Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 20 gennaio 2020, n. 468
La massima estrapolata:
Il giudizio disciplinare non è vincolato alle valutazioni effettuate in sede penale giacché il giudizio penale e quello disciplinare sono autonomi fra loro, operando su piani diversi, fermo restando quindi che lo stesso fatto imputabile all’inquisito può essere giudicato lecito dal punto di vista penale ed illecito sotto l’aspetto disciplinare.
Sentenza 20 gennaio 2020, n. 468
Data udienza 3 dicembre 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5337 del 2009, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Pi. Ca., elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato An. Ri. Fe., in Roma, largo (…),
contro
il Comando Generale della Guardia di Finanza, il Ministero dell’economia e delle finanze ed il Ministero della difesa, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituitisi in giudizio,
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per la Calabria, sede di Reggio Calabria, n. -OMISSIS-, resa inter partes, concernente sospensione disciplinare dall’impiego.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 3 dicembre 2019 il consigliere Giovanni Sabbato e udito, per l’appellante, l’avvocato Gi. Gi.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Occorre premettere, in punto di fatto, che:
– il -OMISSIS-, in servizio presso la Compagnia della Guardia di Finanza di -OMISSIS-nonché -OMISSIS-, in data -OMISSIS-, veniva rinviato a giudizio, con decreto del -OMISSIS-per reati inerenti ad aspettative e permessi illegittimamente goduti;
– la Guardia di Finanza, dopo essere venuta a conoscenza dell’indagine, già il -OMISSIS- aveva disposto la sospensione precauzionale dall’impiego con decorrenza dal giorno successivo;
– in data 14 marzo 2007 il Tribunale di -OMISSIS- emetteva sentenza di proscioglimento “perché il fatto non sussiste”;
– il 22 novembre 2007 il Comando Regione Sicilia della Guardia di Finanza avviava un’inchiesta formale, con la nomina dell’Ufficiale Inquirente, per procedere all’avvio di un procedimento disciplinare a carico del predetto, che veniva concluso con la Determina -OMISSIS-, che statuiva la sospensione disciplinare dall’impiego per un totale di mesi quattro (dal -OMISSIS-dello stesso anno) e la revoca “a tutti gli effetti” della sospensione precauzionale dall’impiego assunta nei suoi riguardi con la determina del -OMISSIS-.
2. Avverso la predetta Determina il -OMISSIS- proponeva il ricorso n. -OMISSIS-, innanzi al T.a.r. per la Calabria, sede di Reggio Calabria, deducendone l’illegittimità per i seguenti profili:
a) violazione degli artt. 97, 110 e 111 della legge n. 3/1957, dal momento che la sanzione disciplinare irrogata aveva ad oggetto i medesimi fatti esaminati nel giudizio penale e l’assoluzione avrebbe dovuto comportare la revoca ex tunc della sospensione cautelare e non una sospensione disciplinare con effetti ex. tunc.; inoltre il procedimento disciplinare si sarebbe concluso oltre il termine di 90 giorni dalla nomina dell’istruttore;
b) violazione della l.n. 241/1990 sotto il profilo della carenza di motivazione;
c) eccesso di potere per la grave sproporzione tra sanzione inflitta e condotta contestata.
3. Il T.a.r. rigettava il ricorso per le seguenti distinte ragioni:
– quanto al primo motivo di ricorso, i fatti per cui il ricorrente era stato imputato e poi prosciolto non erano sovrapponibili a quelli oggetto del procedimento disciplinare; inoltre, la sanzione disciplinare impugnata riguardava i comportamenti tenuti dal ricorrente per un periodo più ampio rispetto a quello esaminato dal giudice penale;
– per quanto attiene alla efficacia ex tunc della successiva sanzione disciplinare, il Tribunale ne rilevava la legittimità, in virtù del disposto di cui all’art. 20 della legge n. 599 del 1954, secondo cui “nel periodo di tempo della sospensione di carattere disciplinare viene computato il periodo della sospensione precauzionale sofferta, revocandosi l’eventuale eccedenza”;
– il T.a.r. riteneva che non fosse violato il termine di 90 giorni previsto dall’art. 110 del T.u. impiegati civili, poiché il dies ad quem non deve essere individuato nell’irrogazione della sanzione, ma nella conclusione dell’inchiesta;
– in relazione agli ulteriori motivi di ricorso, il Tribunale di prime cure rilevava l’insussistenza del difetto di motivazione del provvedimento impugnato e riteneva legittima e ragionevole la sanzione irrogata, in virtù dell’ampio potere discrezionale in materia dell’Amministrazione.
4. Avverso tale pronuncia si è interposto appello, notificato il 29 maggio 2009 e depositato il 24 giugno 2009, lamentandosi, attraverso tre motivi di gravame (pagine 3-10) reiterativi delle censure sollevate in primo grado, quanto di seguito sintetizzato:
I) la violazione del d.P.R. n. 3 del 1957 e dell’art. 20 della legge n. 599 del 1954, dal momento che il Tribunale avrebbe dovuto considerare che, ai sensi dell’art. 97, I comma del d.P.R. citato, l’effetto della sentenza di proscioglimento o di assoluzione passata in giudicato, perché il fatto non sussiste, determina la revoca della sospensione;
I.1) l’appellante deduce, poi, che, benché sia consentito all’Amministrazione procedere ad indagini che si concludano con l’irrogazione di sanzioni disciplinari anche a seguito di una sentenza di proscioglimento perché il fatto non sussiste, la sanzione di seguito inflitta dovrebbe avere effetti ex nunc;
I.2) allo stesso tempo, il T.a.r. avrebbe erroneamente interpretato l’art. 20 della l.n. 599 del 1954;
II) il Tribunale non si sarebbe avveduto della violazione della l.n. 241/1990 per difetto di motivazione, non essendo sufficiente il mero richiamo per relationem alla relazione di chiusura dell’inchiesta;
III) il Tribunale avrebbe erroneamente respinto le censure relative alla sproporzione tra la sanzione irrogata e le condotte contestate.
5. Il Ministero appellato, sebbene ritualmente intimato, non si è costituito in giudizio.
6. In vista della trattazione nel merito del ricorso le parti non hanno svolto difese scritte.
7. La causa, chiamata per la discussione alla pubblica udienza del 3 dicembre 2019, è stata ivi introitata in decisione.
8. Il Collegio ritiene che l’appello sia infondato e sia pertanto da respingere.
8.1 Non convince il primo motivo d’appello, col quale l’appellante lamenta tre profili di illegittimità dell’atto impugnato in prime cure, ed in particolare per avere l’Amministrazione indebitamente disposto una sanzione con effetti ex tunc, per la mancata preclusione derivante dall’assoluzione perché il fatto non sussiste e per la violazione del termine di 90 giorni dalla nomina del funzionario istruttore.
Prima di accedere alla disamina di tali rilievi, occorre evidenziare che non ricorre quanto insistentemente affermato da parte appellante circa la pretesa identità dei fatti, rispettivamente, oggetto del vaglio dell’autorità penale e dell’Amministrazione di appartenenza in sede disciplinare. Invero, come correttamente e diffusamente evidenziato dal Tribunale, il primo riguarda la condotta assunta dal dipendente militare, in relazione alla carica da questi ricoperta di -OMISSIS-, ipotizzandosi il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640, II comma, n. 1, c.p.) e falsità materiale (artt. 476, 482 c.p.), mentre il secondo attiene all’omessa attestazione comprovante la sua partecipazione alle riunioni dell’organo consiliare. Da tanto deriva l’infondatezza di ogni deduzione in questa sede di appello sollevata postulante la pretesa identità dei fatti oggetto dei due procedimenti, tanto più che, come ancora correttamente rileva il Tribunale, essi coprono due distinti archi temporali e segnatamente “fino al -OMISSIS-” la contestazione penale e “dal -OMISSIS-” la censura disciplinare.
8.1.1 Occorre ulteriormente osservare, con riferimento alle specifiche deduzioni riproposte in questa sede che:
– secondo consolidato orientamento di questo Consiglio, l’Amministrazione ben può avviare un procedimento disciplinare che prenda in considerazione fatti diversi da quelli esaminati dal giudice penale, in quanto “Il giudizio disciplinare non è vincolato alle valutazioni effettuate in sede penale giacché il giudizio penale e quello disciplinare sono autonomi fra loro, operando su piani diversi, fermo restando quindi che lo stesso fatto imputabile all’inquisito può essere giudicato lecito dal punto di vista penale ed illecito sotto l’aspetto disciplinare (Cons Stato Sez. IV 3/5/2011 n. 2643). Invero, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, l’Amministrazione ben può assumere a presupposto gli stessi fatti oggetto del procedimento penale, con l’onere di valutare i medesimi accadimenti nell’ambito del procedimento disciplinare, ferma restando l’immutabilità dell’accertamento dei fatti nella loro materialità operato dal giudice penale (Cons. Stato Sez. IV n. 6927/2010) ” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 1° agosto 2016, n. 3459);
– non è dato ravvisare la dedotta violazione dell’art. 20 della l. n. 599 del 1954 (ratione temporis vigente siccome abrogato con l’articolo 2268, comma 1, del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66), la cui formulazione prevedeva che “Il sottufficiale che sia sottoposto a procedimento penale per imputazione da cui possa derivare la perdita del grado, o che sia sottoposto a procedimento disciplinare per fatti di notevole gravità, può essere sospeso precauzionalmente dall’impiego, a tempo indeterminato, fino all’esito del procedimento penale o disciplinare […] Se il procedimento penale ha termine con sentenza definitiva che dichiari che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso, la sospensione è revocata a tutti gli effetti. In ogni altro caso di proscioglimento, se il sottufficiale non venga sottoposto a procedimento disciplinare, la sospensione è ugualmente revocata a tutti gli effetti”;
– infatti, il comma III dell’art. 20 suddetto a sua volta statuiva che: “Oltre che nei casi di cui al comma precedente, la sospensione è ad ogni effetto revocata quando il procedimento disciplinare si esaurisce senza dar luogo a provvedimento disciplinare di stato. Quando sia inflitta al sottufficiale la sospensione dall’impiego di carattere disciplinare, nel periodo di tempo di tale sospensione viene computato il periodo della sospensione precauzionale sofferta, revocandosi l’eventuale eccedenza”;
– ebbene, l’Amministrazione, come evidenziato nello stesso atto impugnato (pagina 2), ha dato mostra di avere applicato tale disposizione proprio alla luce della distinzione tra sospensione precauzionale, conseguente alla sottoposizione del militare al procedimento penale, e sospensione disciplinare, provvedendo alla “revoca per il periodo residuo della sospensione precauzionale pro tempore sofferta”;
– parte appellante auspica una diversa lettura della norma, secondo cui questa imporrebbe la revoca ex tunc ed integrale della sospensione precauzionale nel caso di proscioglimento perché il fatto non sussiste, ma trattasi di un’interpretazione contraria a quanto suggerisce il tenore testuale della disposizione laddove prevede il computo del periodo di sospensione precauzionale sofferto “Quando sia inflitta al sottufficiale la sospensione dall’impiego di carattere disciplinare”, come accaduto nel caso di specie per la rilevata diversità dei fatti rispettivamente oggetto dei due procedimenti;
– nemmeno ricorre la violazione del termine di conclusione del procedimento in ordine al tempo trascorso, che deve essere non superiore a 90 giorni secondo quanto stabilito dall’art. 110 del T.u. imp.civ. (d.P.R. n. 3 del 1957), dalla nomina del funzionario istruttore;
– al riguardo, parte appellante evidenzia che la nomina del funzionario istruttore è del 22 novembre 2007 mentre la determina del Comandante in seconda è -OMISSIS-, cosicchè sarebbe trascorso un periodo ben superiore ai prescritti 90 giorni;
– il motivo è infondato, in quanto, come correttamente osservato dal Tribunale, secondo la testuale formulazione del I comma dell’art. 110 del predetto testo unico, “L’inchiesta disciplinare deve essere conclusa entro novanta giorni dalla nomina del funzionario istruttore” dimodoché il dies ad quem del termine coincide con la data in cui si è chiusa l’inchiesta disciplinare e cioè l’11 febbraio 2008, data rispetto alla quale il termine anzidetto non può dirsi violato.
8.2 Parimenti non convince il secondo motivo d’appello, col quale si assume che il provvedimento disciplinare impugnato in prime cure non sarebbe assistito da adeguata motivazione per non essersi l’Amministrazione soffermata sia sulle giustificazioni rese dall’incolpato sia sulle stesse risultanze istruttorie nonché per non avere rappresentato le ragioni che l’hanno indotta ad irrogare la più grave sanzione di stato rispetto ad una di corpo. Il rilievo è infondato alla luce delle diffuse argomentazioni rinvenibili nel complesso quadro lessicale del provvedimento disciplinare impugnato in prime cure, ove non solo si fa esatto riferimento a “le argomentazioni addotte a discolpa dell’inquisito in sede disciplinare” ma si evidenziano anche le “sostanziali dichiarazioni dell’inquisito, in sede di udienza dibattimentale, nel corso delle quali lo stesso ammetteva la non regolarità della procedura di rilascio delle lettere di convocazione, sostenendo che, in assenza del Presidente del Consiglio Comunale, al fine di farsi attestare la partecipazione alla conferenza dei capigruppo, non riteneva di rivolgersi al vicepresidente, politicamente di schieramento opposto”.
Denota ulteriormente l’infondatezza del rilievo in esame quanto segue:
– nel provvedimento stesso si illustrano, in dettaglio, le ragioni per le quali si ritiene di irrogare la sanzione disciplinare “correttiva” della sospensione dall’impiego per mesi 4, ritenuta “equa e proporzionata alla gravità della condotta posta in essere”;
– ha evidenziato, in particolare, l’Amministrazione che il militare, in considerazione delle qualifiche rivestite nonché degli anni di servizio (“circa 9”), era in grado di ponderare le conseguenze del suo comportamento e la rilevanza disciplinare dello stesso, che tuttavia non è pienamente incompatibile col suo status e recava un limitato disdoro all’istituzione per non avere avuto risonanza sugli organi di informazione;
– la rilevata adeguatezza del quadro motivazionale secondo le formule lessicali utilizzate nel corpo stesso del provvedimento dimostra l’infondatezza della relativa censura in questa sede riproposta, anche con riferimento alla pretesa inammissibilità della motivazione per relationem non risultando ad ogni modo necessario il pur richiamato “rapporto finale datato 11/02/2008” dell’Ufficiale Inquirente per integrare una motivazione già, come detto, ampiamente esaustiva.
8.3 Infondato è, infine, il terzo motivo, col quale si insiste nel reputare sproporzionata la sanzione di stato irrogata non configurandosi alcuna violazione dei doveri militari consacrati dal giuramento.
A tale riguardo, va richiamato il consolidato orientamento – al quale il Collegio ritiene di aderire in assenza di particolari ragioni di segno contrario – secondo cui “è incontestabile l’ampia discrezionalità che connota le valutazioni dell’Amministrazione in ordine alla sanzione disciplinare da infliggere a fronte delle condotte accertate” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 7 novembre 2012, n. 5672; id., sez. IV, 15 marzo 2012, n. 1452). Ancor più di recente, questo Consiglio ha ribadito che “la valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati in relazione all’applicazione di una sanzione disciplinare costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità salvo che in ipotesi di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, quali la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l’evidente sproporzionalità e il travisamento” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 28 ottobre 2019, n. 7335; id., sez. IV, 22 marzo 2017, n. 1302; id. sez. III, 31 maggio 2019, n. 3652, ove si aggiunge che “In particolare, le norme relative al procedimento disciplinare sono necessariamente comprensive di diverse ipotesi e, pertanto, spetta all’Amministrazione, in sede di formazione del provvedimento sanzionatorio, stabilire il rapporto tra l’infrazione e il fatto, il quale assume rilevanza disciplinare in base ad un apprezzamento di larga discrezionalità “). Tale orientamento è stato confermato anche con specifico riferimento alle sanzioni disciplinari irrogate nei riguardi del personale militare, in quanto “La valutazione circa il rilievo e la gravità dell’infrazione disciplinare commessa dal militare è rimessa alla discrezionalità dell’Amministrazione, la quale, attraverso la commissione di disciplina, esprime un giudizio non sindacabile nel merito, ma soltanto in sede di legittimità nelle ipotesi in cui risulti abnorme o illogico in rapporto alle risultanze dell’istruttoria” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 4 ottobre 2018, n. 5700).
Ricondotto il perimetro del vaglio di questo giudice nei limiti della “non manifesta sproporzionalità “,
non potendo in nessun caso sostituire le proprie valutazioni a quelle operate dall’Amministrazione, salvo che le valutazioni siano inficiate da travisamento dei fatti ovvero il convincimento non risulti formato sulla base di un processo logico e coerente, va rilevato che la condotta dell’appellante, così come accertata in sede disciplinare, appare meritevole della sanzione irrogata, della sospensione disciplinare dall’impiego per mesi 4, quindi per un tempo non particolarmente ampio, a fronte del duplice comportamento trasgressivo contestato, connesso, da un lato, al tentativo di interferire sulle indagini di PG e, dall’altro, alla mancata documentazione della causa giustificativa dell’assenza dal servizio.
10. In conclusione, l’appello è infondato e deve essere respinto.
11. Nessuna determinazione va assunta sulle spese del presente grado di giudizio, stante la mancata costituzione delle Amministrazioni intimate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto (R.G. n. 5337/2009), lo respinge.
Nulla per le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 dicembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Fabio Taormina – Presidente
Giovanni Sabbato – Consigliere, Estensore
Antonella Manzione – Consigliere
Giovanni Orsini – Consigliere
Francesco Guarracino – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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