Il giudice il quale ritenga perfezionato un accordo conciliativo fra le parti non può più pronunciare alcuna sentenza di condanna

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|13 maggio 2021| n. 12899.

Il giudice il quale ritenga perfezionato un accordo conciliativo fra le parti non può più pronunciare alcuna sentenza di condanna. Delle due, infatti, l’una: (i) se si pronuncia una condanna, vuol dire che tra le parti pendeva una lite, e per pendere una lite non deve essere stato raggiunto alcun accordo; (ii) se è stato raggiunto un accordo, va dichiarata cessata la materia del contendere; se poi i termini dell’accordo non vengano rispettati da una delle parti, tale inadempimento va fatto valere nelle sedi opportune, e non chiedendo una condanna all’adempimento al giudice del giudizio concluso dall’accordo conciliativo (Nel caso di specie, accogliendo il ricorso, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza impugnata con la quale il giudice del merito, ritenuto perfezionato un accordo tra le parti, aveva condannato il ricorrente all’esecuzione dell’obbligo che il giudice medesimo aveva ritenuto assunto per effetto dell’accordo stesso).

Ordinanza|13 maggio 2021| n. 12899

Data udienza 4 febbraio 2021

Integrale

Tag/parola chiave: Domanda giudiziale – Accordo conciliativo fra le parti – Perfezionamento – Giudice – Non può più pronunciare alcuna sentenza di condanna

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente

Dott. RUBINO Lina – Consigliere

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso n. 2584/18 proposto da:
-) (OMISSIS) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato a (OMISSIS), difeso dagli avvocati (OMISSIS), e (OMISSIS), in virtu’ di procura speciale apposta in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
-) (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
– controricorrenti –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo 3.11.2017 n. 5728;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4 febbraio 2021 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

FATTI DI CAUSA

1. Il 25.1.1985 il Giudice istruttore del Tribunale di Palermo, nell’ambito di un procedimento penale a carico del proprietario dell’acquedotto denominato ” (OMISSIS)- (OMISSIS)” (imputato del delitto di illecita derivazione di acque pubbliche, Regio Decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, ex articolo 17), ordino’ il sequestro dei beni immobili e della rete idrica destinati al funzionamento del suddetto acquedotto.
Il provvedimento di sequestro affido’ la custodia degli impianti all’ (OMISSIS) ((OMISSIS)), con facolta’ di usarli per gli scopi istituzionali dell’azienda stessa.
Il procedimento penale si concluse l’8 gennaio 1991 con sentenza istruttoria che dichiaro’ non doversi procedere per sopravvenuta amnistia. La medesima sentenza ordino’ la restituzione agli aventi diritto dei beni sequestrati.
2. Sorse a questo punto una contesa tra i proprietari dell’acquedotto (danti causa degli odierni controricorrenti) e l'(OMISSIS): i primi, infatti, rifiutarono la restituzione dei beni, sostenendo che erano stati modificati nella loro consistenza fisica attraverso l’allaccio all’acquedotto comunale; la seconda replico’ essere impossibile la riduzione in pristino, e contesto’ la misura, reputata esosa, pretesa dai proprietari per trasferire all'(OMISSIS) la proprieta’ dei suddetti beni.
3. Nel 2003 i proprietari dell’acquedotto convennero l'(OMISSIS) dinanzi al Tribunale di Palermo, chiedendone la condanna al rilascio dei beni suddetti nello stato in cui si trovavano al momento del sequestro, nonche’ al pagamento delle somme necessarie per l’esecuzione delle opere di ripristino. Con sentenza 25 maggio 2012 il Tribunale di Palermo accolse la domanda, e condanno’ l'(OMISSIS):
-) alla restituzione dei beni nello stato in cui si trovavano al momento del rilascio;
-) al pagamento in favore degli attori di un compenso per l’uso degli impianti nel periodo compreso fra il sequestro e il rilascio, quantificato in Euro 495.379,66.
4. Il 6 agosto 2014 i proprietari dell’impianto notificarono all'(OMISSIS) atto di precetto, intimandole il rilascio dei beni.
Inizio’ a questo punto una lunga serie di tormentate trattative tra le parti, aventi ad oggetto tanto le modalita’ del rilascio, quanto la pattuizione di un canone per il godimento dei beni fino al rilascio, quanto, infine, l’eventuale vendita degli stessi all'(OMISSIS).
In particolare, l'(OMISSIS) si dichiaro’ pronta a restituire gli immobili compresi nel compendio sequestrato, ma eccepi’ l’impossibilita’ di restituzione della rete di distribuzione dell’acqua, in quanto cio’ avrebbe comportato la forzosa interruzione della fornitura.
Dall’altra parte, i proprietari dell’acquedotto replicarono che la sentenza del Tribunale di Palermo aveva attribuito loro il diritto di rientrare nel possesso dell’acquedotto “nella sua unicita’ aziendale, libero da vincoli, allacciamenti, collegamenti, diritti di terzi”.
Il giudice dell’esecuzione, informato dello stallo dall’ufficiale giudiziario, con provvedimento 26 gennaio 2015 stabili’ che l’esecuzione della condanna al rilascio avesse luogo “senza interruzione del servizio” di distribuzione idrica.
5. Avverso questo decreto i proprietari dell’impianto proposero opposizione agli atti esecutivi ex articolo 617 c.p.c.
A fondamento dell’opposizione gli opponenti dedussero che l’ordine di restituire l’acquedotto “senza interruzione del servizio idrico” era incompatibile con le statuizioni del titolo esecutivo.
Sostennero che, se l'(OMISSIS) avesse continuato a fare scorrere nella rete la propria acqua ed a distribuirla ai propri utenti, essa avrebbe mantenuto di fatto il possesso della rete stessa, ed in tal modo non avrebbe dato esecuzione alla sentenza di rilascio.
6. Il giudice dell’esecuzione, dopo aver trattenuto la causa in decisione, la rimise sul ruolo e formulo’ alle parti una proposta transattiva ai sensi dell’articolo 185 bis c.p.c..
Tale proposta prevedeva la cessione della proprieta’ della rete dai proprietari all'(OMISSIS), dietro pagamento di un corrispettivo, da stabilirsi mediante consulenza tecnica d’ufficio.
Le parti accettarono la proposta ed il giudice nomino’ un consulente tecnico d’ufficio, cui affido’ l’incarico di determinare il valore della rete idrica.
Il consulente deposito’ la propria relazione stimando il valore degli impianti nella misura di 1.137.981,95 Euro.
Tale misura venne contestata dall'(OMISSIS), sia con riferimento ai presupposti fattuali, sia con riferimento al metodo di stima seguito dal c.t.u..
A questo punto il giudice dell’opposizione pronuncio’ ordinanza con la quale, “ritenuto il mancato perfezionamento del procedimento di conciliazione”, invito’ le parti a precisare le conclusioni e trattenne la causa in decisione.
7. Con sentenza 3 novembre 2017 n. 5728 il Tribunale di Palermo:
-) dichiaro’ “perfezionato l’accordo tra le parti di cessione della rete idrica”, per l’importo indicato dal c.t.u.;
-) condanno’ l'(OMISSIS) al pagamento in favore degli opponenti della somma di 1.137.981,95 Euro, oltre accessori.
A fondamento di questa decisione il Tribunale osservo’ che, una volta accettata dalle parti la proposta di trasferire la proprieta’ della rete idrica al prezzo che sarebbe stato stabilito da un consulente d’ufficio, “l’accordo transattivo si e’ concluso nel momento in cui entrambe le parti hanno manifestato la loro accettazione della proposta conciliativa, rimettendo al c. t. u. la determinazione del prezzo di cessione”.
8. La sentenza e’ stata impugnata per cassazione dall'(OMISSIS) con ricorso fondato su tre motivi.
Hanno resistito con controricorso gli eredi degli originari proprietari, indicati in epigrafe.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli articoli 99, 112 e 185 bis c.p.c..
Nella illustrazione del motivo si sostiene che il giudice dell’opposizione all’esecuzione formulo’ alle parti una proposta conciliativa ex articolo 185 bis c.p.c. che non aveva il potere di formulare, avuto riguardo alla natura e al contenuto del giudizio.
Quest’ultimo infatti aveva ad oggetto la legittimita’ del provvedimento col quale il giudice dell’esecuzione aveva stabilito che la restituzione dell’acquedotto avvenisse senza interruzione del servizio; la proposta conciliativa invece aveva ad oggetto il trasferimento all'(OMISSIS) della rete idrica dietro pagamento di un corrispettivo.
2. Il motivo e’ infondato.
L’articolo 185 bis c.p.c. accorda al giudice il potere di formulare una proposta “transattiva o conciliativa”.
Al di la’ di qualsiasi sofisma sulla distinzione fra transazione e conciliazione, l’una e l’altra costituiscono accordi in virtu’ dei quali le parti litiganti pongono fine ad una lite.
Pertanto, ai fini della validita’ della proposta ex articolo 185 bis c.p.c., quel che unicamente rileva e’ che, per effetto di essa, venga a cessare la materia del contendere.
E’ dunque evidente che, in una controversia avente ad oggetto la legittimita’ del provvedimento con cui il giudice dell’esecuzione aveva stabilito le modalita’ dell’esecuzione d’un obbligo di rilascio, il trasferimento al debitore esecutato della proprieta’ dell’immobile da rilasciare avrebbe troncato in radice l’oggetto del contendere. Di conseguenza non era inibito al giudice dell’opposizione formulare la suddetta proposta.
3. Col secondo motivo la ricorrente lamenta,sia il vizio di violazione di legge, sia quello di omesso esame di un fatto decisivo.
Nella illustrazione del motivo si sostiene che:
-) erroneamente il Tribunale ritenne perfezionato un accordo fra le parti, accordo che in realta’ non era stato mai raggiunto, in quanto all’indomani del deposito della c.t.u. l'(OMISSIS) aveva fermamente contestato le conclusioni cui era pervenuta l’ausiliario, e del resto lo stesso giudice dell’opposizione, nel rinviare la causa per la precisazione delle conclusioni, aveva rilevato la mancata conclusione dell’accordo;
-) il Tribunale aveva condannato l'(OMISSIS) a pagare oltre un milione di Euro agli opponenti, in un giudizio in cui la domanda introduttiva era rappresentata dall’annullamento di una ordinanza del giudice dell’esecuzione; la domanda di condanna, formulata dai (OMISSIS) solo all’udienza di precisazione delle conclusioni era percio’ una domanda nuova, e come tale inammissibile.
3.1. Prima di esaminare nel merito questo secondo motivo di ricorso, va escluso che la sentenza possa dirsi viziata, sotto qualunque profilo, per il solo fatto che abbia un contenuto non coerente con il contenuto dell’ordinanza istruttoria la quale, “ritenuto il mancato perfezionamento del procedimento di conciliazione”, rinvio’ la causa per la precisazione delle conclusioni.
Le ordinanze istruttorie, infatti, non possono mai pregiudicare la decisione della causa (articolo 177 c.p.c., comma 1).
3.2. Nel merito, la censura e’ fondata.
Il Tribunale ha ritenuto “perfezionato un accordo” tra le parti, ed ha condannato l'(OMISSIS) all’esecuzione dell’obbligo che il Tribunale ha ritenuto assunto per effetto dell’accordo.
Si prescindera’ dal rilievo che, anche ad ammettere che un accordo fosse stato concluso, il giudice dell’opposizione all’esecuzione si sarebbe dovuto arrestare a questo rilievo: giudicando come ha fatto, invece, il Tribunale ha pronunciato su una domanda di condanna all’adempimento del (teorico) accordo conciliativo, domanda che non poteva ritenersi ritualmente introdotta nel giudizio, avente tutt’altro oggetto.
Quel che invece appare decisivo a questa corte e’ che nel caso di specie nessun accordo poteva affermarsi concluso tra le parti.
3.3. Un accordo il quale ponga fine ad una lite giudiziaria puo’ concludersi per effetto di una transazione stragiudiziale o di una conciliazione giudiziale.
Nel caso di specie nessuna transazione stragiudiziale e’ stata mai raggiunta: la transazione richiede infatti lo scritto ad probationem (articolo 1967 c.c.), e questo manca.
Neppure poteva dirsi conclusa una conciliazione giudiziale, per piu’ ragioni.
La prima ragione e’ che, quando le parti di un giudizio concludono un accordo conciliativo giudiziale, “la convenzione conclusa tra le parti per effetto della conciliazione davanti al giudice istruttore e’ raccolta in separato processo verbale, sottoscritto dalle parti stesse, dal giudice e dal cancelliere” (articolo 88 disp. att. c.p.c., comma 1; cfr. Sez. L -, Sentenza n. 25472 del 26/10/2017, Rv. 645894 – 01). E nel caso di specie tale verbale manca.
La seconda ragione e’ che non vi era stato alcun accordo tra le parti sul contenuto della cessione: l'(OMISSIS), infatti, si era detta indisponibile ad acquistare anche la porzione di acquedotto non in uso; i proprietari invece si erano dichiarati indisponibili ad una cessione parziale.
La terza ragione e’ che la proposta formulata dal giudice prevedeva la cessione del compendio al prezzo stabilito dal c.t.u., da determinarsi in applicazione di determinati criteri: l'(OMISSIS), pero’, aveva contestato la corretta applicazione di quei criteri da parte dell’ausiliario, e questo impediva di considerare raggiunto un accordo.
3.4. Benche’ i rilievi che precedono abbiano carattere assorbente, il Collegio ritiene doveroso ricordare che il giudice il quale ritenga perfezionato un accordo conciliativo fra le parti non puo’ piu’ pronunciare alcuna sentenza di condanna. Delle due, infatti, l’una:
-) se si pronuncia una condanna, vuoi dire che tra le parti pendeva una lite; e per pendere una lite non deve essere stato raggiunto alcun accordo;
-) se e’ stato raggiunto un accordo, va dichiarata cessata la materia del contendere; se poi i termini dell’accordo non vengano rispettati da una delle parti, tale inadempimento va fatto valere nelle sedi opportune, e non chiedendo una condanna all’adempimento al giudice del giudizio concluso dall’accordo conciliativo.
4. Il terzo motivo di ricorso resta assorbito.
5. Le spese del presente giudizio di legittimita’ saranno liquidate dal giudice del rinvio.

P.Q.M.

la Corte di cassazione:
(-) rigetta il primo motivo di ricorso;
(-) accoglie il secondo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita’;
(-) dichiara assorbito il terzo motivo di ricorso.

 

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