Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 30785.
Il fallimento di una delle parti che si verifichi nel giudizio di Cassazione non determina l’interruzione del processo
Il fallimento di una delle parti che si verifichi nel giudizio di Cassazione non determina l’interruzione del processo ex artt. 299 e ss. c.p.c., trattandosi di procedimento dominato dall’impulso d’ufficio, con la conseguenza che non vi è un onere di riassunzione del giudizio nei confronti della curatela fallimentare; questo non esclude, tuttavia, che il curatore del fallimento (dal 15 luglio 2022 il curatore della liquidazione giudiziale) possa intervenire nel giudizio di legittimità al fine di tutelare gli interessi della massa dei creditori, sia pure nei limiti delle residue facoltà difensive riconosciute dalla legge.
Ordinanza|| n. 30785. Il fallimento di una delle parti che si verifichi nel giudizio di Cassazione non determina l’interruzione del processo
Data udienza 26 settembre 2023
Integrale
Tag/parola chiave: Impugnazioni civili – Cassazione (ricorso per) – Procedimento – In genere fallimento di una delle parti – Interruzione del processo – Esclusione – Curatore del fallimento – Intervento in giudizio – Ammissibilità – Fondamento.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERTUZZI Mario – Presidente
Dott. PICARO Vincenzo – Consigliere
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere
Dott. ROLFI Federico – rel. Consigliere
Dott. CAPONI Remo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26145/2019 R.G. proposto da:
(OMISSIS) SRL, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.P.A., elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);
– controricorrente –
e contro
FALLIMENTO (OMISSIS) SRL, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;
– intervenuto –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO TORINO n. 1291/2019 depositata il 26/07/2019;
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del giorno 26/09/2023 dal Consigliere Dott. Federico Rolfi.
Il fallimento di una delle parti che si verifichi nel giudizio di Cassazione non determina l’interruzione del processo
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 26 luglio 2019, la Corte d’appello di Torino, in accoglimento dell’appello incidentale proposto da (OMISSIS) SPA (gia’ (OMISSIS) SPA) e disattendendo l’appello principale proposto da (OMISSIS) SRL, ha integralmente respinto le domande formulate da quest’ultima nei confronti dell’appellante incidentale.
2. (OMISSIS) SRL, infatti, aveva adito in via monitoria il Tribunale di Torino nella veste di incorporante di una serie di societa’ – individuate in atti come ” (OMISSIS)” – riferendo che tra tali societa’ e la (OMISSIS) SPA era intercorso un rapporto che prevedeva, tra l’altro, la canalizzazione in favore dell’ingiunta delle pratiche di finanziamento per la vendita di autoveicoli ed il riconoscimento alle societa’ del ” (OMISSIS)” di premi – denominati rappel – al raggiungimento annuale di determinati importi di finanziamento.
Aveva dedotto (OMISSIS) SRL di avere scoperto solo successivamente – e per l’esattezza durante un distinto giudizio pendente tra le medesime parti, nel corso del quale la (OMISSIS) SPA aveva prodotto documentazione contabile prima non conosciuta dalla stessa (OMISSIS) SRL – che in relazione agli anni dal 2004 al 2008 la (OMISSIS) SPA aveva corrisposto a titolo di rappel importi in misura inferiore a quella dovuta, non avendo considerato i finanziamenti previsti da “Accordi Nazionali” conclusi dalla stessa (OMISSIS) SPA con alcune case automobilistiche per effetto della intermediazione della societa’ (OMISSIS) srl, altra societa’ del ” (OMISSIS)” successivamente oggetto di incorporazione in una delle societa’ poi oggetto di incorporazione da parte della (OMISSIS) SRL.
3. Emesso, quindi, decreto ingiuntivo per l’importo di Euro 8.341.261,04, l’ingiunta (OMISSIS) SPA aveva proposto opposizione ed il Tribunale di Torino aveva definito il giudizio con sentenza n. 4266 del giorno 11 settembre 2017, revocando il decreto ingiuntivo opposto e condannando (OMISSIS) SPA alla corresponsione in favore di (OMISSIS) SRL della minor somma di Euro 7.665.545,82.
Secondo quanto riferito dalla Corte d’appello nella decisione qui impugnata, infatti, il giudice di prime cure aveva ritenuto sussistente in relazione all’anno 2005 un credito della (OMISSIS) SRL per rappel per l’importo di Euro 8.145.545,82 – da ridursi ad Euro 7.665.545,82 in virtu’ di versamenti gia’ effettuati dalla (OMISSIS) SPA – mentre, in relazione agli anni dal 2006 al 2008, il Tribunale aveva escluso – sulla base dell’esame degli accordi tra le parti – che l’erogato canalizzato tramite gli Accordi Nazionali potesse essere tenuto in considerazione ne’ per l’accertamento del raggiungimento degli obiettivi ne’ per il computo dei rappel.
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4. Proposto appello principale da parte della (OMISSIS) SRL ed appello incidentale da parte della (OMISSIS) SPA, la Corte d’appello di Torino ha accolto l’appello incidentale, ritenuta la fondatezza dell’eccezione di prescrizione sollevata dalla (OMISSIS) SPA.
La Corte, infatti, dopo aver qualificato i rappel come provvigioni, ha ritenuto decorsa la prescrizione evidenziando sia che la (OMISSIS) SRL ben avrebbe potuto operare anche in precedenza le proprie verifiche e mettere in mora la (OMISSIS) SPA sia che “in ogni caso” il documento in virtu’ del quale la (OMISSIS) SRL affermava di aver appreso del mancato versamento dei rappel era stato prodotto nel 2010, mentre il decreto ingiuntivo era stato notificato nel gennaio 2016.
5. Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Torino
ricorre ora (OMISSIS) SRL.
Resiste con controricorso (OMISSIS) SPA.
6. In data 6 ottobre 2020 si e’ costituito il FALLIMENTO (OMISSIS) SRL, insistendo nell’accoglimento del ricorso.
7. La trattazione del ricorso e’ stata fissata in Camera di consiglio, a norma dell’articolo 375 c.p.c., comma 2, e articolo 380 bis.1 c.p.c..
8. Le parti hanno depositato memorie.
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CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Preliminarmente, ritiene questa Corte di disattendere l’eccezione di inammissibilita’ dell’intervento del FALLIMENTO (OMISSIS) S.R.L. sollevata in memoria ex articolo 380-bis.1 c.p.c., dalla difesa (OMISSIS) S.P.A..
Questa Corte, effettivamente, ha affermato in passato il principio per cui il fallimento di una delle parti che si verifichi nel giudizio di Cassazione non determina l’interruzione del processo ex articoli 299 c.p.c. e segg., trattandosi di procedimento dominato dall’impulso di ufficio con la conseguenza che, una volta instauratosi il giudizio di Cassazione con la notifica ed il deposito del ricorso, il curatore del fallimento non e’ legittimato a stare in giudizio in luogo del fallito, essendo irrilevanti i mutamenti della capacita’ di stare in giudizio di una delle parti e non essendo ipotizzabili, nel giudizio di cassazione, gli adempimenti di cui all’articolo 302 c.p.c., il quale prevede la costituzione in giudizio di coloro ai quali spetta di proseguirlo (di recente Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13106 del 2023 – tra le medesime parti del presente giudizio – Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 25914 del 2023 – sempre con (OMISSIS) S.R.L. come originaria ricorrente – Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 3630 del 12/02/2021, ed ivi ulteriori richiami).
E’ da ritenersi, tuttavia, che il principio in questione – che trova un’unica nota dissonante nel remoto precedente di Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1579 del 10/03/1980, il quale, invece, venne ad affermare che “il giudizio per cassazione e’ caratterizzato dall’impulso di ufficio, sicche’ il verificarsi di uno degli eventi di cui agli articoli 299 e 301 c.p.c., non da’ luogo ad interruzione del procedimento (Cass. 24 novembre 1977 n. 5128: giur. costante), il che non esclude che possa costituirsi il rappresentante della parte divenuta incapace (e cioe’, in caso di fallimento, il curatore L. Fall., ex articolo 43)” – debba essere declinato in senso non integralmente incompatibile con l’intervento del Fallimento nel giudizio di legittimita’.
Si deve osservare, infatti, che l’attuale formulazione del principio si viene ad articolare su due distinte affermazioni: la prima consiste nell’escludere che il sopravvenire del fallimento nelle more del giudizio di legittimita’ comporti l’interruzione di quest’ultimo; la seconda, che intende essere consequenziale, consiste nell’escludere nella sua integrita’ il disposto di cui all’articolo 302 c.p.c., da cio’ deducendosi – e si tratta del profilo che in questa sede rileva – l’esclusione della possibilita’ per la curatela del fallimento (e, dal 15 luglio 2022, con l’entrata in vigore del Codice della crisi e dell’insolvenza di cui al Decreto Legislativo n. 14 del 2019, della curatela della liquidazione giudiziale) di intervenire nel giudizio di legittimita’.
Alcun rilievo puo’ muoversi alla prima affermazione, ormai assolutamente consolidata nella giurisprudenza di questa Corte e definitivamente scolpita negli arresti di Cass. Sez. U., Sentenza n. 11195 del 14/10/1992 e Cass. Sez. U., Sentenza n. 2756 del 08/03/1993, fondandosi tale principio sulla considerazione risolutiva che il giudizio di Cassazione risulta retto dall’impulso d’ufficio, restando conseguentemente immune alla disciplina dell’interruzione del giudizio, da riferirsi esclusivamente al giudizio di merito (si vedano ancora Cass. Sez. 5 – Ordinanza n. 15928 del 08/06/2021; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 27143 del 15/11/2017; Cass. Sez. L, Sentenza n. 21153 del 13/10/2010).
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Parimenti alcun rilievo puo’ essere mosso alla seconda affermazione (peraltro non sempre affermata in linea di principio: cfr. Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 27143 del 15/11/2017; Cass. Sez. L, Sentenza n. 8685 del 31/05/2012; Cass. Sez. L, Sentenza n. 21153 del 13/10/2010; Cass. Sez. U., Ordinanza n. 17295 del 14/11/2003; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12198 del 01/12/1998), nella parte in cui la stessa, escludendo l’applicabilita’ dell’articolo 302 c.p.c., viene conseguentemente ad escludere la sussistenza di alcun onere di riassunzione del giudizio di legittimita’ nei confronti della curatela.
Conseguenza, del resto, del tutto logica una volta che sia stata esclusa l’operativita’ degli eventi interruttivi (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 3630 del 12/02/2021; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 7477 del 23/03/2017; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10989 del 21/10/1995).
Sembra, tuttavia, doversi rilevare un non pienamente motivato slittamento dall’affermazione di questi condivisibili principi alla successiva – apparentemente tralatizia e non logicamente consequenziale – affermazione dell’assoluta preclusione per la procedura fallimentare della possibilita’ di intervenire nel giudizio di legittimita’ per fare proprie e supportare le difese originariamente svolte dall’impresa in bonis, anche allo scopo di surrogare una eventuale inerzia del difensore da quest’ultima incaricato.
Affermazione, questa, che non appare pienamente convincente, in primo luogo, perche’ dai due principi prima richiamati – e che si condividono pienamente – non discende come logica conseguenza, l’inammissibilita’ dell’intervento, visto che lo stesso in alcun modo incide sull’impulso, comunque officioso, del giudizio di legittimita’, e non appare in ogni caso in grado di esorbitare dai binari degli originari motivi di ricorso.
Affermazione che non risulta convincente, in secondo luogo, perche’ il diverso ruolo rivestito dalla curatela rispetto all’imprenditore in bonis – agendo quest’ultimo unicamente nel proprio interesse ed agendo invece la curatela nell’interesse della massa dei creditori – vale a fondare un autonomo interesse della Procedura ad intervenire spontaneamente nel giudizio di legittimita’ per supportare, pur non potendole modificare, le tesi difensive originariamente dedotte dall’imprenditore in bonis, pena – diversamente opinando – un non giustificato vulnus alle facolta’ difensive della Procedura, del tutto estromessa dal giudizio di legittimita’, senza poter far valere alcuna facolta’ anche solo argomentativa.
Affermazione che non risulta convincente, infine, in quanto non appare pienamente armonica – ed anzi si presenta distonica – rispetto ad altri principi statuiti da questa Corte.
Una prima osservazione scaturisce dall’esame dai due gia’ citati arresti di Cass. Sez. U., Sentenza n. 11195 del 14/10/1992 e Cass. Sez. U., Sentenza n. 2756 del 08/03/1993, i quali, nell’escludere che (anche) il fallimento potesse comportare l’interruzione del giudizio di legittimita’, puntualizzarono – laconicamente – che “il suddetto principio non trova deroga quando, dopo la proposizione del ricorso, si rendano necessari atti od iniziative della parte o del difensore, atteso che, anche in questi casi, la mancata previsione dell’interruzione non implica lesione del diritto di difesa o menomazione del contraddittorio, restando a carico dell’interessato di attivarsi per ovviare ad evenienze conosciute e comunque conoscibili” (Cass. Sez. U., Sentenza n. 2756 del 08/03/1993) e che “la struttura del giudizio di legittimita’ impone un particolare onere di attenzione per la parte, sicche’ e’ da dire che la mancata osservanza di quest’onere, per fatti relativi al procuratore – come nel caso di specie – ricadono sulla parte stessa che non si e’ attivata per ovviare alle conseguenze derivanti da eventi che essa avrebbe potuto e dovuto conoscere” (Cass. Sez. U., Sentenza n. 11195 del 14/10/1992).
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Da queste puntualizzazioni, invero, sembra potersi dedurre che nei due precedenti citati, la spontanea attivazione della parte finalizzata a neutralizzare le conseguenze dell’evento astrattamente interruttivo, ben lungi dall’essere esclusa, risultava invece essere individuata proprio come scenario del tutto praticabile, imputandosi anzi alla parte rimasta inerte l’eventuale compromissione delle proprie possibilita’ di difesa in sede di legittimita’.
Questa conclusione, allora, verrebbe anche a ridimensionare la tesi – successivamente sostenuta – per cui la mancata previsione dell’interruzione non implicherebbe lesione del diritto di difesa, in quanto la prospettazione delle ragioni del ricorrente nel giudizio di cassazione e’ affidata al ricorso, avendo la discussione orale in udienza “funzione meramente complementare” (Cass. Sez. L, Sentenza n. 4767 del 28/03/2003), giacche’, per quanto possa essere “complementare”, la discussione orale – per tacere del deposito delle memorie ex articoli 378 o 380-bis.1 c.p.c. – costituisce comunque estrinsecazione del diritto di difesa, normativamente prevista, e quindi necessitante di adeguata garanzia, senza alcuna svalutazione.
Ne’, a tale considerazione, sembra potersi replicare, come pure e’ avvenuto, che la piena tutela del diritto di difesa della parte su cui si riflette l’evento interruttivo viene assicurato dalla sopravvivenza della procura speciale rilasciata al difensore dalla societa’ in bonis (Cass. Sez. L, Sentenza n. 5012 del 27/04/1992), dal momento che tale principio appare di dubbia conciliabilita’ il principio, di recente affermato, per cui il difensore della parte che fallisce nel corso del giudizio in cassazione conserva il potere di rappresentare il suo assistito nel processo, che non si interrompe per effetto della perdita della capacita’ di stare in giudizio della parte, ma non puo’ chiedere, nel caso di vittoria della causa, la distrazione delle spese di lite, poiche’ il rapporto interno tra lui e il cliente si estingue (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 37719 del 23/12/2022).
Rileva in particolare, tale ultima affermazione, considerate le dirette conseguenze che il venir meno del rapporto (“interno”) tra il difensore e l’impresa non piu’ in bonis puo’ avere sulla complessiva tutela delle ragioni della parte – ormai in procedura concorsuale liquidatoria – nel corso del giudizio di legittimita’.
In conclusione, quindi, e’ da ritenersi che in caso di fallimento della parte, l’esclusione dell’operativita’ del meccanismo di interruzione del giudizio di legittimita’ non comporti di per se’ una preclusione alla possibilita’ per la Curatela della procedura di intervenire nel giudizio medesimo – non potendosi ravvisare alcuna consequenzialita’ logica tra l’esclusione dell’applicazione degli articoli 299 c.p.c. e segg., e l’esclusione della facolta’ di intervento – e che, anzi, esigenze di tutela delle ragioni della massa dei creditori rappresentata dalla curatela medesima, impongano di riconoscere a quest’ultima la facolta’ di intervenire nel giudizio di legittimita’, pur nei limiti delle residue facolta’ difensive riconosciute dalla legge.
Conseguentemente, intervenuto il fallimento – e, dal 15 luglio 2022, la liquidazione giudiziale – di una delle parti del giudizio di legittimita’, si deve ritenere che – fermo restando il principio per cui il giudizio medesimo non si interrompe e prosegue secondo la regola dell’impulso d’ufficio – la curatela della procedura possa tuttavia intervenire per fare proprie le difese originariamente sviluppate dall’impresa fallita quando era ancora in bonis.
2.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione degli articoli 2946, 2950, 1362 c.c. e segg., articolo 1754 c.c.; articolo 12 preleggi; Decreto del Presidente della Repubblica n. 287 del 2000, articolo 2, comma 3.
Argomenta, in particolare, il ricorso che erroneamente la Corte territoriale avrebbe qualificato i rappel quale forma di provvigione, costituendo questi ultimi, semmai, un premio di produttivita’, con conseguente applicazione della prescrizione ordinaria decennale di cui all’articolo 2946 c.c., e non – come, secondo la ricorrente, ha opinato la Corte territoriale – dell’articolo 2950 c.c..
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2.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione degli articoli 2945, 2950, 1362 c.c. e segg., articolo 2909 c.c.; articolo 12 preleggi; Decreto del Presidente della Repubblica n. 287 del 2000, articolo 2, comma 3; nonche’ “delle norme contenute nella L. n. 39 del 1989 (ante riforma di cui al Decreto Legislativo n. 59 del 2010)”.
Argomenta, in particolare, il ricorso che la Corte territoriale avrebbe omesso di qualificare ed inquadrare il rapporto negoziale tra le parti ed anzi si sarebbe posta in contrasto con un capo ormai passato in giudicato della decisione di prime cure assunta in una precedente controversia tra le parti, la quale aveva qualificato il rapporto come canalizzazione di finanziamenti.
La ricorrente, quindi, deduce la violazione del giudicato esterno e, anche sulla scorta delle previsioni di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 287 del 2000, articolo 2, sostiene che il rapporto tra le parti andrebbe qualificato come contratto atipico non riconducibile neppure alla mediazione, con conseguente applicabilita’ del termine di prescrizione decennale.
3. I due motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono infondati.
Si deve rilevare che la ricorrente, nella rubrica dei due motivi, viene a richiamare una nutrita serie di previsioni normative senza poi in concreto in alcun modo sviluppare concrete argomentazioni in ordine alla loro violazione.
Si tratta di un richiamo generico, contrastante con il principio, piu’ volte affermato da questa Corte, per cui il vizio della sentenza previsto dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilita’ del motivo giusta la disposizione dell’articolo 366 c.p.c., n. 4, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimita’, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 16700 del 05/08/2020; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 24298 del 29/11/2016).
Il ricorrente, quindi, a pena d’inammissibilita’ della censura, ha l’onere di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che e’ tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. U – Sentenza n. 23745 del 28/10/2020).
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Affermata, quindi, la necessita’ di delimitare l’esame del ricorso entro il tema della violazione o falsa applicazione delle previsioni di legge oggetto di effettiva illustrazione da parte della ricorrente – e quindi, in definitiva, agli articoli 2946 e 2950 c.c. – si deve rilevare che l’insieme delle argomentazioni della ricorrente viene a ruotare esclusivamente attorno all’applicazione del disposto di cui all’articolo 2950 c.c., senza esaminare, invece, il profilo dell’applicabilita’ dell’articolo 2948 c.c., n. 4), sebbene tale ultima previsione risulti espressamente richiamata dalla decisione impugnata.
Partendo, allora, dall’inquadramento giuridico dei c.d. rappel, si deve rilevare che questa Corte, nei non numerosi precedenti nei quali si e’ occupata di tale figura (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 23257 del 2021; Cass. Sez. L, Sentenza n. 7173 del 2019; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 30162 del 2018), non ha inquadrato la figura del rappel nell’ambito di un rapporto autonomo – come mira a sostenere la ricorrente – qualificando invece tale figura come “provvigione aggiuntiva” che viene ad essere contemplata pattiziamente in aggiunta alle provvigioni “base” previste da un contratto di agenzia o di procacciamento di affari.
A tale inquadramento, la Corte territoriale si e’ espressamente richiamata nel momento in cui ha qualificato il rappel come “superprovvigione” rispetto a quella prevista gia’ per le operazioni di canalizzazione, di fatto escludendo che il rappel fosse collegabile ad un rapporto autonomo ed anzi riconducendolo nell’ambito del rapporto di base esistente tra le parti.
Esclusa, quindi, l’applicabilita’ dell’articolo 2950 c.c., in quanto riferibile alla prescrizione del diritto alla provvigione del mediatore – figura che, evidentemente, non ricorre nella specie, dal momento che le societa’ poi incorporate nella ricorrente avevano assunto il compito di canalizzare finanziamenti a favore della controricorrente, secondo uno schema del tutto estraneo anche alla c.d. mediazione “atipica” – la decisione della Corte torinese risulta conforme a diritto nel momento in cui risulta avere applicato alle pretese della ricorrente il termine di prescrizione quinquennale previsto dall’articolo 2948 c.c., n. 4), per le somme che devono pagarsi annualmente o in termini piu’ brevi.
Detto termine, infatti, risulta pienamente applicabile alla fattispecie in quanto, esclusa la possibilita’ di qualificare la stessa come mediazione, deve invece ritenersi che il rapporto inter partes rientrasse nell’ambito di un’attivita’ di procacciamento di affari, caratterizzata – come questa Corte ha gia’ chiarito – dal fatto che anche nel procacciamento di affari viene prestata un’attivita’ di intermediazione diretta a favorire tra terzi la conclusione di un affare, ma con la differenza, rispetto alla mediazione, consistente nel fatto che il mediatore e’ un soggetto imparziale mentre nel procacciamento di affari l’attivita’ dell’intermediario e’ prestata esclusivamente nell’interesse di una delle parti (Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 18489 del 04/09/2020).
In quest’ottica il riconoscimento del rappel non costituisce – come (si ripete) deduce la ricorrente – un rapporto autonomo, ma deve essere ricondotto al rapporto-base di procacciamento di affari quale compenso additivo, rispetto alla provvigione, avente funzione di “superprovvigione” al raggiungimento dei determinati volumi di affari.
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Come tale, allora, deve ritenersi che il diritto al rappel sia assoggettato allo stesso termine di prescrizione previsto per le provvigioni dovute per l’attivita’ di procacciamento di affari, e quindi all’applicazione analogica dell’articolo 2948 c.c., n. 4), come da questa Corte reiteratamente affermato (Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 18489 del 04/09/2020; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 26370 del 20/12/2016; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4422 del 24/02/2009).
Inammissibili appaiono, invece, le deduzioni della ricorrente in ordine alla sussistenza di una violazione del vincolo di giudicato discendente da altra decisione del Tribunale di Torino.
Al di la’ della considerazione per cui tale vincolo di giudicato non risulta essere stato in alcun modo dedotto come difesa in sede di appello, la genericita’ della deduzione – che si limita a richiamare uno stralcio sommario della decisione invocata – si pone in contrasto con il principio di specificita’ di cui all’articolo 366 c.p.c..
Va, infatti, ricordato, che il principio della rilevabilita’ in sede di legittimita’ del giudicato esterno, sempre che questo risulti dagli atti comunque prodotti nel giudizio di merito, deve essere coordinato con l’onere di completezza e autosufficienza del ricorso, per cui la parte ricorrente che deduca il suddetto giudicato deve indicare il momento e le circostanze processuali in cui i predetti atti siano stati prodotti, senza possibilita’ di depositare per la prima volta la sentenza in sede di legittimita’, atteso che tale facolta’ e’ consentita solo in caso di giudicato successivo alla sentenza impugnata (Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 15846 del 06/06/2023; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 17310 del 19/08/2020; Cass. Sez. L – Sentenza n. 5508 del 08/03/2018).
4. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2934 c.c., comma 1, articolo 2935 c.c., articolo 2941 c.c., n. 8).
Il ricorso impugna la decisione della Corte territoriale nella parte in cui la stessa avrebbe collegato la decorrenza della prescrizione al momento in cui, nel corso di un distinto giudizio pendente tra le medesime parti, la (OMISSIS) SPA aveva prodotto documentazione contabile prima non conosciuta dalla stessa (OMISSIS) SRL.
Deduce, infatti, la ricorrente che, anche ritenendo per ipotesi applicabile il termine di cui all’articolo 2950 c.c., con conseguente decorrenza della prescrizione dal momento della conclusione dell’affare, nel caso in esame la decorrenza della prescrizione sarebbe stata preclusa dalla condotta dolosa della stessa controricorrente, con conseguente operativita’ della sospensione della prescrizione ex articolo 2941 c.c., n. 8).
Argomenta, ulteriormente, che in ogni caso la consapevolezza della conclusione dell’affare non poteva essere ricollegata alla mera produzione documentale, ma solo con il successivo deposito – in data 6 agosto 2015 – della sentenza del Tribunale di Torino che ha definito in primo grado il distinto giudizio.
5. Il motivo e’ anch’esso infondato.
Il fallimento di una delle parti che si verifichi nel giudizio di Cassazione non determina l’interruzione del processo
Rilevato che anche nel caso in esame le deduzioni della ricorrente in alcun modo investono il termine di prescrizione di cui all’articolo 2948 c.c., n. 4), si deve, in primo luogo, osservare che la Corte territoriale – contrariamente a quanto opinato dalla ricorrente – non risulta aver collegato la decorrenza del termine di prescrizione al deposito del documento – valorizzando tale aspetto solo in via subordinata (“in ogni caso”) – ed ha anzi ancorato la decorrenza medesima alla stessa conclusione dei singoli affari, e cio’ sulla scorta della considerazione – che il ricorso non investe criticamente in modo adeguato – che la ricorrente medesima avrebbe potuto esigere la documentazione di riscontro e mettere in mora la controricorrente gia’ allo scadere dei singoli anni lungo i quali si e’ svolto l’incarico di procacciamento di affari.
Cio’ vale a rendere superfluo il fatto – che tuttavia mette conto rammentare – che, alla luce della narrativa della sentenza impugnata, sarebbe stata la stessa ricorrente a collegare, nelle proprie iniziali allegazioni, la “scoperta” del mancato pagamento dei rappel alla produzione di un doc. 10 in distinto giudizio innanzi il Tribunale di Torino, solo in seguito contestando tale ricostruzione, e quindi con una sostanziale contraddittorieta’ del motivo di ricorso.
Tanto rilevato – ed osservato ulteriormente che la ricorrente neppure ha dedotto di aver sollevato in sede di appello il tema della sospensione della prescrizione per condotta dolosa della controricorrente, da cio’ derivando anche una violazione del principio di specificita’ di cui all’articolo 366 c.p.c. – va poi osservato che questa Corte ha chiarito che l’operativita’ della causa di sospensione della prescrizione, di cui all’articolo 2941 c.c., n. 8), ricorre quando sia posta in essere dal debitore una condotta tale da comportare per il creditore una vera e propria impossibilita’ di agire, e non una mera difficolta’ di accertamento del credito, e, quindi, quando sia posto in essere dal debitore un comportamento intenzionalmente diretto ad occultare al creditore l’esistenza dell’obbligazione (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 5413 del 27/02/2020), da cio’ derivando che non puo’ comportare sospensione della prescrizione l’ignoranza da parte del titolare del fatto generatore del suo diritto, ne’ il dubbio soggettivo sull’esistenza di tale diritto o il ritardo indotto dalla necessita’ del suo accertamento (Cass. Sez. L – Sentenza n. 22072 del 11/09/2018; Cass. Sez. L, Sentenza n. 10828 del 26/05/2015; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 21026 del 06/10/2014), richiedendosi un comportamento intenzionalmente diretto ad occultare al creditore l’esistenza dell’obbligazione (Cass. Sez. L, Sentenza n. 21567 del 13/10/2014).
Discende da questi principi la evidente infondatezza conclusiva del motivo di ricorso, presentando quest’ultimo come dolo una condotta meramente omissiva della controricorrente, sicuramente non tale da comportare per la ricorrente una vera e propria impossibilita’ di agire, come osservato anche dalla Corte territoriale.
6. Il ricorso deve quindi essere respinto, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate direttamente in dispositivo.
7. Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto”, spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U., Sentenza n. 4315 del 20/02/2020 – Rv. 657198 – 05).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in Euro 20.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13 comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, ove dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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