Il giudicato interno quando si risolve una questione avente una propria individualità ed autonomia

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|26 febbraio 2024| n. 5017.

Il giudicato interno quando si risolve una questione avente una propria individualità ed autonomia

Il giudicato interno può formarsi solo su di un capo autonomo della sentenza che risolva una questione avente una propria individualità ed autonomia, così da integrare una decisione del tutto indipendente, e non sussiste nei riguardi di una mera argomentazione, ossia della semplice esposizione di un’astratta tesi giuridica, anche quando sia utile a risolvere questioni strumentali all’attribuzione del bene controverso. (Nel caso di specie, relativo ad una controversia insorta in materia di diritti reali, la Suprema Corte, richiamato l’enunciato principio, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata per avere la corte del merito ignorato l’accertamento contenuto in una precedente decisione e divenuto definitivo, che, pur non estrinsecandosi in un capo specifico del dispositivo, non costituiva un semplice fatto, ma una statuizione della sentenza, costituita dalla sequenza rappresentata da fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile I, ordinanza 30 giugno 2022, n. 20951; Cassazione, sezione civile I, ordinanza 15 dicembre 2021, n. 40276; Cassazione, sezione civile I, sentenza 18 settembre 2017, n. 21566).

Ordinanza|26 febbraio 2024| n. 5017. Il giudicato interno quando si risolve una questione avente una propria individualità ed autonomia

Data udienza 14 dicembre 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Procedimento civile – Sentenza – Cosa giudicata – Giudicato interno – Configurabilità – Presupposti – Fattispecie relativa a controversia insorta in materia di diritti reali. (Cc, articoli 832, 840, 873, 905, 2697 e 2909)

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

ORILIA Lorenzo – Presidente
MOCCI Mauro – Consigliere – Rel.

MONDINI Antonio – Consigliere

AMATO Cristina – Consigliere

OLIVA Stefano – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24442/2019 R.G. proposto da:

Pe.Sa., elettivamente domiciliato in ROMA (…), presso lo studio dell’avvocato In.Ci. (…) rappresentato e difeso dall’avvocato Pi.Ra. (…)

– ricorrente –

contro

Av.An., Sa.Cr., Be.An., Av.Ro., elettivamente domiciliati in ROMA VIA (…), presso lo studio dell’avvocato Ma.Iv. (-) rappresentati e difesi dagli avvocati Mo.Gi. (…), De.Pi. (…)

– controricorrenti –

nonché contro

Sa.Vi.

– intimato –

avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BARI n. 1224/2019 depositata il 24/05/2019.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/12/2023 dal Consigliere dr. MAURO MOCCI.

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FATTI DI CAUSA

Di.Gi. – quale procuratrice speciale di Di.Gi. – conveniva avanti il Tribunale di Bari Av.Do., Sa.Mi. e Sa.Gi., al fine di far accertare che i convenuti avevano posto in essere condotte abusive nei confronti dell’immobile sito in Mola di Bari, appartenente all’attore e confinante con la proprietà condominiale dei convenuti. In particolare, questi ultimi avrebbero: a) invaso una striscia di terreno di proprietà esclusiva dell’attore; b) creato un accesso al vano sottoscala di proprietà attorea, installandovi una caldaia; c) realizzato finestre prospicienti sull’androne di accesso della proprietà attorea; d) realizzato a livello del primo piano un bagno sporgente sull’androne; e) installato tubazioni idriche e fognarie a distanza inferiore a quella legale. Con riguardo alle varie violazioni allegate chiedeva: a) l’accertamento della proprietà esclusiva con conseguente ordine di rilascio, b) l’accertamento dell’installazione abusiva della centrale termica e la sua rimozione, c) la dichiarazione di illegittimità delle finestre con connesso ordine di chiusura, d) l’accertamento dell’illegittima realizzazione del bagno e la sua rimozione, e) la rimozione di tutte le tubazioni idriche e fognarie.

Costituitisi i convenuti, il giudizio di primo grado, istruito mediante CTU e testi, si concludeva con sentenza di rigetto delle domande attoree a spese compensate.

Avverso tale decisione, Pe.Sa. in qualità di procuratore generale di Ca.Lu. e Di.Pa. (qualificatisi quali unici eredi superstiti di Di.Gi.) proponeva gravame.

Resistevano Av.An., Sa.Mi., Sa.Gi., Be.An. e Av.Ro.

In riforma della decisione di primo grado, la Corte d’appello di Bari con sentenza n. 784 depositata il 28/06/2012 condannava gli appellati a rimuovere le aperture praticate nei muri perimetrali e costituenti vedute nell’androne di proprietà degli appellanti, entro 60 giorni dalla notifica della sentenza, ponendo a carico di ciascun gruppo contrapposto le spese di CTU e compensando interamente le spese di lite.

Av.An., Sa.Gi., Be.An., Av.Ro., Crescenza e Sa.Vi. proponevano ricorso per cassazione. Resisteva con controricorso Pe.Sa. quale procuratore generale di Ca.Lu. e Di.Pa., proponendo a sua volta ricorso incidentale articolato in quattro motivi, cui resistevano con controricorso i ricorrenti principali.

Con sentenza n. 7451, depositata il 26 marzo 2018, questa Suprema Corte accoglieva il quarto motivo del ricorso incidentale, rigettati tutti gli altri, rinviando alla stessa Corte barese, in diversa composizione, affinché procedesse ad esaminare la domanda volta a conseguire la dichiarazione dell’illegittimità del vano bagno realizzato in aggetto dell’androne a livello del primo piano, ordinandone la rimozione, che il giudice di secondo grado aveva ignorato.

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Pronunziando in sede di rinvio, la Corte d’appello di Bari. con sentenza n. 1224 del 24 maggio 2019, rigettava l’appello in parte qua.

Affermava che la domanda non avrebbe potuto essere accolta, per mancanza di prova della proprietà esclusiva dell’androne su cui aggettava il vano bagno.

Pe.Sa., nella predetta qualità, ha proposto ricorso per cassazione, sulla scorta di due motivi, illustrati da successiva memoria ex art. 378 c.p.c.

Hanno depositato controricorso Av.An., Be.An., Av.Ro. e Sa.Cr.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

Questa Corte deve preliminarmente dare atto dell’assenza di incompatibilità da parte del Presidente dr. Lorenzo Orilia, già componente del Collegio che aveva disposto l’annullamento della sentenza n. 784/2012 della Corte d’appello di Bari. Infatti, Il Collegio che giudichi del ricorso per cassazione proposto avverso sentenza pronunciata dal giudice di rinvio può essere composto anche da magistrati che abbiano partecipato al precedente giudizio conclusosi con la sentenza di annullamento, senza che sussista alcun obbligo di astensione a loro carico ex art. 51, comma 1, n. 4, c.p.c., in quanto tale partecipazione non determina alcuna compromissione dei requisiti di imparzialità e terzietà del giudice, e ciò a prescindere dalla natura del vizio che ha determinato la pronuncia di annullamento, che può consistere indifferentemente in un “error in procedendo” o in un “error in iudicando”, atteso che, anche in quest’ultima ipotesi, il sindacato è esclusivamente di legalità, riguardando l’interpretazione della norma ovvero la verifica del suo ambito di applicazione, al fine della sussunzione della fattispecie concreta, come delineata dal giudice di merito, in quella astratta (Sez. 3, n. 1542 del 25 gennaio 2021; v. anche Cass. n. 30264/2023).

1) Attraverso la prima doglianza, proposta ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., il ricorrente assume la violazione degli artt. 2909, 2697, 832, 840, 873 e 905 c.c. Afferma che il giudice del rinvio avrebbe ignorato il giudicato interno formatosi sulla proprietà esclusiva dell’androne e sulla prova dei confini costituiti dai muri perimetrali, evidenziando così un contrasto di giudicati, ex art. 324 c.p.c.

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2) Mediante la seconda censura, proposta ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., il Pe.Sa. deduce la violazione degli artt. 91, 92. 93 e 385 comma 3 c.p.c., giacché, in considerazione del supposto esito favorevole della causa, il ricorrente avrebbe avuto diritto all’integrale rifusione delle spese di lite.

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3) Il primo motivo è fondato.

3.a) Il ricorrente sostiene che la proprietà esclusiva dell’androne (nella sua interezza) sarebbe stata accertata dalla Corte d’appello di Bari con la sentenza n. 784/2012, che avrebbe statuito per la parte non attinta dall’annullamento della Corte di cassazione. In particolare, già la sentenza di prime cure aveva motivato nel senso che la proprietà di tale androne non fosse contestata. Il concetto sarebbe stato altresì ribadito dalla Corte territoriale e dal suo richiamo “ai muri perimetrali che determinano la separazione delle rispettive proprietà”, in modo da far ritenere che il giudicato si fosse formato anche relativamente ai confini, costituiti dai muri perimetrali delle proprietà, nonché sull’appartenenza esclusiva dell’androne. Con riguardo a quest’ultimo, il giudice del rinvio, contrariamente al giudicato, sarebbe pervenuto ad una suddivisione fra la parte scoperta e la parte coperta dell’accertata proprietà esclusiva dell’area, mai posta in discussione in precedenza.

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3.b) Occorre effettivamente osservare che la proprietà esclusiva dell’androne, pur costituendo un presupposto per la decisione assunta in primo e secondo grado, non si è trasfusa in un capo autonomo del dispositivo delle sentenze di merito anteriori all’annullamento in sede di legittimità.

3.c) Tuttavia, secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, l’interpretazione della portata del giudicato, sia esso interno od esterno, va effettuata alla stregua di quanto stabilito nel dispositivo della sentenza e nella motivazione che la sorregge (Secata pubblicai 21165 del 7 agosto 2019; Sez. 6-3, n. 19252 del 19 luglio 2018; Sez. 6-5 n. 769 del 16 gennaio 2014).

In altri termini, il giudicato interno può formarsi ove venga risolta una questione avente una propria individualità ed autonomia, così da integrare una decisione del tutto indipendente, e non sussiste nei riguardi di una mera argomentazione, ossia della semplice esposizione di un’astratta tesi giuridica, anche quando sia utile a risolvere questioni strumentali all’attribuzione del bene controverso (Sez. 1, n. 20951 del 30 giugno 2022; Sez. 1, n. 40276 del 15 dicembre 2021; Sez. 1, n. 21566 del 18 settembre 2017).

3.d) Nella specie, l’accertamento della Corte d’appello con la sentenza 784/2012 – circa la proprietà esclusiva dell’androne – pur non essendosi estrinsecata in un capo specifico del dispositivo, non costituisce un semplice fatto ma una statuizione della sentenza, costituita dalla sequenza rappresentata da fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia.

3.e) La sentenza oggi impugnata ha dunque ignorato l’accertamento contenuto nella precedente decisione che confermato la condanna alla chiusura di tutte le aperture esistenti nei muri perimetrali che tale androne delimitavano, dando per assodata la proprietà esclusiva dell’androne.

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Una volta che il suddetto accertamento non era stato inciso dalla decisione della Corte Suprema – ed era dunque divenuto definitivo – sarebbe adesso del tutto illogico, dopo aver ordinato la rimozione di aperture esistenti nei muri perimetrali che prospettano sull’androne di proprietà dell’attore, consentire addirittura la presenza di un manufatto aggettante su tale androne.

L’accoglimento del primo motivo determina l’assorbimento della seconda doglianza, conseguenziale al precedente.

La sentenza impugnata va dunque cassata ed il giudice del rinvio, che si designa nella Corte d’appello di Bari, in diversa composizione, dovrà riesaminare la censura sulla creazione del locale bagno aggettante sull’androne, alla luce dei principi esposti e di quanto già precedentemente accertato in ordine alla natura dell’androne.

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P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Bari in diversa composizione.

Così deciso in Roma il 14 dicembre 2023.

Depositata in Cancelleria il 26 febbraio 2024.

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