Corte di Cassazione, civile, Sentenza|2 marzo 2021| n. 5651.
Il rapporto fra contratti collettivi di diverso ambito territoriale (nella specie, provinciale e aziendale) è improntato al principio dell’autonomia, in virtù del quale l’effettiva volontà delle parti sociali dev’essere desunta attraverso il coordinamento delle diverse disposizioni delle fonti collettive, aventi tutte pari dignità e forza vincolante, con la conseguenza che i rispettivi fatti costitutivi ed estintivi non interagiscono, rispondendo ciascuna disciplina a regole proprie in ragione dei diversi agenti contrattuali e del loro diverso ambito territoriale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che, in applicazione della disciplina collettiva provinciale, aveva disposto la conversione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro di un operaio agricolo che era stato impiegato per più di 180 giorni nell’anno solare, ritenendo che tale esito non confliggesse con la previsione della contrattazione aziendale, secondo cui il datore era tenuto a garantire al lavoratore, nei primi dodici mesi di attività, almeno 51 giornate lavorative con un contratto di durata semestrale, e nei successivi dodici mesi almeno 180 giornate, da calcolarsi all’interno dell’anno solare).
Sentenza|2 marzo 2021| n. 5651
Data udienza 19 gennaio 2021
Integrale
Tag/parola chiave: Impiego privatizzato – Provincia di Treviso – Conversione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro – Superamento nell’arco di 12 mesi di n. 180 giorni lavorativi – Art. 6 CCPL del 23.06.2008 – Principio di circolarità degli oneri di allegazione e prova – Contratto collettivo nazionale e contratto aziendale – Autonomia
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente
Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere
Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere
Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 12146/2016 proposto da:
(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 544/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA depositata 11/11/2015 R.G.N. 1124/2012;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 19/01/2021 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. La Corte di appello di Venezia, con sentenza n. 544 del 2015, ha rigettato l’appello principale proposto dalla (OMISSIS) e ha confermato la pronuncia del Giudice del lavoro del Tribunale di Treviso che, accogliendo la domanda proposta da (OMISSIS), aveva convertito a tempo indeterminato il rapporto di lavoro intercorso tra le parti con decorrenza dal 2 marzo 2009 e aveva condannato la societa’ cooperativa al pagamento dell’indennita’ di cui alla L. n. 183 del 2010, articolo 32, comma 5, nella misura di sei mensilita’ dell’ultima retribuzione globale di fatto.
2. La Corte di appello ha premesso che il Giudice di primo grado, sul presupposto della natura agricola dell’attivita’ dell’impresa, aveva ritenuto che doveva trovare applicazione l’articolo 6 del Contratto Collettivo Provinciale di lavoro della Provincia di Treviso, invocato dalla difesa del lavoratore, per cui il superamento del limite di 180 giornate lavorative nel corso dell’anno solare a decorrere dalla prima assunzione comportava la trasformazione del lavoro avventizio in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, e che tale disciplina contrattuale era compatibile con quella aziendale di cui all’Accordo integrativo del 4 giugno 2008, invocato dalla convenuta, secondo cui (articolo 4) l’azienda doveva garantire un minimo di n. 51 giornate lavorative nei primi dodici mesi di attivita’ del lavoratore nel caso di contratto di durata semestrale e per i successivi dodici mesi almeno n. 180 giornate di effettivo lavoro da calcolarsi all’interno dell’anno solare.
3. La Corte di appello ha innanzitutto rigettato il motivo di appello con cui la societa’ aveva riproposto l’eccezione di decadenza per mancata tempestiva allegazione e produzione, con l’atto introduttivo del giudizio, del CCPL e del CCNL Cooperative Agricole di cui il ricorrente aveva invocato l’applicazione. In proposito, ha affermato che il lavoratore aveva allegato il fatto della successione di piu’ contratti di lavoro agricolo a tempo determinato e aveva prospettato di non potere essere qualificato lavoratore agricolo avventizio, ma operaio addetto al ciclo produttivo aziendale; che la convenuta aveva opposto di non potere essere considerata impresa agricola e, proprio a seguito di tale contestazione, venne affrontato il tema della disciplina contrattuale applicabile; che, pertanto, il contraddittorio si sviluppo’ su circostanza introdotta da parte convenuta quale fatto impeditivo della conversione del rapporto lavorativo.
4. Nel merito, la Corte di appello ha affermato che:
a) l’articolo 6 del CCPL del 23 giugno 2008 prevede che “gli operai a tempo determinato che hanno effettuato presso la stessa azienda nell’arco di 12 mesi dalla data di assunzione 180 giornate di affettivo lavoro, hanno diritto alla trasformazione del loro rapporto in quello a tempo indeterminato con la stessa disciplina prevista per gli operai assunti originariamente a tempo indeterminato…”;
b) invece, l’Accordo aziendale del 4 giugno 2008, richiamato dalla difesa della Cooperativa, ripreso dal Contratto integrativo dell’ottobre 2009, prevede che “…le parti, al fine di garantire una maggiore stabilita’ ai contratti di avventiziato…convengono che a decorrere dalla firma del presente contratto siano poste agli accordi vigenti le seguenti modifiche in tema di giornate minime lavorate garantite dall’azienda ferma restando la disponibilita’ del lavoratore, nei primi 12 mesi di attivita’ del lavoratore, l’azienda garantira’ il minimo 51 giornate lavorative con un contratto della durata di 6 mesi. Nei secondi 12 mesi almeno 180 giornate, da calcolarsi all’interno dell’anno solare”;
c) quindi, oggetto dell’Accordo integrativo aziendale e’ costituito dall’obbligo dell’azienda di garantire al lavoratore avventizio, nei primi 12 mesi di attivita’, mediante stipulazione di un unico primo contratto di durata semestrale, un numero di giornate lavorative minimo (n. 51); diversamente, la disposizione del Contratto collettivo provinciale di lavoro fa riferimento all’eventualita’ che il lavoratore abbia prestato, in un determinato arco temporale (12 mesi dalla data della assunzione), in favore della stessa azienda, un numero di giornate di effettivo lavoro superiore a n. 180; le due disposizioni sono da ritenere compatibili, in quanto dirette a regolare fatti diversi;
d) non e’ condivisibile neppure l’assunto di parte appellante secondo cui il conteggio delle giornate di effettivo lavoro dovrebbe effettuarsi in relazione ai singoli contratti, anziche’ secondo un conteggio unitario nell’arco dell’anno decorrente dalla prima assunzione;
e) nel caso di specie, il lavoratore supero’ l’anzidetto limite temporale nel
corso dell’anno 2009 (214 giornate lavorative dal 2 marzo al 31 dicembre 2009), poiche’ venne assunto il 2 marzo 2009 e poi con un nuovo contratto, senza soluzione di continuita’, dal 1 settembre 2009 fino alla fine dell’anno;
f) non puo’ rilevare l’Accordo di interpretazione autentica del 2012 nella parte in cui esclude l’applicazione, nei confronti della Cooperativa appellante, dei Contratti collettivi provinciali di lavoro, non potendo questa disciplina trovare applicazione retroattiva rispetto a un diverso regime contrattuale vigente al tempo dei fatti di causa.
3. Per la cassazione di tale sentenza la (OMISSIS) ha proposto ricorso affidato a tre motivi. L’intimato non ha svolto attivita’ difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo denuncia violazione della “regolamentazione della disciplina dei contratti di avventiziato negli accordi aziendali e nel CCPL per gli operai agricoli dipendenti da aziende agricole e florovivaistiche della provincia di Treviso – rapporti tra strumenti contrattuali collettivi di diverso livello violazione di norme di legge in materia di interpretazione dei contratti (articoli 1322, 1362, 1363 1367 e 1369 c.c.”, per avere la Corte di appello escluso che il rapporto potesse essere regolato dal CCNL Industria Alimentare, come invece dedotto da parte convenuta, e comunque per avere ritenuto compatibili le discipline contenute nel CCPL del 23 giugno 2008 e nell’Accordo aziendale del 4 giugno 2008, pur a fronte di regolamentazioni chiaramente confliggenti. La prima contempla la trasformazione del contratto al raggiungimento delle n. 180 giornate di effettivo lavoro nell’arco dei 12 mesi dalla data di assunzione; la seconda impone all’azienda di garantire agli avventizi almeno n. 180 giornate da calcolarsi all’interno dell’anno solare. L’incompatibilita’ e’ stata pure sancita dalle parti sociali in sede di Accordo sottoscritto il 29 maggio 2012, con cui e’ stato chiarito che lo scopo del contratto aziendale del 2008 era quello di garantire al personale assunto con contratto di avventiziato, dopo i primi sei mesi del rapporto, lo svolgimento di almeno n. 180 giornate nel corso dell’anno, senza possibilita’ di conversione dei contratti di lavoro del personale avventizio da tempo determinato a tempo indeterminato con il superamento delle 180 giornate di lavoro nel corso dell’anno.
2. Il secondo motivo denuncia, in subordine rispetto al precedente, “l’incompatibilita’ tra le previsioni di cui all’articolo 6 CCPL per gli Operai Agricoli dipendenti da Aziende Agricole e Florovivaistiche della provincia di Treviso e la regolamentazione contenuta negli accordi collettivi aziendali – violazione di norme di legge in materia di interpretazione dei contratti (articoli 1322, 1362, 1363 1367 e 1369 c.c.”, per avere la Corte di appello erroneamente interpretato la locuzione “dalla data di assunzione” di cui all’articolo 6 cit. come riferibile alla prima assunzione, anziche’ alla data di ciascuno dei contratti stipulati tra le parti nell’arco annuale (nel caso in esame, il primo, per il periodo contrattuale dal 2 marzo 2009 al 31 agosto 2009, per n. 138 giornate e il secondo, per il periodo dal 1 settembre 2009 al 28 febbraio 2010, per n. 126 giornate).
3. Il terzo motivo denuncia “inammissibilita’ per tardivita’ della produzione tardiva di contratti collettivi – eccezione di decadenza – violazione di norme di legge (articolo 414 c.p.c.) – omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti”. La Cooperativa ricorrente lamenta l’erroneita’ della sentenza nella parte in cui ha ritenuto che i contratti collettivi di riferimento potessero essere prodotti solo a seguito della contestazione di parte convenuta circa la natura dell’attivita’ economica svolta. Ribadisce che era onere dell’originario ricorrente depositare tali fonti unitamente al ricorso ex articolo 414 c.p.c..
4. Il terzo motivo, il cui esame ha carattere pregiudiziale, e’ inammissibile.
5. Innanzitutto, esso promiscuamente denuncia error in procedendo, error in iudicando e vizio di omesso esame di fatto decisivo ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5. La censura e’ dunque basata su una formulazione che demanda al giudice di legittimita’ di ricercare e identificare esattamente la questione devoluta.
6. E’ ben vero che, come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 9100 del 2015, il fatto che un singolo motivo sia articolato in piu’ profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per se’, ragione d’inammissibilita’ dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell’ammissibilita’ del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati.
Tuttavia, l’articolazione in un singolo motivo di piu’ profili di doglianza costituisce ragione d’inammissibilita’ quando non e’ possibile ricondurre tali diversi profili a specifici motivi di impugnazione, dovendo le doglianze, anche se cumulate, essere formulate in modo tale da consentire un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al fine di ricondurle a uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse. (v. tra le piu’ recenti, Cass. n. 26790 del 2018). L’articolazione di un singolo motivo in piu’ profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, costituisce ragione d’inammissibilita’ dell’impugnazione quando la sua formulazione non consente o rende difficoltosa l’individuazione delle questioni prospettate (Cass. n. 7009 del 2017).
7. Nel caso in esame, il terzo motivo del ricorso non presenta elementi che consentano di enucleare con sufficiente chiarezza i singoli vizi per risalire, partitamente, a ciascuna delle categorie previste dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5.
8. Inoltre, il motivo oppone una propria ricostruzione della vicenda processuale senza argomentare in ordine alla soluzione fornita dalla Carte di appello, la quale ha chiaramente affermato (v. pag. 7 e 8 sent. imp.) che il ricorso introduttivo del giudizio (articolo 414 c.p.c.) conteneva le allegazioni di fatto costitutive del diritto vantato da (OMISSIS) (allegazione della successione di piu’ contratti di lavoro a tempo determinato e contestazione della qualificazione di avventiziato agricolo, integrando la fattispecie quella dell’operaio addetto al ciclo produttivo aziendale”); che solo a seguito della contestazione di parte convenuta circa la natura dell’attivita’ produttiva svolta e del regime normativo di riferimento, venne affrontato il tema della disciplina contrattuale applicabile. Secondo la soluzione accreditata dalla Corte di appello, il contraddittorio si sviluppo’ su circostanza introdotta da parte convenuta quale fatto impeditivo della conversione del rapporto lavorativo.
9. Il principio applicato dalla Corte di appello e’ quello della c.d. circolarita’ degli oneri di allegazione e prova di cui agli articoli 414 e 416 c.p.c.. La giurisprudenza di questa Corte ha affermato che nel processo del lavoro, le parti concorrono a delineare la materia controversa, di modo che la mancata contestazione del fatto costitutivo del diritto rende inutile provare il fatto stesso, in quanto lo rende incontroverso, mentre la mancata contestazione dei fatti dedotti in esclusiva funzione probatoria opera unicamente sulla formulazione del convincimento del giudice. I dati fattuali, interessanti sotto diverso profilo la domanda attrice, devono tutti essere esplicitati in modo esaustivo o in quanto fondativi del diritto fatto valere in giudizio o in quanto volti ad introdurre nel giudizio stesso circostanze di mera rilevanza istruttoria non potendosi negare la necessaria circolarita’, per quanto attiene al rito del lavoro, tra oneri di allegazione, oneri di contestazione ed oneri di prova; circolarita’ attestata dal combinato disposto dell’articolo 414 c.p.c., nn. 4 e 5 e dall’articolo 416 c.p.c., comma 3 (cfr. Cass. S.U. n. 11353 del 2004; conf. Cass. n. 1878 del 2012).
10. Anche per tale verso il motivo e’ inammissibile per difetto di specificita’ del motivo, in relazione all’onere di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che impone al ricorrente per cassazione di raffrontare la ratio decidendi della sentenza impugnata con la giurisprudenza di questa Corte e, ove la prima risulti conforme alla seconda, di fornire argomenti per mutare orientamento (Cass. n. 5001 del 2018). L’onere di specificita’ dei motivi, sancito dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4, impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, a pena d’inammissibilita’ della censura, non solo di esaminarne il contenuto precettivo delle norme di cui lamenta la violazione, ma anche di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che e’ tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo (cfr. Sezioni Unite n. 23745 del 2020).
11. D’altra parte, e’ principio costante nella giurisprudenza di questa Corte che con i motivi di ricorso per cassazione la parte non puo’ limitarsi a riproporre le tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice dell’appello, senza considerare le ragioni offerte da quest’ultimo, poiche’ in tal modo si determina una mera contrapposizione della propria valutazione al giudizio espresso dalla sentenza impugnata, come tale inammissibile ex articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4 (cfr. Cass. 22478 del 2018).
12. Anche il primo e il secondo motivo sono inammissibili.
13. Parte ricorrente cita il principio per cui il contrasto fra contratti collettivi di diverso ambito territoriale va risolto non in base a principi di gerarchia e di specialita’ proprie delle fonti legislative, ma sulla base della effettiva volonta’ delle parti sociali, da desumersi attraverso il coordinamento delle varie disposizioni della contrattazione collettiva, aventi tutte pari dignita’ e forza vincolante (cfr. Cass. n. 12098 del 2010). Il principio e’ certamente condivisibile. Piu’ volte questa Corte ha affermato che il rapporto tra il contratto collettivo nazionale e quello aziendale, regolato non in base a principi di gerarchia e di specialita’ proprie delle fonti legislative, ma sulla base della effettiva volonta’ delle parti sociali, si caratterizza in ragione di una reciproca autonomia delle due discipline (e di un loro diverso ambito applicativo), che ha trovato riscontro nel mondo sindacale anche nell’aspetto delle relazioni industriali. Ne consegue che, seppure il trattamento economico e normativo dei singoli lavoratori e’ nella sua globalita’ costituito dall’insieme delle pattuizioni dei due diversi livelli contrattuali, la disciplina nazionale e quella aziendale, egualmente espressione dell’autonomia privata, si differenziano tra di loro per la loro distinta natura e fonte negoziale con la conseguenza che i rispettivi fatti costitutivi ed estintivi non interagiscono, rispondendo ciascuna disciplina a regole proprie in ragione dei diversi agenti contrattuali e del loro diverso ambito territoriale (Cass. n. 19351 del 2007 e success.).
14. Nel caso in esame, la Corte di appello ha fatto corretta applicazione di tali principi distinguendo i fatti costitutivi delle due diverse discipline. Ha difatti ritenuto che la normativa aziendale riguardi un obbligo gravante sull’azienda, quello relativo alla necessita’ di garantire al lavoratore avventizio un numero minimo di giornate lavorative in caso di stipulazione di un unico contratto di durata in un determinato arco temporale e che, invece, la disciplina collettiva di livello provinciale per i lavoratori agricoli contempli un’ipotesi diversa, a tutela del lavoratore avventizio, nel caso in cui costui di fatto, per effetto di una pluralita’ di contratti temporanei, abbia prestato un numero di giornate di effettivo lavoro (superiore a 180 dalla prima assunzione) che sostanzialmente – secondo la insindacabile valutazione operata dalle parti sociali – portino ad assimilare la sua prestazione a quella di un operaio agricolo addetto al ciclo produttivo aziendale, da cui la previsione della conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
15. L’interpretazione del testo contrattuale fornita dalla Corte territoriale e’ coerente con la ratio della norma, riferibile a situazioni che per loro natura implicano rapporti di breve durata, ma che tuttavia per le modalita’ dei rinnovi e la durata complessiva dell’effettivo lavoro siano assimilabili alla prestazione resa da un operaio agricolo addetto al ciclo produttivo aziendale.
16. Il ricorso si limita a sostenere l’inconciliabilita’ delle due disposizioni, senza spiegare in quale modo sarebbero state violate le regole di ermeneutica negoziale. Ne’ parte ricorrente, che ne era onerata, ha chiarito il contesto in cui le diverse previsioni di collocano, onde chiarire in quali termini sussisterebbe il contrasto, considerato che la sentenza impugnata ha chiaramente evidenziato che le due norme si collocano su piani diversi e hanno funzioni diverse, oltre che un diverso oggetto.
17. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile. Nulla va disposto quanto alle spese del presente giudizio, non avendo l’intimato svolto attivita’ difensiva.
18. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis (v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019 e n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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