile di impresa, la scelta contenuta nel regolamento non risulta contraria al principio di ragionevolezza tecnica, in quanto si tratta di effettuare un rimborso che non deve necessariamente ricomprendere l’utile. Si consideri, infatti, che l’anticipata interruzione del rapporto consente all’impresa di svolgere l’attività economica nel mercato. Non si può, pertanto, effettuare una valutazione generale di inclusione astratta degli utili di impresa che prescinde dalla specificità della situazione della singola impresa.
In relazione alla non considerazione dei costi generali relativi all’esecuzione degli appalti, è corretta l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui si sarebbe tenuto conto del costo che l’impresa avrebbe sostenuto se avesse realizzato direttamente l’opera. Nell’atto di appello questo dato è genericamente contestato facendosi riferimento alla diversità tra imprese di distribuzione e imprese di costruzione. Ma tale deduzione non consente di dimostrare che la scelta pubblica effettuata si ponga in contrasto con il principio di ragionevolezza tecnica.
In relazione agli oneri di sicurezza riferiti ai singoli impianti, l’amministrazione resistente ha affermato che essi sono stati considerati. Anche in questo caso, le censure contenute nell’atto di appello non riescono a superare questa deduzione.
5.- Con il sesto motivo di appello (A.6) si assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui non avrebbe ravvisato l’illegittimità delle linee guida nella parte relative al procedimento di determinazione dei prezzi medi di mercato per difetto di istruttoria e per violazione dei principi del giusto procedimento, di parità di trattamento, di pubblicità e trasparenza.
Il motivo non è fondato.
Il primo giudice ha correttamente posto in evidenza, anche alla luce delle argomentazioni difensive della parte pubblica, che i prezzi di posa e fornitura sono stati individuati prendendo in esame quelli effettivamente sostenuti dalle imprese per la recente realizzazione di nuove reti (o estensione di reti) e che molti prezzari fanno riferimento a opere non rappresentative degli impianti di distribuzione del gas, riguardando, ad esempio, condotte per impianti interni o piazzali di estensione limitata.
Dagli atti del processo risultano, inoltre, rispettate le regole del contraddittorio e, in ogni caso, non viene indicato come l’asserita violazione avrebbe concretamente inciso sulla specifica posizione dell’appellante.
6.- Con il settimo motivo di appello (A.7) si assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui non ha considerato illegittime le linee guida per mancata indicazione puntuale di cosa si intende per oneri di sicurezza aggiuntiva, riferiti, peraltro, solo alle condotte e alle derivazioni d’utenza e non anche alle valorizzazioni di impianti primari e secondari, impianti di telecontrollo e fabbricati industriali.
Il motivo non è fondato.
Le linee guida includono oneri di sicurezza intrinseca. La contestazione dell’appellante è generica, in quanto non specifica come l’asserita mancata specificazione sarebbe illegittima, con la conseguenza che non viene dedotto quale sia la concreta utilità che essa ricaverebbe in presenza di una diversa formulazione della prescrizione censurata.
8.- Con l’ottavo motivo (A.8) si assume l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto inammissibili le censure riferite ad alcune disposizioni regolamentari, sul presupposto che esse attengono alla posizione non del gestore uscente ma del gestore subentrante che può partecipare alle nuove gare. In particolare, si tratta: i) dell’art. 1, comma 22, che si occupa della questione relativa all’eventuale cessione di impianti dal Comune all’impresa; ii) dell’art. 3, comma 2, relativo al punteggio per gli investimenti in efficienza energetica.
Il motivo non è fondato.
Il primo giudice ha correttamente messo in rilievo come le censurate disposizioni regolamentari attengono non al valore del rimborso del concessionario uscente ma riguardano la posizione del gestore subentrante. Ne consegue che la lesione lamentata è solo potenziale e, dunque, manca l’interesse ad agire, con conseguente inammissibilità dei relativi motivi.
9.- Con il nono motivo (A.9) si assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui non ha ritenuto illegittima la previsione regolamentare relativa alla riduzione della vita utile dei gruppi di misura fino a G6, con incidenza negativa sul rimborso dovuto al gestore uscente. In particolare, non si può ritenere, si sottolinea nell’appello, che i misuratori non abbiano alcun valore alla scadenza della durata utile ai fini tariffari, atteso che il misuratore verrà utilizzato, fino alla sostituzione, dal gestore subentrante.
Il motivo non è fondato.
La scelta pubblica di non prevedere, oltre un dato limite temporale, il rimborso del costo di misuratori obsoleti, proprio per il loro effettivo valore, risulta conforme al principio di ragionevolezza tecnica.
10.- Nell’ultima parte dell’appello si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato improcedibile il ricorso introduttivo nella parte in cui ha contestato talune disposizioni contenute nelle linee guida per asserite incompatibilità con l’originario testo dell’art. 5 del decreto ministeriale n. 226 del 2011. In particolare, il primo giudice ha rilevato come la mancanza di interesse risiederebbe nel fatto che anche nel caso di accoglimento l’amministrazione potrebbe riesercitare il potere alla luce delle previsioni contenute nel nuovo decreto ministeriale n. 106 del 2015. L’appellante ha rilevato come tale motivazione si risolverebbe nel mancato esame delle censure prospettate, atteso che il giudizio di legittimità degli atti si deve svolgere alla luce della normativa esistente al momento della loro adozione. Inoltre, in caso di annullamento delle linee guida, il successivo esercizio del potere pubblico non avrebbe natura vincolata e, pertanto, esso potrebbe essere svolto in modo satisfattivo dell’interesse dell’appellante stessa.
Il motivo non è fondato, nei sensi di seguito indicati.
La valutazione espressa dal primo giudice è corretta nei sensi di seguito indicati.
Le specifiche censure formulate dall’appellante hanno riguardato il contenuto delle linee guida alla luce delle disposizioni regolamentari all’epoca vigenti. Tali disposizioni sono state sostituite nel 2015 e il nuovo regolamento rappresenta la base normativa delle linee guida già adottate. Risulta, pertanto, corretta la sentenza impugnata nella parte in cui ritiene che l’amministrazione potrebbe riesercitare il potere alla luce del nuovo regolamento. Questa affermazione è corretta proprio in ragione della specificità delle doglianze prospettate dall’appellante e non esaminate dal primo giudice. Esse attengono: i) alle modalità di rilevanza delle convenzioni pattizie (motivi B. 1 e B.2); ii) al computo delle spese generali e tecniche (B.3.); iii) alla mancata considerazione dei contribuiti pubblici e privati (B.4 e B.6.); iv) alla questione relativa ai misuratori (B.5).
E’ evidente che si tratta di aspetti specifici che sono stati oggetto della nuova regolamentazione. Sarebbe stato onere della parte dimostrare la permanenza dell’interesse mediante la dimostrazione che detta nuova regolamentazione, della cui legittimità questa Sezione si è occupata con la sentenza in esame, non potrebbe determinare il superamento delle censure prospettate.
11.- Con l’ultimo motivo (B.7) si assume l’illegittimità delle linee guida in quanto le stesse avrebbero dovuto perseguire l’obiettivo di dare certezza ed assicurare tempi più rapidi nel passaggio al nuovo sistema di affidamento, riducendo il contenzioso. Esse avrebbero, invece, creato incertezza e aumentato il contenzioso.
Il motivo non è fondato.
Il rigetto di tutte le censure formulate determina l’infondatezza anche di questa censura. A ciò si aggiunge che il motivo in esame è comunque generico in quanto formula una “critica di sistema” che non può entrare nel presente giudizio amministrativo di legittimità .
12.- La complessità delle questioni esaminate che hanno richiesto anche l’intervento della Corte di Giustizia dell’Unione europea, giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese anche del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando:
a) rigetta l’appello proposto con il ricorso indicato in epigrafe;
b) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 luglio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Vincenzo Lopilato – Consigliere, Estensore
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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