Il giudice amministrativo nelle materie in cui non ha giurisdizione esclusiva

Consiglio di Stato, Sentenza|26 gennaio 2021| n. 778.

Il giudice amministrativo nelle materie in cui non ha giurisdizione esclusiva conosce, senza efficacia di giudicato, di tutte le questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti, la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale.

Sentenza|26 gennaio 2021| n. 778

Data udienza 14 gennaio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Procedura espropriativa – Occupazione – Controversie – Eccezione di usucapione – Giudice amministrativa – Questioni pregiudiziali o incidentali

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8712 del 2019, proposto dai signori Gi. Bo., ed altri, rappresentati e difesi dall’avvocato Pa. Ca. ed elettivamente domiciliati presso il suo studio in Roma, via (…);
contro
Il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione staccata di Latina, n. 114/2019, resa tra le parti, depositata il 25 febbraio 2019, concernente l’accertamento della illegittima occupazione dei terreni di proprietà dei ricorrenti da parte del Comune di (omissis), nonché per la condanna della medesima Amministrazione alla restituzione dei terreni, o in subordine al risarcimento del danno o, in ulteriore subordine, al pagamento delle indennità di esproprio.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 gennaio 2021 il Cons. Michele Pizzi e rilevato che l’udienza si svolge ai sensi dell’art. 25, comma 2, del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni con legge 18 dicembre 2020, 176, attraverso videoconferenza con l’utilizzo della piattaforma “Microsoft Teams”, come previsto dalla circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario generale della Giustizia amministrativa.
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso innanzi al Tar Lazio, sezione staccata di Latina, notificato nel gennaio del 2011, i signori Gi. Bo., ed altri, hanno esposto che:
– sono proprietari per il 50% pro indiviso di alcuni terreni situati nel Comune di (omissis) (foglio (omissis), particelle (omissis));
– il Comune, con delibera del 10 agosto 1984, decise dapprima di promuovere una prima procedura espropriativa per la realizzazione dei lavori di ampliamento del campo da golf e poi, con una successiva deliberazione a distanza di quasi dieci anni, decise di sottoporre ad esproprio ulteriori particelle (foglio (omissis), particelle (omissis));
– il Comune di (omissis) non ha mai versato ai proprietari le relative indennità di esproprio, né ha mai concluso le due suddette procedure espropriative con formali decreti di esproprio.
Ciò premesso, gli interessati hanno chiesto l’accertamento della illegittimità degli atti delle procedure espropriative con conseguente restituzione dei terreni de quibus, o in via subordinata la condanna del Comune di (omissis) al risarcimento del danno o, in via ulteriormente gradata, al pagamento delle indennità di occupazione, oltre rivalutazione ed interessi.
Il Tar Lazio, sezione staccata di Latina, con la gravata sentenza n. 114/2019, ha in parte dichiarato il ricorso inammissibile per difetto di giurisdizione ed in parte lo ha respinto.
In particolare il primo Giudice ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione sia con riguardo alla domanda riguardante la determinazione e la corresponsione dell’indennità in conseguenza dell’adozione di atti aventi natura espropriativa o ablativa, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. g), cod. proc. amm., sia con riguardo all’esame “della eccezione di usucapione proposta dal Comune di (omissis) con riguardo alle particelle (omissis)”.
Il Tar ha invece respinto il ricorso con riguardo alla seconda procedura espropriativa (avviata negli anni 1993/94), in quanto “l’Amministrazione ha prodotto in giudizio copia del decreto definitivo di esproprio n. 366 del 9.5.2000 con determinazione delle indennità […], depositate presso la Cassa DD.PP. di Frosinone”: il Tar ha rilevato che, a fronte di un decreto di esproprio seppur tardivamente adottato, non è configurabile “in capo all’Amministrazione alcun obbligo di provvedere ad adottare un provvedimento di acquisizione dell’area ai sensi dell’art. 42-bis d.P.R. 6 giugno 2001 n. 327”.
Con ricorso in appello notificato il 17 settembre 2019, i nominati in epigrafe hanno dedotto i seguenti due motivi di gravame:
– erronea declaratoria del difetto di giurisdizione, quanto al capo della sentenza del Tar, che ha declinato la propria giurisdizione con riguardo all’esame dell’eccezione di usucapione sollevata dal Comune, con riferimento alle particelle (omissis) del foglio (omissis), oggetto della prima procedura espropriativa, nonché fondatezza nel merito della domanda svolta in primo grado, con riguardo alla restituzione dei terreni de quibus, oltre al risarcimento del danno (risarcimento in subordine, in conseguenza di una loro rinuncia abdicativa);
– nullità del decreto di esproprio n. 366/2000 tardivamente emesso, con riguardo alla seconda procedura espropriativa avviata nel 1993 e concernente le particelle (omissis), con conseguente erroneità della pronuncia del Tar, che ha ritenuto tale decreto di esproprio non nullo, ma solo illegittimo ed annullabile nei termine di legge, dovendosi al contrario accogliere la domanda dei ricorrenti per la restituzione dei terreni de quibus, oltre al risarcimento del danno (risarcimento in subordine, in conseguenza di una loro rinuncia abdicativa).
Il Comune di (omissis) non si è costituito in giudizio.
Gli appellanti, in data 12 gennaio 2021, hanno depositato note di udienza, alternative alla discussione, ai sensi dell’art. 4, comma 1, del decreto legge 30 aprile 2020, n. 28, convertito con modificazioni con legge 25 giugno 2020, n. 70.
In particolare i nominati in epigrafe, vista la mancata costituzione in giudizio del Comune di (omissis), hanno rappresentato che l’appello fu notificato al predetto Comune una prima volta, a mezzo posta, in data 17 settembre 2019 presso il domicilio eletto in primo grado (avvocato Ma. Pi. con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Si. Au. in Latina, Largo (omissis)), ma che la notifica non andò a buon fine “a causa della variazione di indirizzo dello studio dell’avv. Si. Au., mai comunicata”; proseguono gli appellanti evidenziando di essersi prontamente attivati e di aver, pertanto, proceduto ad una seconda notifica al Comune di (omissis) a mezzo posta, in data 30 settembre 2019, presso il “nuovo indirizzo del medesimo avv. Si. Au., in Latina (omissis)” e che la seconda notifica è andata a buon fine, essendosi perfezionata in data 1° ottobre 2019.
All’udienza pubblica del 14 gennaio 2021 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

In via preliminare deve essere dichiarata la tempestività della notifica dell’appello, facendo applicazione dei principi espressi dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato con sentenza 27 maggio 1999, n. 13: “La parte soccombente in primo grado non ha l’onere di effettuare accertamenti sul reale domicilio del procuratore domiciliatario della controparte cui intende notificare il ricorso in appello, atteso che ai sensi dell’art. 330 c.p.c. non rileva di per sè la variazione della sede dello studio del difensore, in quanto se manca la sua rituale comunicazione alla controparte continua ad avere rilievo processuale la formale elezione di domicilio effettuata nel corso del giudizio e disciplinata dall’art. 330 c.p.c., salva l’applicazione dell’art. 141 c.p.c.”.
Nel presente caso gli appellanti hanno effettuato la notifica dell’appello al Comune di (omissis), tempestivamente in data 17 settembre 2019, presso il domicilio eletto in primo grado, così come risultante dalla gravata sentenza del Tar Lazio, sezione staccata di Latina (cioè all’avvocato Ma. Pi. con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Si. Au. in Latina, Largo (omissis)), senza che possa valere, ai danni del notificante, la variazione di indirizzo dell’avvocato destinatario della notifica, non essendovi prova che tale variazione fosse stata comunicata.
Gli appellanti, accortisi del disguido a loro non imputabile, si sono inoltre prontamente attivati per rinotificare il ricorso in appello presso il nuovo indirizzo dello studio dell’avvocato Si. Au. (notifica perfezionatasi in data 1° ottobre 2019, come risulta dalla cartolina di ricevimento depositata in giudizio).
La notifica del ricorso in appello deve pertanto ritenersi tempestiva.
Venendo all’esame dell’appello, il primo motivo è fondato.
Ha errato, infatti, il Tar nel ritenere che, con riguardo alla prima procedura espropriativa, l’eccezione di usucapione sollevata dal Comune di (omissis) non possa essere esaminata dal giudice amministrativo, dal momento che, al contrario, ai sensi dell’art. 8, comma 1, cod. proc. amm. “Il giudice amministrativo nelle materie in cui non ha giurisdizione esclusiva conosce, senza efficacia di giudicato, di tutte le questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti, la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale” (sulla possibilità del giudice amministrativo di pronunciare incidenter tantum su diritti, Cons. Stato, Sez. IV, sent. n. 4570/2020; Sez. IV, sent. n. 5665/2014).
Avendo, pertanto, il Tar Latina erroneamente declinato la propria giurisdizione con riguardo alla domanda svolta in primo grado relativamente alla prima procedura espropriativa intrapresa dal Comune di (omissis), la causa deve essere rimessa in parte qua al primo giudice ai sensi dell’art. 105, comma 1, cod. proc. amm.
Va rimarcato come sussista la giurisdizione amministrativa esclusiva su tutte le domande formulate in primo grado, sulle quali dunque si deve pronunciare il Tar, esaminando incidenter tantum tutte le deduzioni delle parti anche sul regime proprietario delle aree.
Il secondo motivo di appello, riguardante la seconda procedura espropriativa avviata nel 1993, è infondato.
Infatti, in caso di adozione dopo i termini di legge del decreto di esproprio, non sussiste un difetto assoluto di attribuzione, ma l’esercizio di potestà amministrative seppur non conforme al paradigma legislativo, con la conseguenza che, in presenza di un decreto di esproprio già adottato, pur tardivamente, ma non impugnato, non è configurabile in capo all’Amministrazione alcun obbligo di provvedere ad adottare un provvedimento di acquisizione dell’area ai sensi dell’art. 42-bis d.P.R. 6 giugno 2001 n. 327 (Cons. Stato, Sez. IV, sent. n. 4799/2016).
La Sezione rileva che il decreto di esproprio, adottato oltre il termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità, non può considerarsi nullo per carenza di potere, ma illegittimo e, quindi, annullabile negli ordinari termini di legge: tale conclusione – ab antiquo fatta propria da questo Consiglio trova conferma sul piano del diritto positivo, atteso che l’art. 21-septies della legge n. 241/1990, nell’introdurre in via generale la categoria normativa della nullità del provvedimento amministrativo, ha ricondotto a tale radicale patologia il solo difetto assoluto di attribuzione.
Per la risalente e pacifica giurisprudenza di questo Consiglio, qualsiasi vizio del procedimento espropriativo non esclude la natura autoritativa del decreto d’esproprio, quale atto con cui si esercita il potere previsto dalla normativa di settore (per tutte, Cons. Stato, Sez. IV, 30 dicembre 2020, n. 8516; Sez. IV, 21 settembre 2020, n. 5521; Sez. IV, 15 giugno 2020; Sez. IV, 13 maggio 2020, n. 3098; Ad. Plen., 26 marzo 2004, n. 3; Sez. IV, 30 novembre 1992, n. 990; Ad. Plen., 25 febbraio 1975, n. 2; Ad. Plen., 4 dicembre 1964, n. 24): poiché non rileva la gravità del vizio prospettato, non possono essere considerati nulli gli atti del procedimento espropriativo che, in ipotesi, siano stati emessi in violazione di una legge (che costituisce uno dei tre tradizionali vizi dell’atto amministrativo).
Non si può dunque ritenere sussistente un’difetto assoluto di attribuzionà, il quale è configurabile soltanto quando una Amministrazione non è titolare di alcun potere in materia, mentre nella specie è indubbio – e non è stato contestato dalla parte appellante – che il Comune era titolare del potere di emanare gli atti del procedimento ablatorio.
Nel presente caso, come accertato dal primo giudice, i terreni oggetto della seconda procedura espropriativa condotta dal Comune di (omissis) (foglio (omissis), particelle (omissis)) sono stati formalmente espropriati a seguito della adozione del decreto di esproprio 9 maggio 2000, n. 366, rimasto inoppugnato.
Il secondo motivo di appello deve pertanto essere respinto.
In definitiva il primo motivo di appello deve essere accolto con parziale annullamento della sentenza di primo grado e rimessione in parte qua della causa al primo giudice, ai sensi dell’art. 105 cod. proc. amm., dovendo il Tar Lazio, sezione staccata di Latina, pronunciarsi incidenter tantum sull’eccezione di usucapione sollevata dal Comune di (omissis) e successivamente pronunciarsi sulla domanda svolta in primo grado relativamente ai terreni oggetto della prima procedura espropriativa, ovviamente facendo applicazione dell’art. 42-bis del testo unico sugli espropri, come interpretato dalla Adunanza Plenaria e da questa Sezione, anche circa il potere di convertire d’ufficio la domanda proposta.
Deve invece essere respinto il secondo motivo di appello.
Data la parziale soccombenza, sussistono giuste ragioni per disporre la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello n. r.g. 8712/2019, come in epigrafe proposto, lo accoglie parzialmente con riguardo alla declaratoria di difetto di giurisdizione (giurisdizione invece sussistente), annulla parzialmente la sentenza di primo grado e rimette la causa al primo giudice in parte qua, ai sensi e per gli effetti di cui in motivazione; rigetta per il resto l’appello.
Spese compensate dei due gradi.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 gennaio 2021, ai sensi dell’art. 25 del decreto legge n. 137 del 2020, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Luca Lamberti – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere
Silvia Martino – Consigliere
Michele Pizzi – Consigliere, Estensore

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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