Fondo patrimoniale – dalla costituzione alla trascrizione

Il Fondo Patrimoniale

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1) Introduzione

La legge di riforma del diritto di famiglia (n. 151 del 19 maggio 1975) ha introdotto e disciplinato, nella Sezione II, Capo VI, Titolo VI, Libro I del Codice civile (artt. 167-171), in sostituzione dell’abrogato patrimonio familiare, l’istituto del fondo patrimoniale.

Il nuovo istituto differisce molto dal precedente: basti pensare all’affidamento della gestione a entrambi i coniugi, al fatto che i beni possono essere, a certe condizioni, alienati, nonché alla possibilità di esecuzione forzata in favore dei terzi e alle disposizioni che possono essere dettate in caso di cessazione del fondo.

L’istituto, previsto dagli artt. 167 e segg. c.c., è stato tradizionalmente considerato quale patrimonio destinato allo scopo della famiglia legittima e lo studio di tale istituto è stato ricompreso in quello più generale dei vincoli di destinazione e della destinazione patrimoniale.

In altri termini costituisce strumento privilegiato per l’assolvimento del c.d. dovere di contribuzione (art. 143 c.c.), in base al quale i coniugi sono chiamati, ciascuno nei limiti delle proprie capacità, a mettere a disposizione della famiglia i propri redditi e beni, per soddisfarne i bisogni immediati e futuri, secondo l’indirizzo di vita familiare concordato (art. 144 c.c.). Detto fondo si compone di beni (immobili, mobili registrati e titoli di credito) vincolati, appunto, al soddisfacimento di tali bisogni e costituenti, perciò, un patrimonio separato (di destinazione).

Con l’istituzione del fondo, si determina un vincolo di destinazione sui beni, ma non sulla titolarità di essi che non divengono oggetto di trasferimento inter vivos, per spirito di liberalità [1].

Anche secondo una pronuncia del Tribunale palermitano [2], costituisce un atto a titolo gratuito, in quanto è carente qualsivoglia corrispondente attribuzione in favore dei disponenti, anche quando è posto in essere dagli stessi coniugi, giacché esso non può considerarsi integrare l’adempimento di un dovere giuridico non essendo obbligatorio per legge.

Il fondo patrimoniale non costituisce una deroga agli ordinari regimi matrimoniali della comunione [3] (art. 177 c.c.) o della separazione (art. 215 c.c.) di beni, ma a questi si affianca; è, in ogni caso, come si avrà modo di leggere successivamente, soggetto alle forme di pubblicità delle convenzioni matrimoniali.

In definitiva il fondo patrimoniale consiste in un vincolo di destinazione di determinati beni (immobili o mobili registrati) o titoli, per la soddisfazione dei bisogni della famiglia. Tali beni vengono a costituire un patrimonio separato, soggetto a proprie regole per quanto riguarda l’amministrazione e soggetto a vincoli per ciò che riguarda l’alienazione e la possibilità di essere aggredito da terzi.

Pertanto, è del tutto pacifico in dottrina ed in giurisprudenza che si tratta di un’ipotesi normativa di patrimonio destinato ad uno scopo che comporta un regime di parziale inaggredibilità dei beni destinati (ai sensi dell’art. 170 c.c.) e di parziale inalienabilità degli stessi (art. 169 c.c.).

Secondo, poi altri autori [4], la nozione di fondo patrimoniale che si desume dalla lettura delle norme del codice civile è quella di un complesso di beni, o più precisamente dei diritti relativi ai beni medesimi, appartenenti ai coniugi, a uno solo di essi oppure a un terzo, che il titolare destina a garantire e soddisfare le obbligazioni contratte per le necessità e i bisogni della famiglia. Tali beni, sottoposti a un vincolo di destinazione, configurano una sorta di patrimonio separato il cui elemento distintivo e caratterizzante è dato dalla sua particolare e indefettibile destinazione ai bisogni della famiglia.

Per ultima Cassazione[5] il fondo patrimoniale consiste nell’imposizione convenzionale, da parte di uno o di entrambi i coniugi o di un terzo, di un vincolo in forza del quale determinati beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri, o titoli di credito, sono destinati a far fronte ai bisogni della famiglia, onde consentire alla stessa il godimento di un tenore di vita tendenzialmente costante nel tempo. Questo, nella sostanza, è ciò che dispone l’art. 167 c.c., dal quale si ricava che non tutti i beni possono far parte del fondo patrimoniale, bensì solo quelli esplicitamente previsti dalla disciplina sostanziale.

La ratio della disposizione risiede sul fatto che si consente una specifica destinazione a determinati beni che servono per il soddisfacimento del bisogno della famiglia, affinché risulti circoscritto il perimetro entro il quale si può agire esecutivamente. Ne consegue che il creditore procedente che intenda esercitare un diritto di credito afferente a un rapporto giuridico estraneo alle esigenze della famiglia potrà agire solo su beni diversi da quelli che costituiscono il fondo patrimoniale, fatta salva la possibilità che lo stesso creditore dimostri che, di fatto, il debito è stato contratto per soddisfare precisi, specifici e circostanziati bisogni familiari. Spetta, comunque, ai coniugi dimostrare che l’obbligazione è sorta per finalità estranee alle esigenze della famiglia.

Il vincolo di destinazione dei beni, vera e propria causa/funzione dell’atto di costituzione, è assistito da un duplice ordine di limiti (come meglio specificato infra):

  • da un lato, all’utilizzazione da parte dei soggetti costituenti il fondo;
  • dall’altro, all’esecuzione sui beni oggetto dello stesso.

Questo vincolo consiste nella necessità di «far fronte ai bisogni della famiglia».

Occorre, in primo luogo, determinare cosa debba intendersi per famiglia.

Secondo tradizione, è tale quella nucleare, composta dai coniugi e dai figli (legittimi) nati dal matrimonio. Tuttavia, ai fini dell’applicabilità della disciplina in esame, si è adottata una nozione alquanto estesa di famiglia, comprendente tutti i figli minori a carico (senza distinzione tra legittimi, legittimati o adottivi), anche se di uno solo dei coniugi, nonché talvolta i figli maggiorenni e i nipoti. Decisivo, ai fini di cui sopra, appare essere lo stabile inserimento di tali soggetti all’interno del nucleo familiare, più o meno ampio che sia.

Occorre, in secondo luogo, concentrarsi sulla nozione di bisogni.

Sono bisogni della famiglia, al soddisfacimento dei quali è preordinata la costituzione del fondo patrimoniale, non solo quelli strettamente materiali, ma anche quelli di natura spirituale; non solo quelli che siano comuni, istantaneamente, a tutti i componenti il nucleo familiare, bensì anche quelli facenti capo al singolo, la cui soddisfazione, tuttavia, possa in concreto essere d’interesse per il gruppo; non solo, infine, quelli presenti, ma anche quelli futuri. Debbono ritenersi escluse le esigenze di natura voluttuaria o eminentemente speculative [6] (così).

Infine, sotto un profilo fiscale secondo la S.C.[7] l’atto di costituzione di un fondo patrimoniale non è un atto traslativo a titolo oneroso, né un atto avente per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale, né, infine, un atto avente natura meramente ricognitiva, bensì una convenzione istitutiva di un nuovo regime giuridico, diverso da quello precedente, costitutivo di beni in un patrimonio avente un vincolo di destinazione a carattere reale, in quanto vincola l’utilizzazione dei beni e dei frutti solo per assicurare il soddisfacimento dei bisogni della famiglia. Ne consegue, in tema di imposta di registro, che il regime di tassazione di tale atto non è quello dell’imposta proporzionale, di cui agli artt. 1 (atti traslativi a titolo oneroso), 9 (atti diversi, aventi ad oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale), o 3 (atti di natura dichiarativa) della tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, ma va individuato nella categoria residuale disciplinata dall’art. 11 della tariffa stessa, con conseguente applicabilità dell’imposta nella misura fissa ivi indicata.

 

2) Atto di costituzione del fondo patrimoniale

 

Art. 167 [8] c.c.
Costituzione del fondo patrimoniale

Ciascuno o ambedue i coniugi, per atto pubblico, o un terzo, anche per testamento, possono costituire un fondo patrimoniale, destinando determinati beni, immobili o mobili iscritti in pubblici registri, o titoli di credito, a far fronte ai bisogni della famiglia.

La costituzione del fondo patrimoniale per atto tra vivi, effettuata dal terzo, si perfeziona con l’accettazione dei coniugi. L’accettazione può essere fatta con atto pubblico posteriore.

La costituzione può essere fatta anche durante il matrimonio.

I titoli di credito devono essere vincolati rendendoli nominativi con annotazione del vincolo o in altro modo idoneo.

 

Il fondo patrimoniale può essere costituito in qualsiasi tempo, sia prima che dopo la celebrazione delle nozze.

Con l’atto di costituzione i beni oggetto del fondo patrimoniale, in tal modo, vengono a costituire un patrimonio separato retto da particolari regole:

  • i frutti prodotti possono essere impiegati solo per far fronte ai bisogni della famiglia;
  • la loro amministrazione è regolata dalle norme relative alla comunione legale;
  • non possono essere alienati, ipotecati, dati in pegno o comunque vincolati senza il consenso di entrambi i coniugi e, se vi sono figli minori, solo con l’autorizzazione del giudice, salvo che ciò non sia stato espressamente consentito nell’atto di costituzione;
  • non possono essere oggetto di esecuzione per debiti che il creditore sapeva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia.

La costituzione deve essere sempre effettuata mediante atto pubblico, tranne l’ipotesi di costituzione operata dal terzo per testamento.

Difatti, nel caso di costituzione da parte del terzo, il Codice prevede due ipotesi: quella di costituzione per testamento e quella della costituzione per atto tra vivi.

In particolare, la costituzione a opera del terzo per atto tra vivi si perfeziona con l’accettazione da parte di entrambi i coniugi, accettazione che può essere fatta anche con atto pubblico posteriore.

Nel caso di costituzione del fondo operata tramite testamento, bisogna distinguere due ipotesi:

  • quella in cui l’attribuzione avviene in forza di una istituzione ereditaria e
  • quella in cui la costituzione viene operata tramite un legato.

Nel primo caso, la costituzione potrà avvenire in virtù di un’istituzione di erede ex re certa, dubitandosi del fatto che possa valere anche un’istituzione totalitaria, vista la contraddittorietà tra l’universalità dell’attribuzione e la specialità della destinazione.

Sarà necessaria, inoltre, l’accettazione di entrambi i coniugi, anche quando il chiamato all’eredità fosse uno solo di essi: in tal caso, difatti, l’accettazione del coniuge chiamato varrà ad acquistare l’eredità, quella dell’altro coniuge avrà, invece, la funzione di consenso alla costituzione di fondo patrimoniale.

Nel caso di costituzione operata a mezzo di legato non servirà, invece, l’accettazione espressa e ciascuno dei coniugi potrà rifiutare il lascito, fatto salvo il diritto dell’altro a farsi autorizzare dal giudice ad accettarlo.

Secondo altri autori occorre piuttosto distinguere tra iniziativa per la costituzione del fondo, assunta con la volontà testamentaria, ed effettiva realizzazione di esso, conseguente alla mancata formulazione del rifiuto. Un’ulteriore convenzione non è richiesta nel caso di atto tra vivi, bastando l’accettazione, anche successiva, dei coniugi. Non si comprende, pertanto, per questi autori perché debba essere necessaria a seguito di disposizione mortis causa, potendo essere sostituita da un atto similare, come ad esempio il non rifiuto.

La proprietà dei beni del fondo spetta, di regola, a entrambi i coniugi, «salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di costituzione» (art. 168 comma I, c.c.). Ciò significa, inter alia, che il terzo costituente il fondo può sempre riservare a se stesso la titolarità dei beni conferiti.

In ogni caso, l’amministrazione di tali beni spetta sempre ai coniugi, in osservanza delle norme previste in tema di amministrazione della comunione legale (art. 168 comma 3, c.c.).

In capo ai coniugi che non siano proprietari dei beni del fondo viene così configurandosi un diritto di godimento sui generis, sovente inquadrato nello schema dell’usufrutto [9] (ordinario e/o legale).

Costituzione unilaterale e accettazione dell’altro coniuge

Un altro dibattuto problema inerente alla costituzione del fondo a opera di uno solo dei coniugi, riguarda la necessità o meno dell’accettazione da parte dell’altro, atteso che, diversamente dall’ipotesi di costituzione a opera del terzo per atto inter vivos, il nostro codice non la richiede espressamente. La questione in esame, dunque, si incentra sulla struttura unilaterale o bilaterale dell’ipotesi considerata. L’art. 167 c.c. afferma, infatti, che ciascun coniuge possa costituire un fondo patrimoniale, ma tale disposizione è stata interpretata da parte della dottrina nel senso che un coniuge possa prendere soltanto l’iniziativa, ma per determinare la costituzione del fondo occorre l’accordo degli sposi.

La dottrina dominante è, difatti, orientata nel senso che il fondo patrimoniale non possa essere costituito in virtù della sola manifestazione di volontà di uno dei coniugi.

Tale conclusione viene giustificata facendo leva sulla circostanza che la disciplina dell’istituto in esame prevede che l’amministrazione dei beni costituenti il fondo spetti a entrambi i coniugi, secondo le norme della comunione legale, e conseguentemente, è necessario che entrambi partecipino all’atto costitutivo in quanto con esso assumono un onere effettivo (un dovere di amministrare) e non solo eventuale.

Inoltre, visto che l’alienazione dei beni del fondo è subordinata all’assenso di entrambi i coniugi (art. 169 c.c.), a maggior ragione entrambi dovranno assentire alla costituzione di tale vincolo.

Infine, se si aderisce alla ricostruzione che attribuisce all’atto costitutivo del fondo la natura di convenzione matrimoniale, e quindi di contratto, anche se sui generis, si esclude necessariamente la natura di atto unilaterale.

Una parte minoritaria della dottrina propende, invece, per una ricostruzione dell’istituto in termini di negozio unilaterale, nel caso in cui sia uno dei coniugi a promuovere la costituzione del fondo su beni di esclusiva proprietà del coniuge costituente.

Tale possibilità viene giustificata puntando sul favor che il Legislatore mostra rispetto alla costituzione del fondo; sul fatto che la legge prevede una partecipazione congiunta solo quando si tratti di accettare la costituzione del terzo e sulla circostanza che all’altro coniuge vengono attribuiti solo poteri.

La giurisprudenza, da parte sua, ha preferito seguire l’opinione maggioritaria, ritenendo che la costituzione operata da uno dei coniugi possa perfezionarsi unicamente con l’accettazione da parte dell’altro per il motivo assorbente che la costituzione del fondo importa pur sempre la creazione in capo a entrambi i coniugi di un potere-dovere di amministrazione.

 

3) Beni oggetto del fondo e loro amministrazione

Art. 168 c.c.
Impiego ed amministrazione del fondo

La proprietà dei beni costituenti il fondo patrimoniale spetta ad entrambi i coniugi, salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di costituzione.

I frutti dei beni costituenti il fondo patrimoniale sono impiegati per i bisogni della famiglia.

L’amministrazione dei beni costituenti il fondo patrimoniale è regolata dalle norme relative all’amministrazione della comunione legale .

Per quanto concerne i beni che possono fare parte del fondo, la legge specifica che sia beni immobili che mobili iscritti nei pubblici registri rientrano nell’oggetto del fondo patrimoniale.

Possono, inoltre, essere conferiti nel fondo anche titoli di credito, purché siano vincolati rendendoli nominativi con annotazione del vincolo o in altro modo idoneo, come anche i beni futuri.

Per autorevole dottrina [10] possono essere conferiti anche titoli di credito non nominativi, qualora il vincolo di destinazione risulti pubblicizzato in maniera idonea. La ratio della norma viene individuata nell’esigenza di pubblicità del vincolo e di tutela dei creditori e, di conseguenza, si afferma che, ove esse risultino comunque soddisfatte, la norma possa essere interpretata in modo estensivo.

Per la dottrina restrittiva si ritiene che possano essere conferiti in fondo unicamente i titoli fruttiferi, infatti, visto che il fondo può consistere anche solo in un mero diritto di godimento, a niente servirebbe un titolo infruttifero, quale ad esempio una cambiale o un assegno.

Non sono conferibili le universalità di beni mobili, poiché semplicemente non menzionate nel primo comma dell’art. 167 c.c., anche se in realtà può valere il contrario se specificamente elencati, ad esempio come l’azienda mobiliare [11].

La proprietà dei beni costituenti il fondo patrimoniale spetta, in base al disposto dell’art. 168 c.c., a entrambi i coniugi, salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di costituzione.

In tal modo i coniugi ne saranno titolari pro indiviso, venendosi a creare una comunione a mani riunite in tutto analoga al regime di comunione legale [12].

L’amministrazione dei beni costituenti il fondo patrimoniale è regolata dalle norme relative all’amministrazione della comunione legale, pertanto ciascuno dei coniugi ha la rappresentanza negoziale del fondo e può disgiuntamente dall’altro porre in essere atti di ordinaria amministrazione (atti di conservazione, di riscossione e disposizione delle rendite per soddisfare i bisogni della famiglia). Altri ritengono, invece, che il carattere ordinario dell’atto di amministrazione vada riferito alla scarsa rilevanza economica dell’atto posto in essere in correlazione alla complessiva situazione patrimoniale della famiglia.

Quanto agli atti di straordinaria amministrazione, questi possono essere compiuti soltanto da entrambi i coniugi congiuntamente, salva la possibilità ex art. 181 c.c., di ottenere l’autorizzazione del giudice nei casi in cui la stipulazione dell’atto sia necessaria nell’interesse della famiglia.

Sono, generalmente, considerati atti di straordinaria amministrazione tutti quegli atti che, incidendo direttamente sul fondo, sì da modificarne la consistenza o il valore patrimoniale, possono condurre a un cambiamento della situazione economica della famiglia.

Secondo parte della dottrina [13], l’atto costitutivo può autorizzare uno dei coniugi a compiere da solo atti di straordinaria amministrazione dei beni.

Altro autore afferma che l’art. 169 c.c. riserva alle parti una duplice facoltà di deroga: possibilità di escludere che i coniugi debbano agire congiuntamente per il compito degli atti menzionati dalla norma ma rientranti nell’ordinaria amministrazione; riconoscimento ai coniugi del potere di agire congiuntamente, in presenza dei figli minori, senza autorizzazione giudiziale.

 

4) Alienazione dei beni del fondo

Art. 169 c.c.
Alienazione dei beni del fondo

Se non è stato espressamente consentito nell’atto di costituzione, non si possono alienare, ipotecare, dare in pegno o comunque vincolare beni del fondo patrimoniale se non con il consenso di entrambi i coniugi e, se vi sono figli [14] minori, con l’autorizzazione concessa dal giudice, con provvedimento emesso in camera di consiglio, nei soli casi di necessità o di utilità evidente.

È opportuno già sottolineare che l’atto compiuto senza autorizzazione non è nullo (anche se alcuni autori [15] hanno parlato di nullità, mentre altri di inefficacia), ma può comportare l’applicazione dell’art. 183 c.c. (esclusione dall’amministrazione del coniuge che ha male amministrato) ed abilitare i figli ad agire per il risarcimento del danno.

Tale autorizzazione non è necessaria per i frutti dei beni, poiché tale divieto andrebbe in contrasto con la finalità di far fronte ai bisogni della famiglia.

Per la corte Partenopea [16] i beni costituiti nel fondo patrimoniale, non potendo essere distolti dalla loro destinazione ai bisogni familiari, non possono costituire oggetto di iscrizione di ipoteca ad opera di terzi, qualunque clausola sia stata inserita nell’atto di costituzione circa le modalità di disposizione degli stessi in difformità da quanto stabilito dall’art. 169 c.c. Tuttavia, nell’ipotesi in cui i coniugi o uno di essi abbiano assunto obbligazioni nell’interesse della famiglia, e qualora risultino inadempienti alle stesse, è consentito al creditore di procedere all’iscrizione di ipoteca sui beni costituiti nel fondo, attesa la funzione di garanzia che essi assolvono per il creditore, in quanto correlati al soddisfacimento delle esigenze familiari. L’esposta conclusione, ove si ritenga che i crediti fatti valere siano stati contratti per obbligazioni estranee ai bisogni della famiglia, dovrebbe maggiormente valere ove, come nel caso di specie, l’iscrizione di ipoteca per l’esecuzione della pretesa tributaria ai sensi dell’art. 77, D.P.R. n. 602 del 1973 non è una misura solo cautelare, bensì un istituto della espropriazione immobiliare, apparendo, dunque, evidente l’intimo nesso che lega la formalità ipotecaria alla imminente esecuzione immobiliare.

Per una pronuncia di merito[17], stante il carattere inderogabile della disposizione di cui all’art. 169 c.c., risulta essere affetta da nullità, rilevabile d’ufficio, la clausola inserita nell’atto di costituzione di fondo patrimoniale fra coniugi, la quale li esenti dal dovere di ottenere l’autorizzazione giudiziale, a nulla rilevando che vi siano figli minori.

La funzione dell’autorizzazione giudiziaria, prevista dall’art. 169 c.c. per il compimento di atti di alienazione dei beni conferiti in fondo patrimoniale in caso di presenza di figli minori, è evidentemente rivolta ad accertare che gli atti di alienazione dei beni del fondo non pregiudichino gli interessi dei minori. Pertanto è priva di effetto la pattuizione contenuta nell’atto costitutivo del fondo patrimoniale che escluda tale autorizzazione [18].

In merito poi alle iscrizioni ipotecarie non volontarie, per ultima Cassazione [19], l’art. 170 c.c., nel disciplinare le condizioni di ammissibilità dell’esecuzione sui beni costituiti nel fondo patrimoniale, detta una regola applicabile anche all’iscrizione di ipoteca non volontaria, ivi compresa quella di cui all’art. 77 del d.P.R. 3 marzo 1973, n. 602.

Ne consegue, che l’esattore può iscrivere ipoteca su beni appartenenti al coniuge o al terzo, conferiti nel fondo, qualora il debito facente capo a costoro sia stato contratto per uno scopo non estraneo ai bisogni familiari, ovvero quando – nell’ipotesi contraria – il titolare del credito, per il quale l’esattore procede alla riscossione, non conosceva l’estraneità ai bisogni della famiglia; viceversa, l’esattore non può iscrivere l’ipoteca – sicché, ove proceda in tal senso, l’iscrizione è da ritenere illegittima – nel caso in cui il creditore conoscesse tale estraneità.

 

5) Scioglimento del fondo patrimoniale

 

Art. 171 c.c.

Cessazione del fondo

La destinazione del fondo termina a seguito dell’annullamento o dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio .

Se vi sono figli [20] minori il fondo dura fino al compimento della maggiore età dell’ultimo figlio. In tale caso il giudice può dettare, su istanza di chi vi abbia interesse, norme per l’amministrazione del fondo.

Considerate le condizioni economiche dei genitori e dei figli ed ogni altra circostanza, il giudice può altresì attribuire ai figli, in godimento o in proprietà, una quota dei beni del fondo.

Se non vi sono figli, si applicano le disposizioni sullo scioglimento della comunione legale[21]

Per quando riguarda la cessazione del fondo patrimoniale, l’art. 171 c.c. prevede che quest’ultimo si sciolga a seguito dell’annullamento, dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio.

È pacifico comunque che il fondo patrimoniale cessi anche in caso di morte presunta di uno dei coniugi, anche se tale fattispecie non è espressamente prevista dalla norma in esame.

La giurisprudenza ha escluso che la separazione personale dei coniugi possa essere causa di scioglimento del fondo o fallimento, in quanto non compresa nell’elenco delle cause di scioglimento previsto dall’art. 171 c.c.

Per quanto riguarda l’annullamento del matrimonio ed il divorzio, la cessazione del fondo si determina nel momento in cui passa in giudicato la relativa sentenza.

Questione dibattuta è quella se sia ammissibile o meno lo scioglimento convenzionale del fondo, ovvero se tale operazione possa essere autorizzata dall’autorità giudiziaria su istanza congiunta dei coniugi.

La tesi favorevole si fonda essenzialmente sulla considerazione che l’atto costitutivo del fondo patrimoniale sia una convenzione matrimoniale e, come tale, assoggettato alla relativa disciplina. Da tale premessa discende che, così come delle convenzioni matrimoniali sono possibili tanto la modifica quanto lo scioglimento, così dovrebbe essere ammissibile la risoluzione per mutuo consenso dell’atto di destinazione dei beni al fondo patrimoniale.

La tesi contraria all’ammissibilità dello scioglimento convenzionale del fondo trae, invece, origine dalla considerazione che l’art. 171 c.c. prevede una elencazione tassativa delle cause di scioglimento, nella quale non è annoverato lo scioglimento per mutuo consenso.

La norma non contempla, non almeno espressamente, alcuna possibilità di scioglimento convenzionale del vincolo, nemmeno per contrarius actus.

In altri termini, sembrerebbe che, una volta costituito, il fondo patrimoniale sia sottratto, sotto l’aspetto estintivo, alla disponibilità dei soggetti che pure ne hanno determinato, con l’esercizio della propria autonomia negoziale, la nascita.

L’u.c. della citata norma, tuttavia, stabilisce che: «se non vi sono figli, si applicano le disposizioni sullo scioglimento della comunione legale» (art. 191 c.c.).

Ciò ha indotto parte della dottrina a ritenere che, rientrando tra le cause di scioglimento della comunione legale anche il «mutamento convenzionale del regime patrimoniale» (disciplinato dall’art. 210 c.c.), ai costituenti residui pur sempre un certo potere estintivo del fondo (se non altro in assenza di figli).

Per il Tribunale meneghino [22] l’art. 171 c.c. riguarda esclusivamente le ipotesi di cessazione legale del fondo essendo, conseguentemente, ammissibile la cessazione volontaria del fondo patrimoniale per mutuo consenso dei coniugi nelle stesse forme di cui all’art. 163 c.c. pur in presenza di figli minorenni. All’atto pubblico di modifica o di risoluzione dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale i coniugi possono addivenire liberamente senza necessità di autorizzazione da parte della autorità giudiziaria, pur in presenza di figli minori.

L’autorizzazione è richiesta dall’art. 169 c.c. soltanto per la alienazione dei beni facenti parte del fondo ovvero per dare in pegno, ipotecare o comunque vincolare beni del fondo nei soli casi di necessità o utilità evidente. Alla revocabilità per mutuo consenso del fondo patrimoniale non può porsi un controllo giudiziario non previsto da alcuna norma di legge e del quale mancherebbero i parametri di valutazione e che si porrebbe in contrasto con l’esigenza di salvaguardia della autonomia privata dei coniugi/genitori.

In merito al terzo comma sono sorti problemi interpretativi a come sia possibile attribuire ai figli la proprietà dei beni senza violazione delle norme costituzionali.

Secondo una tesi restrittiva viene consentito al giudice il potere di attribuire ai figli soltanto il godimento (e non la proprietà) di beni appartenenti al fondo cessato.

Secondo altri autori il terzo comma sarebbe funzionalmente legato al secondo, in quanto entrambe le disposizioni si riferirebbero ai figli minorenni.

Se anche il terzo comma dell’art. 171 si riferisce unicamente ai figli minorenni, il problema di compatibilità costituzionale della norma può ritenersi superato, in quanto l’eventuale cessione dei beni di proprietà ai figli risulta giustificata dagli obblighi previsti dall’art. 30 della Costituzione e dagli artt. 147 e 148 del c.c.

Logicamente tale interpretazione è in aperto contrasto con la lettera della norma.

Per quel che riguarda, infine, gli incrementi e le modificazioni (che non risultino in un mutamento radicale) del fondo, può ritenersi applicabile l’art. 163 c.c., norma a carattere generale in materia di modifiche delle convenzioni matrimoniali.

6) Trascrizione, annotazione ed opponibilità

 

La costituzione del fondo patrimoniale prevista dall’art. 167 c.c. e comportante un limite alla disponibilità di determinati beni con vincolo di destinazione per fronteggiare i bisogni familiari, va compresa tra le convenzioni matrimoniali; pertanto essa è soggetta alle disposizioni dell’art. 162 c.c. circa le forme delle convenzioni medesime, ivi inclusa quella del comma III, che ne condiziona l’opponibilità ai terzi all’annotazione del relativo contratto a margine dell’atto di matrimonio, mentre la trascrizione del vincolo stesso, ai sensi dell’art. 2647 c.c., con riferimento agli immobili che ne siano oggetto, resta degradata a mera pubblicità-notizia, inidonea ad assicurare detta opponibilità [23].

E’ necessario, dunque, verificare in che limiti è opponibile la costituzione del fondo ai terzi che vantano crediti.

Sul punto il legislatore ha avvertito l’esigenza di prevedere una disciplina della pubblicità della costituzione del fondo patrimoniale.

A tal fine bisogna distinguere tra beni immobili (e quelli mobili registrati iscritti in pubblici registri) dai titoli di credito.

Relativamente ai beni immobili, la pubblicità ha due forme:

  • l’annotazione e
  • la trascrizione.

La prima risulta dal IV comma dell’art. 162 c.c., secondo il quale le convenzioni matrimoniali, per essere opposte ai terzi, richiedono l’annotazione a margine dell’atto di matrimonio della data del contratto, il notaio rogante, generalità dei contraenti.

Ma tale pubblicità del vincolo non è sufficiente, perché non fornisce la possibilità ai terzi di desumere direttamente quali siano in concreto i beni gravati dal vincolo.

È perciò prevista un’ulteriore forma di pubblicità e, precisamente, la trascrizione dell’atto che ha costituito il fondo patrimoniale se ha per oggetto logicamente beni immobili ex art. 2647, I comma, ovvero beni mobili registrati ex art. 2685 c.c.

Pertanto, il problema è quello di individuare il momento dal quale è possibile opporre ai creditori il vincolo volontario costituito sui beni facenti parte del fondo, essendo possibile, attraverso una condotta fraudolenta costituire il fondo successivamente alla assunzione di un debito proprio al fine di eludere l’adempimento di questo.

Su questa problematica è intervenuta la Corte di Cassazione [24] laddove si è affermato che la costituzione del fondo patrimoniale è opponibile ai terzi esclusivamente a partire dalla data di annotazione a margine dell’atto di matrimonio negli appositi registri dello stato civile, non potendosi far retrodatare la produzione degli effetti alla data di proposizione della domanda di annotazione od anticiparli alla data della trascrizione effettuata ex art. 2647 c.c. ed avente la precipua funzione di pubblicità notizia.

In altre parole la Giurisprudenza di legittimità [25] ha affermato, che la trascrizione ai sensi dell’art. 2647 c.c. non sostituisce gli adempimenti previsti dall’art. 162 c.c., che restano indispensabili per determinare l’opponibilità nei confronti dei terzi [26].

In precedenza la medesima Cassazione [27] così statuiva: la costituzione del fondo patrimoniale prevista dall’art. 167 c.c. e comportante un limite alla disponibilità di determinati beni con vincolo di destinazione per fronteggiare i bisogni familiari, va compresa tra le convenzioni matrimoniali; pertanto essa è soggetta alle disposizioni dell’art. 162 c.c. circa le forme delle convenzioni medesime, ivi inclusa quella del comma 3, che ne condiziona l’opponibilità ai terzi all’annotazione del relativo contratto a margine dell’atto di matrimonio, mentre la trascrizione del vincolo stesso, ai sensi dell’art. 2647 c.c., con riferimento agli immobili che ne siano oggetto, resta degradata a mera pubblicità-notizia, inidonea ad assicurare detta opponibilità. Ne consegue che, in mancanza di annotazione del fondo patrimoniale a margine dell’atto di matrimonio, il fondo medesimo non è opponibile ai creditori che abbiano iscritto ipoteca, sui beni che lo costituiscono, successivamente alla trascrizione della costituzione del fondo stesso, essendo la trascrizione irrilevante e non potendo, del resto, l’annotazione nei registri dello stato civile, successiva alla iscrizione ipotecaria, retroagire a data anteriore (nella specie era indicata quella della trascrizione), perché una tale retroattività si risolverebbe in danno ai terzi titolari di diritti in base ad atti precedentemente trascritti, in violazione dei principi basilari della pubblicità dichiarativa.

In realtà parte della dottrina più elastica ritiene che è sufficiente la semplice trascrizione presso la conservatoria e l’annotazione acquisterebbe una mera funzione integrativa intesa a subordinare l’efficacia esterna delle convenzioni fondate sul presupposto della vigenza del regime della comunione legale.

Mentre, per altra tesi più radicale l’annotazione addirittura sarebbe superflua e la convenzione, anche se non annotata, purchè trascritta, sarebbe comunque opponibile ai terzi di mala fede.

Ma la giurisprudenza come già scritto è intervenuta sul punto più volte a partire dalla sentenza n. 8824/1987 ribadendo con fermezza che, siccome la costituzione del fondo patrimoniale è soggetta alle disposizioni dell’art. 162 c.c. per l’opponibilità ai terzi, la trascrizione del vincolo stesso, ai sensi dell’art. 2647 c.c., con riferimento agli immobili che ne siano oggetto, resta degradata a mera pubblicità-notizia inidonea ad assicurare, come già scritto detta opponibilità.

Infine, è bene precisare che secondo la S.C. [28] il notaio rogante che chiede l’annotazione senza rispettare il termine di trenta giorni previsto dall’art. 34 disp. att. c.c., incorre nella responsabilità ex art. 1218 c.c., che si configura anche in caso di tardività dell’adempimento.

7) Fondo patrimoniale ed esecuzione

art. 170 c.c.

Esecuzione sui beni e sui frutti

L’esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia.

In base al disposto dell’art. 170 c.c., l’esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia.

Pertanto il vincolo di impignorabilità dipende da uno stato soggettivo del creditore ovvero quello dell’ignoranza dell’estraneità dei debiti contratti rispetto agli interessi della famiglia e, dunque, sarà onere di colui che vuol far valere l’impignorabilità dimostrare sia che i debiti per cui si procede in esecuzione erano stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia, sia che i creditori procedenti erano stati a conoscenza di tali fatti.

L’esperienza dimostra che il fondo patrimoniale è stato scarsamente utilizzato e, laddove è stato impiegato, vi era la precipua finalità di creare un patrimonio separato funzionale a sottrarre ai creditori i beni oggetto della garanzia patrimoniale piuttosto che a destinare beni per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia.

Il fondo patrimoniale, pur non costituendo centro autonomo d’imputazione (di diritti e obblighi), rappresenta una eccezione al principio generale di responsabilità del patrimoniale del debitore (art. 2740 c.c.).

Ai fini dell’operatività del limite in esso previsto, occorre pertanto, da una parte, che l’obbligazione sia stata assunta per uno scopo diverso da quello dell’interesse famigliare; dall’altra, che il creditore fosse consapevole di questa estraneità di scopo, nel momento in cui si è perfezionato il rapporto di tipo obbligatorio. La prova di tale consapevolezza spetta naturalmente al debitore [29].

L’esecuzione sui beni e sui frutti del fondo patrimoniale è consentita, a norma dell’art. 170 c.c., soltanto per debiti contratti per far fronte a esigenze familiari; l’accertamento relativo alla riconducibilità dei beni alle esigenze della famiglia costituisce accertamento di fatto, istituzionalmente rimesso al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo per vizio di motivazione.

In merito è intervenuta recente Cassazione

Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 26 agosto 2014, n. 18248

affermando il seguente principio: se il credito del terzo è maturato per soddisfare i bisogni della famiglia, l’esecuzione sul fondo patrimoniale è sempre legittima senza che sia necessario indagare se sia sorto prima il credito o il fondo. Ciò che rileva a fondare l’ordinaria assoggettabilità del bene, oggetto di fondo patrimoniale, ad espropriazione è l’intrinseca correlazione tra il credito azionato e la destinazione del primo.

Si legge, inoltre, nella medesima sentenza che l’articolo 170 cod. civ.  integra un divieto di espropriazione avente natura di eccezione al principio generale della responsabilita’ patrimoniale del debitore, ma comunque che un tale divieto si basa sulla necessaria coesistenza di almeno tre presupposti (della cui prova e’ onerato l’esecutato, come già scritto: da ultimo, v. Cass. 5 marzo 2013, n. 5385, ovvero Cass. 19 febbraio 2013, n. 4011):

1) di un elemento formale, cioe’ della rituale annotazione a margine del registro di stato civile;

2) di un elemento oggettivo, cioe’ l’estraneita’ del credito ai bisogni della famiglia;

3) di un elemento soggettivo, cioe’ la consapevolezza del creditore di tale estraneità.

E’ ben vero, si continua a leggere nella sentenza indicata, che la giurisprudenza Corte regolatrice è costante nell’escludere, nonostante il tenore testuale della norma e con l’evidente scopo di garantire la massima operatività concreta possibile all’istituto in preponderante tutela delle esigenze della famiglia, la rilevanza dell’elemento soggettivo – ai fini dell’operatività del divieto di espropriazione – in caso di credito extracontrattuale e perfino in caso di credito anteriore: giungendo cosi’ ad escludere l’assoggettabilita’ ad espropriazione dei beni oggetto di fondo patrimoniale pure per i crediti extracontrattuali (da ultimo, Cass. 5 marzo 2013, n. 5385).

Ma il medesimo approdo ermeneutico, sia per l’insuperabilità del relativo argomento testuale che in coerenza con la funzione stessa dell’istituto, esige pur sempre – o, se non altro, postula senza dubbio o per implicito – la compresenza almeno degli altri due elementi, quello formale (sul quale, tra le ultime, v. pure Cass. 16526/12, Cass. 27854/13) e quello oggettivo.

In tal modo, pure il credito extracontrattuale è ammesso a soddisfacimento sui beni in fondo patrimoniale, purchè sussista una relazione tra il fatto generatore (o fonte generatrice) e le esigenze familiari (Cass. 18 luglio 2003, n. 11230; Cass. 5 giugno 2003, n. 8991); ed intese poi queste ultime in senso relativamente ampio, quali quelle volte al pieno soddisfacimento ed all’armonico sviluppo della famiglia nonchè al potenziamento della sua capacita’ lavorativa, con esclusione solo delle esigenze di natura lavorativa, con esclusione solo delle esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da interessi meramente speculativi (Cass. n. 134/84, Cass. n. 11683/01, Cass. n. 15862/09, Cass. 411/13: con formula quindi piuttosto ampia, tale da comprendere anche esigenze ritenute soggettivamente tali dai coniugi).

Infine, cio’ che rileva a fondare l’ordinaria assoggettabilita’ del bene, oggetto di fondo patrimoniale, ad espropriazione è l’intrinseca correlazione tra il credito azionato e la destinazione del primo: la limitazione teleologica della generale responsabilità patrimoniale, normalmente, invece, non riducibile per atto unilaterale del debitore, dei coniugi non soffre quindi restrizioni, perchè la funzione di quei beni è rispettata proprio con la loro concreta utilizzazione per il soddisfacimento di crediti sorti in funzione dei bisogni della famiglia, sicchè quei beni rispondono, in concreto, proprio alla finalità cui erano stati eccezionalmente riservati.

Non rileva quindi, se non altro nella fattispecie ed in ragione della sua peculiarita’, si’ da restare impregiudicata in questa sede, l’eventuale verifica della tenuta della giurisprudenza di legittimita’ in punto di estensione del divieto di espropriabilita’ ai crediti anteriori alla data di costituzione del fondo, ove volesse attribuirsi rilievo alle esigenze di parita’ di trattamento tra debitori, anche alla stregua delle alternative offerte dai nuovi strumenti processuali di tutela apprestati dall’ordinamento anche per i cosiddetti insolventi civili.

In tema è intervenuta la Cassazione nuovamente

Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 31 ottobre 2014, n. 23163

affermando il seguente principio: in tema di fondo patrimoniale, tra i debiti contratti per i bisogni della famiglia, per i quali puo’ avere luogo l’esecuzione forzata ai sensi dell’articolo 170 cod. civ., vanno compresi quelli riguardanti i beni costituiti in fondo patrimoniale, per definizione destinati essi stessi al soddisfacimento delle esigenze familiari; in particolare, vanno compresi i debiti per oneri condominiali e per spese processuali sopportate dal condominio per riscuotere gli oneri condominiali relativi ad un immobile facente parte del fondo patrimoniale. Da quanto sopra consegue come non sia affatto decisiva l’omessa precisazione, nella motivazione della sentenza, che i crediti per i quali il Condominio stava esercitando l’azione esecutiva fossero relativi, non tanto (o non solo) agli oneri condominiali quanto alle spese legali sopportate per conseguirne il pagamento per via giudiziaria.

Nella sentenza in commento è stato ribadito che, in tema di fondo patrimoniale, il criterio identificativo dei crediti il cui soddisfacimento puo’ essere realizzato in via esecutiva sui beni conferiti nel fondo va ricercato nella relazione esistente tra gli scopi per cui i debiti sono stati contratti ed i bisogni della famiglia, con la conseguenza che l’esecuzione sui beni del fondo o sui frutti di esso puo’ avere luogo qualora la fonte e la ragione del rapporto obbligatorio abbiano inerenza diretta ed immediata con i bisogni della famiglia (Cass. n. 12998/06, tra le altre).

Il Collegio ritiene che tra i debiti contratti per i bisogni della famiglia vadano compresi quelli riguardanti i beni costituiti in fondo patrimoniale, dal momento che questi stessi beni sono per definizione destinati a soddisfare i bisogni della famiglia (cfr., da ultimo, Cass. n. 13622/10, circa la funzione di garanzia assolta dai beni costituiti in fondo, in quanto correlati al soddisfacimento delle esigenze familiari).

I creditori delle spese sopportate dai coniugi per la conservazione e la manutenzione dei beni costituiti in fondo patrimoniale possono far valere la garanzia patrimoniale su tali ultimi beni e procedere alla loro espropriazione forzata per i debiti relativi.

Al riguardo, l’articolo 170 cod. civ. non consente alcuna distinzione tra spese necessarie, utili o voluttuarie, ne’ tra spese inevitabili e spese evitabili con una piu’ oculata gestione dei beni costituiti in fondo. Conseguentemente, non rileva, ai fini della pignorabilita’, la distinzione tra spese per oneri condominiali dei beni costituiti in fondo patrimoniale e spese legali liquidate in favore del Condominio per conseguire il pagamento degli oneri condominiali. Gli uni e le altre costituiscono debiti contratti dai coniugi per quegli stessi bisogni familiari alla cui soddisfazione sono destinati i beni del fondo patrimoniale, cui le spese ineriscono, ed ai sensi dell’articolo 170 cod. civ. i relativi creditori possono procedere all’esecuzione forzata su questi beni.

E’ stato precisato, si continua a leggere in sentenza, che quanto appena affermato non si pone in contrasto col principio, che si intende ribadire, per il quale, in tema di esecuzione sui beni del fondo patrimoniale e sui frutti di essi, il disposto dell’articolo 170 cod. civ. per il quale detta esecuzione non puo’ aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia, va inteso non in senso restrittivo, come riferentesi cioe’ alla necessita’ di soddisfare l’indispensabile per l’esistenza della famiglia, bensi’ nel senso di ricomprendere in detti bisogni anche quelle esigenze volte al pieno mantenimento ed all’armonico sviluppo della famiglia, nonche’ al potenziamento della sua capacita’ lavorativa, restando escluse solo le esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi (cosi’ gia’ Cass. n. 134/84, seguita, tra le altre, da Cass. n. 15862/09). Piuttosto, si intende precisare che le esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti speculativi rilevano al fine di escludere la pignorabilita’ quando esse non ineriscano direttamente ai beni costituiti in fondo patrimoniale; qualora invece i debiti siano contratti per la gestione e l’amministrazione di questi stessi beni, essi debbono intendersi necessariamente riferiti ai bisogni della famiglia, anche quando inerenti, come detto, a spese a carattere voluttuario o comunque evitabili.

Ancora per recente Cassazione

Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza 21 ottobre 2015, n. 21396

in tema di fondo patrimoniale, anche un debito di natura tributaria sorto per l’esercizio dell’attività imprenditoriale può ritenersi contratto per i bisogni della famiglia, a condizione che si dimostri che l’obbligazione è sorta per soddisfare tali bisogni, non essendo sufficiente che il debito derivi dall’attività professionale o d’impresa del coniuge. Il criterio identificativo dei debiti per i quali può avere luogo l’esecuzione sui beni del fondo va ricercato non già nella natura dell’obbligazione ma nella relazione tra il fatto generatore dell’obbligazione e i bisogni della famiglia. La finalità non può dirsi sussistente per il solo fatto che il debito derivi dall’attività professionale o d’impresa del coniuge, dovendosi accertare che l’obbligazione sia sorta per il soddisfacimento dei bisogni familiari – incluse le esigenze volte al pieno mantenimento e all’univoco sviluppo della famiglia – ovvero per il potenziamento della capacità lavorativa del coniuge, e non per esigenze da natura voluttuaria o caratterizzate da interesse meramente speculativi.

Provvedimento confermato con ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza 24 febbraio 2016, n. 3600

secondo la quale, appunto, in materia di esecuzione sui beni costituiti in fondo patrimoniale, il criterio identificativo dei debiti per i quali può avere luogo l’esecuzione va ricercato nella relazione tra il fatto generatore dell’obbligazione (a prescindere dalla sua natura contrattuale o extracontrattuale) e i concreti bisogni della famiglia. Di conseguenza, anche un debito di natura tributaria, sorto per l’esercizio dell’attività d’impresa del contribuente, potrebbe ritenersi contratto per soddisfare tali bisogni.

Mentre, con altra recente pronuncia

Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza 14 ottobre 2016, n. 20799

è stato confermato il principio secondo il quale l’articolo 170 c.c., nel disciplinare le condizioni di ammissibilita’ dell’esecuzione sui beni costituiti nel fondo patrimoniale, detta una regola applicabile anche all’iscrizione di ipoteca non volontaria, ivi compresa quella di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, articolo 77, sicche’ l’esattore puo’ iscrivere ipoteca su beni appartenenti al coniuge o al terzo, conferiti nel fondo, se il debito sia stato da loro contratto per uno scopo non estraneo ai bisogni familiari, ovvero – nell’ipotesi contraria – purche’ il titolare del credito, per il quale l’esattore procede alla riscossione, non fosse a conoscenza di tale estraneita’, dovendosi ritenere, diversamente, illegittima l’eventuale iscrizione comunque effettuata.

Pertanto, e’ vero che l’ipoteca non e’ un atto di espropriazione forzata o atto esecutivo vero e proprio rappresentando un atto preordinato e strumentale all’espropriazione immobiliare, tuttavia appare corretto ritenere in via interpretativa che l’ambito di applicazione del citato articolo 170 c.c. possa essere esteso anche all’iscrizione ipotecaria

Successivamente la Cassazione,

Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 28 ottobre 2016, n. 21800

ha nuovamente statuito che:

qualora il coniuge che ha costituito un fondo patrimoniale, conferendovi un suo bene, agisca contro un suo creditore chiedendo che – in ragione dell’appartenenza del bene al fondo – venga dichiarata, ai sensi dell’articolo 170 c.c., l’illegittimita’ dell’iscrizione di ipoteca che costui abbia eseguito sul bene, ha l’onere di allegare e provare che il debito sia stato contratto per uno scopo estraneo ai bisogni della famiglia e che il creditore fosse a conoscenza di tale circostanza, anche nel caso di iscrizione ipotecaria Decreto del Presidente della Repubblica del 29 marzo 1973, n. 602, ex articolo 77; 

Il criterio identificativo dei debiti per i quali puo’ avere luogo l’esecuzione sui beni del fondo va ricercato non gia’ nella natura dell’obbligazione ma nella relazione tra il fatto generatore di essa e i bisogni della famiglia;

L’onere della prova dei presupposti di applicabilita’ dell’articolo 170 c.c. grava su chi intenda avvalersi del regime di impignorabilita’ dei beni costituiti in fondo patrimoniale, sicche’, ove sia proposta opposizione, ex articolo 615 c.p.c., per contestare il diritto del creditore ad agire esecutivamente, il debitore opponente deve dimostrare non soltanto la regolare costituzione del fondo e la sua opponibilita’ al creditore procedente, ma anche che il suo debito verso quest’ultimo venne contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia, a tal fine occorrendo che l’indagine del giudice si rivolga specificamente al fatto generatore dell’obbligazione, a prescindere dalla natura della stessa: pertanto, i beni costituiti in fondo patrimoniale non potranno essere sottratti all’azione esecutiva dei creditori quando lo scopo perseguito nell’obbligarsi fosse quello di soddisfare i bisogni della famiglia, da intendersi non in senso meramente oggettivo ma come comprensivi anche dei bisogni ritenuti tali dai coniugi in ragione dell’indirizzo della vita familiare e del tenore prescelto, in conseguenza delle possibilita’ economiche familiari.

Con successiva sentenza di appena 20 giorni la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza 9 novembre 2016, n. 22761

ha riaffermato, facendo proprio il principio già stabilito nel 2013, l’onere della prova dei presupposti di applicabilita’ dell’articolo 170 c.c., grava su chi intenda avvalersi del regime di impignorabilita’ dei beni costituiti in fondo patrimoniale, sicche’, ove sia proposta opposizione, ex articolo 615 c.p.c., per contestare il diritto del creditore ad agire esecutivamente, il debitore opponente deve dimostrare non soltanto la regolare costituzione del fondo e la sua opponibilita’ al creditore procedente, ma anche che il suo debito verso quest’ultimo venne contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia, a tal fine occorrendo che l’indagine del giudice si rivolga specificamente al fatto generatore dell’obbligazione, a prescindere dalla natura della stessa: pertanto, i beni costituiti in fondo patrimoniale non potranno essere sottratti all’azione esecutiva dei creditori quando lo scopo perseguito nell’obbligarsi fosse quello di soddisfare i bisogni della famiglia, da intendersi non in senso meramente oggettivo ma come comprensivi anche dei bisogni ritenuti tali dai coniugi in ragione dell’indirizzo della vita familiare e del tenore prescelto, in conseguenza delle possibilita’ economiche familiari.

Ancora sull’onere della prova altra recente Cassazione

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|25 ottobre 2021| n. 29983

ha riaffermato che in tema di fondo patrimoniale, per contestare il diritto del creditore ad agire esecutivamente, ed anche il diritto di iscrivere ipoteca giudiziale, il debitore opponente deve sempre dimostrare la regolare costituzione del fondo e la sua opponibilità al creditore procedente, e pure che il suo debito verso quest’ultimo venne contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia; la rispondenza o meno dell’atto ai bisogni della famiglia richiede una verifica estesa al riscontro di compatibilità con le più ampie esigenze dirette al pieno mantenimento e all’armonico sviluppo familiare, cosicché l’estraneità non può considerarsi desumibile soltanto dalla tipologia di atto (la fideiussione prestata in favore di una società) in sé e per sé considerata. (Nella specie la S.C. ha respinto la tesi della ricorrente secondo cui, in presenza di una fideiussione a favore di una società, ricorrono “in re ipsa” entrambi i presupposti: sia quello dell’estraneità ai bisogni della famiglia sia, automaticamente, quello della conoscenza di questa in capo al creditore, senza bisogno di provare altro che l’esistenza della fideiussione medesima, cosicché la prova dell’estraneità del debito ai bisogni della famiglia andrebbe considerata assolta per definizione).

Per il Tribunale fiorentino [30] nel caso in cui due coniugi abbiano costituito un fondo patrimoniale su alcuni beni immobili e vengano avviate delle procedure esecutive da parte dei creditori procedenti volte al recupero dei propri crediti, è necessario verificare la destinazione funzionale dei debiti contratti dall’esecutato al fine di appurare se gli stessi siano stati finalizzati alla soddisfazione dei bisogni della famiglia, intesi non in senso meramente oggettivo, ma come comprensivi anche dei bisogni ritenuti tali dai coniugi in ragione dell’indirizzo della vita familiare e del tenore prescelto, in conseguenza delle possibilità economiche familiari, e se di tale finalizzazione fosse a conoscenza il creditore al momento in cui è sorta l’obbligazione. Ne consegue che l’onere della prova dei presupposti di applicabilità dell’art. 170 del codice civile grava su chi intende avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale e, nel caso di opposizione ai sensi dell’art. 615 del codice di procedura civile, il debitore deve dimostrare non soltanto la regolare costituzione del fondo e la sua opponibilità al creditore procedente, ma anche che il suo debito verso quest’ultimo venne contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia risultando, in caso contrario, l’assoggettamento, dei beni che ne costituiscono oggetto, alla procedura di espropriazione immobiliare.

In definitiva in sede esecutiva, nel caso in cui i coniugi debitori oppongano la sussistenza del vincolo costituito dal fondo patrimoniale (inaggredibilità), sull’immobile oggetto dell’esecuzione, dovranno dimostrare non soltanto la regolare costituzione del fondo e la sua opponibilità al creditore procedente, ma anche che il suo debito verso quest’ultimo venne contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia (ex art. 170 c.c.), a tal fine occorrendo che l’indagine del giudice si rivolga specificamente al fatto generatore dell’obbligazione, a prescindere dalla natura della stessa: pertanto, i beni costituiti in fondo patrimoniale non potranno essere sottratti all’azione esecutiva dei creditori quando lo scopo perseguito nell’obbligarsi fosse quello di soddisfare i bisogni della famiglia, da intendersi non in senso meramente oggettivo ma come comprensivi anche dei bisogni ritenuti tali dai coniugi in ragione dell’indirizzo della vita familiare e del tenore prescelto, in conseguenza delle possibilità economiche familiari [31].

 

8) Fondo patrimoniale ed azione revocatoria ex art. 2901 c.c.

La considerazione del fondo patrimoniale quale patrimonio destinato ad uno scopo che determina un regime di parziale inaggredibilità dei beni destinati, giustifica l’applicazione da parte della giurisprudenza di legittimità del rimedio dell’azione revocatoria, al fine di porre nel nulla, rectius di rendere inefficace, il negozio costitutivo del fondo anche e, soprattutto, ai fini della tutela dei creditori che vantano crediti nei confronti di coloro, genitori, che hanno costituito il fondo.

A tal proposito giova sottolineare che la Suprema Corte[32] ha sempre affermato che la costituzione di fondo patrimoniale possa essere oggetto di azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. (ove ne ricorrano tutti i presupposti) da parte dei creditori, essendo un atto con il quale si può recare pregiudizio alle ragioni di questi ultimi.

La Cassazione ha specificato che nel caso in cui la costituzione sia avvenuta anteriormente al sorgere del debito, per la sussistenza del consilium fraudis è sufficiente la consapevolezza, da parte dei debitori, del pregiudizio che, mediante l’atto di disposizione, sia in concreto arrecato alle ragioni del creditore.

Anche in ambito fallimentare c’è una espressa previsione.

Il n. 3 dell’art. 46 legge fall. (R.D. n. 267 del 1942) prima di essere modificata dal D.Lgs. n. 5 del 2006 stabiliva che non erano compresi nel fallimento i redditi dei beni costituiti in patrimonio familiare, non essendo stato modificato dalla legge istitutiva del fondo patrimoniale. Con la recente riforma della legge fallimentare è stata finalmente adeguata la relativa disciplina e il nuovo n. 3 dell’art. 46 legge fall. prevede che non fanno parte del fallimento i beni costituiti in fondo patrimoniale e i frutti di essi, salvo quanto è disposto dall’art. 170 c.c.

La giurisprudenza, inoltre, ha sempre affermato che l’atto di costituzione di fondo patrimoniale compiuto dal fallito nel biennio anteriore al fallimento, rientrando nel genus degli atti a titolo gratuito, è soggetto ad azione revocatoria da parte del curatore del fallimento ex art. 64 legge fall.

Come ribadito anche da recente Cassazione

Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 12 dicembre 2014, n. 26223

secondo la quale, appunto, la costituzione del fondo patrimoniale per fronteggiare i bisogni della famiglia, anche qualora effettuata da entrambi i coniugi, non integra, di per se’, adempimento di un dovere giuridico, non essendo obbligatoria per legge, ma configura un atto a titolo gratuito, non trovando contropartita in un’attribuzione in favore dei disponenti, ed e’ pertanto suscettibile di revocatoria, a norma della L.F., articolo 64, salvo che si dimostri l’esistenza, in concreto, di una situazione tale da integrare, nella sua oggettivita’, gli estremi del dovere morale ed il proposito del solvens di adempiere unicamente a quel dovere mediante l’atto in questione (di recente, Cass. 08/08/2013, n. 19029).

E’ necessario, come già scritto, però, rappresentare che, in tanto si potrà eccepire (onus probandi incubit ei qui dicit – anche in caso di eccezione) la revocatoria in quanto ne sussistano i presupposti richiesti dall’art. 2901 c.c.; anche se trattandosi di costituzione di fondo patrimoniale e non di alienazione di un immobile in danno dei creditori, ipotesi cui precipuamente si riferisce la disposizione della norma in questione (art. 2901 c.c.), basterà fornire la prova che il debitore conoscesse il pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore (prima parte n. 1 dell’art. 2901 c.c.).

Nè è necessario dimostrare che l’atto fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicare il soddisfacimento del credito, atteso che la costituzione del fondo patrimoniale se successiva al sorgere del credito, né, ancora, necessario provare la sussistenza della condizione di cui al n. 2 dell’art. 2901 c.c. in quanto come già evidenziato, la fattispecie riguarda la costituzione di un fondo patrimoniale e non la vendita di un immobile a terzi per sottrarlo alla garanzia del creditore.

Per recente Cassazione [33] ai fini dell’esperibilità dell’azione revocatoria del fondo patrimoniale, ad integrare l’animus nocendi previsto dalla norma è sufficiente che il debitore compia l’atto dispositivo nella previsione dell’insorgenza del debito e del pregiudizio per il creditore.

Per il Tribunale partenopeo [34] ai fini dell’esperibilità dell’azione revocatoria, sotto il profilo soggettivo è sufficiente la mera consapevolezza di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore, la c.d. scientia damni, la cui prova può ritenersi acquisita anche tramite presunzioni, senza che assumano rilevanza né l’intenzione del debitore di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore, il c.d. consilium fraudis, né la relativa conoscenza o partecipazione da parte del terzo. Essendo destinata l’azione da qua, a ricostituire la garanzia generica fornita dal patrimonio del debitore, anche la mera variazione qualitativa del patrimonio del debitore, verificatasi con la costituzione del fondo patrimoniale, appare idonea a determinare l’eventus damni, verificandosi, in presenza di un debito già esistente nei confronti di terzi, il pericolo di danno costituito dall’eventuale infruttuosità di una futura azione.

Secondo ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 28 febbraio 2019, n. 5810.

in caso di revocatoria ordinaria nei confronti di fondo patrimoniale costituito successivamente all’assunzione del debito, e’ sufficiente, ai fini della cd. “scientia damni”, la semplice consapevolezza del debitore di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore, ovvero la previsione di un mero danno potenziale, rimanendo, invece, irrilevanti tanto l’intenzione del debitore di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore, quanto la relativa conoscenza o partecipazione da parte del terzo.
Ai fini, poi, della prova di tale consapevolezza, la verifica puo’ compiersi “tramite presunzioni, il cui apprezzamento e’ devoluto al giudice di merito ed e’ incensurabile in sede di legittimita’ ove congruamente motivato.

Ancora sul punto nuovamente è tornata la Cassazione

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|12 maggio 2022| n. 15257

la quale ha avuto modo di riaffermare che  in tema di azione revocatoria ordinaria, quando l’atto di disposizione sia successivo al sorgere del credito, unica condizione per il suo esercizio e’ la conoscenza che il debitore abbia del pregiudizio delle ragioni creditorie, nonche’, per gli atti a titolo oneroso, l’esistenza di analoga consapevolezza in capo al terzo, la cui posizione, sotto il profilo soggettivo, va accomunata a quella del debitore; il terzo deve essere a conoscenza che il proprio dante causa e’ vincolato verso creditori e che l’atto posto in essere arreca pregiudizio alla garanzia patrimoniale del disponente. La relativa prova puo’ essere fornita tramite presunzioni, il cui apprezzamento e’ devoluto al giudice di merito ed e’ incensurabile in sede di legittimita’ ove congruamente motivato (Sez. 3, 4.10.2018, n. 24182; Sez. 1, 27.9.2018, n. 23326; Sez.3, 9.3.2018, n. 5658).
In tema di azione revocatoria ordinaria degli atti a titolo gratuito (nella specie negozio costitutivo di fondo patrimoniale), il requisito della scientia damni richiesto dall’articolo 2901 c.c., comma 1, n. 1), si risolve, non gia’ nella consapevolezza dell’insolvenza del debitore, ma nella semplice conoscenza del danno che ragionevolmente puo’ derivare alle ragioni creditorie dal compimento dell’atto (Sez. 1, n. 9192 del 2.4.2021, Rv. 661147 – 01).
Il presupposto oggettivo dell’azione revocatoria ordinaria (cd. eventus damni) ricorre non solo nel caso in cui l’atto dispositivo comprometta totalmente la consistenza patrimoniale del debitore, ma anche quando lo stesso atto determini una variazione quantitativa o anche soltanto qualitativa del patrimonio che comporti una maggiore incertezza o difficolta’ nel soddisfacimento del credito, con la conseguenza che grava sul creditore l’onere di dimostrare tali modificazioni quantitative o qualitative della garanzia patrimoniale, mentre e’ onere del debitore, che voglia sottrarsi agli effetti di tale azione, provare che il suo patrimonio residuo sia tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore (Sez. 6 – 3, n. 16221 del 18.6.2019, Rv. 654318 – 01).
8.2. La giurisprudenza di questa Corte e’ ferma inoltre nel ritenere che la costituzione del fondo patrimoniale per fronteggiare i bisogni della famiglia, anche qualora effettuata da entrambi i coniugi, non integra, di per se’, adempimento di un dovere giuridico, non essendo obbligatoria per legge, ma configura un atto a titolo gratuito, non trovando contropartita in un’attribuzione in favore dei disponenti, suscettibile, pertanto, di revocatoria, salvo che si dimostri l’esistenza, in concreto, di una situazione tale da integrare, nella sua oggettivita’, gli estremi del dovere morale ed il proposito del solvens di adempiere unicamente a quel dovere mediante l’atto in questione. (Sez. 1, n. 19029 del 8.8.2013, Rv. 627510 – 01; Sez. 6 – 1, n. 29298 del 6.12.2017, Rv. 646785 – 0; Sez. 6 – 3, n. 2530 del 10.2.2015, Rv. 634264 – 01).
8.3. In tema di revocatoria degli atti dispositivi posti in essere dal debitore l’articolo 2901 c.c. richiede che essi si traducano in una menomazione del patrimonio del disponente, cosi’ da pregiudicare la facolta’ del creditore di soddisfarsi sul medesimo.
Non e’ richiesto, pero’, quale ulteriore requisito, anche l’impossibilita’ o difficolta’ del creditore di conseguire aliunde la prestazione, avvalendosi di rapporti con soggetti diversi. Pertanto, nel caso di solidarieta’ passiva, inclusa quella discendente da fideiussione senza beneficio di escussione, l’eventus damni va accertato con esclusivo riferimento alla situazione patrimoniale del debitore convenuto con quella azione, non rilevando l’indagine sull’eventuale solvibilita’ dei coobbligati (Sez. 2, n. 6486 del 22.3.2011, Rv. 617517 – 01; Sez. 1, 31.5.2007, n. 12770; Sez. 1, 21.11.1990, n. 11251).

In tema di legittimazione processuale la S.C.[35] ha stabilito che in caso di azione revocatoria, la natura reale del vincolo di destinazione impresso dalla costituzione del fondo patrimoniale in vista del soddisfacimento dei bisogni della famiglia e la conseguente necessità che la sentenza faccia stato nei confronti di tutti coloro per i quali il fondo è stato costituito comportano che, nel relativo giudizio per la dichiarazione della sua inefficacia, la legittimazione passiva spetta ad entrambi i coniugi, anche se l’atto costitutivo sia stato stipulato da uno solo di essi, spettando ad entrambi, ai sensi dell’art.168 c.c., la proprietà dei beni che costituiscono oggetto della convenzione, salvo che sia diversamente stabilito nell’atto costitutivo, con la precisazione che anche nell’ipotesi in cui la costituzione del fondo non comporti un effetto traslativo, essendosi il coniuge (o il terzo costituente) riservato la proprietà dei beni, è configurabile un interesse del coniuge non proprietario alla partecipazione al giudizio.

Per altra recente Cassazione [36] con riferimento al caso in cui, l’azione revocatoria promossa dal creditore personale di uno dei coniugi abbia ad oggetto un fondo patrimoniale al cui atto costitutivo abbiano preso parte entrambi, il fondamento di tale legittimazione è stato, poi, individuato nel fatto stesso di tale partecipazione e, pertanto, non solo nel caso in cui la proprietà dei beni costituiti nel fondo spetti ad entrambi i coniugi [37], ma anche nel caso in cui la proprietà dei beni sia rimasta in capo al costituente [38].

Invero, anche in quest’ultima ipotesi il conferimento nel fondo comporta pur sempre l’assoggettamento dei beni ad un vincolo di destinazione, con la costituzione di un diritto di godimento attributivo delle facoltà e dei doveri previsti dagli artt. 167 – 171 c.c., il cui venir meno per effetto dell’accoglimento della revocatoria rappresenta un pregiudizio di per sé idoneo a rendere configurabile un interesse del coniuge non proprietario tale da imporne la partecipazione al giudizio.

Come rilevato dalla decisione da ultimo citata, tale conclusione è coerente con il principio affermato dalle Sezioni unite della Corte con la decisione n. 9660 del 26 aprile 2009 che, esprimendosi sulla diversa fattispecie relativa alla revoca di un atto di disposizione da parte di uno dei coniugi in regime di comunione legale, ha ritenuto essenziale la distinzione tra l’atto ed il rapporto che nasce dall’atto come effetto legale ed ha precisato che, quando è impugnata la validità o l’efficacia dell’atto i coniugi sono litisconsorti necessari solo se entrambi hanno partecipato all’atto.

Allineata a tali sentenza è una pronuncia del Tribunale Tarantino [39] in merito all’azione giudiziale promossa al fine di ottenere la revocatoria dell’atto notarile con cui i coniugi abbiano costituito un fondo patrimoniale, ai sensi dell’art. 167 c.c., destinando l’unico immobile di proprietà esclusiva del marito, al soddisfacimento dei bisogni della famiglia, sussiste la legittimazione processuale passiva della moglie. Nel giudizio promosso al fine di conseguire la declaratoria di inefficacia dell’atto, difatti, deve essere chiamato a partecipare anche il coniuge non proprietario, essendo destinata, la sentenza, a produrre i suoi effetti sulla destinazione dei beni messi a disposizione del fondo patrimoniale e dunque a produrre effetti anche nei riguardi dell’altro coniuge, quale beneficiario dell’atto di costituzione del vincolo. Peraltro, a norma dell’art. 168 c.c., è stabilito che la proprietà dei beni costituenti il fondo patrimoniale spetta ad entrambi i coniugi, salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di costituzione.

 

9) La confisca per equivalente dei beni del fondo patrimoniale per i reati tributari

 

E’ sempre stato oggetto di disputa dottrinale e giurisprudenziale se tali beni possono essere oggetto di sequestro preventivo ai fini della confisca per equivalente.

Ormai secondo un indirizzo definitivo (si spera) della Cassazione [40] la possibilità di apporre il vincolo cautelare sui beni costituenti tale fondo è principio consolidato, salva la prova dell’effettiva disponibilità, anche parziale, del medesimo in capo al coniuge indagato [41].

Pertanto, sono senz’altro sequestrabili, in via preventiva, i beni costituiti in fondo patrimoniale per sottrarli al fisco [42].

La giurisprudenza di legittimità [43], difatti, ritiene che i beni costituenti il fondo patrimoniale hanno solo un vincolo di destinazione, ma rimangono pur sempre nella disponibilità del proprietario o dei rispettivi proprietari.

Anche da ultimo è intervenuta la Cassazione con la sentenza del 7 gennaio 2014, n. 129 della III sezione [44] che rappresenta l’ultimo risultato giurisprudenziale in tema di aggredibilità, mediante sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, dei beni immessi in un fondo patrimoniale.

Principio ripreso anche da altra recente Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 16 aprile 2015, n. 15804

Sotto un profilo normativo, in realtà, l’art. 1, comma 143, della legge n. 244/2007 (Finanziaria 2008) ha esteso l’ambito di applicazione della confisca per equivalente ex art. 322 ter c.p. anche ad alcuni dei reati tributari previsti e disciplinati dal D.Lgs. n. 74/2000, se posti in essere dopo il 1 gennaio 2008.

La confisca dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo del reato tributario, qualora non realizzabile in via diretta, può essere anche disposta per equivalente sui beni di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente all’esatto ammontare dell’imposta evasa e al mancato pagamento degli interessi e delle sanzioni dovute.

Nel concetto di “disponibilità” vengono solitamente elencate le situazioni nelle quali i beni stessi ricadano nella sfera degli interessi economici del reo, ancorché il potere dispositivo su di essi venga esercitato tramite terzi.

Poiché non è richiesta alcuna dimostrazione circa la sussistenza di un nesso di pertinenzialità tra delitto e cose confiscate o sequestrate, ma esclusivamente la disponibilità del bene da parte del reo, tale vincolo cautelare può essere apposto anche sui beni costituenti un fondo patrimoniale.

Ai fini del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, inoltre, è ininfluente il fatto che prima della costituzione del fondo l’immobile fosse di esclusiva proprietà di soggetti diversi dall’indagato, in quanto rileva soltanto la disponibilità che l’indagato ha del bene al momento del sequestro e i beni immessi diventano automaticamente di proprietà di entrambi i coniugi titolari del fondo, salvo che non sia diversamente disposto nell’atto costitutivo.

In tali ipotesi, anzi, tale costituzione del fondo patrimoniale può integrare il reato di sottrazione fraudolenta di cui all’art. 11 del D.Lgs. n. 74/2000.

L’art. 322 ter c.p. statuisce che, per alcuni dei delitti contro la Pubblica Amministrazione, in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 c.p.p è sempre ordinata « la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato » , ovvero, quando essa non è possibile, « la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto » (c.d. confisca per equivalente).

Ebbene, l’art. 1, comma 143, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Finanziaria 2008) ha esteso l’ambito di applicazione della confisca per equivalente anche ai reati tributari prevedendo che nei casi di cui agli artt. 2 (“Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”), 3 (“Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici”), 4 (“Dichiarazione infedele”), 5 (“Omessa dichiarazione”), 8 (“Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”), 10 bis (“Omesso versamento di ritenute certificate”), 10 ter (“Omesso versamento di Iva”), 10 quater (“Indebita compensazione”) e 11 (“Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte”) del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui all’art. 322 ter c.p.

Conseguentemente, tale misura possono essere disposti solo per i reati tributari intervenuti dopo il 1 gennaio 2008.

Dal combinato disposto degli artt. 322 ter c.p. e 1, comma 143, della legge n. 244/2007, pertanto, discende che, per alcuni dei reati tributari, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo (salvo che appartengano a persona estranea al reato), e, quando essa non è possibile, la confisca di beni di cui il reo ha la disponibilità (per un valore corrispondente, ovviamente, a tale prezzo o profitto).

A differenza della confisca ordinaria prevista dall’art. 240 c.p., dunque, che può avere a oggetto soltanto cose direttamente riferibili al fatto illecito, la confisca obbligatoria prevista dall’art. 322 ter c.p. anche per alcuni reati tributari può riguardare beni di cui il reo ha la mera “disponibilità”.

Il concetto di disponibilità non ha una definizione normativa, la giurisprudenza di legittimità ha tuttavia specificato il significato di questo termine con una serie di pronunce che, a discapito degli indagati e, spesso, dei loro congiunti, ne ampliano moltissimo la portata.

Tra l’altro, sempre in tema rapporti tra la normativa civilistica e la disciplina del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, si è ritenuto che quest’ultimo possa ricadere su beni comunque nella disponibilità dell’indagato senza che possano avere effetti “presunzioni” o “vincoli” posti in materia contrattualistica dal codice civile, volti a regolare, ad esempio, i rapporti interni tra creditori e debitori solidali (cfr. art. 1298, comma 2, c.c.), ovvero i rapporti tra banca e depositante [45], considerato che su queste disposizioni prevalgono proprio le norme penali in materia di sequestro preventivo preordinato a evitare che, nelle more dell’adozione del definitivo provvedimento di confisca, i beni che si trovano comunque nella disponibilità dell’indagato possano essere definitivamente dispersi[46].

Ove, invece, il sequestro funzionale alla confisca per equivalente riguardi un bene in comproprietà tra l’indagato e un terzo estraneo, lo stesso può essere disposto per l’intero quando il bene sia comunque nella disponibilità del reo o si tratti di bene indivisibile o ne sussistano comprovate esigenze di conservazione; negli altri casi, di converso, deve essere contenuto entro la quota di proprietà dell’indagato sulla quale la successiva confisca è destinata a operare [47].

Si consideri, infine, che il requisito costituito dalla disponibilità dei beni da parte del reo non viene meno neanche nel caso di intervenuta cessione dei medesimi a un terzo con patto fiduciario di retrovendita [48].

Ciò per dire che presunzioni e vincoli eventualmente posti in materia civilistica non prevalgono sulle norme penali in materia di sequestro preventivo ai fini della confisca per equivalente su beni che siano comunque nella disponibilità del reo, come avviene per quelli costituiti in un fondo patrimoniale, salva diversa statuizione nel relativo atto costitutivo.

Ovviamente, il profilo della disponibilità del bene in capo all’imputato dovrà essere sempre adeguatamente provato.

10) Note

[1] Corte di Cassazione, 6 giugno 2002, n. 8162. L’atto di costituzione del fondo patrimoniale (art. 167 c.c.) compiuto dal fallito nel biennio anteriore al fallimento, rientrando nel genus degli atti a titolo gratuito, è soggetto ad azione revocatoria da parte del curatore del fallimento, ex art. 64 legge fall., atteso che esso, creando un patrimonio di scopo che resta insensibile alla dichiarazione di fallimento ed impedendo che i beni compresi in tale patrimonio siano inclusi nella massa attiva, incide riduttivamente sulla garanzia derivante alla generalità dei creditori dall’art. 2740 c.c.— Corte di Cassazione 28 novembre 1990, n. 11449, conf. Corte di Cassazione 20 giugno 2000, n. 8379

[2] Tribunale Palermo, sezione II civile, sentenza 9 ottobre 2012, n. 4263

[3] Per una maggiore consultazione sull’istituto della comunione legale aprire il seguente collegamento on-line La comunione legale tra i coniugi e lo scioglimento

[4] Gavioli e Balestra

[5] Per la consultazione integrale della sentenza aprire il seguente link Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 11 luglio 2014, n. 15886

[6] Corte di Cassazione, sentenza n. 11683 del 2001

[7] Corte di Cassazione, sezione V, sentenza n. 10666 del 7 luglio 2003

[8] Il presente articolo è stato così sostituito dall’ art 49 L. 19.05.1975, n. 151.

[9] Per una maggiore consultazione sull’istituto dell’usufrutto aprire il seguente collegamento on-line L’Usufrutto, l’Uso e l’Abitazione

[10] Auletta

[11] Per una maggiore consultazione sull’azienda aprire il seguente collegamento on-line L’Azienda

[12] Per una maggiore consultazione sull’istituto della comunione legale aprire il seguente collegamento on-line La comunione legale tra i coniugi e lo scioglimento

[13] Carresi

[14] Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.

[15] Santosuosso

[16] Corte d’Appello Napoli, sezione II civile, sentenza 12 marzo 2012, n. 898. Nella fattispecie concreta, tuttavia, l’appellante, chiedendo la declaratoria di inefficacia delle iscrizioni ipotecarie effettuate su beni costituiti in fondo patrimoniale, avrebbe dovuto dimostrare, oltre all’avvenuta trascrizione dell’atto costitutivo del fondo nei registri immobiliari, avente in realtà funzione di mera pubblicità notizia, principalmente che l’atto in esame era stato annotato a margine dell’atto di matrimonio, in quanto unica formalità effettivamente idonea a salvaguardare la posizione dei coniugi rispetto alle pretese dei terzi.

[17] Tribunale Reggio Emilia, sezione I civile, decreto 25 febbraio 2009

[18] Tribunale Savona, decreto 24 aprile 2003

[19] Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 5 marzo 2013, n. 5385, per la consultazione del testo integrale aprire il seguente link Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 5 marzo 2013 n. 5385

[20] Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.

[21] Per una maggiore consultazione sull’istituto della comunione legale aprire il seguente collegamento on-line La comunione legale tra i coniugi e lo scioglimento

[22] Tribunale Milano, civile, sentenza 6 marzo 2013

[23] Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza n. 21658 del 13 ottobre 2009

[24] Corte di Cassazione, sezione III, sentenza del 24 gennaio 2012, n. 933

[25] Corte di Cassazione, sentenza del 25 marzo 2009 n. 7210

[26]Per la consultazione integrale della sentenza aprire il seguente link Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 12 dicembre 2013, n. 27854 . Fondo patrimoniale: l’annotazione di cui all’art. 162, comma 4, c.c., che è norma speciale, è l’unica forma di pubblicità idonea ad assicurare l’opponibilità della convenzione matrimoniale ai terzi, mentre la trascrizione di cui all’art. 2647 c.c., che è norma generale, ha funzione di mera pubblicità-notizia

[27] Corte di Cassazione, sezione I, sentenza del 5 aprile 2007, n. 8610

[28] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente link Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 23 settembre 2013, n. 21725 .

[29] Corte di Cassazione, sezione III, sentenza del 30 maggio 2007, n. 12730

[30] Tribunale Firenze, sezione III civile, sentenza 3 febbraio 2014, n. 302

[31] Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 19 febbraio 2013, n. 4011. L’onere della prova dei presupposti di applicabilità dell’art. 170 c.c. grava su chi intenda avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale, sicchè, ove sia proposta opposizione, ex art. 615 cod. proc. civ., per contestare il diritto del creditore ad agire esecutivamente, il debitore opponente deve dimostrare non soltanto la regolare costituzione del fondo e la sua opponibilità al creditore procedente, ma anche che il suo debito verso quest’ultimo venne contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia, a tal fine occorrendo che l’indagine del giudice si rivolga specificamente al fatto generatore dell’obbligazione, a prescindere dalla natura della stessa: pertanto, i beni costituiti in fondo patrimoniale non potranno essere sottratti all’azione esecutiva dei creditori quando lo scopo perseguito nell’obbligarsi fosse quello di soddisfare i bisogni della famiglia, da intendersi non in senso meramente oggettivo ma come comprensivi anche dei bisogni ritenuti tali dai coniugi in ragione dell’indirizzo della vita familiare e del tenore prescelto, in conseguenza delle possibilità economiche familiari.

[32] Corte di Cassazione, sezione III, sentenza del 17 gennaio 2007, n. 966. Il negozio istitutivo del fondo patrimoniale, anche quando proviene da entrambi i coniugi, è atto a titolo gratuito, che può essere dichiarato inefficace nei confronti dei creditori a mezzo di azione revocatoria ordinaria; ne consegue che, avendo l’actio pauliana la funzione di ricostituire la garanzia generica fornita dal patrimonio del debitore, a determinare l’eventus damni è sufficiente anche la mera variazione qualitativa del patrimonio del debitore integrata con la costituzione in fondo patrimoniale di bene immobile (nel caso l’unico) di proprietà dei coniugi, in tal caso determinandosi, in presenza di già prestata fideiussione in favore di terzi, il pericolo di danno costituito dalla eventuale infruttuosità di una futura azione esecutiva, della cui insussistenza incombe al convenuto, che nell’azione esecutiva l’eccepisca, fornire la prova. Sotto il profilo dell’elemento soggettivo, trattandosi di ipotesi di costituzione in fondo patrimoniale successiva all’assunzione del debito (nel caso, l’obbligazione fideiussoria), è sufficiente la mera consapevolezza di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore (scientia damni ), la cui prova può essere fornita anche tramite presunzioni, senza che assumono viceversa rilevanza l’intenzione del debitore medesimo di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore ( consilium fraudis ) né la relativa conoscenza o partecipazione da parte del terzo.

[33] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente link Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 18 luglio 2014, n. 16498

[34] Tribunale Napoli, sezione II, sentenza 22 luglio 2013, n. 9361

[35] Corte di Cassazione, sezione I civile, sentenza 27 gennaio 2012, n. 1242, Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza del 18 ottobre 2011, n. 21494

[36] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente link Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 4 dicembre 2013, n. 27117 .

[37] Corte di Cassazione, sentenza del 17 marzo 2004, n. 5402

[38] Corte di Cassazione, sentenza del 27 gennaio 2012, n. 1242

[39] Tribunale Taranto, sezione II civile, sentenza 9 gennaio 2012, n. 15

[40] Corte di Cassazione, penale, sezione III, 15 ottobre 2012, n. 40364

[41] Corte di Cassazione, penale, sezione III, 11 maggio 2011, n. 18527

[42] Corte di Cassazione, penale, sezione III, 15 giugno 2011, n. 23986

[43] Corte di Cassazione, penale, sezione III, 15 ottobre 2012, n. 40364

[44] Per la consultazione integrale della sentenza aprire il seguente link  Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 7 gennaio 2014, n. 129 È sequestrabile il bene confluito nel fondo patrimoniale, anche se in precedenza risultava di esclusiva proprietà del coniuge estraneo al procedimento penale. Ciò in quanto il vincolo cautelare riguarda il bene destinato al fondo, la cui proprietà, come espressamente previsto dalla legge, spetta ad entrambi i coniugi se non previsto differentemente all’atto di costituzione. Ha quindi rilievo, in tale contesto, solo la disponibilità al momento del sequestro: nel caso di specie, a tale data, il bene era nella disponibilità di entrambi i coniugi.

[45] Corte di Cassazione, penale, sezione III, 6 dicembre 2011, n. 45353; Corte di Cassazione, penale, sezione II, Sentenza 11 gennaio 2010, n. 687; Corte di Cassazione, penale, sezione VI, 17 luglio 2006, n. 24633

[46] Corte di Cassazione, penale, sezione VI, 29 marzo 2006; nello stesso senso, Corte di Cassazione, penale, sezione VI, 14 marzo 2007, n. 40175

[47] Corte di Cassazione, penale, sezione III, 23 febbraio 2011, n. 6894

[48] Corte di Cassazione, penale, sezione II, 14 marzo 2007, n. 10838. Per una maggiore consultazione sull’istituto del patto fiduciario di retrovendita aprire il seguente collegamento on-line La vendita con patto di riscatto

Avv. Renato D’Isa

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