Il ricorso collettivo presentato da una pluralità di soggetti con un unico atto

Consiglio di Stato, Sentenza|15 gennaio 2021| n. 476.

Il ricorso collettivo, presentato da una pluralità di soggetti con un unico atto, è ammissibile nel solo caso in cui sussistano, congiuntamente, i requisiti dell’identità delle situazioni sostanziali e processuali, ossia che le domande giudiziali siano identiche nell’oggetto e che gli atti impugnati abbiano lo stesso contenuto e vengano censurati per gli stessi motivi e dell’assenza di un conflitto di interessi tra le parti.

Sentenza|15 gennaio 2021| n. 476

Data udienza 14 gennaio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Università – Corsi di laurea magistrale in Medicina e Chirurgia – Prova di concorso unica per accesso – Collocazione in graduatoria in posti non utili – Determinazione del contingente dei posti e copertura posti disponibili – Illegittimità determinazione del fabbisogno – Criterio della capacità ricettiva dell’Ateneo criterio del fabbisogno di professionalità

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6805 del 2020, proposto da
Mi. Pe. ed altri, rappresentati e difesi dall’avvocato Pa. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gi. Ca. in Roma, via (…);
contro
Ministero dell’Università e della Ricerca, Università degli Studi Napoli Federico II,, Cineca, Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli – Napoli non costituiti in giudizio;
Ministero dell’Istruzione, Università degli Studi Napoli Federico Ii, Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli – Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
nei confronti
Gi. Pi., An. Pa. non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza n. 08703/2020, resa tra le parti,
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell’Istruzione e di Università degli Studi Napoli Federico Ii e di Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli – Napoli;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 gennaio 2021 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti gli avvocati Pa. Ma., in collegamento da remoto, ai sensi dell’art. 4, comma.1, del Decreto Legge n. 28 del 30 aprile 2020 e dell’art. 25, comma 2, del Decreto Legge n. 137 del 28 ottobre 2020.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con l’appello in esame gli odierni appellanti impugnavano la sentenza n. 8793 del 2019 con cui il Tar Lazio aveva dichiarato inammissibile l’originario gravame, proposto dagli stessi soggetti (insieme ad altri), in qualità di partecipanti alla prova di concorso unica per l’accesso ai corsi di laurea magistrale in Medicina e Chirurgia, Odontoiatria e Protesi Dentaria per l’a.a. 2018/2019 al fine di ottenere l’annullamento degli atti della procedura predetta, nella parte in cui gli stessi ricorrenti non risultano collocati in posizione utile e, quindi, non ammessi al corso.
Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante censurava le argomentazioni di cui alla sentenza impugnata formulando i seguenti motivi di appello:
– errores in iudicando, nullità della sentenza impugnata, motivazione assente ed apparente; assenza totale della ricostruzione in fatto e dei principi di diritto applicabili, invocando il principio del consolidamento;
– analoghi vizi in relazione all’irrilevanza della previa ammissione con riserva;
– analoghi vizi in relazione all’affidamento sull’ammissione disposta in via cautelare;
– analoghi vizi in relazione ai motivi dedotti avverso la correttezza di alcuni quesiti somministrati al test, in specie in merito ai quesiti nn. 20 e 27, 41, 24 e 25;
– analoghi vizi in relazione all’ammissibilità del ricorso collettivo;
– analoghi vizi in relazione al possibile scorrimento – ottenuto in sede cautelare – derivante dalla riconosciuta illegittima determinazione del fabbisogno;
– venivano altresì riproposti i vizi di prime cure.
La parte pubblica appellata si costituiva in giudizio chiedendo la declaratoria di inammissibilità ed il rigetto del gravame.
Con ordinanza n. 5744 del 2020 veniva fissata udienza di discussione del merito.
Alla pubblica udienza del 14 gennaio 2021 la causa passava in decisione.

DIRITTO

1. La presente controversia ha ad oggetto la sentenza che ha respinto le censure dedotte dagli odierni appellanti, nella qualità di partecipanti alla prova di concorso unica per l’accesso ai corsi di laurea magistrale in Medicina e Chirurgia, Odontoiatria e Protesi Dentaria per l’a.a. 2018/2019, all’esito della quale gli stessi hanno ottenuto un punteggio e conseguente collocazione in graduatoria in posti non utili.
In particolare, oggetto di contestazione è, l’illegittima determinazione del contingente dei posti per l’ammissione al corso de quo per l’anno accademico 2018/2019 rispetto alle effettive capacità ricettive degli Atenei e la mancata copertura di tutti i posti disponibili ovvero i posti riservati a studenti extracomunitari vacanti ed inoptati, in violazione non solo della norma nazionale ma anche comunitaria, l’illegittimità di alcuni quesiti somministrati al test nonché la violazione del giusto procedimento in relazione alle concrete modalità di svolgimento delle prove.
2. L’appello è solo parzialmente fondato alla luce della giurisprudenza della sezione (cfr. in specie la sentenza n. 5429 del 2020, in quanto relativa al medesimo anno accademico oggetto della presente controversia), con conseguente applicabilità dell’art. 74 cod proc amm.
3. Preliminarmente, appare fondata – in parte qua – l’eccezione di inammissibilità del ricorso collettivo, nei termini rilevati dalla sentenza impugnata.
3.1 In proposito, in relazione alle censure dedotte avverso le operazioni procedurali ed i quesiti contestati, il ricorso collettivo nulla specifica in ordine alle specifiche condizioni di legittimazione e di interesse di ciascuno dei ricorrenti, e ciò impedisce al giudice di controllare il concreto e personale interesse di ciascuno di loro, l’omogeneità dello loro posizioni, la non confliggenza degli interessi dei singoli e la concreta fondatezza della domanda.
Senza le predette precisazioni i ricorrenti ? tutti collocati nella medesima graduatoria nazionale ? sono potenzialmente in conflitto di interesse tra di loro, versando essi in posizioni totalmente differenti dal punto di vista delle sedi opzionate, del punteggio ottenuto durante le prove di ammissione, della loro permanenza e posizione in graduatoria; l’eventuale accoglimento delle pretese di uno di essi potrebbe ledere concretamente la posizione dell’altro.
3.2 In linea di diritto va quindi ribadito che il ricorso collettivo, presentato da una pluralità di soggetti con un unico atto, è ammissibile nel solo caso in cui sussistano, congiuntamente, i requisiti dell’identità delle situazioni sostanziali e processuali, ossia che le domande giudiziali siano identiche nell’oggetto e che gli atti impugnati abbiano lo stesso contenuto e vengano censurati per gli stessi motivi e dell’assenza di un conflitto di interessi tra le parti (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. III, 1 giugno 2020, n. 3449). Nel caso di specie, a titolo esemplificativo, la censura proposta avverso il singolo quesito differisce a seconda che il singolo ricorrente abbia o meno fallito la relativa risposta.
3.3 In definitiva, chi agisce in giudizio a tutela di un proprio diritto anche in un ricorso collettivo deve indicare e allegare tutti gli elementi, i dati e i documenti idonei a sostenere la sua pretesa, domandando al giudice di accertare in concreto la sussistenza dei fatti dedotti; mentre deve ritenersi inammissibile il ricorso collettivo che nulla dice in ordine alle condizioni di legittimazione e di interesse di ciascuno dei ricorrenti, in quanto ciò impedisce al giudice di controllare il concreto e personale interesse di ciascuno di loro, l’omogeneità delle loro posizioni e la concreta fondatezza della domanda (cfr. ad es. Consiglio di Stato sez VI n. 4266 del 2020 e sez. III n. 4363 del 2019).
4. L’appello è invece fondato con riguardo al solo mezzo di gravame proposto avverso l’illegittimità degli atti di determinazione del fabbisogno, in ordine al quale occorre fare integrale rinvio alla giurisprudenza della sezione, consolidatasi proprio con riferimento all’anno accademico oggetto del presente contenzioso.
4.1 Si rinvia al relativo ordito motivazionale, anche per evidenti ragioni di certezza del diritto. “Al riguardo, è materialmente vero che, per i predetti corsi di laurea in Medicina e in Odontoiatria, è stato determinato dal Ministero della salute, in base al voto della Conferenza Stato-Regioni-Prov. auton., un fabbisogno pari a 10.035 unità . Ma questo dato non risulta contestato dall’appellante, la quale s’appunta contro l’immotivato ed irrazionale numero dell’offerta formativa, adombrandone l’illegittimità in sé e traendo spunto dal parimenti non chiaro ed inaspettato rialzo di questa offerta per l’a. acc. 2019/20. Donde l’inutilità d’ogni dissertazione del Ministero intimato sul calcolo del fabbisogno stesso e sulla mancata evocazione in giudizio del Ministero della salute, le cui spiegazioni occupano le prime 17 pagine della relazione ministeriale, su argomenti fuori dalla res controversa.
Quel che, agli occhi del Collegio, invece più rileva (e non sembra esser stato colto da tal relazione) è che, per l’a. acc. 2018/19, per la prima volta detto fabbisogno è stato superiore alla complessiva offerta formativa degli Atenei, senza, però, che sia stato meglio spiegato perché mai, solo per l’anno in questione, la capacità ricettiva di questi ultimi sia risultata comunque più bassa del fabbisogno stesso. Infatti, per i precedenti due anni accademici, le cui procedure d’ammissione produssero pur sempre un ampio contenzioso e molteplici immatricolazioni “in esubero” al numero programmato di studenti iscrivibili, l’offerta fu in eccesso rispetto al fabbisogno.
Ciò vuol dire, ne è consapevole il Collegio, che tali due grandezze sono variabili indipendenti tra loro e che tal risultato, tutt’altro che fisiologico, discende tra l’altro dallo sdoppiamento ope legis della loro formazione.
È come se la procedura di verifica del fabbisogno, che dovrebbe costituire la linea-guida per l’uso accorto delle risorse da destinare ad un’ordinata formazione per le professioni sanitarie (sulla scorta dei principi enunciati da Cons. St., ad. plen., 9 novembre 2018 n. 16: verifica dei requisiti di cultura per lo studente immatricolando; garanzia di un’offerta formativa adeguata alle capacità degli Atenei; circolazione e congruenza delle qualifiche conseguite nell’ambito UE), receda rispetto ad altre esigenze delle Università . Anzi, la relazione fornita al TAR, che già ha affermato in altre cause la recessività dei dati del fabbisogno rispetto all’offerta formativa, è chiaramente orientata in tal senso. Invero, in base all’art. 3 della l. 264/1999 “… la programmazione annuale deve essere operata in primis avuto riguardo alla “[…] valutazione dell’offerta potenziale del sistema universitario […]” (per cui è prevista la piena saturazione per l’anno accademico in corso, se non anche un elastico e lieve eccesso costituito dai posti residui del contingente destinato agli studenti cd. Extra UE) e solo in secundis “[…] tenendo anche conto del fabbisogno di professionalità del sistema sociale e produttivo […]” ciò in quanto non può … prescindersi da un insegnamento universitario basato sulla più alta qualità logistica e didattica…”.
L’avviso del Ministero è quindi nel senso che “… ai sensi dell’art. 3 della Legge n. 264 del 1999, si deve dare preminenza al criterio della capacità ricettiva dell’Ateneo, rispetto a quello, che può considerarsi recessivo… del fabbisogno di professionalità del sistema sociale e produttivo…”. Ciò è come dire che le esigenze del sistema universitario sono definite discrezionali dal TAR e dal Ministero, ma non sono che una sorta di scelte se non arbitrarie, almeno disallineate e indipendenti dallo sforzo elaborativo degli enti coinvolti nella complessa determinazione del fabbisogno. Sicché, nella ricostruzione operata dal TAR e difesa dal Ministero, può pure sussistere un’offerta formativa libera in sé ed autoreferenziale, quindi tale da non dover esser congruente con il fabbisogno stesso, come s’evince dalla serena lettura della citata relazione.
Ma una tal conclusione, la quale degrada l’elaborazione del fabbisogno da elemento funzionalmente distinto a dato disgiunto dalle scelte del sistema universitario -del quale quest’ultimo (in realtà, il Ministero) può tener conto, ma anche no (arg. ex TAR Abruzzo, 19 marzo 2019 n. 158)-, s’invera anzitutto nella fissazione, negli ultimi anni, di un’offerta rigida (anche se, per caso, al di sopra del fabbisogno stesso) e, nell’anno in contestazione, di un’offerta alquanto anelastica. In secondo luogo, siffatta conclusione discende non solo dal citato sdoppiamento, ma anche da una lettura scorretta dell’art. 3, co. 1 della l. 264/1999. Tal disposizione, nel fissare il riparto delle competenze in materia tra il Ministero della salute ed il MIUR -quale ente vigilante sugli Atenei nella gestione dell’accesso programmato ai corsi di laurea di cui al precedente art. 1, co. 1, lettere a) (Medicina, Veterinaria, Odontoiatria, Professioni sanitarie) e b)-, gli impone altresì di valutare l'”… offerta potenziale del sistema universitario (sulla scorta dei parametri posti al co. 2 – NDE), tenendo anche conto del fabbisogno di professionalità del sistema sociale e produttivo…”. Da ciò discende che è stretta ed autonoma competenza del Ministero e non del sistema universitario di valutare l’essenza e l’efficacia dell’offerta potenziale anno per anno, nel cui giudizio, tra gli altri parametri, entra pure il fabbisogno qual obiettivo cui il servizio universitario deve tendere affinché sia assicurato un gettito omogeneo e costante di professionisti sanitari in tutti ed in ciascun anno accademico. Quindi, nel descrivere i due termini inscindibili di tal binomio istituzionale, è scorretto predicare la supremazia dell’offerta formativa rispetto al fabbisogno, posto che è l’una che deve tendere verso l’altro, negli ovvi limiti della ragionevole duttilità organizzativa del sistema universitario in sé e del dia cogli altri attori istituzionali (Minsalute, Regioni, organi del SSN e dei SSR, ordini professionali, ecc.), e non viceversa.
Naturalmente il Collegio sa bene che v’è un elemento di rigidità non superabile dell’offerta formativa che tuttavia deve essere specificamente motivato e che non è predicabile in presenza di variazioni, non chiarite nella loro origine, del numero dei posti disponibili anno dopo anno e soprattutto non può essere assunto, di norma, come dato assolutamente indipendente da una contestuale valutazione del fabbisogno. Quest’ultimo, per la sua urgenza può imporre anche nuove modalità, anche mediante l’innovazione tecnologica, di utilizzazione delle medesime strutture fino a che non venga compromessa l’adeguatezza della formazione.
La peculiarità della vicenda relativa all’ammissione ai corsi di laurea ad accesso programmato per l’a. acc. 2018/19 -nel cui contesto s’iscrive la posizione personale degli appellanti -, sta proprio nella discrasia tra fabbisogno e minor offerta formativa proposta (quantunque i Ministeri coinvolti, nel tavolo di concertazione del 25 giugno 2018, hanno ritenuto di saturare l’intera offerta formativa nazionale, potendo giungere ad un tendenziale pareggiamento del fabbisogno rilevato, nel caso di posti vacanti ed inoptati relativi al contingente degli studenti extraUE non residenti) e nell’assenza a priori di una puntuale istruttoria del MIUR per verificare se l’offerta fosse, o no, veritiera e congrua rispetto alle esigenze sottese al fabbisogno.
In fondo, proprio l’interpretazione propugnata da detto Ministero è confessoria d’un atteggiamento che, prediligendo un astratto ideale d’Università che deve formare i migliori laureati ed evitare affollamenti e dispersione scolastica, non rende giustizia né a se stesso (il Ministero deve sempre garantire che il sistema universitario raggiunga tali obiettivi in base alle risorse di volta in volta disponibili), né alle istanze sociali e professionali dei territori, né alle Università (le quali, pur nella loro autonomia, devono assicurare, tra l’altro, un’adeguata flessibilità organizzativa in continuo divenire nei servizi da rendere). E tal atteggiamento, a sua volta, denota pure come non vi sia stata quell’attento contemperamento paritario tra fabbisogno ed offerta formativa, tant’è che questa resta ancor oggi inferiore al documentato fabbisogno di medici e odontoiatri indicato nella Conferenza Stato-Regioni-Prov. auton. del 21 giugno 2018.
A tal riguardo, può sembrare spurio il richiamo all’offerta formativa potenziale complessiva delle Università, indicata il 27 giugno 2019 pari a 11.568 posti per l’a. acc. 2019/20. Ma un siffatto rialzo ex abrupto (cioè, nel corso dello stesso a. acc. 2018/19) di detta offerta è indizio evidente e chiaro della carente istruttoria di tutti gli Atenei circa le potenzialità delle sedi universitarie e delle loro capacità d’accoglienza d’un più alto numero di studenti. Sfugge infatti, né è ben spiegata la ragione per cui, nel breve volgere di sette mesi, per l’anno accademico successivo, il sistema universitario ha rinvenuto una capacità ricettiva coeteris paribus nuova per quasi duemila posti in più rispetto all’inizio dell’anno 2018/19. Ciò comporta senz’altro, a pena di fornire oggi dati astratti o non veritieri, l’esistenza già alla data del 27 giugno 2019 d’una corrispondente capacità ricettiva pregressa e facilmente disponibile, tale, quindi, non solo da giustificare l’ingresso dei nuovi studenti, ma pure da dimostrare l’attitudine dei diversi Atenei, ove più ove meno, ad riceverli anche dal 2018, donde la carente istruttoria nei sensi indicati dall’appellante.
Si dice che, di fronte ad un numero esorbitante di studenti immatricolati in esubero (perlopiù jussu judicis), vi sarebbe un eccesso di soggetti iscritti da formare, non gestibili correttamente dai singoli Atenei o fonte di dispersione scolastica.
Tutto questo andrebbe a scapito, ad avviso del Ministero, di chi ha proceduto ad iscriversi ai corsi di laurea in oggetto con lo scopo di ottenere una formazione adeguata, a fronte dell’aggravio dei costi di gestione dei singoli Atenei e della loro esposizione a richieste di risarcimenti per inadeguatezza della formazione erogata.
Il Collegio non ha motivo di dubitare di tali assunti in sé, che descrivono solo un plausibile scenario dell’affanno delle Università subissate dall’esubero di immatricolazioni, tant’è che il Ministero cita un documento stralcio della CRUI sulla medicina universitaria, riferito all’anno 2014, ove a fronte di ipotizzate riforme della selezione iniziale per detto Organo l'”… immatricolazione estesa a tutti i richiedenti, per poi consentire la prosecuzione solo a un ridotto numero…, comporterebbe una ben più ampia disponibilità di risorse umane ed infrastrutturali rispetto a quella attuale, già fortemente compromessa dai sopravvenuti inserimenti in sovrannumero, conseguenti a migliaia di ricorsi giunti a buon fine…”. Come si vede, l’esubero e le immatricolazioni jussu judicis non sono dati connotanti o, almeno, non descrivono una vicenda accertata e chiara propria dell’anno 2018, fonte d’una confusione nel funzionamento delle Università coinvolte. A parte che tal fenomeno d’esubero e del presupposto contenzioso è strutturale, in pratica da quando esistono i corsi di laurea ad accesso programmato e, quindi, non è un unicum dell’ammissione ai corsi iniziati nell’a. acc. 2018/19, detto richiamo avrebbe senso solo se, nell’anno, fosse stato dimostrato dall’intimato MIUR che il divario tra offerta e fabbisogno fosse la risultante dell’accumulo di tutti gli esuberi pregressi e, quindi, il sovraccarico in un altrimenti ordinato funzionamento dei singoli Atenei. Così non è e, comunque, non appare né è dimostrato, sicché tali argomenti a difesa sono più di colore che di sostanza e non convincono dell’erroneità della tesi attorea. Anzi, la giurisprudenza della Corte EDU non torna utile alla difesa della P.A., giacché il pur vero principio sotteso alle limitazioni all’accesso universitario, ossia la correlazione tra ridotto numero di studenti e loro possibilità di raggiungere alti livelli di professionalità spendibili nel mercato delle professioni sanitarie (arg. ex Cons. St., ad. plen., 28 gennaio 2015 n. 1), impone che si assicuri un livello di istruzione minimo e adeguato in Atenei gestiti in condizioni adeguate e tal duplice adeguatezza si raggiunge costantemente raccordando, con la adeguata flessibilità, invero perseguita nei tempi più recenti, il funzionamento degli Atenei con le esigenze espresse col fabbisogno.
Il Collegio non può che ravvisare, qual dato strutturale nei rapporti tra i soggetti usciti dalle Scuole superiori (che costituiscono la componente maggioritaria dei candidati alle prove d’ammissione) e le Università, la pressoché totale mancanza di compliance di queste ultime verso l’organizzazione, la gestione ed i risultati di siffatte prove. Molteplici ne sono le ragioni ed il Collegio non è tenuto ad investigarle ultra petita. Ma nella specie il predetto disallineamento tra fabbisogno ed offerta, che frustra le aspettative dei candidati (come, del resto, il contenuto dei quesiti somministrati perlopiù non congruenti con i saperi appresi nella Scuola superiore), si manifesta in una condotta istruttoria carente nel confezionamento del numero dei posti a concorso e nei metodi di selezione, sì da restare arcani e ad alimentare oltremodo il perenne contenzioso scolastico.
E tal carenza istruttoria il Collegio rinviene anche nell’obiezione, pur giusta in linea di principio, in base alla quale la necessità di stanziare risorse aggiuntive, per supportare spese non previste a carico degli Atenei e delle Aziende sanitarie a causa degli esuberi di candidati ammessi, costituirebbe un danno erariale di cui tali enti dovrebbero dar conto.
Infatti, se gli esuberi sono strutturali a causa di un contenzioso alimentato anche da errori della P.A. stessa -specie per l’assenza d’ogni seria e leale capacità di contenimento di fenomeni massivi di contenzioso che tendono a ripetersi ad intervalli regolari-, va rilevato che l’Amministrazione con un più accorto uso del contemperamento degli interessi coinvolti nel procedimento ed avendo di mira qual concetto chiave -non solo il rigido (peraltro pur esso in certi margini variabile) parametro dell’offerta formativa ma- l’anzidetto fabbisogno sociale e sanitario, ben può minimizzare i costi derivanti da tal contenzioso, grazie ad una più elastica ed inclusiva programmazione a costi finanziari invariati.
Il Collegio, auspicando una più stretta collaborazione istituzionale tra le Università e gli enti preposti alla determinazione del fabbisogno, vede però nel rialzo dell’offerta formativa per l’a. acc. 2019/20, un indice, rispetto all’anno precedente, di quel nocivo difetto d’istruttoria organizzativa che si è sopra evidenziato.
Per vero, se il sistema universitario mette a disposizione ca. altre duemila unità d’offerta formativa e nel giro di meno d’un anno, resta inevasa la domanda di come non via sia alcun rischio che un tal repentino riadeguamento (tralasciando le norme emergenziali COVID19, perché successive) di strutture, ricettività, insegnamento, tirocinio, ecc., in così breve volgere di tempo non comporti domani la oggi paventata paralisi del sistema”.
5. L’appello va quindi accolto sotto l’assorbente profilo dedotto in merito alla determinazione del fabbisogno, onde va rinviato al sistema universitario ed al Ministero, ciascuno per le proprie competenze accertative e di valutazione e scelta, di por rimedio al disallineamento tra fabbisogno ed offerta formativa. Sicché gli Atenei ed il Ministero dovranno, d’ora in poi, fornire sempre adeguata contezza sui numeri dei posti messi a concorso nelle prove d’ammissione a ciascun corso di laurea magistrale a c.u. ad accesso programmato.
Per il passato, essendosi già provveduto in fase cautelare all’immatricolazione degli originari in sovrannumero, vorranno verificare, in via generale, se l’evoluzione del sistema, manifestatosi per l’a. acc. 2019/20, non sia già in nuce funzionale per l’a. acc. 2018/19 e se vi sia l’adeguamento già nei fatti di strutture e didattica, coeteris paribus fin dal 2018, stante sia l’inadeguatezza della motivazione che il difetto istruttorio più volte evidenziato nel giudizio tecnico sull’offerta formativa. Il Ministero provvederà inoltre, nel prosieguo dell’azione amministrativa, alla definitiva validazione o meno, per quanto d’interesse (e ove permessa dal risultato conseguito in termini di punteggio e di graduatoria dalle parti ricorrenti, tenendo conto dell’aumento dei posti conseguenti alla riprogrammazione), del corso di studi intrapreso da chi ha contestato, con successo, l’illegittimità della disposta programmazione.
6. In definitiva, l’appello va accolto nei limiti or ora evidenziati, in relazione al motivo predetto. Nella restante parte le deduzioni sono inammissibili, nei termini evidenziati in sede di esame preliminare, e, in ogni caso, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso, anche alla luce degli argomenti già scrutinati dalla sentenza della Sezione n. 4266/2020 relativa all’anno 2017/18 e logicamente riferibili al presente contenzioso (cfr. in termini sempre la sentenza n. 5429 del 2020 cit.).
Analogamente ai precedenti della sezione richiamati, la complessità della questione comporta l’integrale compensazione, tra tutte le parti, delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado in parte qua.
Spese del doppio grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 gennaio 2021 con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere
Davide Ponte – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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