Il porto d’armi non costituisce un diritto assoluto

Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 26 settembre 2019, n. 6457.

La massima estrapolata:

Il porto d’armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, eccezione al normale divieto di portare le armi e che può divenire operante soltanto nei confronti di persone riguardo alle quali esista la perfetta e completa sicurezza circa il “buon uso” delle armi stesse”, ma ciò non vale a svincolare la motivazione che deve sorreggere il provvedimento prefettizio dalla necessità di fondarsi su un apparato rigoroso e che dia adeguato conto delle specificità del caso concreto.

Sentenza 26 settembre 2019, n. 6457

Data udienza 19 settembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9301 del 2017, proposto dal sig. -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Lu. De Pa., Lu. Ma. e Il. Ce., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Lu. Ma. in Roma, via (…);
contro
Prefetto della Provincia di Gorizia, non costituito in giudizio;
ed altri;
per la riforma della sentenza breve del T.A.R. Friuli Venezia Giulia, sezione I, n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente un divieto di detenzione di armi, munizioni e materiali esplodenti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 settembre 2019 il Pres. Franco Frattini e uditi per le parti gli avvocati Lu. De Pa., Lu. Ma. e l’avvocato dello Stato Cr. Ge.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. In data 25 maggio 2017 il Sig. -OMISSIS- richiedeva l’intervento dei Carabinieri presso la propria abitazione per sedare un dissidio insorto tra il medesimo e la coniuge, Sig.ra -OMISSIS-, all’esito di una notte trascorsa da entrambi a bere con gli amici. All’esito di tale intervento, ed avendo trovato i coniugi in stato di alterazione dovuto all’abuso di sostanze alcoliche, i militari procedevano al ritiro in via cautelare delle armi e munizioni regolarmente detenute e denunciate dall’appellante.
2. In data 12.07.2017 la Prefettura di Gorizia notificava all’appellante la comunicazione n. -OMISSIS- di avvio del procedimento ex art. 39 TULPS e, ritenendo non convincenti le giustificazioni dallo stesso addotte nella memoria difensiva ex art. 10-bis della L. 241/90, in data 6.09.2017 emetteva il decreto prot. n. -OMISSIS- con il quale faceva divieto all’appellante sig. -OMISSIS- di detenere armi, munizioni e materiale esplodente, sulla base di un giudizio prognostico di inaffidabilità .
3. Avverso tale provvedimento l’odierno appellante proponeva ricorso avanti al Tribunale amministrativo regionale per il Friuli Venezia Giulia, lamentandone l’illegittimità e chiedendone, previa sospensione, l’annullamento. Nella specie, egli lamentava la lacunosità del Verbale redatto dal Comando Provinciale Carabinieri di Gorizia, dal quale emergeva una ricostruzione dei fatti fuorviante, in quanto:
– veniva omesso il fatto che era stato proprio il Sig. -OMISSIS- a richiedere l’intervento della forza pubblica, così dimostrando di essere lucido e cosciente;
– veniva paventata la possibilità che nel corso della lite fossero stati consumati reati contro la persona, laddove l’insussistenza di alcuna lesione arrecata alla Sig.ra -OMISSIS- non solo veniva confermata dalla stessa, ma emergeva anche dal verbale del 118 (che evidenziava la sola esistenza di una piccola ferita da taglio su un dito, riconducibile all’apertura di una bottiglia) e dall’archiviazione del procedimento penale disposta dalla Procura della Repubblica di Gorizia per insussistenza di reati.
Inoltre, l’odierno appellante lamentava in quella sede l’irragionevolezza della valutazione discrezionale contenuta nel provvedimento prefettizio, e l’inidoneità della stessa ad evidenziare gli elementi che lo qualificassero quale soggetto pericoloso o inaffidabile, non potendosi ritenere a ciò sufficiente l’abuso occasionale di alcol e, comunque, negando il -OMISSIS- di trovarsi in condizioni di ubriachezza al momento dell’intervento del 112.
4. Si costituiva nel giudizio di prime cure il Ministero dell’Interno – Prefettura di Gorizia, contestando la fondatezza del ricorso e chiedendo la reiezione dello stesso, nonché della preliminare istanza incidentale di sospensione del provvedimento impugnato.
5. Il Tribunale amministrativo regionale per il Friuli Venezia Giulia pronunciava, ex art. 60 c.p.a., la sentenza in forma semplificata qui gravata, con la quale respingeva il ricorso poiché infondato. Riteneva infatti il Collegio che, essendo ampiamente discrezionale il potere attribuito al Prefetto dall’art. 39 TULPS, non sembrava irragionevole la decisione di vietare la detenzione di armi e munizioni a chi, come il ricorrente, ne detenga numerose nella propria abitazione e qui risulti coinvolto in un litigio per sedare il quale venga richiesto l’intervento della forza pubblica. Ai fini della tutela dell’ordine pubblico e della prevenzione della commissione degli illeciti, cui siffatto potere prefettizio risulta preposto, il divieto di detenere armi, munizioni e materiale esplodente può pertanto essere disposto anche nel caso in cui emerga il mero pericolo di abuso degli stessi.
6. Avverso tale sentenza il Sig. -OMISSIS- proponeva appello, ritualmente notificato e depositato, chiedendone, previa adozione di idonee misure cautelari, l’annullamento, ed affidando a tre motivi di censura le proprie doglianze.
Con il primo motivo l’appellante denuncia violazione di legge (art. 3 l. 241/90, art. 39 TULPS), contraddittorietà e illogicità della motivazione del provvedimento impugnato, illogicità, travisamento e errore di fatto, nonché difetto di istruttoria.
Con il secondo motivo l’appellante denuncia Violazione di legge (art. 3 l. 241/90, art. 39 TULPS) e Contraddittorietà e illogicità della motivazione del provvedimento impugnato, in relazione al denunciato vizio di eccesso di potere per difetto di presupposti. La sentenza del Tar sarebbe errata nella parte in cui afferma l’ubriachezza del -OMISSIS-, benché non comprovata da appositi esami, e nella parte in cui comunque ritiene tale singolo episodio sufficiente a fondare il giudizio di inaffidabilità del soggetto, prescindendo totalmente dalla valutazione della complessiva – affidabile, equilibrata e pacifica – personalità dello stesso.
Con il terzo ed ultimo motivo l’appellante denuncia Violazione di legge (art. 3 l. 241/90, art. 39 TULPS), Contraddittorietà e illogicità della motivazione del provvedimento impugnato sotto ulteriore profilo, nonché Travisamento e errore di fatto. Egli infatti sottolinea come il fine di prevenzione della commissione di abusi cui tende la normativa in oggetto non può in ogni caso comportare l’emissione di un divieto di detenere armi e munizioni che prescinda da un accertamento della personalità del soggetto.
7. Resiste in giudizio con costituzione formale l’appellata amministrazione Ministero dell’Interno – Ufficio Territoriale del Governo di Gorizia.
8. All’esito dell’udienza del giorno 25 gennaio 2018, questo Collegio pronunciava ordinanza di accoglimento dell’appello cautelare e per l’effetto sospendeva l’esecutorietà della sentenza appellata.
9. In vista dell’udienza pubblica del 19.09.2019, l’appellante produceva una memoria conclusiva nella quale sostanzialmente ribadiva quanto già affermato negli scritti precedentemente prodotti.

DIRITTO

L’appello è fondato e merita di essere accolto.
L’art. 39 TULPS, nel testo novellato dal d.lgs. 121/2013, prevede che: “Il prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell’articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne.
Nei casi d’urgenza gli ufficiali e gli agenti di pubblica sicurezza provvedono all’immediato ritiro cautelare dei materiali di cui al primo comma, dandone immediata comunicazione al prefetto. Quando sussistono le condizioni di cui al primo comma, con il provvedimento di divieto il prefetto assegna all’interessato un termine di 150 giorni per l’eventuale cessione a terzi dei materiali di cui al medesimo comma. Nello stesso termine l’interessato comunica al prefetto l’avvenuta cessione. Il provvedimento di divieto dispone, in caso di mancata cessione, la confisca dei materiali ai sensi dell’articolo 6, quinto comma, della legge 22 maggio 1975, n. 152”.
Il provvedimento prefettizio che, sulla base di tale previsione normativa, disponga in modo definitivo il divieto di detenere armi, munizioni e materiale esplodente costituisce pertanto esercizio di potere discrezionale, conseguente ad un giudizio prognostico dal quale emerga l’inaffidabilità del soggetto ed il pericolo concreto che egli abusi delle armi stesse. Costituisce affermazione pacifica e principio oramai consolidato nella giurisprudenza che siffatta valutazione debba essere sorretta da una motivazione che dia adeguato conto degli elementi concreti che, nel caso di specie, hanno determinato l’autorità prefettizia a sospettare delle garanzie di buona condotta nella detenzione e nell’uso delle armi fornite dall’interessato.
È ben vero – e tanto emerge dalla ferma giurisprudenza costituzionale: cfr. da ultimo sentenza n. 109/2019 e precedenti conformi nn. 115/95, 440/93, 218/88, 4/77, 31/69, 2/56 – che nel nostro ordinamento “il porto d’armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, eccezione al normale divieto di portare le armi e che può divenire operante soltanto nei confronti di persone riguardo alle quali esista la perfetta e completa sicurezza circa il “buon uso” delle armi stesse”, ma ciò non vale a svincolare la motivazione che deve sorreggere il provvedimento prefettizio dalla necessità di fondarsi su un apparato rigoroso e che dia adeguato conto delle specificità del caso concreto.
Dal provvedimento dovranno emergere chiaramente le ragioni per le quali la valutazione della personalità complessiva del soggetto, della sua storia di vita pregressa e delle presumibili evoluzioni del suo percorso di vita ha condotto l’autorità a determinarsi nel senso di vietargli la detenzione e l’uso delle armi, avendolo ritenuto allo stato pericoloso o comunque capace di abusarne. Non potrà, invece, ritenersi sufficiente una motivazione scarna, apodittica, fondata su un singolo elemento non corroborato da ulteriori indizi.
In conclusione, l’autorità prefettizia dovrà tenere in considerazione tutti gli indizi concreti dai quali emerga un’indole inaffidabile del soggetto, e questo prescindendo dall’esistenza di fatti o condotte criminose: l’esigenza di tutela dell’ordine pubblico sottesa alla disciplina della sicurezza pubblica impone infatti l’adozione di misure di tutela anticipate alla commissione di fatti penalmente rilevanti, in un’ottica di prevenzione della commissione di illeciti, ma comunque postula l’esistenza di circostanze serie ed oggettivamente apprezzabili, valutate secondo i canoni della ragionevolezza e della proporzione (Cons. St., sez. III, 6192/2018; 17 maggio 2018, n. 2974; 4899/2018; 5313/2017).
Nel caso di specie, come già osservato dalla Sezione con ord. coll. n. -OMISSIS-, il giudizio di pericolosità sociale dell’appellante è stato effettuato sulla base di un singolo elemento, ossia l’esser stato costui trovato coinvolto in una lite accesa con la moglie ed in asserito (ma non provato) stato di alterazione dovuta all’abuso di sostanze alcoliche. Tale isolato episodio, osservato nel contesto in cui esso è maturato – una cena con amici in casa dello stesso appellante – non sembra al Collegio indicativo di una personalità socialmente irresponsabile o pericolosa: in tal senso depone, al contrario, la stessa lettura dei fatti e, in particolar modo, la circostanza che a richiedere l’intervento della forza pubblica sia stato proprio l’appellante. Costui, infatti, nel corso della lite con la moglie non ha certo posto mano alle armi al fine di far valere le proprie ragioni, né le ha arrecato alcun tipo di lesione fisica (come risulta accertato dal referto del 118 e comprovato dall’accoglimento della richiesta della Procura di archiviazione del procedimento penale); inoltre, nessun elemento della sua personalità o fatto pregresso del suo vissuto – su cui la Prefettura non sembra aver affatto esplorato eventuali fattori negativi – lascia supporre l’eventualità concreta che egli possa fare un uso distorto delle armi, che peraltro detiene da collezionista e nelle condizioni di sicurezza prescritte dalla legge.
Il provvedimento prefettizio, al pari della sentenza impugnata, si limita alla riproduzione del dettato normativo, affermando apoditticamente che “l’interessato non offre garanzie di non abusare delle armi”, senza fornire alcuna precisazione motivazionale quanto, da un lato, agli elementi che concretamente fondano tale sospetto e, dall’altro, alle ragioni per le quali si sia ritenuto di non apprezzare favorevolmente gli elementi prodotti dall’interessato in sede di memoria difensiva ex art. 10-bis l. 241/90: l’esistenza di una motivazione tanto laconica, superficiale e priva di riferimenti alla concreta situazione di fatto in cui versa l’appellante integra i vizi di eccesso di potere e di violazione di legge, e connota pertanto come illegittimo il provvedimento prefettizio così emanato.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, annulla il provvedimento impugnato in primo grado.
Spese compensate.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte appellante.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 19 settembre 2019, con l’intervento dei magistrati
Franco Frattini – Presidente, Estensore
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Stefania Santoleri – Consigliere
Giovanni Pescatore – Consigliere
Raffaello Sestini – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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