Il procedimento disciplinare

Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 11 dicembre 2019, n. 8413

La massima estrapolata:

Il procedimento disciplinare si estingue quando siano decorsi novanta giorni dall’ultimo atto senza che nessun ulteriore atto sia stato compiuto, nel senso che il termine estintivo si interrompe ogniqualvolta, prima della sua scadenza, sia adottato un atto proprio del procedimento, anche se di carattere interno, dal quale possa desumersi la volontà dell’amministrazione di portare a conclusione il procedimento.

Sentenza 11 dicembre 2019, n. 8413

Data udienza 13 giugno 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2808 del 2009, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Fr. Ma. Ba., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato An. De An. in Roma, via (…);
contro
Comune di Cagliari, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ge. Fa., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Vi. Ca. in Roma, via (…);
Commissione di Disciplina del Comune di Cagliari, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna Sezione Seconda n. 0-OMISSIS-/2008, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Cagliari;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 giugno 2019 il Cons. Stefano Fantini e uditi per le parti l’avvocato Ca. su delega di Fa. Ge.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.- Il sig. -OMISSIS- ha interposto appello nei confronti della sentenza 31 gennaio 2008, n. 75 del Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna, sez. II, che ha respinto il suo ricorso avverso la deliberazione della Giunta del Comune di Cagliari n. 148 in data 31 gennaio 1995, con la quale è stata disposta la sanzione disciplinare della destituzione dal servizio.
L’appellante, già dipendente dell’Ente comunale di assistenza fin dall’1 dicembre 1962, è poi transitato alle dipendenze del Comune di Cagliari con la qualifica di ragioniere-capoufficio (VII qualifica funzionale).
2. – Con il ricorso in primo grado e successivi motivi aggiunti il sig. -OMISSIS-ha impugnato il provvedimento di destituzione e gli atti presupposti, nonché la successiva rettifica della decorrenza (sin dal momento della sospensione cautelare, e cioè dal 25 settembre 1993), deducendo vizi formali del procedimento disciplinare, l’incompetenza, nonché il vizio motivazionale, lamentando in particolare la trasposizione della disciplina statale in materia, di cui al d.P.R. n. 3 del 1957, agli enti locali in forza del rinvio contenuto nell’art. 51, comma 9, dell’allora legge n. 142 del 1990, in assenza di statuto e regolamento organico.
3. – La sentenza appellata ha respinto tutti i motivi di ricorso.
4.- Con il ricorso in appello il sig. -OMISSIS-ha reiterato, alla stregua di motivi di critica della sentenza, le censure di primo grado, attinenti in particolare ai vizi del procedimento disciplinare, all’incompetenza della Giunta comunale ad adottare il provvedimento destitutorio, al mancato rispetto dei termini del procedimento, nonché all’illegittima composizione della Commissione.
5. – Si è costituito in resistenza il Comune di Cagliari chiedendo la reiezione ricorso.
6. – All’udienza pubblica del 13 giugno 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.- Con il primo motivo il sig. -OMISSIS-lamenta la mancata approvazione, da parte del Comune di Cagliari, dello statuto e del regolamento organico al fine di applicare le norme statali di cui al d.P.R. n. 3 del 1957 relative al procedimento disciplinare con riguardo al personale degli enti locali (ed ai dipendenti comunali in particolare), nell’assunto dell’inadeguatezza a tale fine della disposizione di cui all’art. 51, comma 9, della legge n. 142 del 1990.
Il motivo, nella sua assolutezza, è infondato.
La sentenza di prime cure ha infatti condivisibilmente precisato che il procedimento disciplinare in esame risulta disciplinato dalle norme previste dal t.u. degli impiegati civili dello Stato, di cui al d.P.R. n. 3 del 1957, in forza del disposto dell’art. 51, comma 9, della legge n. 142 del 1990, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, alla cui stregua “la responsabilità, le sanzioni disciplinari, il relativo procedimento, la destituzione d’ufficio e la riammissione in servizio sono regolati secondo le norme previste per gli impiegati civili dello Stato”. Ciò comporta che la disciplina statale è applicabile ai dipendenti comunali, senza che debba essere oggetto di norme statutarie o regolamentari dell’ente locale che la recepiscano (sostanzialmente in termini Cons. Stato, V, 6 maggio 1999, n. 515). Ha precisato la giurisprudenza che la predetta disposizione dell’art. 51, comma 9, nell’estendere le norme che regolano le sanzioni disciplinari ed il relativo procedimento di cui al d.P.R. n. 3 del 1957 ai dipendenti degli enti locali, esprime un rinvio dinamico a quest’ultimo testo normativo, determinando così l’abrogazione di tutte le disposizioni eventualmente contenute nei regolamenti degli enti locali, che hanno dunque perduto il potere normativo al riguardo (Cons. Stato, V, 24 novembre 1997, n. 1361).
Ciò dicasi anche con riferimento a quanto dedotto dall’appellante al motivo sub IX, 6, di cui si anticipa, per comodità espositiva, la trattazione, con il quale si lamenta la violazione dell’art. 51, comma 10, della legge n. 142 del 1990, nella considerazione che la nomina della Commissione di disciplina, con particolare riguardo al componente dipendente designato all’inizio di ogni anno dal personale dell’ente, richiede che siano seguite le modalità stabilite dal regolamento.
Ed invero, per coerenza tra le due disposizioni (commi 9 e 10) dell’art. 51 della legge n. 142 del 1990, deve ritenersi che anche il comma 10 sia di immediata applicazione, senza la necessità della previa intermediazione della fonte statutaria o regolamentare, come condivisibilmente affermato dalla sentenza impugnata.
Tale assetto normativo, secondo quanto disposto dall’art. 74, comma 3, del d.lgs. n. 29 del 1993, si è protratto sino alla stipulazione del primo contratto collettivo dei dipendenti degli enti locali, risalente al 6 luglio 1995, che ha disciplinato la materia.
2. – Il secondo motivo deduce poi l’incompetenza della Giunta comunale ad adottare il provvedimento di destituzione, come pure degli altri organi intervenuti nelle varie fasi che scandiscono il procedimento disciplinare. Assume in particolare l’appellante che l’art. 114, comma 5, del t.u. imp. civ. Stato attribuisce al Ministro la competenza per i provvedimento disciplinari superiori alla censura, con la conseguenza che, per analogia di assetto organizzativo, la medesima dovrebbe spettare al Sindaco nell’ambito comunale, in quanto capo dell’amministrazione; di qui l’illegittimità del provvedimento gravato, in quanto adottato dalla Giunta comunale.
Il motivo, seppure complesso, è infondato.
Occorre infatti considerare che non è consentito seguire un ragionamento analogico od addirittura di parallelismo di assetto organizzativo per individuare l’organo comunale competente ad adottare il provvedimento disciplinare della destituzione. Ciò anzitutto nella considerazione che la legge sull’ordinamento degli enti locali enuclea le specifiche competenze dei vari organi; il riferimento è anzitutto agli artt. 35 e 36 della legge n. 142 del 1990 (poi trasfusi negli artt. 48 e 50 del d.lgs. n. 267 del 2000).
Da tale quadro normativo si evince che il Sindaco, ai sensi dell’art. 36 della legge n. 142, esercita le funzioni attribuitegli dalle leggi, dallo statuto e dai regolamenti e sovrintende all’espletamento delle funzioni statali e regionali attribuite o delegate al Comune. Tra queste non è indicata la competenza ad adottare le sanzioni disciplinari più gravi della censura, come avviene invece per il Ministro ai sensi del combinato disposto degli artt. 107 e 114 del d.P.R. n. 3 del 1957.
Conseguentemente appare più corretto enucleare tale potere in capo alla Giunta comunale, la quale ha una competenza residuale ai sensi dell’art. 35 della stessa legge n. 142 del 1990 (in termini Cons. Stato, V, 30 agosto 2004, n. 5633, nonché V, 17 ottobre 1995, n. 1444), cui spettava, secondo quanto evidenziato dal primo giudice, “provvedere all’ordinaria amministrazione, nel regime anteriore all’entrata in vigore della separazione di competenza fra organi burocratici ed elettivi previsti dal D.Lgs. n. 165/2001”.
3. – Il terzo motivo deduce la violazione dell’art. 111, comma 2, del t.u. imp. civ. Stato per essere stato precluso al sig. -OMISSIS-un accesso pieno agli atti del procedimento disciplinare, negato, in particolare, con nota del 30 giugno 1994, per i verbali della Commissione di disciplina, ritenuti atti riservati, ed, ancora prima, per non essere stato reso edotto del proprio diritto a chiedere copia della documentazione in questione.
Il motivo è infondato.
Risulta infatti dalla documentazione in atti quanto meno che con nota riservata in data 15 novembre 1993 il rag. -OMISSIS-è stato convocato per la seduta del successivo 10 dicembre ai fini della trattazione del procedimento disciplinare, con la avvertenza che “la S.V. ha facoltà di intervenire a tale riunione per svolgere oralmente le proprie difese e di fare pervenire alla Commissione, almeno cinque giorni prima della seduta, eventuali scritti o memorie difensive, ai sensi dell’art. 111 del D.P.R. n. 3/1957”.
La nota ha dunque reso edotto l’appellante della facoltà di svolgere le proprie difese, mediante espresso richiamo dell’art. 111 del d.P.R. n. 3 del 1957 che consente di prendere visione degli atti del procedimento, escludendo dunque che vi sia stato il vulnus al diritto di difesa lamentato.
Con il motivo sub IX, n. 5, di cui per connessione si anticipa la trattazione, viene poi dedotta la violazione dell’art. 105 del d.P.R. n. 3 del 1957 per non essere stato garantito il termine a difesa di venti giorni tra la contestazione dell’addebito (avvenuta con nota del 21 settembre 1993) e le giustificazioni, essendo il deferimento alla Commissione disciplinare intervenuto l’11 ottobre.
Il motivo è infondato.
La contestazione dell’addebito è avvenuta con la nota prot. n. 3472 del 7 settembre 1993, il che evidenzia l’ossequio prestato al termine inderogabile.
Anche a voler considerare la successiva nota del 21 settembre, peraltro, giova rilevare che detto termine, posto a garanzia dell’inquisito, è stato rispettato, in quanto la trattazione è stata rinviata al 10 dicembre 1993 e poi ulteriormente.
Quanto alla mancata ostensione dei verbali della Commissione di disciplina, è sufficiente rilevare come lo stesso appellante abbia dato atto nei motivi aggiunti, reiterati alla pagina 27 dell’atto di appello, che sia intervenuto il rilascio degli stessi, e dunque ne sia stato consentito l’accesso.
4. – Il quarto motivo critica la sentenza che ha ritenuto legittima la contestazione degli addebiti da parte del dirigente dell’Assessorato ai Servizi Sociali (dirigente del Settore di appartenenza del ricorrente), anziché dall’Ufficio del personale (e, per esso, dal Segretario Generale), in quanto violerebbe gli artt. 103, 105 e 107 del d.P.R. n. 3 del 1957.
Ritiene il Collegio che anche tale motivo possa essere disatteso.
Anche ad ammettere che vi sia stata un’incompetenza dell’organo che ha introdotto il procedimento disciplinare, si tratterebbe di un mero formalismo, atteso che le regole che presiedono al procedimento disciplinare sono preordinate ad offrire, sul piano sostanziale, all’incolpato le più ampie garanzie in ordine alla possibilità di difesa, dovendo egli, essenzialmente, essere posto in condizione di conoscere gli addebiti posti a suo carico (così Cons. Stato, V, 27 marzo 2013, n. 1827). La circostanza che la contestazione degli addebiti sia stata effettuata dal dirigente del Settore di appartenenza, anziché dal Capo del personale, non viola tale obiettivo, potendosi ritenere che il dirigente dell’Assessorato ai Servizi Sociali abbia, se del caso, avuto maggiore possibilità di verificare la sussistenza dei presupposti per l’instaurazione dello stesso procedimento. D’altro canto, l’appellante non ha dedotto profili di incompatibilità o di diversa natura idonei a viziare sostanzialmente la fase dell’iniziativa del procedimento disciplinare.
5. – Il quinto motivo di appello, incentrato sull’illegittima composizione della Commissione (per la presenza di un funzionario di settima qualifica funzionale, pari a quella dell’appellante) è stato rinunciato con la memoria difensiva del 13 maggio 2019, in ragione della sopravvenuta sentenza del Consiglio di Stato n. 1770 del 2013, che ha escluso l’inquadramento del sig. -OMISSIS-in ottava qualifica.
6. – Con il sesto mezzo, reiterato poi al punto IX, sub B) (censure dedotte nei primi motivi aggiunti), si critica poi la sentenza per non avere accolto il motivo deducente l’intervenuta estinzione del procedimento disciplinare per il decorso di novanta giorni dall’ultimo atto senza che nessun altro atto sia stato compiuto, in forza di quanto disposto dall’art. 120 del d.P.R. n. 5 del 1957. Allega, in particolare, il ricorrente come dalla seconda udienza in data 8 febbraio 1994 alla terza in data 25 maggio 1994 (nella quale è stata decisa la sospensione del procedimento) siano decorsi più di novanta giorni senza il compimento di alcun atto della procedura, in attesa di conoscere se, in conseguenza della notitia criminis, fosse stata esercitata l’azione penale.
Il motivo è infondato.
Nella seduta dell’8 febbraio 1994 la Commissione ha richiesto informazioni alla Procura della Repubblica per avere contezza circa l’esercizio dell’azione penale; la risposta è intervenuta con nota del 7 maggio 1994 che ha legittimato la sospensione de procedimento nella seduta del 25 maggio.
La giurisprudenza intende l’art. 120, il quale dispone che “il procedimento disciplinare si estingue quando siano decorsi novanta giorni dall’ultimo atto senza che nessun ulteriore atto sia stato compiuto”, nel senso che il termine estintivo si interrompe ogniqualvolta, prima della sua scadenza, sia adottato un atto proprio del procedimento, anche se di carattere interno, dal quale possa desumersi la volontà dell’amministrazione di portare a conclusione il procedimento (così Cons. Stato, V, 27 marzo 2017, n. 1368). L’informativa rivolta alla Procura della Repubblica ha tale valenza, in quanto finalizzata ad acquisire elementi di valutazione, con la conseguenza che deve escludersi che sia maturata l’estinzione del procedimento per inattività, la quale, nel sistema della legge, è volta a sanzionare la completa inattività dell’amministrazione, ma non esige che il procedimento si concluda entro novanta giorni dal suo inizio.
7. – Il settimo motivo, erroneamente rubricato come ottavo (refuso rappresentato dallo stesso appellante nella memoria difensiva del 13 maggio 2019), reitera l’illegittimità della rettifica, di cui alla delibera di Giunta n. 3113 in data 14 novembre 1995, disponente l’anticipazione della decorrenza del provvedimento di destituzione (dal 31 gennaio 1995 al 25 settembre 1993, giorno della sospensione cautelare), nella sola prospettiva dell’illegittimità derivata dagli atti presupposti.
Si tratta di motivo infondato, proprio nella considerazione del mancato accertamento di uno stato viziato degli atti presupposti, ed in particolare dell’originario provvedimento di destituzione, sì da escludersi la possibilità stessa di operatività dell’illegittimità derivata, che si basa sul nesso di presupposizione/derivazione tra gli atti.
8. – Con l’ottavo, rubricato come nono, pluriarticolato, motivo e con la censura reiterativa dei secondi motivi aggiunti, l’appellante deduce anzitutto la violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, nell’assunto che il provvedimento di destituzione sia carente di una valutazione autonoma dei fatti posti a fondamento della decisione e si basi unicamente sulla decisione della Commissione di disciplina, recependola, peraltro senza renderla disponibile, e senza contenere l’indicazione del termine e dell’autorità cui proporre ricorso; al contempo lamenta come il provvedimento di destituzione, adottato il 31 gennaio 1995, sia stato comunicato in data 11 febbraio, in violazione dell’art. 114, ultimo comma, del d.P.R. n. 3 del 1957.
Anche tale motivo è infondato, in quanto è consentita la motivazione del provvedimento sanzionatorio per relationem ad un atto interno (in termini Cons. Stato, IV, e 3febbraio 2006, n. 477; 3 gennaio 2005, n. 251).
Quanto alla mancata indicazione dell’autorità e del termine cui proporre ricorso, si tratta di una omissione che giustificherebbe solo la tardiva proposizione del ricorso, e dunque la rimessione in termini.
Con riferimento, poi, alla tardiva comunicazione della sanzione, osserva il Collegio che la previsione di cui all’art. 114, ultimo comma, del d.P.R. n. 3 del 1957 ha natura sollecitatoria, dovendosi escludere comminatorie di decadenza, in mancanza di espressa previsione normativa, e conseguenze invalidanti dell’intero procedimento (Cons. Stato, IV, 14 luglio 2003, n. 4155).
9. – In conclusione, alla stregua di quanto esposto, l’appello va respinto, in ragione dell’infondatezza dei motivi dedotti.
La complessità della vicenda procedimentale oggetto di controversia integra peraltro le ragioni che per legge consentono la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa tra le parti le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare parte appellante.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 giugno 2019 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini – Presidente
Angela Rotondano – Consigliere
Stefano Fantini – Consigliere, Estensore
Giovanni Grasso – Consigliere
Giuseppina Luciana Barreca – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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