Il reato di violenza privata

Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 30 giugno 2020, n. 19545.

Massima estrapolata:

Il reato di violenza privata può concorrere materialmente con il reato di maltrattamenti in famiglia quando le violenze e le minacce del soggetto attivo siano adoperate, oltre che con la coscienza e volontà di sottoporre la vittima a sofferenze fisiche e morali in modo continuativo e abituale, anche con l’intento di costringerla ad attuare un comportamento che altrimenti non avrebbe volontariamente posto in essere. (Nella specie, l’imputato, oltre a sottoporre la moglie a condotte integranti maltrattamenti, con ulteriori minacce l’aveva costretta ad omettere di presentare denuncia per quanto subito, così realizzando una condotta autonoma, anche sotto il profilo della volizione criminale, rispetto alla serialità delle vessazioni riconducibili al delitto di cui all’art. 572 cod. pen.).

Sentenza 30 giugno 2020, n. 19545

Data udienza 4 marzo 2020

Tag – parola chiave: Estorsione – Maltrattamenti in famiglia – Violenza privata – Procedibilità d’ufficio – Censure di merito inammissibili

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CERVADORO Mirella – Presidente

Dott. MESSINI D’AGOSTINI Piero – Consigliere

Dott. CIANFROCCA Pierluig – Consigliere

Dott. DI PISA Fab – rel. Consigliere

Dott. SARACO Antonio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 28/11/2018 della CORTE APPELLO di NAPOLI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere DI PISA FABIO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore TOCCI STEFANO, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore di (OMISSIS) Avvocato (OMISSIS) il quale ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso e chiedendone l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Napoli, con sentenza in data 28/11/2018, confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in data 30/10/2017, in forza della quale (OMISSIS) era stato ritenuto responsabile in ordine ai reati di cui ai capi a) (articolo 61 c.p., n. 11 quinquies, articolo 572 c.p.), b) (articolo 81 cpv, articolo 629, comma 2 in relazione all’articolo 628 c.p., comma 3 bis) e c) (articolo 61 c.p., n. 2, articolo 81 cpv c.p., e articolo 610 c.p.) – limitatamente alle condotte commesse dal (OMISSIS) – e condannato alla pena ritenuta di giustizia.
La corte territoriale, nel confermare la ricostruzione operata dai giudici di primo grado, riteneva accertate sotto il profilo oggettivo e soggettivo, le condotte dell’imputato in relazione ai reati contestati di maltrattamenti in famiglia, estorsione aggravata e violenza privata escludendo, quanto a detta ultima imputazione, che la condotta in questione potesse essere assorbita nel reato di cui all’articolo 527 c.p..
2. Contro detta pronuncia propone ricorso per cassazione, a mezzo difensore di fiducia, l’imputato il quale deduce i seguenti motivi:
a. carenza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione in punto di ritenuta sussistenza della condotta di maltrattamenti in famiglia.
Lamenta che la corte di appello aveva omesso di esaminare la specifica censura formulata in relazione alla carenza dell’elemento soggettivo del reato, non valutando le deduzioni formulate in ordine all’effettiva valenza delle dichiarazioni della persona offesa da porre in correlazione con la condizione di tossicodipendenza dell’imputato, causa esclusiva dei fatti contestati;
b. violazione di legge sotto il profilo dell’errata applicazione dell’articolo 591 c.p., in relazione all’articolo 581 del codice di rito.
Lamenta che la corte di appello aveva erroneamente ritenuto inammissibile il motivo di censura relativo alla condotta di estorsione non tenendo conto che era stata formulata una specifica contestazione relativa all’insussistenza dell’elemento costitutivo del reato rappresentato dall’ingiusto profitto in ragione della circostanza che l’imputato si era limitato a richiedere il denaro della pensione INPS della quale egli era titolare a partire dal novembre 2016 nonche’ le somme dallo stesso percepite per l’attivita’ irregolare di cuoco svolta in precedenza, argomentazioni idonee a confutare la sentenza di primo grado in ordine alla qualificazione della condotta in termini di estorsione perpetrata in danno della moglie;
c. carenza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione relativamente alla ritenuta sussistenza della condotta di estorsione aggravata e continuata in danno della persona offesa (OMISSIS).
Osserva che la motivazione sul punto era meramente apparente in quanto la corte di appello aveva omesso di esaminare le censure finalizzate a comprovare che l’imputato aveva sempre richiesto il pagamento di somme proprie relative all’attivita’ lavorativa prestata ed alla pensione INPS percepita con decorrenza novembre 2016 sicche’ lo stesso doveva essere assolto per tutte le condotte contestate dal mese di novembre 2016 al 27/03/2017 quanto meno ai sensi dell’articolo 530 c.p.p., comma 2;
d. carenza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione relativamente alla mancata riqualificazione della condotta di cui al capo b) ai sensi dell’articolo 393 c.p..
Rileva che la motivazione era gravemente illogica e contraddittoria nella parte in cui la corte di appello aveva escluso la possibilita’ di qualificare la condotta contestata sub b) quale ipotesi di esercizio arbitrario delle proprie ragioni non considerando che dalle complessive emergenze istruttorie era risultato che lo stesso aveva posto in essere violenze e minacce per recuperare il proprio denaro derivante, come detto, dall’attivita’ lavorativa prestata e dalla sua pensione INPS;
e. carenza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione relativamente alla mancata assoluzione per il reato di cui al capo c).
Deduce che la corte territoriale, disattendendo i principi fissati dalla giurisprudenza di legittimita’ in materia, non aveva considerato che la condotta contestata al capo c) andava ricondotta al reato di maltrattamenti di cui al capo a) essendo palese che le minacce con le quali l’imputato aveva impedito alla moglie di sporgere denunzia menzionate nel detto capo di imputazione non avevano una loro autonomia ma costituivano un segmento della condotta vessatoria ed aggressiva ex articolo 572 c.p..
1.1. Il difensore dell’imputato ha depositato, in data 19/02/2020, memoria con allegata documentazione attestante la volonta’ della persona offesa (OMISSIS) di rimettere la denunzia-querela sporta nei confronti di (OMISSIS) per i fatti in questione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere rigettato.
2. Va, in primo luogo, rilevato che dal momento che tutti i reati contestati all’imputato sono perseguibili d’ ufficio, del tutto priva di valenza e’ la remissione di querela della persona offesa (OMISSIS) allegata alla memoria in data (OMISSIS).
3. Occorre, quindi, premettere che il sindacato di legittimita’ non ha per oggetto la revisione del giudizio di merito, bensi’ la verifica della struttura logica del provvedimento e non puo’ quindi estendersi all’esame ed alla valutazione degli elementi di fatto acquisiti al processo, riservati alla competenza del giudice di merito, rispetto alla quale la Suprema Corte non ha alcun potere di sostituzione al fine della ricerca di una diversa ricostruzione dei fatti in vista di una decisione alternativa.
In tema di sindacato del vizio di motivazione non e’ certo compito del giudice di legittimita’ quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito ne’ quello di “rileggere” gli elementi di fatto posti a fondamento della decisione la cui valutazione e’ compito esclusivo del giudice di merito: quando, come nella specie, l’obbligo di motivazione e’ stato esaustivamente soddisfatto dal giudice di merito, con valutazione critica di tutti gli elementi offerti dall’istruttoria dibattimentale e con indicazione, pienamente coerente sotto il profilo logico- giuridico, degli argomenti dai quali e’ stato tratto il proprio convincimento, la decisione non e’ censurabile in sede di legittimita’.
Va, ancora, rilevato che il giudizio sulla rilevanza ed attendibilita’ delle fonti di prova e’ devoluto insindacabilmente ai giudici di merito e la scelta che essi compiono, per giungere al proprio libero convincimento, con riguardo alla prevalenza accordata a taluni elementi probatori, piuttosto che ad altri, ovvero alla fondatezza od attendibilita’ degli assunti difensivi, quando non sia fatta con affermazioni apodittiche o illogiche, si sottrae al controllo di legittimita’ della Corte Suprema. Si e’ in particolare osservato che non e’ sindacabile in sede di legittimita’, salvo il controllo sulla congruita’ e logicita’ della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilita’ delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti. (Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011 – dep. 25/05/2011, Tosto, Rv. 25036201).
4. Cio’ premesso va osservato che i giudici di merito, con motivazione congrua ed adeguata, operando una ricostruzione in fatto non censurabile in questa sede, hanno evidenziato come le complessive emergenze istruttorie – e segnatamente le dichiarazioni della persona offesa riscontate sulla scorta di quanto riferito dalla teste (OMISSIS), madre dell’imputato – comprovavano chiaramente ed in modo univoco che la condotta violenta e vessatoria posta in essere dall’imputato in danno della moglie integrava chiaramente il reato di maltrattamenti di cui al capo a), precisando correttamente che non poteva essere escluso l’elemento soggettivo del reato ex articolo 572 c.p., pure valutata la condizione di tossicodipendenza dell’ (OMISSIS).
Del resto la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di maltrattamenti in famiglia non implica l’intenzione di sottoporre il convivente, in modo continuo e abituale, ad una serie di sofferenze fisiche e morali, ma solo la consapevolezza dell’agente di persistere in un’attivita’ vessatoria. (Sez. 6, n. 16836 del 18/02/2010 – dep. 04/05/2010, M. e altro, Rv. 24691501), condotta consapevole da parte dell’imputato verificatasi, certamente, nella specie.
I giudici di merito hanno pure chiarito, con una motivazione che non puo’ ritenersi ne’ carente ne’ illogica ne’ contraddittoria, che il tentativo della persona offesa in sede di dibattimento di fornire una versione edulcorata dei fatti – riconducendo i momenti di aggressivita’ dell’ (OMISSIS), soggetto tossicodipendente, alle sole crisi di astinenza dello stesso, al fine di sminuire la gravita’ dei comportamenti posti in essere dal marito quanto meno a partire dall’ultimo anno dalla denunzia – non appariva decisivo, dovendosi dare pieno credito alla versione fornita dalla predetta nella prima denunzia oggetto di ampi riscontri probatori quanto alle condotte aggressive e vessatorie poste in essere dal predetto, sicche’ le censure formulate con il primo motivo non colgono in alcun modo nel segno.
5. Le censure proposte con il secondo, il terzo ed il quarto motivo di impugnazione, da esaminare congiuntamente in quanto fra loro connesse, sono tutte manifestamente infondate. Va osservato che la corte di appello, in linea con quanto ritenuto dal giudici di primo grado, ha affermato la sussistenza di elementi idonei a fondare la dichiarazione di penale responsabilita’ dell’imputato in relazione al reato contestato ritenendo integrati, sia sotto il profilo oggettivo che sotto quello soggettivo, gli estremi del reato di estorsione aggravata e continuata ed escludendo la configurabilita’ della meno grave ipotesi del reato di ragion fattasi.
Nel disattendere gli identici motivi di censura reiterati dall’imputato i giudici di appello, richiamando anche la ricostruzione operata dai primi giudici, valutato il complessivo materiale probatorio, hanno evidenziato che nella specie era evidente “I’ ingiustizia del profitto” non risultando dimostrato che lo stesso avesse agito per il recupero di somme proprie costituite dalla pensione INPS e dai propri redditi lavorativi – redditi questi ultimi che la corte di appello, con ricostruzione in fatto adeguata e non censurabile in questa sede, ha ritenuto, nell’ammontare complessivo dedotto dalla difesa indimostrati sulla scorta delle dichiarazioni rese dai testi escussi – costituendo tutte le censure proposte una inammissibile prospettazione di una alternativa ricostruzione degli accadimenti, preclusa in questa sede.
6. L’ultimo motivo e’ infondato.
Va premesso che i giudici di merito hanno ritenuto configurabile a carico dell’imputato anche il reato ex articolo 610 c.p., in quanto i comportamenti contestati al capo c) costituivano, secondo quanto ricostruito in fatto, delle ulteriori ed autonome condotte rispetto a quelle specificatamente maltrattanti essendo emerso che, in piu’ occasioni, l’ (OMISSIS) aveva minacciato di morte la moglie nel caso in cui la stessa si fosse recata dalla forze dell’ordine a denunziare i maltrattamenti subiti risultando, quindi, integrata una distinta condotta volta a coartare la volonta’ della vittima ad omettere di sporgere legittimamente denunzia per quanto subito, ancorche’ contestata, secondo quanto risulta dal capo di imputazione, nel medesimo ambito spazio-temporale rispetto ai contestati maltrattamenti.
In relazione a tale motivo di impugnazione con il quale il ricorrente lamenta il fatto che la corte territoriale non aveva considerato assorbiti nel reato di cui all’articolo 572 c.p., sub a) l’imputazione di cui al capo c) della rubrica relativo al reato di violenza privata aggravata, rileva questo Collegio che, sebbene si rinvenga in giurisprudenza anche l’orientamento secondo il quale nel reato di maltrattamenti in famiglia rimangano assorbiti, in quanto rientranti nella materialita’ di detto delitto, i reati di ingiurie, minacce e violenza privata (cfr. per tutte: Sez. 6, n. 13898 del 28/03/2012 – dep. 12/04/2012, S., Rv. 25258501; idem Sez. 2, n. 15571 del 13/12/2012 – dep. 04/04/2013, Di Blasi, Rv. 25578001), nel caso di specie non puo’ trascurarsi che per quanto riguarda il reato di violenza privata aggravata, la relativa condotta e’ stata commessa, siccome puntualmente contestato al prevenuto ed adeguatamente acclarato, proprio al fine di assicurarsi, attraverso il silenzio della persona offesa in ordine ai pregressi comportamenti dell’ (OMISSIS), l’impunita’ rispetto, fra l’altro, al delitto di maltrattamenti in famiglia di tal che le violenze e le minacce hanno acquistato una chiara autonomia, sotto il profilo della volizione criminale, rispetto alla serialita’ delle vessazioni in cui si e’ sostanziato il presupposto reato di cui all’articolo 572 c.p., distaccandosene ed acquisendo, pertanto, una specifica rilevanza delittuosa.
Non va, del resto sottaciuto che l’elemento psicologico che caratterizza il delitto di cui all’articolo 572 c.p. e’ il dolo generico, consistente nella coscienza e volonta’ di sottoporre la vittima ad una serie di sofferenze fisiche e morali, mentre a nulla rilevano le finalita’ di volta in volta perseguite dall’autore degli atti vessatori (cfr. sez. 6, 200539927, Agugliaro, RV 233478; sez. 6, 200404933, Catanzaro, RV 229514), risultando il reato di cui all’articolo 610 c.p., caratterizzato da dolo specifico.
Deve, dunque, ritenersi che il reato di violenza privata puo’ concorrere materialmente con il reato di maltrattamenti in famiglia previsto dall’articolo 572 c.p., quando le minacce del soggetto attivo siano adoperate, oltre che con la coscienza e volonta’ di sottoporre la vittima a sofferenze fisiche e morali in modo continuativo e abituale, anche con l’intento di costringerlo ad attuare un comportamento che altrimenti non avrebbe volontariamente posto in essere, per come emerso nella specie.
E’ stato, del resto, condivisibilmente affermato che, in analoga fattispecie, che il reato di maltrattamenti in famiglia, previsto dall’articolo 572 c.p., puo’ concorrere con il reato di minaccia grave nell’ipotesi in cui la minaccia sia finalizzata al conseguimento dell’impunita’ per i maltrattamenti (Sez. 3, n. 10497 del 07/04/2016 – dep. 03/03/2017, V, Rv. 26934001).
7. Per le considerazioni esposte, dunque, il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
7.1. In caso di diffusione del presente provvedimento vanno omesse le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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