Il silenzio assenso sulla domanda di condono edilizio

Consiglio di Stato, Sentenza|20 aprile 2021| n. 3208.

In base all’art. 39 della L. n. 724/1994, il silenzio assenso sulla domanda di condono edilizio non si forma in conseguenza della mera consumazione del termine per provvedere, occorrendo, altresì, che vengano posti in essere gli ulteriori adempimenti richiesti dalla norma, quali il pagamento dell’oblazione, la dichiarazione sostitutiva della documentazione da allegare alla domanda, la documentazione fotografica, l’eventuale progetto di adeguamento statico e la denuncia catastale, ciò al fine di consentire all’amministrazione di esercitare utilmente i propri poteri di verifica.

Sentenza|20 aprile 2021| n. 3208

Data udienza 15 aprile 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Condono edilizio – Diniego – Frazionamento abusivo – Volumetria eccedente quella massima assentibile ai sensi della L. n. 724/1994 – Esclusa formazione del silenzio assenso

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1771 del 2019, proposto da
Sa. Cr., rappresentato e difeso dagli avvocati An. Pa. e Ma. Ru., con domicilio digitale di pec come da registri di giustizia;
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ri. Ma., con domicilio digitale di pec come da registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio Lu. Na., in Roma, via (…);

sul ricorso numero di registro generale 1772 del 2019, proposto da
Gi. Cr., rappresentata e difesa dagli avvocati An. Pa. e Ma. Ru., con domicilio digitale di pec come da registri di giustizia;
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ri. Ma., con domicilio digitale di pec come da registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio Lu. Na., in Roma, via (…);

sul ricorso numero di registro generale 1774 del 2019, proposto da
Ro. Cr., rappresentata e difesa dagli avvocati An. Pa. e Ma. Ru., con domicilio digitale di pec come da registri di giustizia;
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ri. Ma., con domicilio digitale di pec come da registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio Lu. Na., in Roma, via (…);

per la riforma
quanto a tutti e tre i ricorsi:
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania – Napoli (sezione Seconda) n. 05039/2018, resa tra le parti, concernente la reiezione di tre domande di condono edilizio.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Udita la relazione del Cons. Alessandro Maggio all’udienza telematica del giorno 15/4/2021, svoltasi in videoconferenza, ai sensi degli artt. 4, comma 1, D.L. 30/4/2020 n. 28 e 25, comma 2, del D.L. 28/10/2020, n. 137, mediante l’utilizzo di piattaforma “Mi. Te.”, come da circolare 13/3/2020, n. 6305 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa;Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

I germani, Gi. Cr., Ro. Cr. e Sa. Cr. (quest’ultimo tramite e la sorella Ro.) hanno presentato al Comune di (omissis) tre distinte istanze di condono edilizio, ex art. 39 della L. 23/12/1994 n. 724, aventi a oggetto altrettante unità abitative facenti parte di un unico fabbricato ricadente in parte in zona (omissis) (zona di espansione residenziale costiera), in parte in zona (omissis) (zona agricola speciale) e in parte in “zona bianca” (zona priva di regolamentazione per decadenza del precedente vincolo espropriativo).
Con provvedimento n. 27156 del 31/3/2017, il Comune ha respinto le tre domande rilevando come la particella interessata dai lavori derivasse dall’abusivo frazionamento in lotti preordinati all’edificazione dell’originario mappale e come la volumetria realizzata superasse quella massima assentibile ai sensi della L. n. 724/1994.
Ritenendo il provvedimento illegittimo gli istanti lo hanno impugnato con tre distinti ricorsi al T.A.R. Campania – Napoli, il quale, con sentenza 30/7/2018, n. 5039, previa riunione, li ha respinti sul presupposto che sulle istanze non si fosse formato il silenzio assenso e che la volumetria realizzata superasse quella consentita.
Avverso la sentenza i sig.ri Cr. hanno proposto tre separati appelli: il sig. Sa. Cr. il n. 1771/2019, la sig.ra Gi. Cr. il n. 1772/2019 e la sig.ra Ro. Cr. il n. 1774/2019.
Per resistere a tutte e tre le impugnazioni si è costituito in giudizio il Comune di (omissis).
Con successive memorie tutte le parti hanno meglio illustrato le rispettive tesi difensive.
All’udienza telematica del 15/4/2021 le cause sono passate in decisione.
Data l’evidente connessione i tre appelli devono essere riuniti onde definirli con unica sentenza.
Gli appelli si prestano a un esame congiunto essendo sostanzialmente identiche le censure prospettate, fatta salva la doglianza sub b) al secondo motivo del ricorso n. 1774/2019 non presente negli altri due appelli.
Col primo motivo si lamenta che il Tribunale avrebbe errato a escludere che la mera inerzia protratta per il tempo normativamente stabilito, fosse di per sé sola sufficiente per il formarsi del silenzio assenso occorrendo all’uopo il perfezionamento di tutti gli altri adempimenti richiesti dalla legge.
Il Comune, infatti, prima di respingere l’istanza, avrebbe dovuto prioritariamente rimuovere in autotutela (con le previste garanzie) il provvedimento tacito formatosi a seguito dell’inerzia durata ventidue anni.
E invero, nei termini prescritti dall’art. 39 della L. n. 724/1994 i sig.ri Cr. avrebbero presentato la domanda di condono corredata da tutti i documenti richiesti.
L’appellata sentenza sarebbe, inoltre, viziata poiché contrastante con quanto affermato dal Consiglio di Stato in sede cautelare. Quest’ultimo aveva per l’appunto ritenuto che, essendosi formato il silenzio assenso sulle domande, sarebbe stato onere del Comune evidenziare la sussistenza dei presupposti necessari per annullare l’atto tacito così formatosi.
Dato il tempo trascorso, per procedere in autotutela l’amministrazione avrebbe dovuto, comunque, congruamente motivare in ordine all’esistenza di un interesse pubblico attuale e concreto all’esercizio dei poteri di riesame.
Il giudice di prime cure avrebbe, altresì, ignorato come l’avversato diniego fosse scarno e privo di adeguato corredo motivazionale.
Peraltro, il notevole tempo trascorso dalla presentazione della domanda avrebbe fatto insorgere nelle parti appellanti un legittimo affidamento in ordine al fatto che l’ente, col suo prolungato silenzio, avesse inteso assentire la realizzazione del manufatto.
Col secondo motivo si denuncia l’errore commesso dal Tribunale nell’escludere che sussistessero le condizioni legali per accogliere le istanze di condono stante “la violazione della soglia volumetrica ammessa dalla legge al beneficio straordinario del condono”.
E invero, le tre domande di sanatoria, tutte relative a interventi singolarmente inferiori ai 750 mc, sarebbero state avanzate da tre fratelli, ciascuno dei quali portatore di un proprio specifico interesse personale a regolarizzare e legittimare l’esistenza dell’immobile.
Conseguentemente, risulterebbe illegittimo il cumulo delle istanze ai fini del computo della volumetria realizzata, tenuto anche conto che le stesse avrebbero riguardo a tre distinte unità abitative.
E del resto il Tribunale non avrebbe preso in considerazioni i rilievi espressi dal Consiglio di Stato in sede di appello cautelare, secondo il quale il provvedimento di diniego non avrebbe fornito alcun elemento da cui dedurre che le tre istanze avrebbero celato una lottizzazione mascherata da una interposizione fittizia di persone, considerato anche che ogni soggetto interessato sarebbe legittimato a proporre domanda di condono edilizio.
La sola sig.ra Ro. Cr. lamenta, inoltre, che il Tribunale avrebbe errato a ritenere che non potesse trovare accoglimento nemmeno la sua domanda, anche se considerata singolarmente e nei limiti dei 750 mc.
Il giudice di prime cure sarebbe giunto a tale conclusione sul presupposto dell’inammissibilità di una sanatoria parziale, ma la conclusione non sarebbe condivisibile, in quanto almeno la detta istante, quale proprietaria del fabbricato, avrebbe avuto titolo per ottenere l’accoglimento della propria istanza.
Le doglianze così sinteticamente riassunte, tutte infondate, si prestano a un esame congiunto.
Come correttamente rilevato dal Tribunale, in base all’art. 39 della L. n. 724/1994, il silenzio assenso sulla domanda di condono edilizio non si forma in conseguenza della mera consumazione del termine per provvedere, occorrendo, altresì, che vengano posti in essere gli ulteriori adempimenti richiesti dalla norma, quali il pagamento dell’oblazione, la dichiarazione sostitutiva della documentazione da allegare alla domanda, la documentazione fotografica, l’eventuale progetto di adeguamento statico e la denuncia catastale, ciò al fine di consentire all’amministrazione di esercitare utilmente i propri poteri di verifica (Cons. Stato, Sez. VI, 2/10/2019, n. 6616; Sez. II, 2/11/2020, n. 6709; 27/8/2020, n. 5247; Sez. IV, 11/10/2017, n. 4703).
Nel caso di specie, il giudice di prime cure ha affermato, senza essere smentito, che “nessuno dei ricorrenti ha fornito prova di aver adempiuto a tutte le prescritte condizioni per la formazione del silenzio-assenso.
In particolare, come risulta dall’elenco della documentazione presentata, posto in calce a ciascuna domanda di condono, quella della sig.ra Gi. Cr. non è corredata né della prescritta denuncia dell’immobile al catasto fabbricati, né della necessaria documentazione fotografica (nell’elenco degli atti figura una perizia, ma nulla consente di presumere, in difetto di qualsiasi indizio in tal senso, che contenga la rappresentazione per immagini dell’opera), mentre le istanze del sig.
Sa. Cr. e della sig.ra Ro. Cr. difettano anch’esse della documentazione fotografica (né è noto se il frazionamento che figura allegato alle due istanze si riferisca al fabbricato o al terreno)”.
Tanto basta a escludere che le tre istanze di condono presentate dagli odierni appellanti potessero ritenersi tacitamente assentite.
In ogni caso, la giurisprudenza afferma che il silenzio assenso su una domanda di sanatoria edilizia può prodursi solo in presenza di tutti i requisiti, formali e sostanziali, per l’accoglimento della stessa (Cons. Stato, Sez. VI, 13/7/2020, n. 4527; 8/6/2020, n. 3636; 2/11/2018, n. 6219; Sez. II, 19/11/2020, n. 7198).
Nella fattispecie gli interventi per cui è causa non erano sanabili quantomeno in considerazione del rilevato eccesso di cubatura, di modo che, sulla base dell’esposto principio, l’inerzia sulle domande di condono non poteva assumere valore di accoglimento tacito.
In ordine al riscontrato esubero di volumetria occorre, infatti, rilevare che l’art. 39, comma 1, della menzionata L. n. 724/1994 dispone, per quanto qui rileva, che: “Le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47 e successive modificazioni e integrazioni, come ulteriormente modificate dal presente articolo, si applicano alle opere abusive che risultino ultimate entro il 31 dicembre 1993, e che non abbiano comportato ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria ovvero, indipendentemente dalla volumetria iniziale o assentita, un ampliamento superiore a 750 metri cubi…”.
La norma va intesa nel senso che, laddove l’abuso riguardi un fabbricato suddiviso in più unità immobiliari, ancorché dotate di autonomia funzionale, il limite volumetrico vada riferito all’edificio nel suo complesso e non alle singole unità di cui il medesimo si compone, costituendo la previsione di una cubatura massima (pari a 750 mc) un limite assoluto e inderogabile che risulterebbe, in caso contrario, facilmente aggirabile (Cons. Stato, Sez. VI, 12/11/2019, n. 7766; 5/9/2012, n. 4711; Sez. V, 3/3/2001 n. 1229 e 22/11/1996, n. 1388; C.Si. 19/6/2013, n. 603; Cass. Pen., Sez. III, 24/5/2019, n. 36251; 2/10/2013, n. 12353 e 26/4/1999 n. 8584; Corte Cost. 23/7/1996, n. 302).
La necessità di valutare congiuntamente le tre istanze di condono, in quanto relative a unità immobiliari facenti parti di un unico fabbricato, porta a concludere che nemmeno la domanda della sig.ra Ro. Cr., seppur proprietaria dell’intero fabbricato, potesse trovare accoglimento.
Alla luce delle illustrate considerazioni divengono inconferenti tutti i profili di doglianza relativi all’asserita esigenza che l’amministrazione, prima di respingere formalmente le domande di condono, agisse preventivamente in autotutela con le specifiche garanzie richieste per l’esercizio di tale potere.
Contrariamente, poi, a quanto dedotto dalle parti appellanti, la circostanza che le conclusioni raggiunte dal Tribunale divergano da quelle espresse da questa Sezione in sede di appello cautelare non è fonte di alcun vizio della sentenza.
E invero, la pronuncia interinale, che si fonda su una cognizione sommaria della vicenda contenziosa, per pacifica giurisprudenza non è idonea, ancorché resa in appello, ad acquistare forza di cosa giudicata, per cui, nel pronunciare nel merito, il giudice di primo grado non è vincolato ad adeguarsi alle affermazioni in essa contenute.
Non colgono nel segno, infine, i profili di censura concernenti i dedotti vizi procedimentali.
Difatti, in considerazione del constatato esubero di cubatura, il diniego di condono era doveroso e vincolato, per cui, nell’esprimerlo l’amministrazione era tenuta unicamente a indicare, così come ha fatto, le ragioni ostative al positivo esito delle istanze, senza necessità di fornire alcuna ulteriore motivazione e, del resto, in assenza di un presupposto essenziale per l’accoglimento delle domande non era configurabile in capo alle parti appellanti alcun legittimo affidamento.
La reiezione dei motivi sin qui affrontati rende superfluo l’esame dell’ulteriore doglianza non esaminata dal Tribunale, e qui riproposta, rivolta contro l’ulteriore ragione di diniego concernente l’asserita realizzazione, a opera delle parti appellanti, di una lottizzazione abusiva.
Difatti, quando, come nella fattispecie, la determinazione amministrativa gravata si basa su una pluralità di motivi indipendenti e autonomi gli uni dagli altri è sufficiente, ai fini del rigetto dell’impugnazione proposta contro la stessa, che uno soltanto di essi risulti esente dai vizi dedotti (cfr., fra le tante, Cons. Stato, Sez. VI 11/6/2019, n. 3900; Sez. V, 19/7/2018, n. 4383; 12/9/2017, n. 4297; 27/7/2016, n. 3402; 31/3/2016, n. 1274 e 17/9/2010, n. 6946; Sez. IV, 12/5/2016, n. 1917; Sez. III, 5/12/2017 n. 5739; e 26/2/2016, n. 795).
Gli appelli vanno, in definitiva, respinti.
Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi o eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Spese e onorari di giudizio, liquidati come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, li riunisce e li respinge.
Condanna le parti appellanti al pagamento delle spese processuali in favore del Comune appellato, liquidandole forfettariamente in complessivi Euro 2.000/00 (duemila) a carico di ciascuna di esse, oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 aprile 2021 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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