Consiglio di Stato, Sentenza|12 aprile 2021| n. 2991.
Il principio di autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti, previsto dalla direttiva 2006/12/CE del Parlamento e del Consiglio del 5 aprile 2006, che lo prevede al “considerando” n.8, per cui “Occorre che la Comunità stessa nel suo insieme sia in grado di raggiungere l’autosufficienza nello smaltimento dei suoi rifiuti ed è auspicabile che ciascuno Stato membro singolarmente tenda a questo obiettivo”, è riferito agli Stati membri, e non agli enti locali minori nei quali essi eventualmente si articolino. Non dispongono in modo diverso neppure le norme nazionali, che riferiscono il principio di autosufficienza ai Comuni, ma limitatamente ai rifiuti urbani, e non ai rifiuti liquidi industriali. In questo senso è il d. lgs. 3 aprile 2006 n.152 all’art. 182 bis comma 1 lettera a), per cui “Lo smaltimento dei rifiuti ed il recupero dei rifiuti urbani non differenziati sono attuati … al fine di: a) realizzare l’autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi e dei rifiuti del loro trattamento in ambiti territoriali ottimali…” Nello stesso senso anche l’art. 182 comma 3, per cui “È vietato smaltire i rifiuti urbani non pericolosi in regioni diverse da quelle dove gli stessi sono prodotti…”. Come ha infatti chiarito la Corte costituzionale, (per tutte, sent. 23 gennaio 2009 n.10), la tipologia e le quantità da smaltire dei rifiuti di tipo diverso non si possono preventivare in modo attendibile, ed è quindi impossibile individuare per essi un ambito territoriale ottimale al quale riferire l’autosufficienza nel relativo smaltimento.
Sentenza|12 aprile 2021| n. 2991
Data udienza 9 marzo 2021
Integrale
Tag – parola chiave: Ambiente – Trattamento e gestione dei rifiuti – AIA – VIA – Autorità competente – Individuazione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4626 del 2014, proposto dalla società So. It. S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ca. Ca., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Fr. Ca. in Roma, viale (…);
contro
la Provincia di Potenza, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Em. Lu., con domicilio eletto presso la Segreteria della Sezione in Roma, piazza (…);
nei confronti
della Regione Basilicata, non costituita in giudizio;
sul ricorso numero di registro generale 4627 del 2014, proposto dalla società So. It. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentaa e difeso dall’avvocato Ca. Ca., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Fr. Ca. in Roma, viale (…);
contro
la Regione Basilicata, non costituita in giudizio;
nei confronti
della Provincia di Potenza, del Comune di (omissis), del Consorzio per lo sviluppo industriale della provincia di Potenza, dell’Azienda sanitaria locale di Potenza e dell’Agenzia regionale protezione ambiente – ARPA Basilicata, non costituiti in giudizio;
quanto al ricorso n. 4626 del 2014:
per l’annullamento ovvero la riforma
della sentenza del TAR Basilicata, sez. I 21 novembre 2013 n. 727, che ha respinto il ricorso n. 19/2008 R.G., proposto per l’annullamento:
della deliberazione 2 ottobre 2007 n. 69, pubblicata all’albo pretorio dal giorno 8 ottobre 2007, con la quale la Giunta provinciale di Potenza ha integrato il Piano provinciale di gestione dei rifiuti, nella parte in cui non ha preso in considerazione il progetto presentato il giorno 1 agosto 2005 dalla So. S.p.a. per l’adeguamento dell’impianto di trattamento sito a (omissis), all’interno dell’Officina grandi riparazioni di Tr. S.p.a. e non ha previsto la realizzazione di impianti di trattamento rifiuti liquidi pericolosi;
quanto al ricorso n. 4627 del 2014:
per l’annullamento ovvero la riforma
della sentenza del TAR Basilicata, sez. I 21 novembre 2013 n. 728, che ha respinto il ricorso n. 492/2009 R.G., proposto per l’annullamento:
della deliberazione 14 luglio 2009 n. 1303, comunicata con nota 5 agosto 2009 prot. n. 150603, con la quale la Giunta regionale della Basilicata ha respinto la domanda presentata il giorno 1 agosto 2005 dalla So. S.p.a. per il rilascio di autorizzazione integrata ambientale – AIA per l’adeguamento e l’esercizio dell’impianto di trattamento sito a (omissis), all’interno dell’Officina grandi riparazioni di Tr. S.p.a.;
e per la condanna
dell’amministrazione intimata al risarcimento del danno;
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Provincia di Potenza
Visti tutti gli atti delle cause;
Relatore nell’udienza smaltimento del giorno 9 marzo 2021 il Cons. Francesco Gambato Spisani e Preso atto del deposito delle note d’udienza formulate ai sensi dell’art. 25 d.l. 137/2020, convertito in legge 176/2020, e dell’art. 4 d.l. 28/2020, da parte dell’avvocato Ca.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La ricorrente appellante è un’impresa attiva nel settore del trattamento e smaltimento dei rifiuti, e gestisce un impianto, già in funzione da epoca precedente ai fatti di causa, che si trova nella zona industriale di (omissis) e provvede alla depurazione ed al trattamento delle acque reflue -costituenti rifiuti liquidi non pericolosi- provenienti dalla Officina Grandi Riparazioni di Tr. S.p.a., che si trova appunto a (omissis).
2. Poiché all’epoca dei fatti l’impianto trattava circa 18.000 mc di rifiuti liquidi, quelli provenienti dall’Officina Grandi Riparazioni per un volume medio giornaliero di circa 60 mc, ma disponeva di potenzialità per trattare ulteriori 2.280 mc di rifiuti al giorno, pari a 846.000 mc all’anno, l’impresa ha presentato alla Regione l’istanza 1 agosto 2005, per ottenere il giudizio di compatibilità ambientale e la successiva autorizzazione integrata ambientale – AIA per un progetto di adeguamento dell’impianto stesso, inteso ad utilizzarne la capacità residua per trattare rifiuti liquidi, anche pericolosi, provenienti anche da altre Regioni e quindi “non condottati”, ovvero non riducibili al recupero delle acque reflue direttamente convogliate dall’officina.
3. L’istanza, come si precisa per chiarezza, era presentata ai sensi della normativa allora applicabile, ovvero per la compatibilità ambientale ai sensi della l.r. Basilicata 14 dicembre 1997 n. 47 e per l’AIA ai sensi del d.lgs. 18 febbraio 2005 n. 59. Sempre per chiarezza, si ricorda che la l.r. 47/1997 è tuttora vigente, ma va riferita alle analoghe norme nazionali in tema di impatto ambientale contenute nel d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152; il d.lgs. 59/2005 è rimasto in vigore sino a quando le norme in esso contenute sono state trasfuse nel medesimo d lgs. 152/2006 per effetto del d.lgs. 29 giugno 2018 n. 128.
4. Sull’istanza 1 agosto 2005, l’impresa ha conseguito il giudizio favorevole di compatibilità ambientale ai sensi dell’art. 6 della l.r. 14/1998, con deliberazione 15 maggio 2006 n. 732 della Giunta regionale, valida per tre anni dalla data di adozione; ha poi ottenuto, per il rilascio dell’AIA, la convocazione per il giorno 1 febbraio 2007 della conferenza di servizi prevista dall’art. 5 comma 1 d.lgs. 59/2005 (fatti storici pacifici in causa; si veda la sentenza impugnata n. 727/2013; per le caratteristiche tecniche dell’impianto, si veda anche il doc. 10 in I grado nel ricorso 4627/2014, relazione tecnica).
5. Peraltro, con la deliberazione della Giunta 2 ottobre 2007 n. 69 (doc. 1 in I grado ricorrente appellante in ricorso n. 4626/2014), la Provincia di Potenza ha approvato un’integrazione al Piano provinciale di gestione rifiuti già esistente, nel senso di non prevedere la realizzazione di alcun nuovo impianto per trattare rifiuti liquidi pericolosi, e di prevedere soltanto, per i soli rifiuti liquidi non pericolosi, l’esercizio con possibilità di ampliamento degli impianti esistenti, tra cui quello di (omissis) della ricorrente appellante, e la realizzazione di nuovi impianti nei comuni di Balvano e di Senise, evidentemente estranei ai fatti di causa. Le modificazioni al Piano rifiuti di cui a questa delibera 69/2007 sono entrate in vigore il 17 marzo 2008, giorno della pubblicazione sul Bollettino ufficiale regionale della delibera della Giunta regionale 4 marzo 2008 n. 308, che ne ha attestato la coerenza con il Piano regionale (v. sempre sentenza impugnata n. 727/2013, i fatti storici sono incontestati).
6. L’impresa ha impugnato questa delibera provinciale di adeguamento del Piano 69/2007, che evidentemente le precludeva l’ampliamento programmato del proprio impianto, con il ricorso di I grado 19/2008 TAR Basilicata.
7. Successivamente, con deliberazione di Giunta 14 luglio 2009 n. 1303, la Regione ha respinto la domanda di rilascio dell’AIA per l’adeguamento dell’impianto di (omissis) per cui è causa.
7.1 In motivazione, ha richiamato la modifica al Piano provinciale rifiuti di cui si è detto, che non consente più di approvare il progetto; ha poi dato atto che il progetto stesso doveva considerarsi variante sostanziale all’impianto esistente, ai sensi dell’allora vigente l.r. 2 febbraio 2001 n. 6 e che nella specie non si poteva nemmeno applicare l’art. 10 comma 2 del d.lgs. 152/2006.
7.2 Quest’ultima norma, introdotta con l’art. 1 comma 3 del d.lgs. 29 giugno 2008 n. 4 ed ora abrogata per effetto dell’art. 26 comma 1 lettera a) d.lgs. 16 giugno 2017 n. 104 prevedeva, per quanto qui interessa, che “l’autorità competente in materia di VIA coincide con quella competente al rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale, le disposizioni regionali e delle province autonome possono prevedere che il provvedimento di valutazione d’impatto ambientale faccia luogo anche di quella autorizzazione”.
7.3 La Regione nel caso di specie la ha considerata non applicabile, osservando che il giudizio di compatibilità ambientale, formulato con la citata delibera 15 maggio 2006, era anteriore all’introduzione della norma, e non poteva quindi considerarsi ad essa conforme (per tutto ciò, doc. 1 in I grado ricorrente appellante in ricorso 4627/2014, diniego impugnato).
8. L’impresa ha impugnato questo provvedimento di diniego con il ricorso di I grado 492/2009 TAR Basilicata.
9. Con le distinte sentenze 727 e 728/2013 di cui in epigrafe, il TAR ha respinto i ricorsi in questione, con le motivazioni che ora si riassumono.
10. Con la sentenza 727/2014, il TAR ha respinto il ricorso contro la modifica del Piano provinciale rifiuti.
10.1 In proposito, ha respinto anzitutto il primo motivo di ricorso, con il quale era stato dedotto un presunto difetto di istruttoria; ha osservato sul punto che l’istanza della ricorrente era fra quelle indicate come già pervenute nel Piano come modificato dalla delibera impugnata, a p. 33 della sezione rifiuti speciali, e quindi non si poteva sostenere che essa non fosse stata tenuta presente.
10.2 Ha poi respinto il secondo motivo di ricorso, con il quale era stata dedotta la violazione degli artt. 41, 117 comma 2 lettera s) e 120 della Costituzione, dell’art. 5 della direttiva europea 12/2006 e dei principi fondamentali del d.lgs. 152/2006. In generale, il TAR ha premesso che alla p. 254 del Piano provinciale rifiuti già approvato prima delle modifiche, era previsto un criterio di equità sociale nella localizzazione degli impianti di smaltimento, nel senso di evitare di concentrarli tutti in una data area o in un dato Comune, che si sarebbero così trovati svantaggiati. In questi termini, ha ritenuto giustificata la scelta della delibera di aggiornamento, nel senso di non prevedere ulteriori impianti di trattamento di rifiuti liquidi pericolosi osservando che l’unica istanza in proposito era quella della ricorrente, e che nel sito previsto di (omissis) erano già attivi altri impianti di smaltimento, ovvero un impianto di trattamento dei reflui di tutta la zona industriale e un termovalorizzatore.
10.3 Il TAR ha quindi escluso il contrasto con l’art. 41 Cost, ritenendo la scelta conforme ad utilità sociale, ed anche il contrasto con gli artt. 117 e 120 Cost ritenendo possibile che in una singola provincia non possano essere realizzati impianti di una data tipologia, dato che i rifiuti relativi, nella specie i rifiuti liquidi pericolosi, possono essere smaltiti altrove nella Regione. Ha poi escluso il contrasto con la direttiva europea, secondo la quale l’obbligo di autosufficienza per determinati tipi di rifiuti si riferisce allo Stato membro, non agli enti locali. Ha escluso infine il contrasto con i principi del d.lgs. 152/2006, osservando che per gli enti locali minori il principio di autosufficienza nello smaltimento vale solo per i rifiuti urbani non pericolosi; per i rifiuti di tipo diverso, il principio invece non vale, e il correlato principio di prossimità dell’impianto di smaltimento va secondo logica applicato all’impianto più vicino anche esterno alla provincia considerata.
11. Con la sentenza 728/2013, il TAR ha respinto il ricorso contro il diniego di AIA.
11.1 In proposito, ha respinto il primo ed il secondo motivo di ricorso, che deducevano la mancata riconvocazione della conferenza di servizi e il mancato invio del preavviso di diniego di cui all’art. 10 bis l. 7 agosto 1990 n. 241, osservando che in entrambi i casi il risultato finale non sarebbe potuto essere diverso, perché l’impianto per cui era chiesta l’AIA non era più consentito dal Piano provinciale.
11.2 Ha poi respinto il terzo motivo di ricorso, centrato sulla mancata previsione di un impianto del tipo di quello in esame nel Piano provinciale, osservando che si trattava di motivo se mai pertinente all’impugnazione dell’adeguamento del Piano stesso, di cui sopra.
11.3 Ha ancora respinto il quarto motivo di impugnazione, negando che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, il nuovo Piano avesse preso in considerazione l’istanza nel senso di vincolare in qualche modo ad approvarla.
11.4 Ha respinto i motivi quinto e sesto di impugnazione, esaminati congiuntamente, nei quali era dedotta la violazione dell’art. 10 comma 2 del d. lgs. 59/2005, secondo cui, come si è detto, la positiva valutazione di compatibilità dell’impianto può valere anche come rilascio di AIA. Sul punto ha osservato in primo luogo che la valutazione di compatibilità rilasciata valeva per tre anni, ovvero fino al 15 maggio 2009, e quindi, a tutto concedere, sarebbe stata ormai scaduta alla data del diniego di AIA. Inoltre ha evidenziato che la norma prevede una facoltà per la Regione di disporre in tal senso, facoltà nella specie comunque non esercitata. Infine ha notato, sulla base degli atti del procedimento, in particolare dal verbale di seduta del Comitato tecnico 3 aprile 2006, che nel caso concreto si era dato atto della necessità di ottenere l’AIA.
11.5 Il TAR ha ancora respinto il settimo motivo, con il quale l’impresa aveva dedotto la violazione della norma transitoria di cui all’art. 42 della citata l.r. 6/2001, la quale, in attesa di approvazione dei piani rifiuti provinciali, faceva salvi i procedimenti in corso relativi “agli impianti di trattamento e smaltimento di rifiuti inerti ed agli impianti di recupero di rifiuti, ivi compresi quelli pericolosi”, per i quali si sarebbe dovuto provvedere rilasciando, se del caso, un’autorizzazione provvisoria. Il TAR ha infatti evidenziato che l’impianto in questione non ricade in quelli citati, e che comunque l’autorizzazione provvisoria, ai sensi del comma 3 dello stesso articolo, era valida fino all’approvazione del piano medesimo.
11.6 Infine, il TAR ha respinto l’ottavo motivo, di violazione della direttiva europea rifiuti 62/1996, comunque già abrogata all’epoca dei fatti, osservando che la stessa fa comunque salvi i requisiti previsti dalle varie normative nazionali per il rilascio delle autorizzazioni. Ha quindi ritenuto insussistenti i presupposti di un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione.
12. Contro la sentenza 727/2013, la società ha proposto impugnazione con l’appello 4626/2014 R.G. di questo Giudice, che contiene tre motivi:
– con il primo di essi, deduce travisamento del fatto da parte del Giudice di I grado, e sostiene che in realtà la propria domanda non sarebbe stata presa in alcuna considerazione;
– con il secondo motivo, deduce incoerenza della motivazione là dove ritiene che la mancata previsione dell’impianto di suo interesse sia conforme a utilità sociale;
– con il terzo motivo, sostiene infine che il principio di prossimità dell’impianto di trattamento dei rifiuti rispetto al luogo di loro produzione avrebbe comportato la previsione nel piano del proprio progetto.
13. Nel procedimento 4626/2014 citato, la Provincia ha resistito, con memoria 26 gennaio 2016, ed ha chiesto che l’appello sia respinto. Con memoria 20 novembre 2020 e repliche 30 novembre 2020 e 15 febbraio 2021, l’impresa ha invece ribadito le proprie difese.
14. Contro la sentenza 728/2013, la società ha ugualmente proposto impugnazione, con l’appello 4627/2014 R.G. di questo Giudice, che contiene otto censure, poiché la quinta è numerata “V-VI”, corrispondenti secondo logica ai seguenti otto motivi, di riproposizione di quelli dedotti in I grado e di critica alla sentenza impugnata per non averli accolti:
– con il primo di essi, corrispondente alla censura I a p. 14 dell’atto, deduce violazione dell’art. 14 della l. 241/1990 e sostiene che la conferenza di servizi si sarebbe dovuta riconvocare ugualmente;
– con il secondo motivo, corrispondente alla censura II a p. 18 dell’atto, deduce violazione dell’art. 10 bis della l. 241/1990, per omesso invio del preavviso di diniego;
– con il terzo motivo, corrispondente alla censura III a p. 19 dell’atto, deduce violazione dell’art. 117 Cost, per sostenere la necessaria presenza di un impianto come quello per cui è causa nella Provincia;
– con il quarto motivo, corrispondente alla censura IV a p. 20 dell’atto, deduce che in realtà l’impianto sarebbe previsto dal Piano rifiuti;
– con il quinto motivo, corrispondente alla censura V-VI a p. 22 dell’atto, deduce violazione dell’art. 10 comma 2 del d.lgs. 152/2006, e sostiene che il giudizio di compatibilità ambientale avrebbe contenuto in sé anche l’AIA richiesta;
– con il sesto motivo, corrispondente alla censura VII a p. 27 dell’atto, deduce violazione dell’art. 42 della l.r. 6/2001, sostenendo in sintesi che l’impianto si sarebbe dovuto autorizzare sulla base della norma transitoria;
– con il settimo motivo, corrispondente alla censura VIII a p. 29 dell’atto, deduce infine violazione della direttiva europea 61/91 CE, nel senso che a suo dire questa direttiva avrebbe imposto di autorizzare l’impianto, e chiede di sollevare questione pregiudiziale avanti la Corte di Giustizia dell’Unione “al fine di valutare la compatibilità eurocomunitaria dell’interpretazione utilizzata dalla regione per verificare se ciò non fosse di ostacolo al principio in forza del quale in materia di prevenzione e realizzazione integrata dell’impianto in tanto è possibile consentire o rifiutare l’autorizzazione in quanto si sia in presenza di impianti non conformi a detta direttiva”;
– con l’ottavo motivo, corrispondente alla censura IX a p. 30 dell’atto, ripropone la domanda risarcitoria, sulla quale la sentenza di I grado non ha pronunciato espressamente.
15. Nel procedimento 4627/2014, le amministrazioni appellate non si sono costituite; con memoria 26 novembre e replica 30 novembre 2020, l’appellante ha ribadito le proprie tesi.
16. All’udienza del 9 marzo 2021, la Sezione ha quindi trattenuto i ricorsi in decisione.
17. Gli appelli sono evidentemente connessi, in quanto riguardano due momenti successivi della stessa vicenda, il primo relativo al piano che si occupa degli impianti come quello per cui è causa ed il secondo al concreto impianto in questione; vanno quindi riuniti ed esaminati congiuntamente, e sono entrambi infondati, per le ragioni di seguito spiegate.
18. L’appello 4626/2014, rivolto contro la sentenza 727/2013 relativa all’adeguamento del Piano provinciale è infondato.
18.1 Di esso, è infondato anzitutto il primo motivo, secondo il quale la domanda della ricorrente appellante non sarebbe stata presa in considerazione. In proposito, è corretto quanto afferma il Giudice di I grado, e la stessa ricorrente appellante riconosce (p. 11 dell’atto), ovvero che a p. 33 dell’elaborato del Piano, al paragrafo 3.3.2 “Proposte progettuali” si “riporta per tipologie di impianto il numero delle istanze pervenute”, e si dà atto che fra esse ve ne è una relativa ad un impianto di “trattamento reflui speciali non pericolosi e pericolosi”, che secondo logica si identifica con quello per cui è causa (doc. 2 in I grado ricorrente appellante in ricorso n. 4626/2014). Ciò anche secondo il comune apprezzamento sta ad indicare che la domanda è stata considerata, ovvero che l’amministrazione ha provveduto sapendo che essa esisteva, sì che non le si può imputare un’omissione in senso proprio. Altro è, all’evidenza, ritenere quanto ritiene la parte, ovvero che il provvedimento adottato non sia soddisfacente, nel senso che all’istanza non dà corso.
18.2 È a sua volta infondato il secondo motivo, centrato sulla presunta incoerenza della motivazione di I grado. Come correttamente osserva il Giudice di I grado e come non è contestato, il Piano provinciale per cui è causa prevedeva già il criterio di “equità sociale” di cui si è detto per decidere dove localizzare gli impianti. Come anche qui ritenuto dal Giudice di I grado, non si può affermare che il criterio in sé sia illogico, ovvero violi principi costituzionali, in particolare il principio di libera iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost, al quale la ricorrente appellante si richiama. La stessa parte (appello, p. 13) riconosce da un lato che questo principio trova un limite nel contrasto con la “utilità sociale”, e dall’altro lato è del tutto notorio che gli impianti di trattamento rifiuti sono fonte di disagio e di peggioramento delle condizioni ambientali delle zone nelle quali essi si localizzano. La scelta di non gravare ulteriormente un’area come quella di (omissis), là dove, come pure non è contestato, esiste già più di un impianto di questo tipo appare quindi non certo illogica, e quindi non sindacabile in questa sede, trattandosi comunque di scelta discrezionale.
18.3 È infondato anche il terzo motivo di appello, centrato sulla presunta violazione del principio di autosufficienza. Il principio in questione, come va ricordato per chiarezza, all’epoca dei fatti era previsto anzitutto dall’allora vigente direttiva 2006/12/CE del Parlamento e del Consiglio del 5 aprile 2006, che lo prevede al “considerando” n. 8, per cui “Occorre che la Comunità stessa nel suo insieme sia in grado di raggiungere l’autosufficienza nello smaltimento dei suoi rifiuti ed è auspicabile che ciascuno Stato membro singolarmente tenda a questo obiettivo.” Il principio però, come esattamente osserva il Giudice di I grado, è riferito agli Stati membri, e non agli enti locali minori nei quali essi eventualmente si articolino. Non dispongono in modo diverso neppure le norme nazionali, che riferiscono il principio di autosufficienza ai Comuni, ma limitatamente ai rifiuti urbani, e non ai rifiuti liquidi industriali di cui si tratta qui. In questo senso è il d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 all’art. 182 bis comma 1 lettera a), per cui “Lo smaltimento dei rifiuti ed il recupero dei rifiuti urbani non differenziati sono attuati… al fine di: a) realizzare l’autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi e dei rifiuti del loro trattamento in ambiti territoriali ottimali…” Nello stesso senso anche l’art. 182 comma 3, per cui “È vietato smaltire i rifiuti urbani non pericolosi in regioni diverse da quelle dove gli stessi sono prodotti…”. Come ha infatti chiarito la Corte costituzionale, per tutte nella sentenza 23 gennaio 2009 n. 10, la tipologia e le quantità da smaltire dei rifiuti di tipo diverso non si possono preventivare in modo attendibile, ed è quindi impossibile individuare per essi un ambito territoriale ottimale al quale riferire l’autosufficienza nel relativo smaltimento. Del motivo in esame, quindi, non è corretta la premessa, che presuppone l’applicabilità del principio appena esclusa.
19. Anche l’appello 4627/2014, rivolto contro la sentenza 728/2013 relativa invece al diniego di AIA è infondato.
19.1 Il primo ed il secondo motivo sono infondati per le stesse ragioni individuate dal Giudice di I grado: né la riconvocazione della conferenza di servizi, né l’invio del preavviso di diniego avrebbero potuto cambiare l’esito finale del procedimento, atteso che, in base alla modifica del Piano provinciale di cui si è detto, e che si è ritenuta legittimamente adottata, l’impianto di interesse della ricorrente appellante non poteva più essere realizzato.
19.2 Anche il terzo motivo di appello va respinto, in quanto valgono le ragioni già esposte dal Giudice di I grado: si tratta di un motivo di critica alla delibera di modifica del Piano provinciale, che si sarebbe dovuto far valere nel ricorso ad essa relativo. Per completezza va però aggiunto che nel merito esso ripropone la presunta violazione del principio di autosufficienza nello smaltimento, indicato come valido anche per questa tipologia di rifiuti: si tratta della tematica trattata a proposito del terzo motivo dell’appello 4626/2014, nei termini di cui sopra.
19.3 Il quarto motivo di appello va respinto perché semplicemente infondato in fatto, come risulta del resto da tutta la prospettazione difensiva della ricorrente appellante, la quale parte dal presupposto che l’impianto non sarebbe appunto previsto dal Piano.
19.4 Anche il quinto motivo di appello va respinto: le ragioni per le quali la VIA a suo tempo rilasciata non aveva anche valore di AIA ai sensi dell’art. 10 comma 2 del d.lgs. 152/2006 in quel momento vigente cui la ricorrente appellante si richiama sono già state individuate in modo esatto dal Giudice di I grado ed esposte sopra, al § 11.4, al quale non si può che richiamarsi.
19.5 Il sesto motivo di appello è a sua volta infondato, in base al chiaro contenuto dell’art. 42 comma 3 della l.r. 6/2001, l’autorizzazione ambientale provvisoria, quand’anche fosse stata accordata, non avrebbe potuto avere efficacia “oltre la data di approvazione dei piani provinciali di cui all’art. 10”, ovvero dei Piani di smaltimento rifiuti. È escluso quindi che la norma potesse valere in un caso come il presente, in cui sia il Piano sia la modifica rilevante erano stati pacificamente approvati.
19.6 Il settimo motivo prospetta la necessità per il Collegio di procedere ad un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia per un asserito contrasto con la direttiva 61/91 CE. In proposito, va anzitutto osservato che le ragioni per cui questo Giudice dovrebbe procedere in tal senso non sono affatto chiare. In primo luogo, la direttiva in questione non è più in vigore dal 17 febbraio 2008, e la ricorrente appellante non spiega perché essa dovrebbe applicarsi al diniego di AIA di cui si tratta qui, adottato posteriormente. Posto questo, comunque la direttiva in questione all’art. 8 prevede che le autorizzazioni nella materia in esame si rilascino “Fatti salvi altri requisiti prescritti da disposizioni nazionali o comunitarie”, sì che ancora una volta non risultano i termini dell’asserito contrasto con le norme europee.
19.7 Le considerazioni appena esposte consentono a questo Giudice di non operare nemmeno il richiesto rinvio pregiudiziale, sulla base del principio dell’acte claire valorizzato dalla sentenza della Corte UE 6 ottobre 1982 283/81 CILFIT, per cui il rinvio non è dovuto quando “la corretta applicazione del diritto comunitario [ora: europeo] s’impone con tale evidenza da non lasciare adito a ragionevoli dubbi”. La corretta applicazione del diritto europeo, infatti, presuppone all’evidenza la salvezza delle norme di cui si è fatta applicazione, ovvero delle norme nazionali, in base al citato art. 8 della direttiva, anche se essa si volesse ritenere applicabile.
19.8 La reiezione della domanda di annullamento proposta con il ricorso, che deriva dalla reiezione dei motivi di appello fin qui esaminati, comporta che vada respinta anche la domanda risarcitoria, e con essa l’ottavo motivo di appello.
20. In conclusione, entrambi gli appelli vanno respinti, e per l’effetto sono respinti per intero entrambi i ricorsi presentati in I grado, sia quanto alle domande di annullamento, sia quanto alla domanda risarcitoria.
21. Sussistono comunque giusti motivi per compensare per intero fra le parti le spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sugli appelli come in epigrafe proposti (ricorsi nn° 4626/2014 e 4627/2014), così provvede:
a) riunisce gli appelli stessi;
b) li respinge entrambi;
c) compensa per intero fra le parti le spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 marzo 2021 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere, Estensore
Giovanni Sabbato – Consigliere
Davide Ponte – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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