Il processo amministrativo è un processo di parti

Consiglio di Stato, Sentenza 2 novembre 2020, n. 6711.

Il processo amministrativo è un processo di parti e quindi vige il principio della piena disponibilità dell’interesse al ricorso, nel senso che parte ricorrente, sino al momento in cui la causa viene trattenuta in decisione, ha la piena disponibilità dell’azione e può dichiarare di non avere interesse alla decisione.

Sentenza 2 novembre 2020, n. 6711

Data udienza 27 ottobre 2020

Tag – parola chiave: Processo amministrativo – Processo di parti – Disponibilità dell’interesse al ricorso – Dichiarazione di sopravvenuto difetto di interesse

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2582 del 2020, proposto da
Ma. Ma., Ma. Ma., Ma. An., Ta. Ri. (quest’ultimo, in proprio ed anche quale amministratore unico e legale rappresentante di GE. s.r.l.), tutti anche quali eredi di Ma. Ge., rappresentati e difesi tutti dall’avvocato An. Sc., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Em. Gr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Tr. Ci. ed altri, non costituiti in giudizio;
per la revocazione
della sentenza di questa Sezione, n. 6945 del 14 ottobre 2019, resa sul ricorso in appello (N.R.G.G. 5871/2009) proposto dai sigg.ri Ge. Ma., Ma. Ma., Ma. Ma. e GE. s.r.l. (nonché – a seguito di riassunzione – dai signori Ma. Ma., Ma. Ma., An. Ma. e dalla Sig.ra Ri. Ta., in proprio ed anche quale legale rappresentate della GE. s.r.l.), per la riforma della sentenza del T.A.R. per la Campania, Sezione staccata di Salerno, n. 3765/2008, che ha definito – previa riunione – oltre ai ricorsi NN.R.G. 1475/2004 e 1664/2004, anche quelli NN.R.G. 1374/2004, 1381/2004 e 1494/2004, da altri proposti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 ottobre 2020 il Cons. Roberto Politi; udito per la parte ricorrente l’avvocato L.i Fe. Ba., su delega dell’avvocato An. Sc.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con i ricorsi, proposti dinanzi alla Sezione staccata di Salerno del T.A.R. Campania, NN.R.G.G. 1475/2004 e 1664/2004, GE. s.r.l. ed i signori Ge., Ma. e Ma. Ma. hanno impugnato l’ordinanza del Responsabile del Settore Edilizia ed Urbanistica del Comune di (omissis) n. 31 del 27 febbraio 2004, con cui erano state annullate:
– le concessioni edilizie n. 121/2001 e n. 49/2001 (rilasciate alla società GE. s.r.l.);
– e le concessioni edilizie n. 152/2002, n. 151/2002 e n. 1/2003 (rilasciate rispettivamente a Ma. Ma., Ma. Ma. e Ge. Ma.);
ed era, altresì, stata disposta la confisca, ex art. 30 del D.P.R. 380 del 2001, di tutte le aree interessate dalle predette concessioni, in quanto ritenuta integrata l’ipotesi di lottizzazione abusiva.
Ricostruite le vicende che hanno dato luogo ai contenziosi promossi dinanzi all’anzidetto T.A.R., i ricorrenti rappresentano che l’annullamento delle concessioni edilizie, precedentemente assentite, è intervenuto a seguito dell’accertamento, ad opera della procedente Amministrazione comunale, della presenza di una lottizzazione abusiva dei terreni a scopo edificatorio.
2. Con sentenza n. 3765 del 14 novembre 2008, il T.A.R. Salerno, previa riunione dei ricorsi, ha respinto gli stessi, ritenendo illegittime le suindicate concessioni edilizie e configurabile la contestata lottizzazione edilizia.
Avverso tale pronunzia, veniva dagli interessi proposto appello, definito con sentenza di questa Sezione n. 6945 del 14 ottobre 2019, oggetto del presente ricorso per revocazione.
3. Nell’osservare che quanto affermato nella revocanda sentenza sarebbe conseguenza di un evidente errore di fatto (le aree ove insiste il compendio realizzato dalla sig.ra Ga., originaria titolare, non sarebbero state, infatti, frazionate dalla particella (omissis) ancor prima che alla stessa fosse impressa dallo strumento urbanistico la destinazione agricola), parte ricorrente sostiene che la sottrazione di area all’originaria particella n. (omissis) non sia avvenuta per effetto del frazionamento del 1995 (con la creazione della particella n. (omissis)), ma nel 1968, per effetto del decreto dell’Ing. Capo n. 20853 del 22 ottobre 1968, a seguito di verifica straordinaria eseguita nell’anno 1966.
Ulteriore errore rilevato nella citata sentenza n. 6945/2019, sarebbe rappresentato dall’affermazione, secondo cui la creazione delle particella n. (omissis) non ha sottratto porzioni di terreno all’originaria particella n. (omissis); laddove l’estensione della particella di che trattasi, se prima del frazionamento stesso era pari a mq. 80.240, si è successivamente ridotta a mq. 79.824.
Dalle risultanze catastali esistenti al 1968 (vale a dire, in epoca antecedente a quella in cui è stata impressa la destinazione agricola alla zona), emergerebbe, dunque, l’esistenza di due distinte entità catastali:
– da un lato, la particella n. (omissis), di estensione pari a mq. 79.824;
– dall’altro, le tre particella n. (omissis) (aventi estensione complessiva di mq. 416), tutte iscritte al catasto urbano e, dunque, definite residenziali (al di là della natura o meno pertinenziale di alcuni volumi).
Conseguentemente, lo scorporo delle superfici rispetto all’originaria consistenza della particella n. (omissis) non è intervenuto nel 1995 (come ritenuto nella gravata pronunzia) ma nel 1968: i volumi ivi insediati potendo, per l’effetto, costituire oggetto di intervento di recupero senza dover previamente essere sottoposti al calcolo delle cubature insediabili sull’intera particella n. (omissis).
Per effetto delle considerazioni, come sopra sintetizzate, parte ricorrente assume che l’anzidetta pronunzia di questa Sezione sia inficiata, per effetto dell’affermata presenza del vizio revocatorio di cui all’art. 395, n. 4, c.p.c., in quanto:
– è stato ritenuto che la sottrazione di superfici alla particella n. (omissis) fosse intervenuta solo dopo che era stata inserita in zona agricola (di tal guisa, che anche il compendio residenziale realizzato dalla sig.ra Ga. avrebbe dovuto essere conteggiato); pervenendosi, conseguentemente, alla conclusione che sarebbe stata consentita la realizzazione di un surplus ai fini abitativi, così da determinare la non consentita trasformazione con tale destinazione dell’intera area, che avrebbe dovuto essere destinata a funzione agricola;
– l’errore in punto di fatto circa il mancato accatastamento di altre particelle con sottrazione di superfici alla particella n. (omissis), prima che l’area fosse destinata a zona agricola dallo strumento urbanistico, ha indotto a ritenere l’inesistenza di una enclave a destinazione non agricola e, per tal fatta, ad escludere (contrariamente, peraltro, a quanto già stabilito sul punto dal T.A.R.) per i manufatti ivi insistenti l’operatività delle disposizioni previste per gli interventi sul patrimonio edilizio preesistente, indipendentemente dalla destinazione di zona;
– la collocazione temporale al 1995 della sottrazione di aree alla particella n. (omissis) (vale a dire, in vigenza di piano) e non già nell’anno 1968 (allorché non era stata ancora impressa alla zona la destinazione agricola) ha avuto diretta conseguenza anche ai fini della corretta applicazione dell’art. 18 delle N.T.A., che avrebbe invece portato a ritenere non integrata né integrabile l’ipotesi della lottizzazione abusiva.
Ulteriore profilo di revocabilità della sentenza in rassegna – stavolta, ai sensi dell’art. 395, n. 5, c.p.c. – viene dalla parte individuato con rifermento ai contenuti della sentenza del T.A.R. Salerno oggetto di appello.
Nell’osservare come quest’ultimo, quanto al preesistente compendio realizzato dalla sig.ra Ga. negli anni ’50, abbia ritenuto che lo stesso fosse legittimo, anche se non assistito da titolo abilitativo, giacché – all’epoca della sua realizzazione – non era richiesto il previo rilascio di licenza edilizia e il Comune di (omissis) non era dotato di strumenti urbanistici, rileva parte ricorrente che:
– se la decisione di prime cure ha ritenuto consentiti gli interventi di recupero su detti volumi, senza peraltro dover osservare i più restrittivi indizi di zona, trattandosi di manufatti comunque preesistenti alle disposizioni di piano;
– tali profili della decisione, non investiti di alcuna impugnativa, sono coperti da giudicato e non potevano formare oggetto di valutazione da parte del Consiglio di Stato, né tanto meno di decisione che ne modificasse la statuizione;
assumendo, per l’effetto, che la sentenza, della quale si chiede la revocazione, non abbia tenuto in alcun conto il decisum del Tribunale, stabilendo la illiceità della ritenuta separazione dei volumi tra l’una e l’altra categoria, con superamento degli indici di edificabilità anche per il compendio realizzato negli anni ’50 (in contrasto con l’esistente giudicato che ha stabilito la possibilità di interventi su detti volumi “anche in futuro senza dover osservare i più restrittivi indici di zona”; e con integrazione dell’ipotesi revocatoria prevista dall’art. 395, n. 5, c.p.c.).
4. Nel concludere per l’accoglimento del proposto ricorso per revocazione, la parte insiste ulteriormente per l’espressione di un nuovo giudizio sull’appello (del quale vengono riprodotti tutti gli articolato motivi di doglianza), con conseguente accoglimento, in riforma della sentenza impugnata, dei ricorsi proposti in primo grado.
5. In data 19 agosto 2020, l’Amministrazione appellata si è costituita in giudizio, peraltro con memoria di mero stile.
6. Il ricorso – trattenuto per la decisione alla pubblica udienza del 27 ottobre 2020 – è improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.
Con atto depositato in data 26 ottobre 2020, i ricorrenti hanno rappresentato di non avere più interesse alla prosecuzione di giudizio; per l’effetto, chiedendo la declaratoria:
– di estinzione del ricorso;
– e, “in ogni caso”, di improcedibilità del proposto mezzo di tutela, per sopravvenuto difetto di interesse dei ricorrenti stessi alla decisione.
Ai sensi dell’art. 84 c.p.a., “la parte può rinunciare al ricorso in ogni stato e grado della controversia, mediante dichiarazione sottoscritta da essa stessa o dall’avvocato munito di mandato speciale e depositata presso la segreteria, o mediante dichiarazione resa in udienza e documentata nel relativo verbale.
Il rinunciante deve pagare le spese degli atti di procedura compiuti, salvo che il Collegio, avuto riguardo a ogni circostanza, ritenga di compensarle.
La rinuncia deve essere notificata alle altre parti almeno dieci giorni prima dell’udienza. Se le parti che hanno interesse alla prosecuzione non si oppongono, il processo si estingue.
Anche in assenza delle formalità di cui ai commi precedenti il giudice può desumere dall’intervento di fatti o atti univoci dopo la proposizione del ricorso ed altresì dal comportamento delle parti argomenti di prova della sopravvenuta carenza d’interesse alla decisione della causa”.
Per costante giurisprudenza, il processo amministrativo è un processo di parti e quindi vige il principio della piena disponibilità dell’interesse al ricorso, nel senso che parte ricorrente, sino al momento in cui la causa viene trattenuta in decisione, ha la piena disponibilità dell’azione e può dichiarare di non avere interesse alla decisione (ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 12 settembre 2016, n. 3848; Cons. Stato, Sez. VI, 25 febbraio 2019, nn. 1271 e 1275).
7. Ancorché il suindicato atto di rinuncia al ricorso non sia stato ritualmente notificato alle altre parti (conseguentemente non potendo dispiegare gli effetti propri della rinuncia formale, consistenti, sul piano processuale, nella declaratoria di estinzione del giudizio ai sensi dell’art. 35, comma 2, lett. c) c.p.a.), tuttavia è ad esso ricongiungibile attitudine pienamente dimostrativa in ordine alla sopravvenuta carenza di interesse alla decisione della controversia, ai sensi dell’art. 84, comma 4, c.p.a. (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 8 giugno 2012, n. 3390).
In considerazione della natura della controversia, sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo dichiara improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 ottobre 2020, con l’intervento dei magistrati:
Giulio Castriota Scanderbeg – Presidente
Francesco Frigida – Consigliere
Cecilia Altavista – Consigliere
Francesco Guarracino – Consigliere
Roberto Politi – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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