Il PUA è non già un accordo di programmazione contrattata tra Comune e associazioni di categoria

Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 30 maggio 2019, n. 3633.

La massima estrapolata:

Il PUA è non già un accordo di programmazione contrattata tra Comune e associazioni di categoria, ma un piano (monotematico, diverso da quelli urbanistici) autoritativo, discrezionale e unilaterale di governo pure distributivo dell’uso della risorsa demaniale.

Sentenza 30 maggio 2019, n. 3633

Data udienza 26 giugno 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso NRG 2651/2014, proposto dalla Da Be. s.r.l., corrente in (…) (LT), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Al. Za. D’A., con domicilio eletto in Roma, via (…), presso l’avv. Fr. Ca.,
contro
– il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Da. Pi., con domicilio eletto in Roma, via (…), presso l’avv. Gi. Ca. e
– la Regione Lazio, in persona del Presidente pro tempore, non costituita in giudizio,
per la riforma
della sentenza del TAR Lazio – Latina, n. 652/2013, resa tra le parti e inerente al diniego di rilascio di concessione demaniale marittima;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore all’udienza pubblica del 26 giugno 2018 il Cons. Silvestro Maria Russo e udito avv. Za. D’A.;
Ritenuto in fatto che:
– la Da Be. s.r.l., corrente in (omissis) (LT), dichiara di fruire del terreno colà sito, loc. (omissis) e distinto in catasto al fg. n. (omissis), partt. (omissis), sul quale, in forza di autorizzazioni commerciali, esercita sotto l’omonima insegna l’attività turistico-ricreativa di campeggio, bar-tavola calda e parcheggio autoveicoli, nonché per il noleggio di attrezzature da spiaggia;
– la Società rende noto altresì d’aver chiesto al Comune di (omissis) (istanza prot. n. 30004 del 10 luglio 2012) la concessione dell’arenile demaniale marittimo immediatamente antistante al suo terreno, per un’estensione di mq 1.400 e fronte mare di ml 95, da destinare ad attività balneare;
– tuttavia, con nota prot. n. 30291 del 12 luglio 2012, il Comune di (omissis) – Serv. demanio respinse l’istanza di rilascio della concessione, in quanto “la Regione Lazio con Deliberazione della Giunta Regionale n. 1161 del 30.07.2001 ha emanato le linee guida per la gestione del Demanio turistico ricreativo e in particolare per il rilascio di nuove ha stabilito che le stesse non possono essere rilasciate in mancanza (allo stato) del Piano di Utilizzazione degli Ar.”;
– avverso tal statuizione la Società propose innanzi al TAR Latina il ricorso NRG 895/2012, deducendo:
a) la mancata considerazione della sopravvenuta DGR Lazio n. 543 del 18 novembre 2011 (in BUR n. 46/2011) che, abrogando quanto previsto dalla DGR n. 1161/2001, stabilì il potere, tra gli altri, per i Comuni (come quello di (omissis)) già muniti di PUA adottati e trasmessi alla Regione prima della data di pubblicazione della DGR n. 543, di rilasciare nuove concessioni in base al PUA;
b) l’illegittimità in ogni caso della sospensione sine die di tutti i nuovi procedimenti concessori e delle situazioni di fatto preesistenti, in attesa dell’approvazione del PUA ed in assenza di specifiche norme di salvaguardia, posto che ai privati sarebbero stati opponibili i soli PUA approvati c vigenti e non anche quelli che potrebbero esser adottati o approvati, ferma restando la soggezione del rilascio delle concessioni de quibus ad una serie di pareri e ì valutazioni tali da sopperire all’assenza del PUA;
c) il mancato preavviso di rigetto ex art. 10-bis della l. 7 agosto 1990, n. 241;
– il Comune di (omissis), nel costituirsi in giudizio, eccepì l’erronea sua inclusione nell’elenco degli enti con PUA adottato, giacché la delibera del Consiglio comunale n. 99 del 24 novembre 2005 (poi trasmessa alla Regione con la nota prot. 43895 del 4 luglio 2006), di adozione del PUA comunale, era stata annullata in autotutela dalla delibera del Commissario straordinario n. 10/C del 14 marzo 2007, a causa della mancata previa acquisizione dei pareri richiesti dalla DGR n. 1161/2001;
– con l’atto per motivi aggiunti depositati il 21 febbraio 2013, la Società impugnò la delibera n. 10/C, deducendo che il Comune, prima di trasmettere alla Regione Lazio il PUA adottato, aveva già sanato le irregolarità procedimentali (avendo invitato le Associazioni sindacali ad esprimere i propri pareri tecnici negli incontri del 23 maggio e del 20 giugno 2006), sicché la Associazioni così invitate non ritennero d’esprimere alcun parere o d’eccepire alcunché, e comunque tali pareri non erano vincolanti, l’invio della delibera alla Regione aveva esaurito ogni potestà del Comune, in ogni caso la mancanza dell’originario interpello era emendabile dallo stesso Commissario e questi non svolse alcuna adeguata e pertinente istruttoria sull’opportunità di annullare o non il PUA stesso;
e) la mancata congrua valutazione comparativa degli interessi pubblici sottesi all’autotutela;
f) l’ampio lasso temporale (oltre 2 anni) intercorso tra l’adozione del PUA ed il suo annullamento in autotutela, tale da determinare una qualificata aspettativa alla definizione positiva della vicenda;
g) la permanente situazione d’incertezza causata dalla mancanza del PUA.
L’adito TAR, con sentenza n. 652 del 19 luglio 2013, respinge le censure, giacché :
1) rettamente il Comune respinse l’istanza di concessione senza tener conto della DGR n. 543 del 2011, stante il valore meramente ricognitivo della tabella, colà allegata, dei Comuni provvisti di PUA adottato e trasmesso alla Regione;
2) la Regione Lazio, nell’indicare il Comune di (omissis) tra quelli forniti di PUA adottato e trasmesso, incorse in un errore materiale;
3) non ha pregio la temuta paralisi sine die dell’azione amministrativa in materia, poiché l’adozione del PUA è un obbligo giuridico per la Regione ai sensi dell’art. 6, comma 3, del DL 5 ottobre 1993, n. 400 (conv. modif. dalla l. 4 dicembre 1993 n. 494), e la relativa mancanza può esser fatta constare dagli operatori interessati con lo strumento del silenzio-rifiuto;
4) i proposti motivi aggiunti sono tardivi e comunque infondati, stante la legittimità della delibera commissariale n. 10/C/2007 a causa del vizio istruttorio (mancata acquisizione dell’obbligatorio parere delle associazioni locali turistiche dei concessionari demaniali marittimi) in violazione del Capo IV, § 2.b) della DGR n. 1161/2001;
– appellò quindi la Società, col ricorso in epigrafe, deducendo l’erroneità di detta sentenza con riguardo sia alla pretesa natura ricognitiva della DGR 543/2011, sia ai singoli motivi di primo grado non o malamente compresi dal TAR,
– si costituì in giudizio il Comune intimato, concludendo per l’infondatezza dell’appello;
Considerato in diritto che:
– prioritaria s’appalesa la disamina del 4° motivo d’appello, sul capo della sentenza che respinse le censure contro la delibera commissariale n. 10/C/2007, in quanto l’eventuale rigetto di esso implica l’assorbimento d’ogni altra questione sull’esistenza stessa della delibera n. 99/2005 (adozione del PUA comunale) e sui relativi effetti e rapporti con la DGR Lazio n. 543/2011, provvedimenti, tutti questi, agli atti del giudizio di primo grado;
– la delibera commissariale n. 10/C/2007 annullò in autotutela la citata delibera consiliare n. 99, essenzialmente a causa del vizio procedimentale che l’afflisse, perché emanata in difetto del parere preventivo obbligatorio indicato nel Capo IV, § 2.b) della DGR 1161/2001 (“I Comuni dovranno procedere all’adozione del P.U.A., sentito il parere delle Associazioni locali, appartenenti alle organizzazioni sindacali più rappresentative nel settore turistico dei concessionari demaniali marittimi”), parere degli addetti del settore, questo, ritenuto a guisa d’apporto procedimentale imprescindibile, necessariamente previo ed a carattere codecisorio, ai fini del corretto utilizzo della potestà pianificatoria;
– ciò posto, l’appellante afferma d’aver impugnato sì detta delibera commissariale, ma soltanto per tuziorismo -in quanto asserisce di poter sostenere gli altri motivi di gravame da soli (il che, come si rileverà a breve, non può essere condiviso)-, ma in realtà tal impugnazione fu proposta ” per paralizzare le eccezioni sollevate dal Comune nel proprio atto… depositato in prossimità dell’udienza in c.d.c. del 20/12/2012″, ove la P.A. fece riferimento a tal annullamento in autotutela della delibera n. 99/2005;
– in effetti, l’esistenza e gli effetti della delibera commissariale n. 10/C entrarono nel giudizio solo a seguito dell’atto di costituzione del Comune innanzi al TAR, mentre il provvedimento comunale di rigetto dell’istanza di concessione non ne parlò proprio;
– pertanto, è errata l’affermata tardività dei motivi aggiunti, poiché solo al momento del deposito fu resa nota l’esistenza della delibera commissariale e si attualizzò l’interesse alla sua impugnazione;
– nel merito ne è fondata l’impugnazione, in quanto la delibera commissariale, asserendo la finalità codecisoria di esso, ritenne vincolante un parere sì obbligatorio, ma dall’art. 6, comma 3, del DL n. 400 e dallo stesso Capo IV, § 2.b) della DGR 1161/2001 reputato a guisa di mera audizione (“sentito il parere”delle Associazioni regionali o locali di categoria);
– va condivisa la deduzione dell’appellante sulla illegittimità dealla delibera commissariale per la natura vincolante del parere in questione, giacché, in disparte l’assenza d’un dato conclusivo in tal senso nelle fonti che regolarono la potestà comunale d’adozione del PUA, queste ultime lo configurarono piuttosto a guisa di mero apporto procedimentale collaborativo;
– invero, il vocabolo “sentito”, posto dalla fonte primaria, è l’espressione più generica ed attenuata di parere e si può riferire anche ad una consultazione meramente partecipativa, quindi fatta affinché i portatori di interessi collettivi o, come nella specie, di categoria possano rappresentare obiezioni e osservazioni, e nella misura in cui ritengano di farlo (arg. ex Cons. St., III, 28 settembre 2015, n. 4535), come accade per le osservazioni allo strumento urbanistico;
– la mancanza d’un tal parere va trattato come ogni altro mezzo di garanzia partecipativa, essendo posto a tutela di concreti interessi, onde non si deve risolvere in un inutile aggravio procedimentale e vien meno qualora nessuna effettiva influenza avrebbe potuto avere la partecipazione dei soggetti collettivi indicati nel ripetuto art. 6, comma 3 (arg. ex Cons. St., IV, 13 agosto 2018, n. 4918), all’uopo non bastando la mera segnalazione (nota SIB – (omissis) del 24 novembre 2005) di tal mancanza;
– il Collegio condivide l’assunto della interessata, congruente con la copiosa giurisprudenza sulla natura solo strumentale dell’apporto partecipativo (non fine a se stesso, ma veicolo di interessi apprezzabili) e pur quando esso s’inveri nella forma del “parere” (inteso non come vero atto consultivo emanato da organi amministrativi a ciò deputati o di volta in volta designati dalla legge, ma come audizione di interessi collettivi o di categoria), per cui l’attivazione del potere d’autotutela, quando si tratti di vizi partecipativi, deve assumere una funzione conservativa, piuttosto che demolitoria, nel senso, cioè, non di far gravare sul privato la caducazione d’un provvedimento favorevole per un errore della stessa P.A. che agisce in autotutela, ma d’emendare quest’ultimo dal riscontrato errore, onde la rilevazione di un errore istruttorio può sì giustificare l’annullamento in autotutela, ma tal scelta deve in ogni caso costituire l’extremaratio per un’attività amministrativa che intenda esser proporzionata ed ispirata ai canoni comportamentali e funzionali di cui all’art. l della l. 241/1990;
-l’appellante ha correttamene evidenziato come il Comune di (omissis), prima di trasmettere il PUA adottato con la delibera n. 99/2005 alla Regione Lazio, avesse invitato le Associazioni sindacali ad esprimere i propri pareri tecnici negli incontri del 23 maggio e del 20 giugno 2006 e come poi esse non ritennero di esprimere alcun parere o d’eccepire alcunché (dati questi non contestati in appello dal Comune), onde rettamente essa individua in tali eventi l’avvenuta sanatoria delle irregolarità procedimentali della delibera stessa e, soprattutto, l’assenza di pareri non considerati nella fase di adozione di questa o l’incompletezza dell’istruttoria;
– l’acquisizione di tali apporti dei soggetti associativi di categoria serve sì all’ingresso di interessi secondari qualificati, ma sempre che essi poi siano resi e nella misura in cui servano a un’armonica pianificazione per l’ordinata fruizione del demanio marittimo e degli arenili, fermi, però, restando la piena autonomia decisoria del Consiglio comunale, la natura regolativa del PUA, il più ampio e non discriminatorio accesso agli usi collettivo e speciale degli arenili stessi e la possibilità d’acquisire pareri postumi, a “sanatoria” di errori o incertezze procedimentali;
– il richiamo alla mancata audizione delle Associazioni sindacali, rinvenibile nel testo della delibera commissariale n. 10/C, oltre a non trovar un idoneo supporto nella fonte primaria e nella DGR n. 1161/2001 (che vi dedica una riga e mezza), evidenzia la fondatezza delle censure recate dal citato 4° motivo d’appello, laddove si lamentano sia la compressione dell’autonoma volontà pianificatoria del solo Consiglio comunale, sia la possibilità (o la doverosità ) d’emendare i vizi procedimentali applicando così i canoni di ragionevolezza e proporzionalità, sia la conseguente impossibilità di riconoscere a detti vizi il connotato di ragione di preminente interesse pubblico concreto ed attuale per il corretto esercizio dell’autotutela;
– tale richiamo in effetti evidenzia la manifesta erroneità logica, sicché va condivisa la deduzione dell’appellante sulla sostanziale difetto di un’adeguata e pertinente istruttoria, da parte della delibera commissariale, volta a verificare l’opportunità di annullare in autotutela il PUA adottato, la mancata congrua valutazione comparativa tra gli interessi pubblici coinvolti in tal adozione, l’insufficienza del mero ripristino della legalità violata ed il significativo arco di tempo intercorso dall’emanazione della delibera consiliare n. 99/2005;
Considerato altresì che:
– insomma il PUA è non già un accordo di programmazione contrattata tra Comune e associazioni di categoria -cosa, questa, che porterebbe all’irrigidimento delle posizioni dei concessionari in esercizio a discapito della concorrenza -, ma un piano (monotematico, diverso da quelli urbanistici) autoritativo, discrezionale e unilaterale di governo pure distributivo dell’uso della risorsa demaniale;
– non si può dunque attribuire preminente rilievo agli argomenti posti a base sia della delibera commissariale sulla necessità del parere “previo” e della “inemendabilità ” della mancata acquisizione previa di esso, sia della sentenza del TAR sulla necessità, al fine di superare ogni inerzia, dell’attivazione dei rimedi avverso il silenzio della Regione -cui spetta la redazione dell’Accordo di programma e l’approvazione dei PUA comunali adottati-, poiché così si riespande la possibilità di fruire del regime semplificato della DGR n. 593/2011;
– infatti, l’accoglimento, nei sensi fin qui esposti, del gravame contro la delibera commissariale n. 10/C fa così venir meno i presupposti dell’autotutela sulla delibera consiliare n. 99/2005 ed elide, allo stato e salva sempre l’attività di riemanazione, l’esclusione del Comune di (omissis) tra quelli con PUA adottato, restandone ferma l’inserzione nella tabella di cui all’all. A) alla DGR n. 593/2011;
– si supera così il dedotto illegittimo congelamento sine die dell’azione amministrativa in tema di concessioni per l’uso turistico degli arenili, senza dover ricorrere ad azioni puntiformi dei singoli coi rimedi del silenzio-inadempimento (anche perché non sono state previste norme di salvaguardia dall’art. 6 del DL 400/1993, nelle more dell’approvazione dei PUA);
– va rammentata comunque l’efficacia costitutiva sì dell’inserzione del Comune di (omissis) nell’all. A), ma ai soli fini dell’astratto godimento dei benefici posti dalla DGR stessa, nel senso, cioè, che quest’ultima, per il sol fatto di tal inserzione non validò la (o si sovrappose alla) legittimità degli atti con cui i singoli Comuni elencati provvidero all’adozione del PUA e, quindi, i benefici indicati da tal DGR sarebbero stati attribuiti solo a fronte di un provvedimento di adozione di per sé solo valido ed efficace, quand’anche non menzionato in tabella;
– tutto questo, nondimeno, non esime il Collegio dalla disamina delle ragioni del rigetto dell’istanza di concessione demaniale marittima, disposto con riferimento alla sola DGR n. 1161/2001 e senza tener conto dei predetti benefici;
– in particolare, va accolto il 3° motivo d’appello rivolto contro l’omessa pronuncia del TAR sulla censura di primo grado sul mancato preavviso di rigetto ex art. 10-bis della l. 241/1990, valendo anche qui le considerazioni dianzi esposte sulla natura strumentale di tal garanzia procedimentale;
– la differenza in questo caso si sostanzia, tenuto conto che il rigetto dell’istanza di concessione non si è riferito alla delibera commissariale n. 10/C, ma nell’impedimento, che tale mancanza determinò in capo all’appellante, di far constare la DGR n. 593/2011 e, più in generale, di presentare memorie ed osservazioni, il cui mancato accoglimento avrebbe dovuto trovare pertinente motivazione nel provvedimento finale;
– non può rilevare in contrario l’art. 21-octies della l. 241/1990, a cagione dell’articolata complessità della vicenda che non avrebbe potuto avere un esito scontato e che si sarebbedovuta definire con l’interlocuzione con l’appellante;
– in definitiva, l’appello va accolto, sicché va accolto il ricorso di primo grado, salvi gli ulteriori provvedimenti;
– le spese del doppio grado seguono, come di regola, la soccombenza e son liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. VI), definitivamente pronunciando sull’appello (ricorso NRG 2651/2014 in epigrafe), lo accoglie e per l’effetto, in integrale riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado per quanto di ragione, nei sensi di cui in motivazione e con salvezza dell’ulteriore attività di riesame del Comune di (omissis).
Condanna il Comune stesso al pagamento, a favore dell’appellante, delle spese del doppio grado di giudizio, che sono nel complesso liquidate in Euro 6.000,00 (Euro seimila/00), oltre IVA, CPA, CU come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 26 giugno 2018, con l’intervento dei sigg. Magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Silvestro Maria Russo – Consigliere, Estensore
Francesco Mele – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere

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