Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 24 settembre 2020, n. 5607.
Il ricorso per revocazione è retto dal principio di autosufficienza; ne discende che esso è inammissibile quando contenga solo la domanda di revocazione della sentenza, idonea a provocare la fase rescindente del giudizio, ma non contenga la domanda di decisione sull’originario ricorso, riproponendone gli argomenti, in quanto un ricorso siffatto non è idoneo ad attivare l’eventuale, successiva, fase rescissoria.
Sentenza 24 settembre 2020, n. 5607
Data udienza 28 luglio 2020
Tag – parola chiave: Processo amministrativo – Ricorso per revocazione – Irricevibilità – Sentenza non notificata – Decorso temine di sei mesi – Profili di eventuale inammissibilità – Mancanza motivi fase rescissoria
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1973 del 2020, proposto dal Signor Pi. Sa., rappresentato e difeso dall’avvocato Mi. Pi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di (omissis), non costituito in giudizio;
nei confronti
RF. – Re. Fe. It. S.p.A., rappresentata e difesa dagli avvocati Lu. Me. e Cl. Mo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Città Metropolitana di Bologna, non costituita in giudizio;
Consorzio Ca. – Consorzio Al. Ve. Em. Ro., rappresentato e difeso dall’avvocato An. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Bologna, Strada (…);
per la revocazione
della sentenza del CONSIGLIO DI STATO – SEZ. II n. 04923/2019, resa tra le parti, e, per l’effetto, previa rescissione della sentenza impugnata, per l’accoglimento nel merito del ricorso in appello proposto avanti al Consiglio di Stato, annullando e/o riformando la sentenza n. 3227/2008 del T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, sez. II, con accoglimento del ricorso in primo grado.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di RF. – Re. Fe. It. S.p.A. e del Consorzio Ca. – Consorzio Al. Ve. Em. Ro.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica tenutasi da remoto ed in modalità telematica del giorno 28 luglio 2020 il Cons. Paolo Giovanni Nicolò Lotti e dati per presenti, ai sensi dell’art. 84, comma 5, D.L. 17 marzo 2020, n. 18 (conv. in L. 24 aprile 2020, n. 27) gli avvocati delle parti costituite in appello.
FATTO
Con il ricorso in oggetto, il sig. Pi. Sa. ha impugnato per revocazione la sentenza del Consiglio di Stato, sez. II, 15 luglio 2019, n. 4923.
Il sig. Sa. ha impugnato, ai sensi dell’art. 106 c.p.a., la sentenza in epigrafe perché in relazione alla stessa sussiste la causa di revocazione di cui all’art. 395, n. 4 c.p.c. essendo la stessa effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o dai documenti della causa.
Secondo il ricorrente, vi sarebbe stata un’omessa percezione della memoria difensiva di parte ricorrente depositata in data 24.5.2019 e della successiva memoria di replica depositata in data 4.6.2019 o, quantomeno, della percezione delle eccezioni avanzante nei suddetti atti a sostegno della ammissibilità e procedibilità del ricorso in appello presentato.
Secondo parte ricorrente emerge con immediata evidenza come egli stesso avesse eccepito, da un lato la propria non accettazione dell’indennità liquidata dalla Corte di Appello di Bologna con provvedimento del 2.10.2015 n. 3598 e l’impugnazione della stessa con ricorso in Cassazione tuttora pendente e, dall’altro lato avesse eccepito come la situazione fattuale che si sarebbe venuta a creare con la caducazione del provvedimento impugnato – ovvero l’utilizzo di un bene immobile per scopi di intesse pubblico modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento dichiarativo della pubblica utilità – necessariamente avrebbe determinato l’obbligo per l’Amministrazione espropriante in modo alternativo o di restituire il bene previa riduzione in pristino o di emanare un provvedimento di acquisizione sanante, non retroattivo, con l’obbligo di liquidare i pregiudizi patrimoniali e non patrimoniali subiti come letteralmente previsto dell’art. 42-bis del T.U. Espropriazione.
La parte ricorrente chiedeva, quindi, di revocare la sentenza impugnata e, per l’effetto, accogliere nel merito il ricorso in appello.
Si costituivano le parti convenute Consorzio e RF., chiedendo il rigetto del ricorso.
All’udienza pubblica tenutasi da remoto ed in modalità telematica ai sensi dell’art. 84, comma 5, D.L. 17 marzo 2020, n. 18 (conv. in L. 24 aprile 2020, n. 27) del 28 luglio 2020 la causa veniva trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Preliminarmente, il Collegio ritiene poter accogliere l’istanza di superamento dei limiti dimensionali degli scritti difensivi, ex art. 7 del decreto del Presidente del Consiglio di Stato 22.12.2016, n. 167.
2. Sempre in via preliminare, si deve ritenere che il ricorso sia irricevibile.
Infatti, la sentenza impugnata, non notificata, è stata pubblicata in data 15.7.2019, dunque il termine ex artt. 92, comma 3, di sei mesi, dimezzato ai sensi dell’art. 119, comma 2, c.p.a., è scaduto in data 15.11.2019, ossia tre mesi dopo la pubblicazione della sentenza, mentre il ricorso è stato notificato in data 17.2.2020.
Peraltro, il comma 7 del predetto art. 119 c.p.a. è inequivocabile nello statuire che “Le disposizioni del presente articolo si applicano anche nei giudizi di appello, revocazione e opposizione di terzo”.
Stante il chiaro tenore letterale della norma e l’assenza di contrasti giurisprudenziali e/o incertezze applicative sul punto, non sussistono i presupposti per accordare l’errore scusabile invocato dalla parte ricorrente.
3. Inoltre, l’atto introduttivo del presente giudizio di revocazione sarebbe comunque certamente inammissibile in quanto privo dei motivi di censura relativi alla eventuale fase rescissoria.
Sul punto la giurisprudenza sia civile che amministrativa (cfr., Cass., Sez. Un., 12 novembre 1997, n. 11148; Consiglio di Stato, sez. IV, 15.9.2015, n. 4294) ha chiarito che il giudizio per la revocazione prevede una fase rescindente ed una rescissoria che hanno incidenza su una precedente sentenza, e va deciso con un atto unitario, sicché la relativa domanda deve contenere tutti i requisiti necessari per mettere il giudice nella condizione di adottare la pronuncia definitiva.
Il ricorso per revocazione è retto dal principio di autosufficienza; ne discende che esso è inammissibile quando contenga solo la domanda di revocazione della sentenza, idonea a provocare la fase rescindente del giudizio, ma non contenga la domanda di decisione sull’originario ricorso, riproponendone gli argomenti, in quanto un ricorso siffatto non è idoneo ad attivare l’eventuale, successiva, fase rescissoria.
Nel caso di specie, l’interessato ha allegato dei motivi a sostegno della domanda con cui intende conseguire la revocazione della precedente sentenza pronunciata dal Consiglio di Stato, ma non ha proposto alcuna istanza per la conclusione del c.d. giudizio rescissorio: sotto tale profilo il ricorso evidenzia soltanto la domanda per la revocazione, ma non contiene alcuna domanda a proposito dell’eventuale fase successiva all’annullamento della sentenza; è ovvio peraltro che non sia sufficiente il mero, generico, richiamo ai motivi del ricorso di primo grado e di appello contenuto nel gravame, e che tale lacuna non possa essere colmata dalla estesa esposizione poi successivamente effettuata con memoria (comunque successiva alla scadenza del termine di impugnazione) salvo ammettere una eterointegrazione che colliderebbe con il principio c.d. dell’autosufficienza dell’atto impugnatorio.
Con la conseguenza che il Collegio non potrebbe neppure rifarsi alla domanda proposta nel processo da cui derivò la sentenza gravata, posto che sussiste autonomia tra le istanze in esame e quelle avanzate nel giudizio che si concluse con la decisione viziata per il dedotto errore di fatto.
Pertanto, il ricorrente non trarrebbe alcun vantaggio dall’eventuale accoglimento della domanda di revocazione, atteso che il giudice non potrebbe adottare una pronuncia capace di farle conseguire il cosiddetto bene della vita perseguito.
Il ricorso, pertanto, sarebbe comunque inammissibile.
4. Conclusivamente, alla luce delle predette argomentazioni, il ricorso deve esser dichiarato irricevibile, e sarebbe stato da dichiarare, comunque, inammissibile.
Le spese di lite della presente fase di giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda,
Definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe indicato, lo dichiara irricevibile.
Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite della presente fase di giudizio a favore delle parti convenute costituite in giudizio, spese che liquida in complessivi euro 4.000,00, oltre accessori di legge,se dovuti, in favore delle parti convenute costituite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso dalla Seconda Sezione del Consiglio di Stato con sede in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 luglio 2020 convocata con modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:
Fabio Taormina – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere, Estensore
Giancarlo Luttazi – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere
Francesco Frigida – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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