Il ricorso avverso il silenzio

Consiglio di Stato, Sentenza|29 gennaio 2021| n. 870.

Il ricorso avverso il silenzio può essere attivato dal soggetto interessato all’adozione di un determinato atto amministrativo e quindi da chi possa qualificarsi come destinatario degli effetti di esso; per questo è opinione pacifica che la situazione legittimante, giuridicamente qualificata e differenziata che legittima alla proposizione del rimedio de quo ha consistenza di interesse legittimo. Se questo è vero, ne discende che il rito speciale ex art. 21 bis è impraticabile laddove manchi uno specifico e individuato destinatario dell’azione amministrativa, ancorché questa sia indirizzata all’adozione di atti rivolti a categorie di soggetti determinati; è il caso appunto degli atti normativi (quali regolamenti) che per la loro generalità e astrattezza vedono quali destinatari la collettività ovvero categorie di soggetti genericamente e astrattamente considerate.

Sentenza|29 gennaio 2021| n. 870

Data udienza 21 gennaio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Aiuti pubblici – Emolumenti – Silenzio inadempimento – Azione – Proponibilità – Presupposti

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8620 del 2020, proposto da
An. Ma., rappresentato e difeso dall’avvocato Fr. Sa. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
contro
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Ministero dell’Economia e delle Finanze, Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
I.N.P.S., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Gu., Pa. Ma., Ch. Ci., domiciliati in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza n. 8074/2020, resa tra le parti, concernente l’accertamento dell’illegittimità del silenzio inadempimento sull’istanza presentata dal ricorrente;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, del Ministero dell’Economia e delle Finanze, della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dell’I.N.P.S.;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 25 del d.l. n. 137/2020;
Relatore nella camera di consiglio, tenutasi da remoto, del giorno 21 gennaio 2021 il Cons. Stefania Santoleri; quanto alla presenza degli avvocati si fa rinvio al verbale di udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. – Con il ricorso di primo grado il dott. An. Ma. ha evocato in giudizio, davanti al T.A.R. Lazio, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed anche l’Inps, per l’accertamento dell’asserita illegittimità del silenzio serbato dalle intimate Amministrazioni sull’istanza da lui presentata in data 23.7.2019, nonché per la declaratoria di illegittimità della mancata attuazione dell’art. 7, comma 7, lett. h) del d.l. n. 78/2010 convertito dalla l. n. 122 del 2010 e per conseguente condanna delle amministrazioni stesse, anche ai sensi dell’art. 31, comma 3, c.p.a. a concludere il procedimento da tale noma previsto, secondo quanto sarebbe stato esplicitato nella nota della presidenza del Consiglio dei Ministri del 6.6.2011, adottando il decreto avente ad oggetto la determinazione del compenso spettante al Presidente dell’INPS a far data dal 1.01.2011.
1.1 – In tale ricorso il ricorrente ha dedotto di essere stato nominato Presidente dell’INPS con d.P.R. del 30 luglio 2008 per quattro anni; di essere stato, altresì, nominato, con Decreto del Ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze dell’11 settembre 2008, Commissario straordinario dell’INPS, “con il compito di esercitare i poteri del Consiglio di amministrazione, il cui mandato è scaduto il 28 luglio 2008”, per il periodo intercorrente dalla data del predetto provvedimento fino all’adozione degli atti di riorganizzazione e di riordino e, comunque, non oltre il 31 marzo 2009.
Con tale decreto dell’11 settembre 2008 è stato disposto, relativamente al compenso, che per lo svolgimento dei compiti del Consiglio di amministrazione fosse stabilita “un’indennità mensile pari a quella spettante al Presidente dell’Istituto ridotta della metà “.
1.2 – L’art. 7, comma 7, lettera h) del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, dispone che “Al presidente dell’Ente è dovuto, per l’esercizio delle funzioni inerenti alla carica, un emolumento onnicomprensivo stabilito con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.”
Il decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, concernente “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, è finalizzato alla razionalizzazione e al risparmio della spesa pubblica.
Il legislatore, con l’art. 7, co. 7, lett. h), d.l. cit., ha rimesso ad un decreto che il Ministro del Lavoro emana di concerto con il Ministro dell’economia e finanze il compito di stabilire il compenso spettante al Presidente dell’INPS.
1.3 – Il ricorrente, come anticipato, ha notificato un’istanza di attuazione dell’art. 7, comma 7, lett. h) del D.l. n. 78/10 (doc. 24 produz.ricorrente, PEC del difensore del 23.7.2019) al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, al Ministero dell’Economia e delle Finanze e per conoscenza alla Presidenza del Consiglio dei Ministri alla quale non è stato dato riscontro.
1.4 – Con il ricorso giurisdizionale il ricorrente ha chiesto, pertanto al TAR:
1) di dichiarare l’illegittimità del silenzio delle amministrazioni intimate e di accertare, ai sensi dell’art. 31, comma 3, c.p.a., l’obbligo di queste ultime di concludere il procedimento già avviato ai sensi dell’art. 7, comma 7, lett. h) del d.l. n. 78/2010;
2) di condannare le amministrazioni intimate all’adozione, con effetti decorrenti dall’entrata in vigore del d.l. n. 78/2010, del provvedimento amministrativo recante l’emolumento onnicomprensivo spettante al Presidente dell’Inps, secondo la quantificazione già operata nel corso del procedimento, non residuando, nella tesi del ricorrente, ulteriori margini di discrezionalità, né essendo necessari ulteriori incombenti istruttori;
3) se del caso, di nominare un Commissario ad acta ex art. 117, comma 3, c.pa. per l’ipotesi di ulteriore inadempimento delle amministrazioni intimate nel termine indicato dal Giudice.
2. – Con la sentenza impugnata il TAR ha dichiarato inammissibile il ricorso; per completezza espositiva lo ha anche esaminato nel merito e lo ha respinto.
In sintesi, il TAR ha ritenuto che il ricorso dovesse ritenersi inammissibile per difetto di legittimazione attiva del ricorrente, in quanto non titolare di una posizione giuridica di interesse legittimo; ha poi ritenuto che la domanda sarebbe stata infondata nel merito, in quanto il decreto ministeriale rivendicato dal ricorrente sarebbe stato adottato oltre un anno addietro (D.M. 14 marzo 2019) ancorché per la posizione dell’attuale Presidente dell’INPS Prof. Pasquale T. e tale decreto, disciplinando la materia del compenso in questione, sarebbe applicabile anche alla sua posizione.
3. – Avverso tale sentenza il ricorrente ha proposto appello chiedendone, con il primo motivo, l’annullamento con rinvio al primo giudice ex art. 105, comma 1, c.p.a., per aver rilevato d’ufficio un’eccezione di inammissibilità, da esso stesso sollevata, senza dare il preavviso ex art. 73, comma 3, c.p.a.
3.1 – Con la successiva doglianza ha contestato la statuizione di inammissibilità per carenza di una situazione giuridica soggettiva qualificata ed indifferenziata rispetto alla generalità dei consociati, sostenendo che pur in mancanza di una specifica disposizione normativa impositiva dell’obbligo di provvedere, la giurisprudenza avrebbe rinvenuto tale obbligo anche in ipotesi ulteriori, connotate dalla particolarità della fattispecie, da ragioni di giustizia ed equità, dalla presenza di una legittima aspettativa a conoscere le determinazioni dell’amministrazione.
Ha quindi precisato che nel caso di specie:
– egli sarebbe titolare di una posizione giuridica soggettiva qualificata e differenziata rispetto all’adozione del decreto relativo alla determinazione del compenso spettante al Presidente dell’INPS, ai sensi dell’art. 7, comma 7, lett. b) d.l. n. 78/2010, avendo ricoperto tale carica;
– avrebbe un interesse di natura pretensiva diretta ad ottenere un ampliamento della propria sfera patrimoniale in relazione ad un bene della vita, sottoposto all’esercizio del potere amministrativo, consistente nell’adozione del decreto in questione;
– la qualificazione come legittima aspettativa non escluderebbe l’obbligo di provvedere da parte dell’Amministrazione, tanto più che verrebbero in rilievo i principi di imparzialità e buon andamento della P.A., oltre alla peculiarità della vicenda, tenuto conto che è stato costretto a resistere in giudizio nei confronti dell’INPS che gli aveva intimato la restituzione di quanto (a suo dire) indebitamente percepito;
– nel caso di specie, infatti, egli vantava la legittima aspettativa a ricevere un emolumento pari al doppio di quanto già percepito;
– in ogni caso vi sarebbe stata una specifica previsione di legge, ossia l’art. 7, comma 7, lett. h) del d.l. n. 78/2010, che prevedeva l’erogazione di un emolumento onnicomprensivo, stabilito con decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, atteso che il compenso già fissato era stato stabilito con un decreto del 2001 e non poteva più ritenersi adeguato, tanto più dopo la riorganizzazione dell’Ente e la devoluzione di ulteriori competente al Presidente, con conseguente obbligatorietà dell’adozione di tale decreto.
3.2 – Con il terzo motivo, infine, l’appellante ha lamentato l’erroneità della sentenza per aver ritenuto che il decreto del 14 marzo 2019, emesso dal Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, dovesse essere assunto quale riferimento per la regolazione delle sue pretese economiche.
Con tale doglianza ha, infatti, sostenuto che tale decreto avrebbe un’efficacia soggettivamente e temporalmente limitata e, quindi, non potrebbe applicarsi alla sua specifica condizione.
L’appellante ha quindi sostenuto che l’atto rivendicato avrebbe dovuto essere individuato nel decreto del 7 agosto 2020, pubblicato dopo la sentenza appellata, che ha riconosciuto al Presidente dell’INPS, con effetto retroattivo dalla data di nomina, un emolumento pari ad Euro 150,000,00 e a ciascun componente del CdA un emolumento pari ad Euro 23.000,00.
3.3 – Si sono costituite le parti intimate che, con memoria, hanno contestato le doglianze proposte.
3.4 – L’appellante ha depositato memoria e memoria di replica a sostegno delle proprie tesi.
4. – Alla Camera di Consiglio del 21 gennaio 2021 l’appello è stato trattenuto in decisione.
5. – L’appello va respinto con parziale diversa motivazione.
6. – Con il primo motivo l’appellante ha chiesto di disporre l’annullamento con rinvio al primo giudice, ai sensi dell’art. 105, comma 1, c.p.a. della sentenza impugnata, sostenendo che il TAR avrebbe rilevato d’ufficio un profilo di inammissibilità senza darne il dovuto preavviso alle parti, ai sensi dell’art. 73, comma 3, c.p.a.
6.1 – La doglianza non può essere condivisa, in quanto, come correttamente rilevato dal TAR, l’eccezione era stata già sollevata dalla parte resistente nella propria memoria: contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, la difesa della resistente non si era limitata, infatti, a sostenere che non sussisteva l’obbligo di provvedere “in ragione della pretesa natura del decreto di “provvedimento rimesso all’adozione dell’organo di indirizzo politico”, e della “natura di fonte secondaria del decreto ministeriale”, ma aveva anche richiamato la giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato Sez. IV, 7 luglio 2009, n. 4351 e Sez. VI, 25 gennaio 2008, n. 215) per sostenere la tesi dell’inammissibilità del ricorso.
In tale memoria si afferma, infatti, che:
– “la suddetta istanza non poteva essere proposta dal ricorrente, in quanto la competenza ad attivare l’eventuale procedura prevista dall’art. 7, comma 7, lett. h) del D.L. n. 78/2010, non è nella disponibilità del ricorrente stesso. In merito, la giurisprudenza amministrativa ha precisato che sussiste l’obbligo di provvedere allorché la legge riconosca espressamente al privato il potere di presentare un’istanza, così riconoscendogli la titolarità di una posizione qualificata e differenziata (cfr. Cons. di Stato, Sez. VI, 11.05.2007 n. 2318)”.
– “I decreti ministeriali sono, infatti, da considerarsi alla stregua di fonti secondarie adottabili da autorità del Governo, ulteriori rispetto ai regolamenti, con natura giuridica qualificabile come fonte-atto. Data la natura di fonte secondaria del decreto ministeriale, seppure con proprie caratteristiche, non è configurabile un obbligo di provvedere in capo alla pubblica amministrazione azionabile mediante istanza del privato, né può farsi valere, di conseguenza, un presunto silenzio inadempimento nel caso di mancata adozione dell’atto.
– “Anche il Consiglio di Stato (Cfr. Sez. IV, 7 luglio 2009, n. 4351 e Sez. VI, 25 gennaio 2008, n. 215) ha precisato che il ricorso avverso il silenzio può essere attivato dal soggetto interessato all’adozione di un determinato atto amministrativo e quindi da chi possa qualificarsi come destinatario degli effetti di esso; per questo è opinione pacifica che la situazione legittimante, giuridicamente qualificata e differenziata che legittima alla proposizione del rimedio de quo ha consistenza di interesse legittimo. Se questo è vero, ne discende che il rito speciale ex art. 21 bis è impraticabile laddove manchi uno specifico e individuato destinatario dell’azione amministrativa, ancorché questa sia indirizzata all’adozione di atti rivolti a categorie di soggetti determinati; è il caso appunto degli atti normativi (quali regolamenti) che per la loro generalità e astrattezza vedono quali destinatari la collettività ovvero categorie di soggetti genericamente e astrattamente considerate”.
6.2 – Ne consegue che, nella sentenza appellata, la statuizione di inammissibilità per difetto di legittimazione attiva non è stata introdotta direttamente dal giudice senza preavvertire le parti, ma si desume dalle considerazioni svolte dalla memoria dell’Amministrazione: pertanto, non vi è stata violazione del principio del contraddittorio, in quanto la decisione non può ritenersi emessa “a sorpresa”.
6.3 – Del resto la statuizione di inammissibilità resa dal TAR si conforma alla giurisprudenza costante di questo Consiglio di Stato, secondo cui ai fini dell’ammissibilità del rimedio avverso il silenzio inadempimento è necessaria la sussistenza di una situazione legittimante giuridicamente qualificata e differenziata che legittima la proposizione del rimedio in questione, che ha natura di interesse legittimo, difettando tale requisito laddove manchi uno specifico e individuato destinatario dell’azione amministrativa, anche laddove questa sia indirizzata all’adozione di atti rivolti a categorie di soggetti determinati, quali gli atti normativi (all’interno dei quali rientrano i regolamenti) che per la loro genericità e astrattezza vedono quali destinatari la collettività ovvero categorie di soggetti genericamente e astrattamente considerate (Cons. Stato, n. 4204/2020; 3863/2020, 8160/2019).
6.4 – Il decreto del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale disciplina la retribuzione del Presidente dell’INPS e, dunque, si riferisce alla carica rivestita da qualunque soggetto nel trascorrere del tempo, e non ad uno specifico soggetto.
6.5 – Il decreto in questione ha natura di fonte secondaria e non è configurabile un obbligo di provvedere mediante un’istanza da parte di un privato in conseguenza di un asserito silenzio inadempimento.
6.6 – Il capo di sentenza del TAR è quindi corretto: il decreto rivendicato non è un atto amministrativo, ma ha valenza di fonte-atto subordinata, con la conseguenza che non è configurabile in capo all’appellante la posizione giuridica di interesse legittimo.
Va, dunque, confermata la declaratoria di inammissibilità del ricorso di primo grado disposta dal TAR.
7. – Tale decisione risulta assorbente con la conseguenza che la statuizione di merito operata dal primo giudice, secondo cui “il preteso inadempimento non sussiste in quanto il Ministero del Lavoro ha già adottato il ridetto decreto fissativo del compenso onnicomprensivo del presidente dell’Inps il 14 marzo 2019” (pag. 18 della sentenza) va considerata un mero obiter dictum, in quanto la controversia è stata già definita con la decisione di rito.
7.1 – Ne consegue che tale statuizione non assume alcuna valenza in relazione alla quantificazione degli emolumenti rivendicati dall’appellante.
8. – Quanto alla pretesa, avanzata dall’appellante, di accertare, anche in via incidentale, che il decreto ministeriale previsto dall’art. 7, comma 7, lett. h) del d.l. n. 78/2010 non è quello del 14 marzo 2019, bensì il decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze del 7 agosto 2020, va dichiarata inammissibile alla stregua dei principi in precedenza esposti, tenuto conto che la declaratoria di inammissibilità del ricorso avverso il silenzio non consente al giudice di accertare la spettanza del bene della vita anelato dalla parte istante, e tantomeno provvedere alla sua specifica individuazione.
9. – Ne consegue che l’appello va respinto con parziale diversa motivazione, e per l’effetto, va confermata con parziale diversa motivazione la sentenza appellata, e quindi va dichiarato inammissibile il ricorso di primo grado.
10. – Le spese del grado di appello, tenuto conto della particolarità della questione esaminata, vanno compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge con parziale diversa motivazione e, per l’effetto, conferma, con parziale diversa motivazione, la sentenza appellata e dichiara inammissibile il ricorso di primo grado.
Spese del grado di appello compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 gennaio 2021 con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari – Presidente
Giulio Veltri – Consigliere
Paola Alba Aurora Puliatti – Consigliere
Stefania Santoleri – Consigliere, Estensore
Giovanni Pescatore – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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