Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 7 ottobre 2020, n. 21562.
Il divieto contenuto nel regolamento condominiale di adibire le abitazioni ad attività commerciali impedisce l’esercizio dell’attività di affittacamere. Ciò anche se nell’elencazione delle attività vietate, non compare, in modo esplicito, l’affitto degli appartamenti come “casa vacanza”.
Ordinanza 7 ottobre 2020, n. 21562
Data udienza 14 febbraio 2020
Tag/parola chiave: Condominio negli edifici – Amministratore – Rappresentanza – Legittimazione dell’amministratore – Azione per ottenere che un condomino non adibisca la propria unità immobiliare ad attività vietata dal regolamento – Deliberazione assembleare – Necessità – Esclusione – Fondamento – Fattispecie relativa allo svolgimento di attività di affittacamere
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente
Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21386/2018 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende in virtu’ di mandato in calce al ricorso per cassazione;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) che lo rappresenta e difende in virtu’ di procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
e contro
(OMISSIS) SRL, (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 2533/2018 della Corte d’appello di Roma, depositata il 19/04/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/02/2020 dal consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO.
RITENUTO
che:
-il Condominio di (OMISSIS), chiamava in giudizio davanti al Tribunale di Roma (OMISSIS), (OMISSIS) e la (OMISSIS) S.r.l.;
-denunciava che la (OMISSIS), conduttrice di un’unita’ immobiliare compresa nel condominio, di proprieta’ dei (OMISSIS), svolgeva in tale unita’ attivita’ alberghiera, in violazione del regolamento condominiale;
-chiedeva la cessazione di tale attivita’ e il risarcimento del danno;
– si costituivano i convenuti;
– (OMISSIS) e la (OMISSIS) sostenevano che l’attivita’ di affittacamere svolta nell’unita’ immobiliare non era contraria al regolamento condominiale;
– (OMISSIS), in via subordinata, chiedeva di essere manlevata dalla conduttrice, cui era imputabile l’uso diverso rispetto a quello abitativo previsto nel contratto di locazione;
– (OMISSIS) eccepiva di avere ceduto la propria quota di comproprieta’ alla sorella (OMISSIS);
-il tribunale, in accoglimento della domanda, ordinava, nei confronti della proprietaria e della conduttrice, la cessazione dell’attivita’, riscontrando la violazione del regolamento condominiale;
– il primo giudice osservava che l’attivita’ di affittacamere non costituiva uso abitativo, senza rientrare nello stesso tempo in uno degli altri usi consentiti in base al regolamento condominiale;
– esso aggiungeva che la norma regolamentare era opponibile sia alla (OMISSIS), in quanto condomina proprietaria, sia alla (OMISSIS), in quanto titolare di posizione giuridica derivata dalla prima;
– la Corte d’appello di Roma, adita dalla (OMISSIS), confermava la sentenza;
– essa, per quanto interessa in questa sede, rilevava che:
a) la regolarita’ amministrativa dell’attivita’ svolta nell’unita’ abitativa, in quanto autorizzata dal Comune di Roma, non rilevava nei rapporti fra i condomini e loro aventi causa;
b) l’attivita’ di affittacamere svolta dalla societa’ conduttrice non e’ attivita’ alberghiera, ma e’ comunque “attivita’ commerciale, esplicantesi a scopo di lucro da parte di societa’ di capitali mediante la prestazione sul mercato di alloggio dietro corrispettivo per periodi piu’ o meno brevi; come tale e’ senz’altro in contrasto con l’articolo 28 (del regolamento condominiale N. d.R.), essendo tale destinazione commerciale incompatibile con l’uso abitativo ed espressamente vietata”;
c) che l’esercizio nell’edificio condominiale di altre attivita’ analoghe (Bed & Breakfast – affittacamere) non escludeva la sussistenza “del riscontrato distinto illecito”;
d) che il locatore, in base all’articolo 28 del regolamento condominiale, era responsabile in solido con il conduttore per la cessazione dell’attivita’ vietata;
e) era infine infondata anche la domanda di manleva svolta dalla (OMISSIS) nei confronti della conduttrice, in quanto l’attivita’ di affittacamere era espressamente consentita in base al contratto di locazione;
– per la cassazione della sentenza (OMISSIS) ha proposto ricorso affidato a due motivi;
-il Condominio di (OMISSIS) ha resistito con controricorso;
-la ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO
che:
-nella memoria depositata in prossimita’ dell’udienza, la ricorrente eccepisce l’inammissibilita’ del controricorso, in quanto proposto dal Condominio senza l’autorizzazione assembleare in una controversia non riguardante l’uso delle cose comuni ex articoli 1117 e 1130 c.c., per le quali sussiste la autonoma legittimazione autonoma dell’amministratore;
-a sostegno della eccezione, la ricorrente richiama il principio di Cass. n. 12525 del 2018;
-il richiamo operato dalla ricorrente non fornisce argomento a sostegno della eccezione, che la stessa ricorrente vorrebbe considerare sotto la specie di una “carenza di legitimatio ad processum rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo”
-ed invero Cass. n. 12525 del 2018 cit. ha negato l’autonoma legittimazione dell’amministratore in una controversia riguardante i crediti contestati del precedente amministratore revocato, in base al rilievo che essa non rientrava fra quelle per le quali l’amministratore e’ autonomamente legittimato ad agire ai sensi dell’articolo 1130 c.c. e articolo 113 c.c., comma 1;
-nella specie, diversamente, viene in considerazione una controversia riguardante il rispetto del regolamento condominiale, che rientra certamente nell’ambito delle controversie previste da tali norme: “l’amministratore di condominio, essendo tenuto a curare l’osservanza del regolamento di condominio (articolo 1130 c.c., comma 1, n. 1), e’ legittimato ad agire e a resistere in giudizio per ottenere che un condomino non adibisca la propria unita’ immobiliare ad attivita’ vietata dal regolamento condominiale contrattuale (nella specie, bar ristorante), senza la necessita’ di una specifica deliberazione assembleare assunta con la maggioranza prevista dall’articolo 1136 c.c., comma 2, la quale e’ richiesta soltanto per le liti attive e passive esorbitanti dalle incombenze proprie dell’amministratore stesso” (Cass. n. 21841/2010);
– il primo motivo denuncia nullita’ della sentenza e del procedimento per violazione degli articoli 99, 112, e 345 c.p.c.;
– la corte d’appello, nel ritenere che l’immobile era stato adibito ad attivita’ commerciale, piuttosto che a uso abitativo, ha dato corso a una domanda di simulazione del contratto di locazione proposta tardivamente, solo con la comparsa conclusionale in grado d’appello;
– il primo motivo e’ infondato;
-la ricorrente ipotizza che la corte d’appello abbia riconosciuto la violazione del regolamento condominiale in via riflessa del carattere simulato della locazione: in altri termini perche’ la destinazione ad uso abitativo, dichiarata nel contratto, era solo apparente, avendo le parti inteso concludere una locazione ad uso commerciale:
– la censura non coglie la ratio decidendi;
-la corte d’appello ha riconosciuto che l’attivita’ svolta nell’unita’ immobiliare era contraria alla previsione del regolamento condominiale alla stregua di una valutazione oggettiva, condotta esclusivamente in base al confronto fra la stessa attivita’ e la previsione regolamentare;
– e’ evidente che la teorica conformita’ al regolamento condominiale dell’uso dichiarato nel contratto di locazione non esclude che il regolamento possa poi essere di fatto ugualmente violato;
– si deve aggiungere che, da un punto di vista squisitamente processuale, la decisione adottata rispecchia fedelmente la conclusioni formulate dal Condominio fin dal primo grado di giudizio, cosi’ come trascritte a pag. 8 dello stesso ricorso per cassazione: “accertare e dichiarare che l’apertura dell’attivita’ commerciale di carattere recettizio/alberghiera gestita dalla (OMISSIS) S.r.l. nell’unita’ immobiliare della sig.ra (OMISSIS) (…) e’ contraria a quanto espressamente previsto dal Regolamento contrattuale del Condominio di (OMISSIS) (…)”:
-il secondo motivo denuncia omesso esame di un fatto decisivo ai fini del giudizio, difetto di motivazione o motivazione perplessa o incomprensibile in relazione all’interpretazione dell’articolo 28 del regolamento condominiale, disparita’ di trattamento fra condomini;
-il motivo propone le seguenti censure:
a) la natura di locazione ad uso abitativo era pacifica nel caso in esame;
b) la corte d’appello ha dato una interpretazione estensiva del regolamento condominiale, includendovi l’attivita’ oggetto di lite, pure non essendo questa inclusa fra quelle espressamente vietate dal regolamento ed essendo compatibile con l’uso abitativo;
c) il divieto di svolgere attivita’ commerciali si deve intendere circoscritto alle attivita’ commerciali espressamente menzionate dalla norma regolamentare, non essendo ammissibile che le facolta’ dei singoli proprietari possano essere compresse o limitate in forza di divieti generici e indeterminati;
d) occorre considerare che, secondo il regolamento della Regione Lazio, l’attivita’ di affittacamere deve svolgersi in immobili destinati a civile abitazione;
e) la corte di merito non ha poi tenuto conto che nel condominio erano esercitate attivita’ analoghe;
-il motivo e’ infondato;
-l’articolo 28 del regolamento Condominiale dispone: “gli appartamenti potranno essere destinati esclusivamente a civili abitazioni, studi o gabinetti professionali, restando espressamente vietati destinazioni e uso ad esercizio o ufficio industriale o commerciale, a uffici pubblici, dispensari sanatori, case di salute di qualsiasi genere, gabinetti per cure di malattie infettive, contagiose o ripugnanti, ad agenzie di qualunque specie, a ufficio depositi di pompe funebri, a ufficio di collocamento, ristoranti, cinematografi, magazzini, scuole di qualunque specie, chiese, accademie (..).”;
– la ricorrente richiama la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale la destinazione per civile abitazione prevista dalla norma regolamentare e’ pienamente compatibile con l’attivita’ di affittacamere, costituendone anzi un suo presupposto (Cass. n. 24707/2014; n. 16972/2015);
– il rilievo non tiene conto che la corte d’appello ha riconosciuto la violazione del regolamento condominiale anche in base a un argomento diverso e ulteriore rispetto a quello addotto dal giudice di primo grado;
– secondo il tribunale il riferimento all’espressione “uso abitativo” sottintendeva l’utilizzo dell’immobile come dimora stabile e abituale, con esclusione della prestazione di alloggio per periodi piu’ o meno brevi in vista del soddisfacimento di esigenze abitative di carattere transitorio;
– la corte d’appello ha seguito una logica diversa;
-cio’ che rende l’attivita’ ricompresa fra le attivita’ vietate e’ il suo caratterizzarsi quale attivita’ commerciale, assimilabile a quella alberghiera, “esplicantesi a scopo di lucro da parte di societa’ di capitali mediante la prestazione sul mercato di alloggio dietro corrispettivo per periodi piu’ o meno brevi”;
-una simile attivita’, secondo la corte d’appello, e’ in contrasto con l’articolo 28, “essendo tale destinazione commerciale incompatibile con l’uso abitativo ed espressamente vietata”;
– la ricorrente pretende di riferire il divieto di svolgere attivita’ commerciali a quelle attivita’ espressamente vietate dalla norma del regolamento;
-secondo la ricorrente, il “divieto di destinazioni e uso ad esercizio o ufficio industriale o commerciale” non avrebbe quindi alcuna autonomia, ma introdurrebbe l’esemplificazione proposta di seguito dalla norma regolamentare, mentre ogni altra e diversa attivita’ commerciale dovrebbe ritenersi lecita;
– cosi’ identificato l’autentico significato della censura e’ chiaro che il problema che si pone nel caso in esame e’ un problema squisitamente interpretativo della previsione regolamentare, laddove fa divieto di destinare gli appartamenti “ad esercizio o ufficio industriali o commerciale”;
– e’ pacifico che l’interpretazione del regolamento condominiale integra un giudizio di fatto, rimesso alla competenza esclusiva del giudice di merito; – al pari di qualsiasi giudizio di fatto e’ soggetto, in sede di cassazione, a controllo, e quindi a censura, non per la sua sostanziale esattezza o erroneita’, da verificarsi in base a rinnovata interpretazione della dichiarazione considerata, bensi’ soltanto per cio’ che attiene alla sua legittimita’, e cioe’ alla conformita’ a legge dei criteri ai quali e’ adeguato e alla compiutezza, coerenza e conformita’ a legge della giustificazione datavi (Cass. n. 5393/1999; n. 9355/2000; n. 20712/2017);
– la corte di merito ha riconosciuto che il divieto di svolgere attivita’ commerciali, posto dal regolamento, si riferiva alle attivita’ suscettibili di essere considerati tali secondo il significato giuridico della espressione, cosi’ attribuendo al divieto un ambito di applicazione specifico e autonomo e non meramente introduttivo della susseguente elencazione di specifiche attivita’ vietate;
-tale rilievo, di per se’, non rileva errori giuridici o vizi logici, tenuto conto che il divieto di attivita’ commerciali e i divieti susseguenti sono posti letteralmente sullo stesso piano (restando espressamente vietati destinazioni e uso ad esercizio o ufficio industriale o commerciale, a uffici pubblici, dispensari sanatori, case di salute di qualsiasi genere (…)) e che, fra le specifiche attivita’ oggetto di espresso divieto, ve ne sono alcune che non hanno certamente carattere commerciale: uffici pubblici, uffici di collocamento, chiese, accademie;
-d’altronde il ricorrente censura tale interpretazione ma non indica il canone ermeneutico in concreto violato, risolvendosi la censura nella proposta di una diversa interpretazione del regolamento, inammissibile in questa sede (Cass. n. 641/2003; n. 11613/2004);
-cio’ posto la seconda considerazione da farsi e’ che la assimilazione dell’attivita’ di affittacamere a quella imprenditoriale alberghiera, proposta dalla corte d’appello, e’ coerente con la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale “tale attivita’, pur differenziandosi da quella alberghiera per sue modeste dimensioni, presenta natura a quest’ultima analoga, comportando, non diversamente da un albergo, un’attivita’ imprenditoriale, un’azienda ed il contatto diretto con il pubblico”;
-essa, infatti, richiede non solo la cessione in godimento del locale ammobiliato e provvisto delle necessarie somministrazioni (luce, acqua, ecc.), ma anche la prestazione di servizi personali, quali il riassetto del locale stesso e la fornitura della biancheria da letto e da bagno (Cass. n. 704/2015);
– il ricorrente richiama il Regolamento n. 8 della Regione Lazio del 7 agosto 2015, in base al quale gli appartamenti da destinare a affittacamere non sono soggetti a cambio di destinazione d’uso a fini urbanistici;
– neanche tale richiamo e’ idoneo a rilevare un errore della corte d’appello nella riconduzione dell’attivita’ svolta dalla conduttrice a quelle commerciali vietate dal regolamento, posto che la stessa previsione regionale, invocata dalla ricorrente, definisce l’affittacamere come “strutture gestite in forma imprenditoriale” (articolo 4);
– insomma, rinterpretazione del regolamento contrattuale di condominio, operata nel caso di specie da parte del giudice del merito, non rileva nel suo complesso errori giuridici o vizi logici: essa e’ percio’ insindacabile in questa sede (Cass. n- 17893/2009; n. 1306/2007);
– il ricorso pertanto va rigettato;
– spese a carico della ricorrente;
-si da’ atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge; dichiara ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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