Il rimedio della revocazione ha natura straordinaria

Consiglio di Stato, Sezione quinta, Sentenza 9 marzo 2020, n. 1650.

La massima estrapolata:

Nel processo amministrativo il rimedio della revocazione ha natura straordinaria. L’errore di fatto idoneo a fondare la domanda di revocazione, ai sensi del combinato disposto degli articoli 106 Cod. proc. amm. e 395, n. 4) Cod. proc. civ., deve rispondere a tre requisiti: a) derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto fattuale, ritenendo così un fatto documentale escluso, ovvero inesistente un fatto documentale provato; b) attenere a un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato; c) essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa.

Sentenza 9 marzo 2020, n. 1650

Data udienza 5 marzo 2020

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso per revocazione numero di registro generale 7918 del 2018, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Vi. e An. Sc., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
contro
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Be. Ca., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
Comune di (omissis), non costituito in giudizio;
per la revocazione
della sentenza del Consiglio di Stato, Sezione V, n. -OMISSIS-/2018, resa tra le parti.
Visto il ricorso per revocazione;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del 5 marzo 2020 il Cons. Anna Bottiglieri e uditi per le parti gli avvocati Gi. Vi. e La. Ca., in dichiarata delega di Be. Ca.;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO

Il Comune di (omissis) alienava con atto del 17 maggio 2016 al signor -OMISSIS-, su sua richiesta e previa sdemanializzazione dell’area, un reliquato di terreno di proprietà comunale adiacente alla proprietà dell’acquirente, che lo conduceva in locazione dal 1991.
Il signor -OMISSIS-, proprietario di un immobile confinante con una delle particelle oggetto di vendita, impugnava gli atti di alienazione con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Calabria (Catanzaro).
Il giudizio, celebrato senza la costituzione delle parti intimate, si concludeva con sentenza breve n. 881/2017 della prima sezione dell’adito Tribunale amministrativo che: dichiarava il difetto di giurisdizione a favore del giudice ordinario in relazione al contratto di compravendita; accoglieva il ricorso per il restante, annullando gli atti amministrativi presupposti [art. 7, comma 2, lett. b) e c) del regolamento comunale per l’alienazione dei beni immobili dell’ente; deliberazioni del commissario straordinario per la provvisoria gestione del Comune nn. 13 e 23 del 2016 e relativi pareri di regolarità tecnica e contabile; determinazione dirigenziale n. 721/2016], in quanto i beni immobili comunali erano stati alienati senza pubblicità, mediante procedura negoziata diretta, in violazione dell’art. 12, comma 2, l. 15 maggio 1997, n. 127, che stabilisce che le procedure di alienazione di immobili di comuni e provincie debbono assicurare “criteri di trasparenza e adeguate forme di pubblicità per acquisire e valutare concorrenti proposte di acquisto”; condannava l’Amministrazione comunale alla refusione in favore del ricorrente delle spese di lite, compensandole tra le parti private.
Avverso tale sentenza proponeva appello il sig. -OMISSIS-, sostenendone l’erroneità per non aver, tra altro, rilevato d’ufficio, ex art 35, comma 1, lett. a), Cod. proc. amm., l’irricevibilità per tardività del ricorso di primo grado.
Con sentenza n. -OMISSIS-/2018 questa V Sezione del Consiglio di Stato, nella resistenza del sig. -OMISSIS- riteneva infondata sia la detta eccezione che i motivi di appello; respingeva pertanto il gravame, condannando l’appellante alle spese di giudizio del grado.
Avverso detta sentenza il sig. -OMISSIS- ha proposto l’odierno ricorso per revocazione, deducendo: 1) Error in judicando, violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 29, comma 1 e 41, comma 2, Cod. proc. amm, carenza ed erroneità della motivazione, travisamento; 2) Error in judicando, violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 29, comma 1, e 41, comma 2, Cod. proc. amm., carenza ed erroneità della motivazione, travisamento.
Con tali mezzi il ricorrente sostiene che la sentenza della V Sezione n. -OMISSIS-/2018 è affetta da errore revocatorio laddove ha ritenuto tempestivo il ricorso di primo grado fissando il dies a quo del termine decadenziale di legge per la proposizione dell’impugnativa al 16 febbraio 2017, data di deposito presso il Comune dell’istanza dell’originario ricorrente di revoca della compravendita, cui ricollegava la piena conoscenza degli atti lesivi.
Espone, di contro, che tale conoscenza risalirebbe all’8 febbraio 2017, data di redazione di una relazione tecnica – presente agli atti del giudizio – commissionata dal ricorrente sui reliquati e sulla procedura di vendita, da cui la tardività del ricorso, notificato oltre il termine di sessanta giorni decorrente dalla stessa data.
Il ricorrente ha così concluso per la rimozione della gravata decisione, l’accoglimento della eccezione di tardività spiegata in appello e l’annullamento della sentenza di primo grado.
Il signor -OMISSIS-si è costituito in resistenza, sostenendo l’inammissibilità dell’azione revocatoria e comunque la sua infondatezza.
Le parti hanno depositato memorie difensive.
La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 5 marzo 2020.

DIRITTO

1. Il rimedio della revocazione ha natura straordinaria e per consolidata giurisprudenza (ex multis, Cons. Stato, V, 25 febbraio 2019, n. 1254; 5 maggio 2016, n. 1824) l’errore di fatto idoneo a fondare la domanda di revocazione, ai sensi del combinato disposto degli articoli 106 Cod. proc. amm. e 395, n. 4) Cod. proc. civ., deve rispondere a tre requisiti: a) derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto fattuale, ritenendo così un fatto documentale escluso, ovvero inesistente un fatto documentale provato; b) attenere a un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato; c) essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa (Cons. Stato, IV, 14 maggio 2015, n. 2431).
Inoltre, l’errore deve apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche (Cons. Stato, IV, 13 dicembre 2013, n. 6006).
Si esula, pertanto, dall’errore revocatorio quando si contesti l’erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali o l’anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o di un esame critico della documentazione acquisita. In tutti questi casi non è infatti possibile censurare la decisione tramite il rimedio – di per sé eccezionale – della revocazione, che altrimenti verrebbe a dar vita ad un ulteriore grado del giudizio, non previsto dall’ordinamento (tra tante, Cons. Stato, IV, 8 marzo 2017, n. 1088; V, 11 dicembre 2015, n. 5657; IV, 26 agosto 2015, n. 3993; III, 8 ottobre 2012, n. 5212; IV, 28 ottobre 2013, n. 5187).
2. Alla luce di tali coordinate, il ricorso per revocazione in esame è inammissibile per carenza delle condizioni di cui ai predetti punti a) e b).
2.1. La sentenza ha specificamente preso in considerazione, respingendole, tutte le varie argomentazioni con cui, a suo tempo, l’odierno ricorrente aveva sostenuto in grado di appello la tardività dell’originaria impugnativa della sua controparte.
Tra tali argomentazioni non figura quella qui introdotta, ovvero la suscettibilità della relazione tecnica di cui in fatto a integrare in capo all’originario ricorrente la piena conoscenza degli atti lesivi in un momento anteriore a quello fissato dalla sentenza oggetto dell’odierno ricorso.
Al riguardo, si deve precisare che il ricorrente non afferma che la sentenza appellata ha omesso di pronunziare su tale questione: si deve quindi ritenere che questa sia ora proposta ex novo, sulla mera base della presenza nel fascicolo di causa della citata relazione.
Tanto considerato, il ricorso, sotto un primo profilo, appare inammissibile perché attinente a un punto controverso, ovvero l’accertamento della tempestività dell’azione di annullamento, sul quale la decisione ha espressamente e articolatamente motivato.
2.2. Inoltre, poiché il giudizio amministrativo ha avuto a oggetto atti di cui l’originario ricorrente non era destinatario, il giudice di appello, ai fini dell’individuazione del dies a quo della decorrenza del termine dell’impugnativa sospetta di tardività, non ha potuto far ricorso al criterio della data di notificazione di cui all’art. 41, comma 2, Cod. proc. amm., ma ha dovuto verificare il momento della “piena conoscenza” di tali atti, criterio alternativo previsto dalla stessa norma.
Tale verifica è finalizzata all’individuazione del momento dell’esatta percezione dell’esistenza del provvedimento amministrativo e degli aspetti che ne rendono evidente la lesività della sfera giuridica del potenziale ricorrente, in modo da concretizzare l’attualità del medesimo all’interesse ad agire contro di esso (Cons. Stato, V, 27 marzo 2013, n. 1829; 28 maggio 2012, n. 3159).
Si tratta di una operazione cognitoria dalla particolare valenza accertativa, in quanto, esulando da quella mera presa d’atto di un semplice elemento del fascicolo di causa in cui si sostanzia ordinariamente il controllo della tempestività del ricorso nelle ipotesi in cui rilevi la data di notifica o di pubblicazione del provvedimento, richiede la disamina da parte del giudice del materiale probatorio disponibile finalizzata alla cernita, in via di interpretazione, di quali atti e circostanze rivelino la concreta attitudine a integrare la condizione di quel grado di conoscenza del provvedimento richiesto per la decorrenza del termine di impugnazione.
Consegue che la pretesa dell’odierno ricorrente di considerare la data della predetta relazione tecnica sottintende la possibilità di rinnovare l’operazione cognitiva ai fini di cui sopra, in sostituzione di quella effettuata dalla sentenza oggetto di ricorso per revocazione.
E allora risulta evidente che l’asserito errore non attiene al novero delle “errate o omesse percezioni del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio” che legittimano l’azione revocatoria proposta, bensì è finalizzato a una rimeditazione, mediante argomentazioni induttive e indagini ermeneutiche, del merito del decisum, che non è prevista dall’ordinamento processuale vigente.
La proposta azione si rivela pertanto inammissibile anche sotto tale concorrente profilo.
3. Consegue a quanto sopra la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Le spese del giudizio, quantificate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione di cui in epigrafe, lo dichiara inammissibile.
Condanna la parte resistente alla refusione in favore della parte resistente delle spese del giudizio, che liquida nella somma complessiva pari a Euro 5.000,00 (euro cinquemila/00) oltre oneri di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 [e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016], a tutela dei diritti o della dignità delle parti interessate, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità delle parti costituite e non costituite del giudizio.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 5 marzo 2020 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini – Presidente
Raffaele Prosperi – Consigliere
Valerio Perotti – Consigliere
Stefano Fantini – Consigliere
Anna Bottiglieri – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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