Il lungo tempo trascorso dalla realizzazione dell’opera abusiva

Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 10 luglio 2020, n. 4425.

La massima estrapolata:

Il lungo tempo trascorso dalla realizzazione dell’opera abusiva non è idoneo a radicare in capo al privato interessato alcun legittimo affidamento in ordine alla conservazione di una situazione di fatto illecita, per cui, anche in tal caso, l’ordine di demolizione assume carattere doveroso e vincolato e la sua emanazione non richiede alcuna motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso.

Sentenza 10 luglio 2020, n. 4425

Data udienza 2 luglio 2020

Tag – parola chiave: Abusi edilizi – Ordine di demolizione – Lungo tempo trascorso dalla realizzazione dell’opera – Legittimo affidamento – Inconfigurabilità

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5063 del 2017, proposto da
Do. Fo. ed altri, rappresentati e difesi dall’avvocato Ma. Fo., con domicilio eletto presso lo studio Gu. Le., in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Gi. Lu., prima e dall’avvocato Sa. Cr., successivamente, con domicilio digitale di pec come da registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ca. De Vi., in Roma, via (…);
e con l’intervento di
ad opponendum:
Fa. Am. Me. – Mo. Ec. Eu., rappresentato e difeso dagli avvocati Pa. De Ca. e Fe. Be., con domicilio digitale di pec come da registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, viale (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per La Campania -Salerno (sezione Prima) n. 01066/2017, resa tra le parti, concernente un diniego di condono edilizio e un’ordinanza di demolizione.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis);
Visto l’atto d’intervento ad opponendum di Fa. Am. Me. – Mo. Ec. Eu.;
Visti tutti gli atti della causa;
Vista l’istanza con cui, ai sensi dell’art. 4 del D.L.30 aprile 2020, n. 28, gli avvocati Pa. De Ca. e Sa. Cr. hanno chiesto il passaggio in decisione;
Udita la relazione esposta dal Cons. Alessandro Maggio nella camera di consiglio del giorno 2 luglio 2020, svoltasi, ai sensi dell’art. 84, comma 5, del D.L.n. 18 del 17 marzo 2020, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto dalla circolare 13 marzo 2020, n. 6305 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa.
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con istanza in data 1/3/1986 la sig.ra El. Sa. ha presentato al Comune di (omissis) domanda di condono edilizio, ai sensi della legge 28/2/1985, n, 47, per tre edifici ad uso residenziale, ultimati nell’anno 1983, realizzati in assenza di titolo abilitativo.
Successivamente il sig. Do. Fo. ha presentato due ulteriori istanze di condono per i medesimi manufatti, ai sensi dell’art. 39 della legge 23/12/1994, n. 724.
Relativamente a due dei suddetti fabbricati (quelli contraddistinti con le lettere A e B), le suddette domande di condono sono state respinte (determina 13/7/2015, n. 47684) sul presupposto che le opere eseguite ricadano in area plurivincolata.
Ritenendo il diniego di condono illegittimo, i sig.ri Do. Fo. ed altri, aventi causa della sig.ra Sa., l’hanno impugnato con ricorso al T.A.R. Napoli – Salerno.
Con motivi aggiunti i suddetti ricorrenti hanno poi gravato la successiva ordinanza di demolizione.
L’adito Tribunale, con sentenza 15/6/2017, n. 1066, ha respinto l’impugnativa.
Avverso la sentenza hanno proposto appello i menzionati sig.ri Fo..
Per resistere al ricorso si è costituito in giudizio il Comune di (omissis).
Ha proposto intervento ad opponendum l’associazione Fa. Am. Me. – Mo. Ec. Eu. (d’ora in poi solo Fa. Am.).
Con ordinanza 7/12/2018, n. 6928 la Sezione ha disposto incombenti istruttori.
Successivamente, con ordinanza 5/7/2019, n. 4655, è stata dichiarata l’interruzione del giudizio in conseguenza dell’intervenuto collocamento a riposo del difensore comunale.
Il processo è stato riassunto a opera della suddetta associazione ambientalista.
Dopo che tutte le parti con ulteriori scritti hanno meglio illustrato le rispettive tesi difensive la causa è passata in decisione.
Poiché successivamente al passaggio in decisione della causa sono emersi dubbi in ordine alla legittimazione dell’associazione Fa. Am. a riassumere il processo, il Collegio ha assegnato alle parti un termine, ex art. 73, comma 3, c.p.a., per contraddire sul punto.
Acquisite le ulteriori memorie e note d’udienza delle parti la causa è definitivamente passata in decisione all’udienza telematica del 2/7/2020.
In via preliminare va affrontata l’eccezione con cui parte appellante contesta l’ammissibilità dell’intervento ad opponendum spiegato dall’associazione Fa. Am., sul presupposto che la legittimazione di quest’ultima sarebbe limitata alla difesa dei valori ambientali dovendosi escludere che la medesima possa intervenire, come nella specie, a tutela di interessi urbanistici.
L’eccezione è infondata.
Intanto occorre rilevare che i requisiti concernenti la legittimazione a impugnare devono essere tenuti distinti da quelli relativi alla legittimazione a intervenire, essendo questi ultimi assai meno stringenti dei primi.
E invero, affinché una parte possa spiegare in appello l’intervento ad opponendum c.d. “proprio”, ovvero quello svolto a sostegno dell’amministrazione resistente in primo grado, è sufficiente la semplice titolarità di un interesse di mero fatto sotteso al mantenimento dell’assetto determinato dai provvedimenti impugnati, che consenta, come nella specie, di ritrarre un vantaggio indiretto e riflesso dalla reiezione del ricorso (Cons. Stato, A.P., 28/1/2015, n. 1; Sez. IV, 10/2/2017, n. 573; Sez. III, 4/2/2016, n. 442).
A prescindere da ciò, la tesi dell’appellante, secondo cui la legittimazione ad agire delle associazioni ambientaliste dovrebbe ritenersi limitata alla tutela della sfera paesaggistico-ambientale in senso stretto, non trova ormai credito in giurisprudenza.
Difatti, l'”ambiente” (a tutela del quale l’associazione interveniente è legittimata ad agire in giudizio) non può identificarsi con una materia in senso stretto, dovendosi piuttosto intendere come un valore costituzionalmente protetto, integrante una sorta di “materia trasversale” (Corte Cost., 20/10/2017, n. 218), che coinvolge, in unico coacervo, interessi plurimi (urbanistici, edilizi, ambientali, paesaggistici, culturali e socio-economici) suscettibili di reciproche interferenze.
Da qui la conseguenza che, la tutela degli interessi ambientali, legittimi le associazioni ambientalistiche a impugnare atti o a dedurre vizi di natura urbanistico-edilizia (Cons. Stato, Sez. IV, 14/4/2020, n. 2405; 9/1/2014, n. 36; Sez. V, 19 febbraio 2015, n. 839).
Può prescindersi, invece, dalla questione di rito concernente la legittimazione dell’interveniente ad opponendum a riassumere il processo interrotto essendo, comunque, il ricorso infondato nel merito.
Coi primi tre motivi si deduce che il Tribunale avrebbe errato a ritenere che il diniego impugnato assuma a suo presupposto l’esistenza di un vincolo paesaggistico mentre l’amministrazione non avrebbe opposto un tale ostacolo.
Peraltro gli odierni appellanti avrebbero mosso specifiche censure, non esaminate dal Tribunale, volte a criticare l’eventuale reiezione delle istanze di condono per l’esistenza di un vincolo paesaggistico.
Quest’ultimo, infatti, sarebbe, al limite, di natura relativa e come tale non precluderebbe la sanatoria.
Si ripropongono, dunque, i motivi di primo grado non esaminati dal Tribunale.
a) In base all’art. 1, comma 3, del Regolamento Regionale di Attuazione per il Governo del Territorio 4/8/2011, n. 5 e alle successive norme di proroga del termine ivi previsto, il PRG del Comune di (omissis) avrebbe perso efficacia, tenuto conto della data di approvazione del PTCP della provincia di Salerno, a partire dal 4/7/2015. Pertanto da tale ultima data troverebbe applicazione l’art. 9 del D.P.R. 6/6/2001, n. 380, che, al di fuori del centro abitato, come nel caso di specie, ammetterebbe interventi di nuova edificazione nel limite della densità massima fondiaria di 0,03 metri cubi per metro quadro.
Ne conseguirebbe l’inesistenza dell’invocato vincolo di inedificabilità assoluta.
b) La fondatezza del gravame troverebbe conferma nel provvedimento di autotutela con cui l’amministrazione comunale aveva annullato un precedente diniego di condono proprio sulla base della ritenuta applicabilità dell’art. 9 del D.P.R. n. 380/2001.
c) L’avversato diniego sarebbe illegittimo anche laddove il PRG dovesse ritenersi ancora efficace, atteso che nella Zona Speciale Forestale a Tutela sono comunque “ammessi impianti sportivi non permanenti”, mediante il rilascio di concessione edilizia diretta, per cui l’area non sarebbe interessata da un vincolo di inedificabilità assoluta.
d) L’atto sarebbe viziato anche qualora l’amministrazione avesse inteso negare la sanatoria in considerazione degli ulteriori vincoli ivi richiamati.
In tal caso troverebbe infatti applicazione l’art. 32 della legge n. 47/1985 secondo cui “il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria, per opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo, è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso”.
Pertanto l’amministrazione avrebbe dovuto previamente richiedere il parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo.
e) Il diniego sarebbe illegittimo per violazione dell’art. 10 bis della legge 7/8/1990, n. 241, in quanto adottato senza valutare i rilievi mossi dagli interessati in sede procedimentale.
f) L’ordinanza di demolizione sarebbe illegittima in quanto adottata senza dimostrare l’esistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla rimozione dell’opera realizzata, prevalente sull’interesse del privato alla sua conservazione. La detta comparazione di interessi sarebbe tanto più necessaria quando, come nella specie, sia trascorso un lungo lasso di tempo dall’esecuzione dell’intervento.
g) Poiché i manufatti degli appellanti sarebbero conformi alla normativa urbanistica l’ordine di demolizione avrebbe dovuto essere assistito da una specifica motivazione.
h) Gli atti impugnati risulterebbero illegittimi in quanto ometterebbero ogni qualificazione giuridica degli abusi contestati.
I motivi di gravame così sinteticamente riassunti, nessuno dei quali meritevole di accoglimento, si prestano a una trattazione congiunta.
Giova premettere che, per consolidato orientamento giurisprudenziale, la doglianza con cui si contesta il difetto di motivazione della sentenza o l’omesso esame di uno o più motivi di gravame è resa inammissibile dall’effetto devolutivo dell’appello.
Infatti, in secondo grado il giudice valuta tutte le domande proposte, integrando – ove necessario – le argomentazioni della sentenza appellata senza che, quindi, rilevino le accidentali carenze motivazionali di quest’ultima (cfr, fra le tante, Cons. Stato, Sez. VI, 18/4/2019, n. 2973; 6/2/2019, n. 897; 14/4/2015, n. 1915; Sez. V, 23/3/2018, n. 1853; 19/2/2018, n. 1032 e 13/2/2009, n. 824; Sez. IV, 5/2/2015, n. 562).
Ciò precisato, il Collegio rileva che l’appello, per quanto concerne il diniego di condono, sarebbe da dichiarare inammissibile, basandosi l’impugnata sentenza su due autonome argomentazioni, entrambe idonee a sostenerla, una delle quali non censurata.
E invero, il giudice di prime cure ha, sul punto, respinto il ricorso in quanto: “nel provvedimento impugnato il Comune ha evidenziato che gli interventi edilizi in contestazione non possono essere sanati perché l’area in argomento è stata riconosciuta di notevole interesse pubblico e soggetta al DM 22.7.1968 e, quindi, alla l. 1497/1939 e che, inoltre, sussiste il vincolo di tutela rientrante nella fascia di profondità di trecento metri dalla linea di battigia ai sensi dell’art. 142, I co., lett. a) d.lgs. 42/2004. Vincoli che rendono impraticabile la sanatoria degli interventi edilizi in contestazione”.
Orbene, gli appellanti non hanno dedotto alcuna censura sul passaggio motivazionale concernente l’insanabilità delle opere determinata dal fatto di insistere sulla fascia dei trecento metri dalla linea di battigia.
A prescindere da tale dirimente rilievo il ricorso risulta in ogni caso infondato nel merito.
E invero, il vincolo gravante sulla fascia costiera dei trecento metri dalla linea di battigia di cui all’art. 142, comma 1, lett. a), del D. Lgs. 22/1/2004, n. 42, ha carattere assoluto e inderogabile.
L’impugnato provvedimento di diniego scaturisce, inoltre, dall’appartenenza (acclarata in sede di verificazione) dell’area interessata dall’intervento abusivo alla Zona Speciale Forestale a Tutela, di cui al P.R.G. approvato con decreto del Ministro dei Lavori Pubblici 30/3/1972, n. 1636.
Contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante il detto strumento urbanistico, con riguardo alla prescrizione che qui interessa, doveva ritenersi vigente all’epoca di adozione del provvedimento negativo impugnato.
Difatti, l’art. 1, comma 3, del regolamento n. 5/2011, laddove prevede che gli strumenti urbanistici comunali perdano efficacia dopo 18 (successivamente elevati a 36, indi a 48 e infine a 60) mesi dall’entrata in vigore dei Piani territoriali di coordinamento provinciale (PTCP) di cui all’art. 18 della legge regionale n. 16/2004, deve interpretarsi nel senso che la perdita di efficacia riguardi le parti dello strumento comunale in contrasto con il PTCP, ma nella specie non è stata dimostrata, e nemmeno allegata, la sussistenza di un siffatto contrasto tra i due strumenti di pianificazione.
Peraltro il suddetto art. 1, comma 3, risulta annullato, con effetti retroattivi, con sentenza del T.A.R. Campania – Napoli, 18/11/2016, n. 5327, confermata in appello con sentenza 22/3/2018, n. 1839.
Orbene la normativa del detto PRG prescrive, per la zona in cui ricadono i manufatti non condonati, il divieto di alterazione dello stato di fatto, senza prevedere alcun indice di sfruttamento volumetrico (è consentita unicamente la localizzazione di impianti sportivi non permanenti).
Correttamente, pertanto, l’amministrazione prima e il Tribunale poi, hanno rilevato che, in base all’art. 33, comma 1, della legge n. 47/1985, i due manufatti degli appellanti, realizzati successivamente alla imposizione del suddetto vincolo, non potevano ottenere il condono edilizio.
Posto che come sopra rilevato il vincolo di piano gravante sull’area degli appellanti comporta l’inedificabilità assoluta (con l’eccezione, che peraltro qui non rileva, degli impianti sportivi non permanenti), non occorreva, ai fini dell’adozione dell’avversato provvedimento di diniego, richiedere alcun parere all’ente preposto alla sua tutela, ente, peraltro, coincidente con la medesima amministrazione comunale.
Né, una volta constatato che la costruzione abusiva sorgeva su area soggetta a vincolo di inedificabilità assoluta, occorreva, ai fini della legittimità dell’impugnato diniego di condono, porre in essere ulteriori attività istruttorie.
Altrettanto irrilevante ai fini di causa è la circostanza che l’amministrazione abbia annullato d’ufficio una precedente reiezione delle istanze di condono oggetto del diniego di cui oggi si controverte, posto che una volta verificata l’insussistenza dei presupposti per l’accoglimento della domanda di condono, la sua reiezione è doverosa e vincolata.
Privo di pregio è, infine, il motivo con cui si lamenta che l’amministrazione non avrebbe dato conto delle ragioni che l’hanno indotta a non accogliere le osservazioni presentate dagli odierni appellanti in sede procedimentale.
E invero, contrariamente a quanto sostenuto dagli appellanti, il comune ha espressamente valutato le dette osservazioni, ritenendo tuttavia che le stesse non recassero alcun elemento utile a superare le ragioni ostative all’accoglimento delle istanze di condono, stante l’insanabilità degli interventi eseguiti in quanto ricadenti nella Zona Speciale Forestale a Tutela, soggetta a vincolo di inedificabilità assoluta.
Non risultano meritevoli di accoglimento nemmeno i motivi rivolti contro l’ordine di demolizione.
Contrariamente a quanto dedotto dagli appellanti il detto provvedimento sanzionatorio, quale atto di natura doverosa e vincolata, non richiede particolare motivazione, essendo sufficiente che il medesimo descriva, così come nella specie, quali sono le opere oggetto di contestazione (ex plurimis Cons. Stato, Sez. VI, 27/1/2020, n. 631).
Inoltre, in base a un consolidato orientamento giurisprudenziale che il Collegio condivide, il lungo tempo trascorso dalla realizzazione dell’opera abusiva non è idoneo a radicare in capo al privato interessato alcun legittimo affidamento in ordine alla conservazione di una situazione di fatto illecita, per cui, anche in tal caso, l’ordine di demolizione assume carattere doveroso e vincolato e la sua emanazione non richiede alcuna motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso (Cons. Stato, A.P. 17/10/2017, n. 9, Sez. VI, 22/4/2020, n. 2557; 4/10/2019, n. 6720; 8/4/2019, n. 2292; 5/11/2018, n. 6233; 26/3/2018, n. 1893; 23/11/2017, n. 5472 e 5/1/2015, n. 13; Sez. II, 19/6/2019, n. 4184; Sez. IV, 11/12/2017, n. 5788).
L’appello va, in definitiva, respinto.
Le spese di verificazione, da liquidarsi con separato provvedimento, vanno poste a carico della parte appellante.
Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi od eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Spese e onorari di giudizio, liquidati come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Pone a carico degli appellanti le spese di verificazione, da liquidarsi con separato provvedimento.
Condanna la parte appellante al pagamento delle spese processuali in favore del Comune di (omissis) e della Fa. Am. Me. – Mo. Ec. Eu., liquidandole forfettariamente in complessivi Euro 2.000/00 (duemila) pro parte, oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 luglio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere, Estensore
Giovanni Orsini – Consigliere

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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