Il permesso di costruire in deroga

Consiglio di Stato, Sezione quarta, Sentenza 21 febbraio 2020, n. 1341.

La massima estrapolata:

Il permesso di costruire in deroga – secondo il modello regolato in sede statale – è un istituto di carattere eccezionale giustificato dalla necessità di soddisfare esigenze straordinarie rispetto agli interessi primati garantiti dalla disciplina urbanistica generale e, in quanto tale, applicabile esclusivamente entro i limiti tassativamente previsti dall’art. 14 d.P.R. n. 380 del 2001, e comunque esclusivamente in ordine ad “edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico.

Sentenza 21 febbraio 2020, n. 1341

Data udienza 10 ottobre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 302 del 2019, proposto dal signor Se. St. in proprio e quale titolare dell’omonima azienda agricola, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Di Si. e Is. Ma. St., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
i signori Fi. Bi. ed altri, rappresentati e difesi dagli avvocati Sa. Me., Da. Gi. Ap. e Si. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, via (…);
nei confronti
del Comune di (omissis), rappresentato e difeso dall’avvocato Ma. Lu. Ac., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ma. At. Lo. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio n. 11521 del 2018.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio degli appellati e del Comune di (omissis);
Visto l’appello incidentale del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del giorno 10 ottobre 2019 il consigliere Silvia Martino;
Uditi, per le parti rispettivamente rappresentate, gli avvocati An. Di Si., Is. Ma. St., Sa. Me., Da. Gi. Ap. e Ma. Lu. Ac.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Gli odierni appellati, nella dichiarata qualità di proprietari di immobili e/o di terreni limitrofi, trasponevano innanzi al TAR per il Lazio il ricorso straordinario proposto avverso il permesso di costruire n. 1/2018 del 12 gennaio 2018 (Pratica n. 2/2017), rilasciato dal Comune di (omissis), nonché la presupposta delibera del Consiglio Comunale n. 28 del 28 luglio 2017, con la quale era stato approvato il PUA presentato dal signore St. Se. e l’annesso schema di Convenzione per la realizzazione degli interventi ivi previsti.
Con il suddetto permesso il Comune di (omissis) aveva autorizzato il suddetto signor Se. ad edificare due capannoni, strumentali alla installazione di un allevamento di tacchini, in attuazione del Piano di Utilizzazione Aziendale (PUA), approvato con la D.C.C. n. 28 del 28 luglio 2018.
Il ricorso era fondato sui seguenti motivi di doglianza:
I) Violazione di legge: violazione del principio di gerarchia dei piani urbanistici rispetto ai titoli edilizi di cui alla l. n. 1150/1942 e al d.P.R. n. 380/2001-Violazione del divieto di deroga ad opera del PDC rispetto ai piani PUA Eccesso di potere: contraddittorietà tra le due autorizzazioni rilasciate dal Comune di (omissis) (PUA e PDC):
II) Violazione di Legge: erronea applicazione dell’art. 57 della legge della Regione Lazio, n. 38/1999. Eccesso di potere: erronea stima del costo complessivo e di quello unitario dei lavori di cui al PdC, mancata considerazione del costo relativo agli impianti e delle spese generali; contraddittorietà tra il C.M.E. e la stima allegata al progetto presentato per la richiesta di PUAM erroneità nella determinazione dell’importo della polizza fideiussoria; illegittimità della fideiussione e della convenzione; illegittimità (riflessa ed autonoma) del PdC- Travisamento;
III) Violazione di legge: Violazione r.d. 274/1929 e del d.P.R. n. 380/2001- Elusione prescrizioni di cui alle N.T. 2008 ed all’OPCM n. 3274/2003 (progettazione e direzione dei lavori in zona sismica) – Nullità assoluta del permesso di costruire con riguardo alla progettazione ed alla direzione dei lavori in quanto affidata ad un soggetto privo delle competenze specifiche previste dalla legge. Eccesso di potere: inadeguatezza del progetto ed assenza di valutazione ad opera della P.A.- cattivo uso della discrezionalità tecnica- difetto di istruttoria e lacunosità complessiva;
IV) Violazione di legge: erronea applicazione dell’art. 57, comma 1, della legge della Regione Lazio n. 38/1999 anche in combinato disposto con gli artt. 1 d.lgs. n. 99/2004 e 2135 c.c.- mancanza dei requisiti indicati dalla legge ai fini della presentazione del PUA, nullità del PUA e del PDC. Eccesso di potere: erroneo riconoscimento della qualifica di IAP in rapporto all’intervento indicato nel PUA- Omessa e/o carente valutazione dell’attività svolta dal richiedente il PUA- travisamento -Carenza di legittimazione attiva in capo al richiedente il PUA e il PDC- nullità del PUA e di riflesso anche del PDC;
V) Violazione di legge: erronea applicazione dell’art. 57 comma 1 della legge della Regione Lazio n. 38/1999 – mancanza dei requisiti indicati dalla legge ai fini della presentazione del PUA- nullità del PUA e del PDC. Eccesso di potere: Mancata e/o erronea valutazione relativa alla sussistenza del diritto vantato dal richiedente sui fabbricati ai fini della realizzazione dei capannoni- travisamento e sviamento- carenza di legittimazione attiva in capo al richiedente il PUA ed il PDC- nullità del PUA e di riflesso anche del PDC;
VI) Violazione di legge: erronea applicazione dell’art. 57 comma 1, della legge della Regione Lazio, n. 38/1999 – Mancanza dei requisiti indicati dalla legge ai fini della presentazione del PUA – Nullità del PUA e del PDC. Eccesso di potere: mancata e/o erronea valutazione relativa alla proprietà e/o disponibilità di immobili ai fini dei lavori degli interventi di trasformazione indicati dalla legge – mancata e/o erronea valutazione relativa alla sede ed all’attività dell’azienda agricola richiedente il PUA -Travisamento e sviamento- carenza di legittimazione attiva in capo al richiedente il PUA ed il PDC- Nullità del PUA e di riflesso anche del PDC;
VII) Violazione di legge: violazione e/o erronea applicazione degli artt. 55 e 57 della legge della Regione Lazio, n. 38/1999 – Mancata applicazione dell’art. 36, comma 2, della legge della Regione Lazio, n. 14 del 1999; Violazione e/o mancata applicazione dei limiti urbanistici ed edilizi insistenti sul territorio e di cui ai PP.UU. comunali – Nullità e/o illegittimità del PDC;
VIII) Violazione di legge: erronea applicazione dell’art. 57, comma 6, della legge della Regione Lazio, n. 38 del 1999 – Violazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990 – Nullità del PUA e del PDC. Eccesso di potere: mancata e/o erronea valutazione dei presupposti indicati dalla norma ai fine dell’adozione del PUA- istruttoria assente e/o carente- mancata valutazione delle questioni connesse all’intervento con riguardo agli impatti ed alle misure di mitigazione- Assenza e/o insufficienza della motivazione- travisamento e sviamento- abnormità del PDC. Nullità del PUA e di riflesso del PDC;
IX) Violazione di Legge. Violazione e/o erronea applicazione dell’art. 57 e dell’art. 55 della legge della Regione Lazio, n. 38 del 1999; Violazione e/o mancata applicazione della normativa generale in materia ambientale (d.lgs. n. 152/2006)- Violazione dell’art. 117, comma 2 lett, s) Cost. – Violazione del d.P.R. n. 380/2001- Mancata applicazione e/o valutazione delle prescrizioni di cui al d.m. 5 settembre 2014 e del T.U.L.S. Violazione e/o mancata applicazione delle disposizioni di cui al d.m. 12 febbraio1971 (voce 35) e d.m. 23.12.1976 (voce 31) – Erroneo inquadramento dell’attività di allevamento e conseguentemente mancata applicazione della normativa vigente in subiecta materia- Nullità del PUA e del PDC. Eccesso di potere: istruttoria assente e/o carente- Mancata valutazione delle questioni connesse all’intervento con riguardo agli impatti ed alle misure di mitigazione – assenza e/o insufficienza della motivazione – erroneo inquadramento dell’attività di allevamento e mancata valutazione del carattere intensivo (industriale) dello stesso – travisamento e sviamento- abnormità del PDC- Nullità del PUA e di riflesso del PDC;
X.A) Problematiche inducenti sui ricorrenti e sulla popolazione ricorrente;
X. B) Problematiche incidenti sull’ambiente e sull’intero territorio;
XI) Violazione di legge: violazione e/o erronea applicazione dell’art. 57 comma 6, della legge della Regione Lazio n. 38 del 1999; Violazione e/o mancata applicazione dell’art. 1 della legge n. 241/1990 e delle disposizioni relative alla fase istruttoria del procedimento – Nullità del PUA e del PDC. Eccesso di potere: totale assenza di istruttoria- istruttoria assente e/o carente – Mancata valutazione delle questioni connesse all’intervento – assenza e/o insufficienza della motivazione- travisamento e sviamento- abnormità del PDC- Nullità del PUA e di riflesso del PDC;
XII) Eccesso di potere: mancata applicazione del principio di precauzione- mancata richiesta e/o imposizione di misure di mitigazione e/o di prevenzione- totale assenza di istruttoria. Abnormità del PDC- nullità del PUA e di riflesso del PDC.
2. Il TAR, dopo avere respinto le eccezioni preliminari, accoglieva il motivo relativo al difetto di motivazione del parere reso dalla Commissione agraria nel procedimento di formazione del PUA, ed annullava gli atti impugnati.
3. La sentenza è stata appellata dal signor Se., rimasto soccombente, il quale ha articolato i seguenti mezzi di gravame.
1) Sull’eccezione preliminare di tardività dell’impugnazione.
L’assunto da cui muove la pronuncia impugnata è quello secondo cui il PUA è atto preparatorio, impugnabile unitamente al permesso di costruire.
L’appellante evidenzia al contrario che tale Piano, e la relativa convenzione, confluiscono non già nel permesso di costruire ma nella delibera di approvazione del Consiglio Comunale, il quale non è vincolato al parere reso dalla Commissione agraria.
Il Comune di (omissis), in ottemperanza a quanto prescritto, con delibera n. 28 del 28 luglio 2017, pubblicata sull’Albo pretorio del Comune di (omissis) dal 18 agosto 2017 per 15 giorni consecutivi, ha approvato il PUA ed il relativo schema di convenzione per la realizzazione degli interventi previsti nel Piano di utilizzazione aziendale presentato.
Nella ridetta delibera, espressamente annullata dal provvedimento di primo grado, confluisce il PUA.
Se pertanto, come sottolineato dal Tribunale amministrativo, il PUA può essere impugnato unitamente al provvedimento finale, tale provvedimento è tuttavia la delibera che lo ha recepito ed approvato, non certamente il permesso di costruire.
Diversamente, qualunque atto, collegato, anche indirettamente al PUA, potrebbe riaprire i termini per l’impugnazione del Piano di utilizzazione aziendale senza alcun limite temporale, con ciò violando il principio fondamentale della certezza dei rapporti giuridici.
La tempestività, nella fattispecie in esame è, anzi, particolarmente rilevante in quanto, proprio a fronte dell’approvazione del PUA, l’odierno appellante ha fatto investimenti ed assunto oneri sulla base del principio del legittimo affidamento nei confronti dell’azione amministrativa.
Parte ricorrente ha impugnato la delibera di approvazione del PUA con ricorso notificato solamente il 9 luglio 2018 ossia dopo quasi un anno dalla sua pubblicazione.
Nel caso in esame, la pubblicazione all’Albo pretorio, quale pubblicità nelle forme di legge, ha natura di conoscenza legale.
I termini per poter impugnare la delibera che ha approvato il PUA, la convenzione e la annessa fideiussione, decorrevano quindi dalla pubblicazione sull’Albo pretorio on line, avvenuta in data 18 luglio 2017, con conseguente inammissibilità del ricorso proposto;
2) Ancora sull’eccezione preliminare di tardività dell’impugnazione.
Il fatto che i ricorrenti, sin dal mese di febbraio 2018, si siano attivati per ostacolare la realizzazione dell’allevamento, costituirebbe prova evidente del fatto che gli stessi fossero perfettamente a conoscenza del rilascio del permesso di costruire.
Secondo consolidata giurisprudenza, l’inizio dei lavori segna il dies a quo della tempestiva proposizione del ricorso laddove si contesti l’an della edificazione (cioè laddove si sostenga che nessun manufatto poteva essere edificato sull’area), mentre laddove si contesti il quomodo (distanze, consistenza ecc.) il dies a quo va fatto coincidere con il completamento dei lavori ovvero con il grado di sviluppo degli stessi, ferma restando la possibilità, da parte di chi solleva l’eccezione di tardività, di provare, anche in via presuntiva, la concreta anteriore conoscenza del provvedimento lesivo in capo al ricorrente;
3. Sulla eccezione relativa al difetto di legittimazione.
Il permesso di costruire prevede la realizzazione di due capannoni in una zona di campagna, lontana dal centro del paese e da abitazioni, ad una distanza di circa 2,00 Km dal centro abitato e circa 1,200 Km da aree protette.
Nessuno dei ricorrenti confina però con il terreno dove il capannone dovrebbe sorgere.
I signori Di Ce. e Co. non risiedono neppure a (omissis) ma rispettivamente a (omissis) e Milano.
I signori Ma. e Bi. legittimano il loro intervento dichiarando di essere proprietari di beni che si trovano nel centro storico di (omissis) e pertanto distanti oltre 2 Km dai luoghi in questione.
Nessuno dei ricorrenti avrebbe dimostrato uno stabile collegamento materiale fra il proprio immobile e quello interessato dai lavori.
Ad ogni buon conto, il singolo che intenda insorgere in sede giurisdizionale contro un provvedimento amministrativo esplicante i suoi effetti nell’ambiente in cui vive ha l’obbligo di identificare, innanzitutto, il bene della vita che dalla iniziativa dei pubblici poteri potrebbe essere pregiudicato (il paesaggio, l’acqua, l’aria, il suolo, il proprio terreno).
Nella fattispecie, non solo i rischi paventati sono meramente ipotetici e privi di riscontro ma nessuno dei ricorrenti avrebbe dimostrato di avere una posizione differenziata che lo legittimi ad agire;
4. Relativamente al parere reso dalla Commissione agraria.
L’appellante sottolinea che il parere reso dalla suddetta Commissione non è vincolante, in quanto l’approvazione del PUA spetta al Consiglio Comunale che ha, in merito, la più ampia discrezionalità e competenza.
Sarebbe quindi sufficiente che esso evidenzi il mancato contrasto con la normativa della Regione Lazio sui PUA.
In ottemperanza al disposto legislativo, nel parere di cui si verte viene peraltro dato atto che la Commissione ha valutato i progetti, le relazioni e tutto ciò che è costituisce parte integrante del PUA, ritenendo che non vi sia stata alcuna violazione di legge, con riferimento ai criteri dalla stessa predeterminati.
L’obbligo di motivare il provvedimento amministrativo non può ritenersi violato qualora, anche a prescindere dal tenore letterale dell’atto finale, i documenti dell’istruttoria offrano comunque elementi sufficienti e univoci dai quali possa ricavarsi l’iter motivazionale a sostegno della determinazione assunta.
L’appellante ha poi articolato le proprie difese anche in ordine ai motivi assorbiti dal TAR:
5) Relativamente ai motivi assorbiti.
L’appellante ha riproposto le eccezioni, deduzioni ed opposizioni contenute nella memoria di costituzione in primo grado.
Relativamente al I) motivo di ricorso “contraddittorietà tra due autorizzazioni rilasciate dal Comune di (omissis) (PUA e PDC)”, l’appellante fatto rilevare che il PUA è stato predisposto per la realizzazione di due capannoni e solo per mero errore, alla pagina 16 dell’elaborato è stato scritto “nella planimetria compare il capannone B che sarà realizzato con un successivo permesso di costruzione” anziché “con successiva richiesta di contributo”.
In concreto, tutti i conteggi del PUA fanno riferimento a due capannoni, prevedendo una consistenza media annuale di tacchini pari a 19.000 capi.
Le stime contenute nel PUA sono tarate sulla base delle indicazioni della normativa sul benessere degli animali che prevede una densità di allevamento pari a 5,00 tacchini/mq (2,7 maschi/mq e 2,3 femmine/mq).
Questo conteggio porta ad un carico complessivo pari a 2 capannoni x 1890,00 mq/capannone x 5 tacchini/mq = 19.000, ossia la quantità di tacchini conteggiati nel PUA.
Relativamente al II) motivo di ricorso “stima del costo complessivo dei lavori di cui al pdc”, l’appellante sottolinea di avere ottenuto, in data 23 ottobre 2017, una polizza fideiussoria per un importo pari ad Euro 32.547,68, ritenuto congruo dal Comune.
Tale polizza serve a garantire all’amministrazione, in caso di elusione degli impegni presi con il PUA, il regolare ripristino dello stato dei luoghi.
La legge della Regione Lazio n. 38 del 199, non stabilisce quale deve essere la misura della polizza sicché l’amministrazione, nella sua discrezionalità, può commisurarla ad una percentuale del costo di costruzione e al costo di demolizione del manufatto realizzato.
Nel caso in esame, il Comune di (omissis), con un atteggiamento di particolare prudenza, ha scelto di determinare l’importo attraverso una percentuale del costo di costruzione, riferito alla realizzazione di due capannoni.
L’importo di Euro 32.547,68, molto più elevato dell’effettivo costo di ripristino, è stato ritenuto congruo dal Comune;
Relativamente al motivo III) “nullità assoluta del PDC con riguardo alla progettazione ed alla direzione dei lavori in quanto affidata a soggetto privo delle competenze specifiche” l’appellante ha fatto osservare che, come si evince dagli atti, il geometra De Ca. si è occupato esclusivamente del progetto architettonico e della direzione dei lavori, che comprendono opere in cemento armato di esigua entità . L’attività svolta rientra nelle competenze rimesse alla figura professionale del geometra così come elencate dal r.d. n. 274/1929. Inoltre, le fondazioni e le strutture metalliche sono state progettate dall’Ing Fa. Sa., figura all’uopo qualificata.
Al motivo IV “Mancanza dei requisiti indicati dalla legge ai fini della presentazione del PUA” per “erroneo riconoscimento della qualifica di IAP in rapporto all’intervento indicato nel PUA”, l’appellante ha opposto che l’attività di allevamento rientra tra le attività agricole principali e non tra quelle “connesse”. Inoltre, egli è iscritto all’INPS come IAP e dispone delle iscrizioni fiscali per esercitare l’attività agricola (P.IVA e CCIAA), potendo, alla luce del d.lgs. n. 99 del 2004, godere di tutte le agevolazioni fiscali e/o di altro genere previste per la figura in questione.
Lo strumento volto a dimostrare la necessità del miglioramento fondiario (l’introduzione di una attività agricola nuova e maggiormente performante) è proprio il PUA così come messo a disposizione dell’imprenditore agricolo principale dalla legge regionale n. 38 del 1999 e così come è stato fatto nella fattispecie in esame. L’allevamento, per espressa disposizione del codice civile è una attività agricola principale e in quanto tale, necessariamente vincolata al fondo;
Quanto al motivo V “Mancanza dei requisiti indicati dalla legge ai fini della presentazione del PUA” per “erronea valutazione relativa alla sussistenza del diritto vantato dal richiedente sui fabbricati ai fini della realizzazione dei capannoni”, l’appellante ha ricordato di essere IAP dal 2016. Al momento della presentazione del PUA egli era inoltre titolare di contratti di affitto (stipulati in data 11.01.2017) che lo autorizzavano ad effettuare ogni miglioria, così come correttamente accertato dal Comune. Sempre a gennaio 2017, precedentemente al rilascio del permesso di costruire, l’appellante ha poi sottoscritto il compromesso per l’acquisto dei terreni e formalizzato la compravendita con atto notarile (in data 31.07.2017).
Egli era quindi pienamente legittimato alla presentazione del PUA; ciò senza considerare che la l. n. 203/82, che disciplina il contratto agrario espressamente prevede che ciascuna delle parti possa eseguire “opere di miglioramento fondiario, addizioni e trasformazioni degli ordinamenti produttivi e dei fabbricati rurali, purché le medesime non modifichino la destinazione agricola del fondo e siano eseguite nel rispetto dei programmi regionali di sviluppo oppure, ove tali programmi non esistano, delle vocazioni colturali delle zone in cui e ubicato il fondo”.
L’azienda agricola è un unicum, svincolato dalla localizzazione dei corpi fondiari di cui l’appellante dispone e che gestisce attraverso una unica Partita IVA.
Relativamente al motivo VI “Mancanza dei requisiti indicati dalla legge ai fini della presentazione del PUA” per “erroneo valutazione relativa alla proprietà e/o disponibilità di immobili ai fini degli interventi di trasformazione indicati dalla legge” l’appellante ha richiamato il testo della legge regionale n. 38 del 1999, la quale non autorizza esclusivamente il recupero ma anche nuove edificazioni, se necessarie per l’esercizio dell’attività (art. 55, comma 1).
Il PUA redatto nell’interesse del sig. Se. richiede e consente le deroghe di cui al punto 2.d) dell’art. 57, comma 2.
Inoltre, per miglioramento fondiario si intende qualsiasi investimento stabile e duraturo di capitali e lavoro fatto in agricoltura sul terreno, con lo scopo di aumentarne il valore.
E’ pertanto irrilevante che, nel caso di specie, l’azienda dell’appellante operasse prevalentemente nel settore ortofrutticolo in quanto l’obiettivo che la norma intende realizzare attraverso il PUA è proprio il miglioramento e lo sviluppo fondiario.
Al motivo VII “Violazione e/o mancata applicazione dei limiti urbanistici ed edilizi insistenti sul territorio”, l’appellante contrappone che le NTA vigenti nel Comune di (omissis) confermano che sia l’Unità Aziendale Minima (Lotto minimo) che l’indice fondiario per annessi agricoli sono derogabili con l’approvazione del PUA. Tale Piano è lo strumento specifico pensato dal legislatore regionale per procedere ad edificazioni ex novo e se il PUA viene approvato, non vi sono limitazioni dimensionali.
Nel caso di specie, il PUA si è reso necessario per ottenere le deroghe previste dalla legislazione regionale relativamente agli annessi agricoli di nuova edificazione di cui all’articolo 55, comma 6 e comunque nel rispetto delle dimensioni del lotto minimo, sulla base di valide e motivate esigenze di sviluppo delle attività agricole.
La necessità di ricorrere allo strumento della deroga è stato ampliamente documentato dal PUA e regolarmente accertato e verificato dal Comune in fase di approvazione;
Relativamente al motivo VIII “Mancata e/o erronea valutazione dei presupposti indicati dalla norma ai fini dell’adozione del PUA, istruttoria carente e/o assente, mancata valutazione delle questioni connesse all’intervento con riguardo agli impatti ed alle misure di mitigazione”, l’appellante ha poi ribadito che il PRG di (omissis) ha recepito nella NTA le previsioni della legge regionale n. 38 del 1999. Inoltre, i ricorrenti non hanno addotto alcun elemento da cui possa evincersi che la Commissiona agraria, prima di rendere il prescritto parere, non abbia effettuato i dovuti controlli ovvero che il Comune non abbia valutato gli aspetti ambientali, idrogeologici, logistici, connessi all’attività agricola di allevamento.
Nel PUA, nella relazione tecnico costruttiva e nell’elaborato grafico è presente un’ampia e dettagliata indagine della caratterizzazione ambientale, paesaggistica, idrogeologica del contesto territoriale ospite dell’allevamento, da cui la Commissione e l’Ufficio tecnico hanno derivato la più ampia fattibilità dell’opera.
Il motivo IX verteva sulla “Violazione e/o mancata applicazione della normativa generale in materia ambientale”. L’attività in esame non ha natura industriale, essendo a quest’ultima accomunata solamente dal punto di vista igienico sanitario. Ed infatti l’art 216 del TULS ed il d.m. 6 settembre 1994 classificano come attività “industriale” l’allevamento di animali (Punto C.1) senza dimensionare l’impianto. In ogni caso, l’art. 55 della legge regionale n. 38 del 1999 consente esplicitamente la realizzazione, in zona agricola, di stalle e ricoveri per animali.
In fase istruttoria, il Comune e la Commissione agraria hanno catalogato correttamente il progetto come edificazione in zona agricola analizzandone gli impatti così come previsto dalla normativa vigente in materia.
In ordine alla rilevanza degli allevamenti, dal punto vista ambientale, il d.lgs. n. 152 del 2006 prevede tre soglie.
L’autorizzazione integrata ambientale è richiesta esclusivamente per gli allevamenti di pollame con carico superiore a 40.000 capi ma inferiore a 60.000 (All. VIII alla Parte seconda), mentre per quelli superiori ad 85.000 polli è prevista la VIA.
Il carico relativo all’allevamento proposto dall’appellante è pari a 19.000 capi ed è quindi ampiamente al di sotto delle soglie previste.
Le Norme tecniche di attuazione del PRG di (omissis) stabiliscono poi che nella “sottozona” di cui trattasi è applicabile quanto previsto al comma 8 dell’art. 55 della legge regionale n. 38/199; in questo caso la distanza dai confini degli annessi agricoli è ridotta a 5,00 ml e deve essere comunque tale da garantire una distanza minima assoluta di 10 ml dagli edifici esistenti di altra proprietà .
Nel caso in esame, gli annessi agricoli progettati si collocano ad un distanza minima di 15,00 ml, risultando quindi conformi alle suddette prescrizioni.
In ordine al motivo X.A “Problematiche indicenti sui ricorrenti e sulla popolazione residente” l’appellante sottolinea che, secondo le indicazioni dell’art. 57 della l.r. n. 38 del 1999, è necessario prevedere “misure di mitigazione” solamente se necessarie. Nel caso in esame la limitata dimensione dell’allevamento consente di escludere la necessità di misure specifiche come invece previsto per gli allevamenti industriali come definiti dal d.lgs. n. 152 del 2006.
Quanto alle “Problematiche relative all’organizzazione ed al controllo” è poi arbitrario considerare l’allevamento “intensivo”. Ad ogni buon conto, le doglianze sollevate al riguardo attengono non alla realizzazione dell’annesso agricolo ma alla gestione dell’insediamento zootecnico realizzato.
Lo stesso è a dirsi per le “Problematiche relative alla salute umana” e per quelle relative alla salubrità dell’ambiente. La materia è regolamentata dal d.m. 26 febbraio 2016 recante, “Criteri e norme tecniche generali per la disciplina regionale dell’utilizzazione agronomica degli effluenti zootecnici di allevamento” e dal Regolamento Regionale n. 1/2015.
La progettazione delle strutture ha tenuto conto di tutto quanto fosse possibile per mitigare ogni eventuale effetto negativo derivante dall’attività di allevamento.
Relativamente all’utilizzo delle risorse idriche e alla possibilità di inquinamento delle acque di falda, l’appellante sottolinea che l’allevamento è esercitato su una platea in cemento che non consente sversamenti di liquido all’esterno. Inoltre, l’attività si svolge in ambiente confinato e con ventilazione controllata che non permette l’instaurarsi di fermentazioni tali da compromettere la qualità dell’aria, né all’interno del capannone di allevamento, né a maggior ragione all’esterno.
Un allevamento di questo genere ha poi un impatto sul traffico assai modesto, dovuto principalmente agli approvvigionamenti.
Pure indimostrata è la sussistenza di effetti negativi sulle culture biologiche preesistenti.
L’area interessata dall’allevamento è lontana da siti di pregio ambientale.
Quello più vicino è la Se. del La., che dista dal sito interessato quasi 1,00 Km mentre il Fiume Ol. si colloca a quasi 3 Km.
Ad ogni buon conto, l’appellante sottolinea che anche laddove l’insediamento zootecnico fosse stato progettato all’interno di una qualunque delle zone SIC segnalate, lo strumento di tutela del sito non escluderebbe la possibilità di poterlo realizzare anche al suo interno.
Né è immaginabile che un modesto allevamento di tacchini possa avere impatto negativo sull’Oasi del WW. posta ad oltre 13 chilometri.
L’area non è sottoposta a vincolo idrogeologico, non è vincolata paesaggisticamente e non vi sono emergenze archeologiche meritevoli di tutela.
L’XI) motivo di ricorso concerne “violazione e/o mancata applicazione delle disposizioni relative alla fase istruttoria del procedimento”. Al riguardo, l’appellante ha sottolineato che le considerazioni svolte dai ricorrenti sono generiche, bibliografiche, strumentali e prive di ogni riscontro oggettivo come ampiamente documentato.
Infine, il principio di precauzione, invocato con l’ultimo motivo di ricorso, non appare ragionevolmente applicabile ad un piccolo allevamento di tacchini in zona agricola.
4. Si sono costituiti, per resistere, gli appellati, originari ricorrenti.
5. Il Comune di (omissis) ha depositato a sua volta appello avverso la sentenza del TAR, all’uopo deducendo:
I. Error in procedendo. Violazione dell’art. 41 c.p.a. in relazione all’art. 124, d.lgs. n. 267/2000. Circa la tardiva ed inammissibile impugnazione della D.C.C. di (omissis) n. 28/2017, con la quale e stato approvato il PUA presentato dal sig. Se.. Violazione dell’obbligo di interpretazione conforme a Costituzione, in relazione all’art. 117 Cost. ed al regime statale del permesso di costruire in deroga (art. 14, d.P.R. n. 380/2001).
Anche il Comune ha ricordato che, nella Regione Lazio, l’edificazione delle zone agricole è disciplinata dalla l. r. n. 38 del 1999 la quale consente agli imprenditori agricoli di presentare un piano che, in relazione ai risultati aziendali da conseguire (art. 57, comma 5) evidenzi e dimostri la necessità di derogare alla previsione del lotto minimo o alle dimensioni degli annessi agricoli, così garantendo una sintesi armonica tra la libertà di iniziativa economica privata (art. 41 Cost.), l’interesse generale al razionale sfruttamento del suolo e all’equità dei rapporti sociali (art. 44 Cost.), nonché a realizzare, secondo principi promananti dall’ordinamento eurounitario, lo “sviluppo razionale dell’impresa agricola” tendente ad assicurare “un tenore di vita equo alla popolazione agricola” (art. 39 TFUE).
L’art. 57, comma 8, disciplina poi i contenuti della convenzione, nella quale vengono stabiliti gli obblighi dell’imprenditore e la quantificazione dei volumi edificatori funzionali alla realizzazione del piano di sviluppo agricolo proposto.
Il Comune ha richiamato un precedente di questo Consiglio che ha applicato, al riguardo, i principi in tema di “pianificazione urbanistica di attuazione” (sentenza n. 4 del 2017).
Anche la Corte di cassazione ha esaminato “la natura del Piano Aziendale di Sviluppo, il quale può essere qualificato come strumento urbanistico con finalità esecutive e, più precisamente, un piano attuativo convenzionato, alla stregua del piano di lottizzazione” (Cass. pen., sent. n. 36106/2011)
Relativamente alle prescrizioni che, in via immediata, stabiliscono le potenzialità edificatorie della porzione di territorio interessata e all’immediato effetto conformativo dello ius aedicandi, la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto sussistente un onere di immediata impugnativa in osservanza del termine decadenziale a partire dalla pubblicazione dello strumento pianificatorio.
Oltre a richiamare quanto già dedotto dall’appellante signor Se., in ordine alla pubblicazione del PUA e ai relativi effetti, il Comune ha confutato l’assunto del TAR secondo cui l’approvazione del PUA da parte del Consiglio comunale e la sottoscrizione della convenzione si pongono, nel contesto procedimentale, quali meri atti preparatori, funzionali al solo effetto di derogare agli indici urbanistici di zona e, in definitiva, a consentire il rilascio del permesso di costruire.
Il PUA è assimilabile ad uno strumento urbanistico attuativo, e, ove così non fosse, si dovrebbe concludere che la disciplina regionale di riferimento abbia previsto una nuova tipologia di titolo edilizio, contrastante sotto più profili con la disciplina statale del permesso di costruire in deroga (art. 14 del d.P.R. n. 380/2001), violando il riparto di competenza in materia di “governo del territorio”.
Le difformità riguarderebbero:
– il procedimento, poiché la disciplina statale non prevede il parere preventivo della Commissione agraria (art. 57, co. 6, l.r. Lazio n. 38/1999), né la stipula della convenzione urbanistica (art. 57, co. 8, l.r. Lazio n. 38/1999);
– i presupposti, in quanto la disciplina statale non prevede che il permesso in deroga possa essere chiesto dai soli coltivatori diretti o dagli imprenditori agricoli professionali, ovvero – dal punto di vista oggettivo – che il PUA possa riguardare “l’attuazione dei programmi di sviluppo delle aziende agricole” (art. 57, co. 1, d.P.R. n. 380/2001), ovvero ancora che la deroga agli indici per gli annessi agricoli di nuova edificazione possa essere autorizzata “per valide e motivate esigenze di sviluppo delle attività agricole”, mentre il permesso di costruire in deroga può riguardare esclusivamente edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico (art. 14, co. 1, d.P.R. n. 380/2001);
– le finalità, in quanto il permesso in deroga è volto a soddisfare esigenze costruttive stabili ed oggettive, mentre, secondo la disciplina regionale, “la perdita delle qualifiche [soggettive] previste dall’art. 57, comma 1, all’atto del fine lavori e alla conclusione del procedimento di presentazione della SCIA amministrativa per l’inizio attività … comporta che le opere realizzate a seguito del PUA sono da considerarsi difformi rispetto al titolo abilitativo edilizio” (art. 57, co. 10, l.r. Lazio n. 38/1999);
– gli effetti, in quanto il permesso di cui all’art. 14, d.P.R. n. 380/2001 consente di derogare (in via definitiva) ai soli limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati, mentre la norma regionale, oltre che autorizzare la deroga alla disciplina del lotto minimo, è il presupposto essenziale per “la realizzazione delle strutture a scopo abitativo” (art. 57, co. 2, lett. e, l.r. Lazio n. 38/1999);
II. Error in procedendo. Sulla legittimazione ed interesse ad agire dei ricorrenti.
Invero, né i ricorrenti né il giudice di primo grado hanno fornito alcuna prova concreta a sostegno dell’affermazione per cui il potenziale impatto dell’allevamento andrebbe ben oltre l’ambito dei fondi finitimi, interessando l’intero territorio di (omissis).
Al riguardo, i documenti depositati dalle controparti sono solo estratti da pagine web contenenti articoli di carattere generale, senza nessuna attinenza con il modesto allevamento avicolo progettato dal signor Se..
I ricorrenti – non confinanti con l’area oggetto della costruzione e nemmeno residenti nel territorio comunale (ove dispongono solo di seconde case usate per villeggiatura) – contestano l’edificazione e la modesta iniziativa in esame, senza però addurre concretamente, al di là di mere petizioni di principio, alcun pregiudizio ai loro interessi;
III. Error in procedendo. Inammissibilità dell’ottavo motivo di ricorso in relazione all’impugnazione del permesso di costruire n. 01/2018 del Comune di (omissis).
L’impugnativa proposta dai ricorrenti si dirige nei confronti dell’attività di allevamento; mai essi contestano direttamente l’edificazione dei capannoni, strumentali all’esercizio dell’attività .
Invero, impugnando il permesso a costruire, le contestazioni hanno riguardato in radice la stessa possibilità di edificare l’area (l’an dell’edificazione).
Ove il TAR Lazio avesse correttamente ricostruito la natura e gli effetti del PUA approvato – conseguentemente dichiarandone l’irricevibilità in parte qua per tardiva impugnazione rispetto alla pubblicazione – allora avrebbe anche dovuto dichiarare l’inammissibilità della restante parte di ricorso (segnatamente, del motivo di censura poi accolto nel merito), in quanto l’annullamento del permesso di costruire avrebbe costituito, in ogni caso, esito processuale inidoneo a garantire l’interesse sostanziale dedotto in giudizio dai ricorrenti.
L’annullamento del solo permesso di costruire, infatti, non avrebbe intaccato il nesso di funzionalità, favorevolmente apprezzato dal Comune di (omissis), tra l’impianto dell’allevamento di tacchini ed il volume edificatorio all’uopo riconosciuto al sig. Se. per la costruzione degli annessi agricoli.
Né tale annullamento del permesso di costruire avrebbe potuto discendere – come invece è accaduto – per asserita invalidità derivata del procedimento di approvazione del PUA;
IV. Error in iudicando. Sulla motivazione del parere espresso dalla Commissione agraria.
La Commissione ha esaminato e valutato la relazione ed il progetto di PUA presentato dal signor Se., eseguendo anche un sopralluogo sul posto. Essendo analiticamente e normativamente predeterminati i parametri sui quali la Commissione avrebbe dovuto rendere il proprio parere, il giudizio favorevole espresso rende evincibile senza incertezze il collegamento con l’istruttoria condotta, così da non consentire dubbi sul contenuto dell’atto e sul suo fondamento.
5. Con memorie del 9 febbraio 2019 e 5 marzo 2019, gli appellati hanno controdedotto alle impugnative testé sintetizzate nonché riproposto i motivi di ricorso assorbiti dal TAR
In primo luogo hanno evidenziato che, anche a volere considerare “tardiva” l’impugnazione del PUA, tanto ridonderebbe non già nell’inammissibilità dell’intero ricorso, ma – al più – solo di alcuni dei motivi ivi prospettati, rimanendo invece ammissibili quelli che riguardano il titolo edilizio.
Gli originari ricorrenti hanno sostenuto, peraltro, che il PUA vada inquadrato nell’ambito di un procedimento unitario che prende avvio dalla proposizione del progetto e si conclude con il rilascio del titolo edilizio.
In sostanza, in difetto del rilascio del permesso di costruire, il PUA rimarrebbe privo di effetti e quindi inutiliter datum.
In ogni caso, poiché il PUA incide anche sugli interessi degli odierni esponenti, essi ritengono che avrebbero dovuto essere coinvolti nel procedimento di approvazione, ai sensi e per gli effetti dell’art. 7 della l. n. 241/1990.
Gli appellati hanno ribadito, altresì, che solo attraverso l’istanza di accesso hanno potuto acquisire piena conoscenza dei lavori che il Comune di (omissis) aveva autorizzato.
Peraltro, anche a volere ipotizzare una conoscenza pregressa in capo alla richiedente l’accesso (la signora Schenk) o ad alcuni dei ricorrenti (sulla scorta degli elementi “indiziari” dedotti ex adverso) ciò non escluderebbe che gli altri la abbiamo acquisita successivamente.
Gli appellati hanno evidenziato, altresì, che non risulta che il cartello di cantiere sia stato mai affisso, o, comunque, ciò non è avvenuto contestualmente alla – ignota – data avvio dei lavori (che il Comune indica nel 23.02.2018).
Quanto alla legittimazione, il danno che verrebbe loro inferto a seguito della contestata edificazione inerisce alla proprietà (ovvero incide in negativo sul valore dell’immobile), e, comunque, pregiudicherebbe anche un uso non continuativo, id est “non residenziale”, di esso (es.: estivo e/o stagionale).
Relativamente alle critiche svolte avverso le argomentazioni articolate dal TAR in ordine all’unico motivo esaminato, gli appellati hanno ribadito che la Commissione agraria non ha espresso, a loro dire, alcuna valutazione, limitandosi a riportare l’inciso “parere favorevole” e quindi obliterando l’obbligo motivazionale imposto dall’art. 3 della l. n. 241/1990 e dagli stessi art. 57 e 59, comma 6 della legge della Regione Lazio, n. 38/1999.
Gli appellati non contestano che la scelta finale spetti al Comune ma mettono in luce che la legge prevede come indispensabile l’apporto tecnico della Commissione.
In altri termini, il fatto che la Commissione si sia limitata ad esprimere “parere favorevole”, senza nemmeno dare conto di avere analizzato il progetto, comproverebbe che la stessa non ha svolto alcuna istruttoria.
Gli appellati hanno poi stigmatizzato il fatto che nell’appello del sig. Se. siano state spiegate anche le difese relative ai motivi assorbiti dal TAR, prima ancora della loro formale riproposizione.
Essi hanno comunque riproposto i motivi assorbiti, sia attraverso il richiamo al contenuto del ricorso di primo grado (che hanno allegato) sia attraverso la specifica riproposizione delle seguenti doglianze.
I. Violazione del principio di gerarchia Piani Urbanistici/Titoli edilizi – Contraddittorietà tra le due autorizzazioni [All. C, MOTIVO I, pagg. 16-17]
Il PUA avrebbe autorizzato la costruzione di un solo capannone. Più precisamente, nel § 2.2.1 del Piano presentato (“Dettaglio degli investimenti – Realizzazione fabbricato”) si prevede, testualmente, che “Il progetto prevede…la realizzazione di un capannone (il Fabbricato A); nella planimetria compare il Capannone B che sarà realizzato con un successivo permesso di costruire”.
La Relazione Tecnica allegata alla richiesta di PdC, sia alla pag. 1 (intestazione) che alla successiva pag. 4 (nel § titolato “Previsioni di Progetto”), prevede la “realizzazione di due capannoni avicoli”. Analoghe conclusioni possono trarsi dagli ulteriori allegati, nonché dal Computo Metrico Estimativo;
II. Violazione e/o erronea applicazione dell’art. 57 l.r. n. 38 del 1999 – Erronea stima dei costi e conseguente illegittimità della convenzione e della polizza fideiussoria. [All. C, MOTIVO II, pagg. 17-19].
La convenzione e la polizza afferenti al PUA sarebbero illegittime in quanto i costi ivi indicati sarebbero stati erroneamente conteggiati sulla base dei documenti di spesa relativi al progetto, in particolare il computo metrico estimativo e, comunque, sarebbero sottostimati;
III. Violazione e/o elusione del r.d. n. 274 del 1929 e del d.P.R. n. 380 del 2001 oltre che della N.T. 2008 e dell’OPCM n. 3274/2003 – Difetto e lacunosità dell’istruttoria [All. C, MOTIVO III, pagg. 19-23].
Il Direttore dei Lavori nominato è un geometra, e, come tale, non in possesso delle qualifiche necessaria ex lege per tale incarico;
IV. Violazione e/o erronea applicazione dell’art. 57, comma 1, l.r. n. 38 del 1999, anche in combinato disposto con gli articoli 1, l.n. 99/2004 e 2135 c.c. – Travisamento e/o omessa e/o carente valutazione dei requisiti del richiedente il PUA e il PDC [All. C, MOTIVO IV, pagg. 23-26].
Il signor Se. non poteva ritenersi qualificato alla stregua di un imprenditore agricolo, in conformità a quanto previsto dall’art. 57, comma 1, della legge della Regione Lazio n. 38/1999;
V. Violazione e/o erronea applicazione dell’art. 57, comma 1, l.r. n. 38 del 1999 sotto altro profilo – Travisamento e/o erronea valutazione – Sviamento [All. C, MOTIVO V, pagg. 26-28]
Il signor Se. non aveva la proprietà delle aree interessate dall’intervento, al momento della presentazione della domanda, e queste, in ogni caso, non sarebbero state pertinenti all’azienda agricola, che sorge in altra località ;
VI. Sotto altro profilo – Travisamento e/o erronea valutazione – Sviamento [All. C, MOTIVO VI, pagg. 28-32]
L’art. 57 consentirebbe di effettuare interventi edilizi in deroga soltanto su immobili che siano già esistenti. Nel caso di specie, l’appellante non disponeva di nessun immobile all’interno dell’area, come confermato dalla stessa Relazione tecnica allegata alla domanda di PUA, né possono essere considerati tali il “fabbricato rurale”, sia perché acquistato dopo la presentazione della domanda, sia perché semplice “annesso agricolo”. Inoltre, l’azienda agricola dello stesso non ha mai svolto attività di allevamento, e quindi non rientrerebbe nell’ambito di applicazione della succitata norma di legge regionale, che ha come finalità quella di favorire il miglioramento delle attività (già ) svolte;
VII. Violazione e/o erronea applicazione degli articoli 57 e 59 della l. r. n. 38 del 1999. Mancata applicazione dell’art. 36, comma 2, l.r. n. 14 del 1999 – lacunosità e/o insufficienza dell’istruttoria [All. C, MOTIVO VII, pagg. 32-33].
Il Comune avrebbe autorizzato delle deroghe edilizie ulteriori rispetto a quelle consentite dalla disciplina regionale. Inoltre, non sarebbe stato chiesto il parere del competente organo provinciale, in violazione del disposto dell’art. 36, co. 2, lett. a), della l.r. n. 14/1999;
IX. Violazione e/o erronea applicazione dei commi 2 e 8 dell’art. 57 e dell’art. 55 della l.r. n. 38 del 1999 – Mancata applicazione della normativa ambientale (d.lgs. n. 152 del 2006) – Violazione dell’art. 117, comma 2, lett. s) Cost. e del d.P.R. n. 380 del 2001 – Mancata applicazione d.m. 5 settembre 1994 e del T.U.L.S. – Difetto di istruttoria – Erroneo inquadramento dell’attività di allevamento – Travisamento e sviamento [All. C, MOTIVO IX, pagg. 37-43]
Il PdC è stato rilasciato senza alcuna verifica sull’applicabilità delle disposizioni di legge in materia ambientale, ovvero senza applicazione di esse, e, soprattutto, senza la previsione di alcuna misura di mitigazione e/o di prevenzione dei fattori di rischio legati alla tutela della salute, quale materia a presidio costituzionale e di competenza esclusiva della legislazione statale ex art. 117 Cost..
In ogni caso, andavano applicate le disposizioni di cui al D.M. 5 settembre 994 e quelle del T.U.L.S., che impongono specifiche prescrizioni e misure di prevenzione, considerando che gli allevamenti di animali sono sempre considerati alla stregua di “industrie insalubri”, specie se collocati in zone residenziali e/o comunque abitate. L’attività edilizia assentita dal Comune andrebbe quindi a realizzare una vera e propria “attività industriale” in zona agricola, in spregio al divieto posto dall’art. 55 della succitata Legge. Il PdC non è stato sottoposto alla procedura di Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) prevista dall’art. 3 del d.lgs. n. 152 del 2006 né alla procedura di VIA, in relazione agli indubbi riflessi ed impatti sull’ambiente che l’impianto arrecherà sul territorio. In ogni caso, gli allevamenti degli animali, qualunque sia la loro consistenza, sono inclusi tra le lavorazioni insalubri di prima classe in considerazione dei cattivi odori, rumori, rifiuti liquidi o solidi che essi comportano (ex plurimis, Cons. Stato, Sez. III, 12 giugno 2015, n. 2900; id., Sez. V, 4 settembre 2013, n. 4409).
Né sarebbero state rispettate le prescrizioni in materia di distanze tra i “capannoni” ovvero l’allevamento ed i fabbricati e/o i terreni degli odierni istanti, siccome anch’esse fissate ex lege, nonché in virtù del vigente Regolamento comunale e/o di Igiene, ove approvato dal Comune di (omissis);
X. Violazione e/o mancata applicazione della generale normativa ambientale – Mancata considerazione dei vincoli paesaggistici, naturalistici ed ambientali – Violazione delle norme igieniche e sanitarie – Mancanza di istruttoria su tali profili – Omessa considerazione delle conseguenze dell’insediamento produttivo sul territorio [All. C, MOTIVO X, X.AX. B – pagg. 43-55]
Il Comune di (omissis), nell’autorizzare il PUA, prima, ed il PdC, poi, non avrebbe minimamente tenuto in considerazione le rilevantissime “criticità ” e gli “impatti” che l’insediamento dell’allevamento avrebbe portato sul territorio. Relativamente a tali problematica, gli appellati hanno rinviato ai punti X.A e X.B del ricorso introduttivo e relativi allegati documentali;
XI. Violazione e/o erronea applicazione dell’art. 87, comma 6, della legge della Regione Lazio n. 38 del 1988, sotto ulteriore profilo – Violazione art. 1, legge n. 241/90 – Totale assenza di istruttoria e mancata valutazione delle questioni connesse all’intervento [All. C, MOTIVO XI, pag. 55-57].
Il Comune di (omissis) non avrebbe dato corso ad alcuna istruttoria, né in ordine all’adozione del PUA né con riferimento al rilascio del PdC,;
XII. Mancata applicazione del principio di precauzione – Mancata imposizione di misure di mitigazione e/o prevenzione – Totale assenza di istruttoria – Abnormità del PDC [All. C, MOTIVO XII, pag. 57-60]
Non sarebbero state prescritte le dovute misure di mitigazione e/o di prevenzione dei rischi per la salute e per l’ambiente, e ciò renderebbe illegittimo non solo il PUA, ma anche lo stesso PdC.
6. Le parti hanno depositato ulteriori memorie
Il Comune di (omissis) ha evidenziato:
– relativamente al primo motivo di appello che nella planimetria allegata al PUA figura anche il capannone B (del quale era stata pianificata la realizzazione); l’importo indicato a pag. 16 del PUA è in tutto coincidente con quello esposto nel CME a fondamento del permesso di costruire, dal quale si evince la previsione di due capannoni avicoli; vi è perfetta corrispondenza tra le localizzazioni e gli indici edificatori approvati con il PUA con quanto autorizzato nel permesso di costruire;
– ai geometri è riconosciuta specifica competenza relativamente a “progetto, direzione, sorveglianza e liquidazione di costruzioni rurali e di edifici per uso di industrie agricole, di limitata importanza, di struttura ordinaria, comprese piccole costruzioni accessorie in cemento armato, che non richiedano particolari operazioni di calcolo e per la loro destinazione non possono comunque implicare pericolo per la incolumità delle persone”. A tale disposizione si aggiunge l’art. 57 della legge 2 marzo 1949, n. 11, relativa alla tariffa degli onorari per le prestazioni professionali dei geometri, che nella categoria “Costruzioni rurali, modeste costruzioni civili, edifici pubblici per comuni fino a 10.000 abitanti, cui si applicano le tabelle H ed I”, prevede le “costruzioni per aziende rurali con annessi edifici per la conservazione dei prodotti o per industria agraria, le case di abitazione popolari nei centri urbani, gli edifici pubblici, magazzini, capannoni…”.
– l’art. 6, comma 13, d.lgs. n. 152/2006, prevede che l’autorizzazione integrata ambientale è necessaria per gli allevamenti di pollame con più di 40.000 capi; l’art. 7 bis, d.lgs. n. 152/2006, dispone che “Sono sottoposti a VIA in sede regionale, i progetti di cui all’allegato III alla parte seconda del presente decreto” e, a sua volta, l’allegato III alla parte seconda, include nella categoria gli “Impianti per l’allevamento intensivo di pollame o di suini con più di: – 85.000 posti per polli da ingrasso, 60.000 per galline”; l’allevamento autorizzato al sig. Se., pari a 19.000 posti, è ben al di sotto degli esposti limiti dimensionali;
– l’area di insistenza dell’allevamento è lontana diversi chilometri dal centro abitato di (omissis), è priva di abitazioni civili nell’intorno e non è interessata da vincoli paesaggistici, archeologici, idrogeologici o da fasce di rispetto. I documenti depositati dalle controparti e asseritamente destinati a dimostrare il contrario sono, in realtà, solo estratti da pagine web contenenti articoli di carattere generale, senza nessuna attinenza con il territorio comunale di (omissis) o con il modesto allevamento avicolo progettato dal sig. Se..
Gli appellati, dal canto loro, hanno ribadito che l’intero procedimento che ha portato all’approvazione del PUA, pur involgendo anche le posizioni e gli interessi dei soggetti residenti, se non dell’intera collettività comunale, quanto meno in funzione dei riflessi sui “beni diffusi” (ambiente, salute, etc.), non li ha coinvolti in alcun modo, ragion per cui l’effettiva conoscenza di tale “strumento” non poteva che farsi decorrere da quella del titolo edilizio, rispetto al quale il ricorso dovrebbe ritenersi senz’altro tempestivo.
In replica, il sig. Se. ha infine osservato che l’approvazione del PUA rientra nella discrezionalità del Consiglio comunale essendo in gioco, come chiarito anche dalla Regione Lazio, discrezionalità non solo tecnica, bensì estesa a scelte e valutazioni in ordine all’assetto urbanistico di una porzione del territorio rurale, in deroga ai criteri configurati in via generale dalla legge regionale.
7. Gli appelli sono stato trattenuti in decisione alla pubblica udienza del 10 ottobre 2019.
8. La legge della Regione Lazio, n. 38 del 22 dicembre 1999 (“Norme sul governo del territorio”), disciplina l’edificazione in zona agricola agli articoli 54 e seguenti (Capo II del Titolo IV).
In particolare, l’art. 54, comma 1, dispone che “Fatto salvo quanto previsto dalla legge regionale 6 ottobre 1997, n. 29, dalla legge regionale 6 luglio 1998, n. 24 e dalla legge regionale 2 novembre 2006, n. 14, e successive modifiche, nelle zone agricole è vietata:
a) ogni attività comportante trasformazioni del suolo per finalità diverse da quelle legate allo svolgimento delle attività di cui al comma 2;
b) ogni lottizzazione a scopo edilizio;
c) l’apertura di strade interpoderali che non siano strettamente necessarie e funzionali allo svolgimento delle attività di cui al comma 2”.
Secondo il comma 2 della medesima disposizione, “Nel rispetto degli articoli 55, 57 e 57-bis e dei regolamenti ivi previsti, nelle zone agricole sono consentite le seguenti attività :
a) le attività agricole tradizionali quali la coltivazione del fondo, la zootecnia, l’itticoltura e la silvi-coltura, nonché le ulteriori attività connesse con l’attività agricola nel rispetto della vigente normativa di settore;
b) le seguenti attività integrate e complementari all’attività agricola e compatibili con la destinazione di zona agricola:
1) ricettività e turismo rurale;
2) trasformazione e vendita diretta dei prodotti derivanti dall’esercizio delle attività agricole;
3) ristorazione e degustazione dei prodotti tipici derivanti dall’esercizio delle attività agricole;
4) attività culturali, didattiche, sociali, ricreative e terapeutico riabilitative;
5) accoglienza ed assistenza degli animali. […]”.
L’art. 55, comma 1, prevede poi che “Fermo restando l’obbligo di procedere prioritariamente al recupero delle strutture esistenti, la nuova edificazione in zona agricola è consentita soltanto se necessaria per l’esercizio delle attività di cui all’articolo 54, comma 2, nel rispetto di quanto previsto dal presente articolo e dagli articoli 57 e 57-bis”.
Secondo l’art. 57, “I CD, così come definiti dagli articoli 1 e 2 della L. 1047/1957 e gli IAP, singoli o associati, così come definiti all’articolo 1 del D.Lgs. 99/2004, possono presentare al comune un PUA per l’attuazione dei programmi di sviluppo delle aziende agricole” (comma 1).
Inoltre “Il PUA deve indicare i risultati aziendali che si intendono conseguire ed è richiesto per:
a) la demolizione e ricostruzione con sagoma diversa ed eventuale delocalizzazione all’interno della stessa azienda agricola degli edifici legittimi esistenti con l’obbligo di non superare le superfici lorde utili e di non modificare le destinazioni d’uso esistenti;
b) la deroga all’altezza degli annessi agricoli di cui all’articolo 55, comma 6, esclusivamente per comprovate esigenze tecniche;
c) la deroga alle dimensioni del lotto minimo per gli annessi agricoli di cui all’articolo 55, comma 6 e comunque nel rispetto dell’unità minima aziendale;
d) la deroga agli indici per gli annessi agricoli di nuova edificazione di cui all’articolo 55, comma 6 e comunque nel rispetto delle dimensioni del lotto minimo, esclusivamente per valide e motivate esigenze di sviluppo delle attività agricole di cui all’articolo 54, comma 2, lettera a;
e) la realizzazione delle strutture a scopo abitativo” (comma 2).
Il PUA contiene:
“a) la descrizione dello stato attuale dell’azienda agricola nelle sue componenti produttive, edilizie e infrastrutturali;
b) la descrizione degli eventuali interventi programmati per lo svolgimento delle attività agricole con particolare riferimento alle linee di sviluppo dell’azienda;
c) la descrizione dei fabbricati esistenti e l’individuazione dei fabbricati presenti nell’azienda ritenuti non più rispondenti alle finalità economiche e strutturali descritte dal programma di sviluppo aziendale;
d) la descrizione dettagliata degli interventi edilizi e di quelli infrastrutturali previsti nonché di quelli finalizzati alla tutela e alla valorizzazione ambientale” (comma 5).
Il Piano è sottoposto “al preventivo parere di una commissione, denominata “Commissione agraria”, nominata dal comune, di cui fanno parte un rappresentante della struttura comunale competente e due esperti esterni dottori agronomi forestali o periti agrari, ovvero agrotecnici o agrotecnici laureati ovvero da geometri indicati dalle organizzazioni professionali del settore agricolo, dagli ordini e dai collegi professionali del settore agricolo. La Commissione agraria dura in carica cinque anni e i suoi membri possono essere confermati una sola volta. Gli oneri per il funzionamento della Commissione sono a carico del comune che l’ha istituita, il quale può, con apposita deliberazione, determinare le relative spese di istruttoria. La Commissione agraria si esprime in merito:
a) alla verifica dei presupposti agronomici e/o forestali ed economico-produttivi;
b) alla verifica degli aspetti paesistico-ambientali ed idrogeologici;
c) alla verifica di coerenza e di compatibilità con i piani sovraordinati generali e di settore;
d) alla verifica dei requisiti soggettivi del proponente;
e) alla verifica delle caratteristiche dell’azienda agricola;
f) in relazione agli impianti destinati alla produzione di calore e di elettricità alimentati da biomasse, alla verifica della rispondenza degli stessi alle reali esigenze dell’azienda agricola e della proporzionalità rispetto alla tipologia ed alle dimensioni dell’azienda stessa;
g) alla verifica della effettiva necessità di realizzazione delle opere infrastrutturali proposte nonché la possibilità di soluzioni alternative di minor impatto e della mitigazione degli effetti” (comma 6).
Il Piano, oltre a quanto previsto dall’articolo 76, stabilisce in particolare l’obbligo per il richiedente di:
“a) effettuare gli interventi previsti dal programma, in relazione ai quali è richiesta la realizzazione di nuove costruzioni rurali;
b) non modificare la destinazione d’uso rurale delle costruzioni esistenti o recuperate necessarie allo svolgimento delle attività di cui all’articolo 54, comma 2;
c) non modificare la destinazione d’uso rurale delle nuove costruzioni;
d) non alienare separatamente dalle costruzioni il fondo” (art. 57, comma 8, della l.r. n. 38 del 1999).
8.1. Il Piano di utilizzazione aziendale, di cui si è testé sintetizzata la disciplina, costituisce uno strumento urbanistico di dettaglio (Cons. Stato, sez. IV, sentenza n. 4 del 3 gennaio 2017), funzionale alla concreta realizzazione delle scelte urbanistiche delineate dal P.R.G. (Cass. penale sez. III, 5 ottobre 2011, n. 36106).
Nella fattispecie, gli appelli risultano manifestamente fondati nella parte in cui si dolgono della reiezione da parte del TAR dell’eccezione di irricevibilità dell’impugnativa del Piano presentato dal signor Se., in quanto interposta dagli originari ricorrenti quasi un anno dopo l’approvazione da parte del Consiglio Comunale e la pubblicazione all’Albo Pretorio.
Al riguardo, il primo giudice ha osservato che “Il PUA […] non è integralmente e generalmente assoggettabile alla stessa disciplina degli strumenti di pianificazione urbanistica attuativa (ivi inclusa la disciplina attinente al relativo regime di impugnabilità ), in quanto costituisce più semplicemente l’esplicazione di una potestà derogatoria circoscritta nei limiti e per gli effetti di cui all’art. 57, comma 1 e dell’art. 55, comma 10 della L.R. n. 38/1999”.
Tale statuizione non trova supporto nella disciplina vigente nella Regione Lazio.
Al riguardo, giova evidenziare che il permesso di costruire in deroga – secondo il modello regolato in sede statale – è un istituto di carattere eccezionale “giustificato dalla necessità di soddisfare esigenze straordinarie rispetto agli interessi primati garantiti dalla disciplina urbanistica generale e, in quanto tale, applicabile esclusivamente entro i limiti tassativamente previsti dall’art. 14 d.P.R. n. 380 del 2001” (Cassazione penale sez. III, 31 marzo 2011, n. 16591), e comunque esclusivamente in ordine ad “edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico”.
La legislazione urbanistica della Regione Lazio, al contrario, configura il PUA come uno strumento obbligatorio per l’edificazione in zona agricola nelle ipotesi indicate dall’art. 55, comma 2, della l.r. n. 38 del 1999.
Si tratta pertanto di una modalità, non eccezionale bensì ordinaria, di attuazione degli strumenti urbanistici in zona agricola, il cui elemento qualificante non è rappresentato dalle eventuali deroghe necessarie per realizzare gli annessi agricoli di nuova edificazione bensì dagli obiettivi di sviluppo aziendale, così come descritti dallo stesso PUA.
In tale prospettiva, il rilascio del permesso di costruire in deroga (ove lo richiedano “comprovate esigenze tecniche” ovvero le “esigenze di sviluppo delle attività agricola”), non è l’atto conclusivo del procedimento di approvazione ma una modalità di attuazione del Piano, come peraltro reso evidente dalla stipula della convenzione, con la quale il richiedente assume, tra gli altri, l’obbligo di “a) effettuare gli interventi previsti dal programma, in relazione ai quali è richiesta la realizzazione di nuove costruzioni rurali” (art. 57, comma 8, della l.r. n. 38 del 1999).
8.2. La manifesta irricevibilità dell’impugnativa del Piano di utilizzazione aziendale, esime il Collegio dall’esaminare i motivi del ricorso di primo grado che ad esso specificamente si riferiscono.
Per quanto occorrer possa osserva però che si appalesa infondata, al riguardo, l’unica censura esaminata e accolta dal TAR, relativa al difetto di motivazione del parere della Commissione agraria, disciplinato dall’art. 57, comma 6, della l.r. n. 38 del 1999.
Secondo il primo giudice, poiché il testo della disposizione, sopra riportata, adopera la dizione “La Commissione agraria si esprime in merito”, esso postulerebbe non solo che i singoli profili indicati vengano valutati, ma anche che dette valutazioni debbano essere “distintamente rese manifeste nel testo del parere”.
Il Collegio ricorda che il difetto di motivazione sussiste solo quando non sia possibile ricostruire il percorso logico-giuridico seguito dall’autorità emanante e siano incomprensibili le ragioni sottese alla determinazione assunta; né l’obbligo per l’autorità di motivare il provvedimento può ritenersi violato qualora, anche a prescindere dal tenore letterale dell’atto finale, i documenti dell’istruttoria abbiano una propria autosufficienza e, in quanto richiamati “per relationem”, offrano comunque elementi sufficienti e univoci dai quali possano ricostruirsi le concrete ragioni poste a sostegno della determinazione assunta (Cons. Stato, sez. V, sentenza n. 2011 del 21 aprile 2015).
Nel caso in esame, la formulazione della disposizione regionale, interpretata alla luce del canone esegetico testé evidenziato, non esclude affatto che, in caso di esito positivo, il giudizio della Commissione possa raccordarsi, per relationem, agli stessi contenuti del Piano i quali, ai sensi della prefata disposizione, costituiscono oggetto di valutazione.
In tale ipotesi, spetta quindi ai ricorrenti che intendano contestare la valutazione della Commissione di individuarne profili di manifesta irragionevolezza, erroneità e/o travisamento dei fatti.
Nel caso in esame, al contrario, se può convenirsi con il primo giudice che il PUA presenti aspetti che richiedono l’esercizio di un certo grado di discrezionalità tecnica e/o amministrativa (quali, ad esempio, quelli relativi alla “verifica della effettiva necessità di realizzazione delle opere infrastrutturali proposte nonché la possibilità di soluzioni alternative di minor impatto e della mitigazione degli effetti” – art. 57, comma 6, lett. g) della l.r. n. 38 del 1999), tuttavia gli originari ricorrenti non hanno né allegato né comprovato l’esistenza di specifici vincoli ambientali e/o paesaggistici tali da rendere inattendibile il parere favorevole reso dalla Commissione e recepito dal Consiglio Comunale.
Essi, del resto, più in generale, non sono stati in grado di allegare (né tantomeno comprovare) quali concreti aspetti del progetto presentato dal signor Se. si pongano in contrasto con le vigenti norme igienico – sanitarie e/o ambientali, solo genericamente invocate.
9. Ciò posto, relativamente all’impugnativa del permesso di costruire, si può prescindere dalle eccezioni preliminari, di irricevibilità e di difetto di legittimazione riproposte dagli appellanti, in quanto il ricorso di primo grado era, in tale parte, infondato.
9.1. E’ anzitutto infondata la censura che ravvisa una difformità del permesso di costruire rispetto al PUA sol perché, nella Relazione allegata al Piano, la costruzione del capannone B (pur esso riportato nella planimetria relativa alla “localizzazione complessiva dell’intervento su base catastale”), era stata originariamente rinviata nel tempo (“sarà realizzato con un successivo permesso di costruzione”).
E’ infatti evidente che la realizzazione del secondo capannone (con relativa localizzazione e dimensionamento) era stata comunque già approvata dal Comune di (omissis), sicché il fatto che il signor Se., a differenza di quanto originariamente programmato, abbia poi richiesto di realizzare gli interventi contestualmente, non rende per ciò solo siffatta iniziativa difforme dal PUA, che comunque contemplava l’intervento nel suo complesso.
9.2. Anche il motivo con cui si contesta la competenza professionale del geometra, direttore dei lavori, è infondato.
Le opere in contestazione consistono nella “realizzazione di una fondazione in cls armato per la successiva posa in opera dei capannoni da allevamento a tunnel prefabbricati. Le sovrastrutture saranno realizzate in acciaio, con tamponature e copertura in pannelli ‘sandwich'”.
Al riguardo, sono stati gli stessi originari ricorrenti ad evidenziare, nel corpo del ricorso introduttivo che “il progetto c.d. strutturale è stato – correttamente – redatto da un Ingegnere, che ha proceduto al deposito ai fini dell’ottenimento dell’autorizzazione sismica” (pag. 16).
Essi hanno contestato, invece, che il geometra De Ca. sia stato designato “Direttore dei Lavori” e abbia firmato il “progetto architettonico”.
9.2.1. Secondo l’art. 16 del r.d. 11 febbraio 1929 n. 274 la competenza professionale dei geometri riguarda “progetto, direzione, sorveglianza e liquidazione di costruzioni rurali e di edifici per uso d’industrie agricole, di limitata importanza, di struttura ordinaria, comprese piccole costruzioni accessorie in cemento armato, che non richiedono particolari operazioni di calcolo e per la loro destinazione non possono comunque implicare pericolo per la incolumità delle persone” (lett. l), nonché “progetto, direzione e vigilanza di modeste costruzioni civili” (lett. m).
Il criterio per accertare se una costruzione sia da considerare modesta e, quindi, se la sua progettazione rientri nella competenza professionale dei geometri, consiste nel valutare le difficoltà tecniche che la progettazione e l’esecuzione dell’opera comportano e le capacità occorrenti per superarle; a questo fine, mentre non è decisivo il mancato uso del cemento armato (ben potendo anche una costruzione “non modesta” essere realizzata senza di esso), assume significativa rilevanza il fatto che la costruzione sorga in zona sismica, con conseguente assoggettamento di ogni intervento edilizio alla normativa di cui alla l. 2 febbraio 1974 n. 64, la quale impone calcoli complessi che esulano dalle competenze professionali dei geometri (cfr. Cons. Stato, sez. V, 23 febbraio 2015, n. 883).
Peraltro, in caso di complessiva modestia dell’opera, la circostanza che comunque i calcoli relativi alle opere in cemento armato siano stati curati da un professionista abilitato consente di considerare legittimo il titolo abilitativo rilasciato su progetto redatto da un geometra (Cons. Stato, sez. IV, 28 novembre 2012, n. 6036).
Giova altresì richiamare quanto argomentato nel parere della Sezione II^ di questo Consiglio, n. 2359 del 4 settembre 2015.
In base al principio generale della collaborazione tra titolari di diverse competenze professionali, nulla impedisce che la progettazione e direzione dei lavori relativi alle opere in cemento armato sia affidata al tecnico in grado di eseguire i calcoli necessari e di valutare i pericoli per la pubblica incolumità, e che l’attività di progettazione e direzione dei lavori, incentrata sugli aspetti architettonici della “modesta” costruzione civile, sia affidata, invece, al geometra.
Non si tratta, quindi, di assicurare la mera presenza di un ingegnere progettista delle opere in cemento armato, che controfirmi o si limiti ad eseguire i calcoli (Cass. civ., Sez. II, 2 settembre 2011, n. 18038). Il professionista, che svolge la progettazione con l’uso del cemento armato, deve pertanto essere competente a progettare e ad assumersi la responsabilità del segmento del progetto complessivo riferito alle opere in cemento armato (TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, 18 aprile 2013, n. 361, ed implicitamente TAR Marche, Ancona, 11 luglio 2013, n. 559), nel senso appunto che l’incarico non può essere affidato al geometra, che si avvarrà della collaborazione dell’ingegnere, ma deve essere sin dall’inizio affidato anche a quest’ultimo per la parte di sua competenza e sotto la sua responsabilità (Cass. Civ. Sez. II, 30 agosto 2013, n. 19989).
Nel caso di specie risulta, per come ammesso dagli stessi ricorrenti, che il “progetto c.d. strutturale è stato – correttamente – redatto da un Ingegnere, che ha proceduto al deposito ai fini dell’ottenimento dell’autorizzazione sismica”.
Si deve pertanto ritenere che lo stesso abbia redatto anche il segmento del progetto complessivo riferito alle opere in cemento armato, assumendosene la responsabilità .
10. Per quanto testé argomentato, gli appelli, principale ed incidentale, debbono essere accolti, con la conseguente riforma della sentenza impugnata.
Ne consegue che il ricorso di primo grado, deve essere dichiarato in parte irricevibile e respinto per il resto.
Le spese del doppio grado di giudizio, in relazione alla novità della questione, possono essere compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello n. 302 del 2019, nonché sull’appello incidentale, di cui in premessa, li accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, dichiara il ricorso di primo grado, in parte, irricevibile, e lo respinge per il resto.
Compensa tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 ottobre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Paolo Troiano – Presidente
Leonardo Spagnoletti – Consigliere
Giuseppe Castiglia – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere
Silvia Martino – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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