Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|17 giugno 2021| n. 17313.
Il disconoscimento della propria sottoscrizione, ai sensi dell’art. 214 c.p.c., deve avvenire in modo formale ed inequivoco essendo, a tal fine, inidonea una contestazione generica oppure implicita, perché frammista ad altre difese o meramente sottintesa in una diversa versione dei fatti; inoltre, la relativa eccezione deve contenere specifico riferimento al documento e al profilo di esso che viene contestato, sicché non vale, ove venga dedotta preventivamente, a fini solo esplorativi e senza riferimento circoscritto al determinato documento, ma con riguardo ad ogni eventuale produzione in copia che sia stata o possa essere effettuata da controparte.
Ordinanza|17 giugno 2021| n. 17313. Il disconoscimento della propria sottoscrizione
Data udienza 25 marzo 2021
Integrale
Tag/parola chiave: IRPEF – IRAP – IVA – Fatture per operazioni fittizie – Avviso di accertamento – Motivazione – Motivazione per relationem – Consapevolezza fittizietà – Disconoscimento sottoscrizioni – Modalità idonee – Il disconoscimento della propria sottoscrizione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere
Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere
Dott. SAIEVA Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 30102015 R.G R.G. proposto da:
(OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avv. (OMISSIS), con cui elettivamente domicilia in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore;
– intimata –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania 5562/45/14, pronunciata in data 22 maggio 2014, depositata in data 5 giugno 2014 e non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 marzo 2021 dal consigliere Dott. Giudicepietro Andreina.
RILEVATO
CHE:
(OMISSIS) ricorre con tre motivi contro l’Agenzia delle entrate per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, n. 5562/45/14, pronunciata in data 22 maggio 2014, depositata in data 5 giugno 2014 e non notificata, che ha rigettato l’appello della contribuente, in controversia avente ad oggetto l’impugnativa dell’avviso di accertamento con l’ufficio, per l’anno 2007, ha accertato, a carico della ditta individuale omonima, un maggior reddito di impresa non dichiarato ai fini Irpef per Euro 34.165,00, un maggior valore della produzione di pari importo ai fini Irap e maggiore Iva per Euro 12.823,00, richiedendo il pagamento dei tributi evasi, con sanzioni ed interessi;
con la sentenza impugnata, la C.t.r. preliminarmente dava atto che:
a seguito di controllo eseguito nei confronti della (OMISSIS) s.p.a., era emerso che quest’ultima ha annotato nel registro degli acquisiti le fatture nn. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), emesse dalla Interno 8 di (OMISSIS), per l’importo di Euro 64.115,00;
tale importo e’ stato considerato per Euro 29.950,00 relativo a cessioni parzialmente fittizie, documentate dalle fatture 5, 8 e 9, emesse a fronte di cessioni di merce (porta block notes, penne marca Montblanc, quaderni formato A4, articoli di cartoleria) del tutto estranee all’attivita’ della Interno 8 di (OMISSIS), che svolgeva commercio al dettaglio di biancheria, maglieria e camicie;
inoltre, le fatture (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) non sono state registrate dalla ditta Interno 8 di (OMISSIS) e, pertanto, l’intero importo di 64.115,00 e’ stato sottoposto a tassazione IVA;
l’importo differenziale di Euro 34.165,00 (Euro 64.115,00 – 29.950,00) e’ stato sottoposto a tassazione IRPEF ed IRAP;
con sentenza della C.t.p. di Napoli n. 509 del 4.6.2013, depositata il 2.7.2013, il ricorso della contribuente era stato rigettato, in quanto il primo giudice ha ritenuto che:
le fatture contestate, anche se fossero state emesse dal marito deceduto della (OMISSIS) ed all’insaputa di quest’ultima, erano comunque riferibili alla ditta;
non aveva alcun rilievo la circostanza che non fosse stata portato a conoscenza della contribuente la segnalazione della Polizia di Stato, che, in occasione di indagini, acquisi’ le fatture ed effettuo’ la segnalazione agli organi tributari, in quanto era stata allegata all’avviso di accertamento la copia della segnalazione prot. 314/2010 del 4.1.2010 dell’Ufficio Antifrode della Direzione Regionale della Campania, che rendeva pienamente conto delle indagini effettuate e delle violazioni tributarie riscontrate;
la mancata risposta dell’ufficio all’istanza di accertamento con adesione doveva intendersi come rigetto della proposta;
avverso la sentenza di primo grado, la contribuente aveva proposto appello, rigettato dalla C.t.r. della Campania, che aveva confermato integralmente la decisione dei primi giudici;
a seguito del ricorso l’Agenzia delle entrate e’ rimasta intimata;
il ricorso e’ stato fissato per la camera di consiglio del 25 marzo 2021, ai sensi dell’articolo 375 c.p.c., u.c., e articolo 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal Decreto Legge 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197.
Il disconoscimento della propria sottoscrizione
CONSIDERATO
CHE:
con il primo motivo, la ricorrente denunzia la violazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, articolo 7 e Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, articolo 42, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3;
secondo la ricorrente, la C.t.r. avrebbe violato le norme citate poiche’ non avrebbe rilevato la nullita’ dell’avviso di accertamento, al quale non era stato allegato il documento richiamato in motivazione, cioe’ la segnalazione della Polizia di Stato, che in occasione delle indagini acquisi’ le fatture ed effettuo’ la segnalazione agli organi tributari;
il motivo e’ infondato e va rigettato;
ai sensi della L. n. 212 del 2000, articolo 7, comma 1, “Gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, articolo 3, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama”;
a sua volta il Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 42 prevede: “Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto ne’ ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale”;
sul punto, la C.t.r. ha correttamente rilevato che ” Non sussiste la lamentata violazione della L. n. 212 del 2000, articolo 7 e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 42, in quanto, sebbene non sia stato allegato all’avviso di accertamento il rapporto originario della Guardia di Finanza, risulta notificato, insieme all’atto impositivo, la segnalazione dell’Agenzia delle Entrate – Direzione Regionale della Campania n. 2010/314 del 4.1.2010, contenente tutti gli elementi necessari all’individuazione dei fatti contestati ed all’esercizio del pieno diritto di difesa della contribuente-destinataria. La segnalazione predetta indica analiticamente, per l’anno di imposta 2007, che viene in rilievo in questo giudizio, i risultati dell’accertamento eseguito dai verificatori presso la (OMISSIS) s.p.a., la natura della merce contenuta nelle quattro fatture in contestazione, i relativi importi, nonche’ la contestazione relativa alla presenza di merce “incoerente” (portachiavi, porta-bigliettini in tessuto, portafogli in finta pelle, penne di marca Montblanc, porta-blocknotes in tessuto, quaderni formato A4) con l’attivita’ commerciale esercitata dalla ditta individuale Interno 8 di (OMISSIS), che opera nel settore della biancheria, maglieria e camiceria. Nel regime introdotto dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, articolo 7, l’obbligo di motivazione degli atti tributari puo’ essere adempiuto anche “per relationern”, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, che siano collegati all’atto notificato, quando lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, cioe’ l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) “;
la decisione del giudice di appello appare condivisibile ed in linea con l’orientamento consolidato di questa Corte, secondo cui “la L. n. 212 del 2000, articolo 7, comma 1, che si riferisce solo agli atti di cui il contribuente non abbia gia’ integrale e legale conoscenza, consente di assolvere all’obbligo di motivazione degli atti tributari anche “per relationem”, ovvero mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, che siano collegati all’atto notificato, quando lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, cioe’ l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento necessari e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, la cui indicazione permette al contribuente ed al giudice, in sede di eventuale sindacato giurisdizionale, di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono le parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento” (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9323 del 11/04/2017);
Il disconoscimento della propria sottoscrizione
in tema di accertamento, si e’ ulteriormente precisato che “l’obbligo dell’Amministrazione finanziaria di allegare al relativo avviso gli atti indicati nello stesso deve essere inteso in relazione alla finalita’ “integrativa” delle ragioni che giustificano l’emanazione dell’atto impositivo ai sensi della L. n. 241 del 1990, articolo 3, comma 3, sicche’ detto obbligo riguarda i soli atti che non siano stati gia’ trascritti nella loro parte essenziale nell’avviso stesso, con esclusione, peraltro, di quelli cui l’Ufficio abbia fatto comunque riferimento, i quali, pur non facendo parte della motivazione, sono utilizzabili ai fini della prova della pretesa impositiva” (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 24417 del 05/10/2018);
dunque, l’avviso di accertamento puo’ essere motivato per relationem, ossia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, purche’, nell’ipotesi di mancata allegazione, nell’atto ne venga riprodotto il contenuto essenziale, allo scopo di consentire al contribuente ed al giudice, in sede di eventuale sindacato giurisdizionale, di individuare le circostanze specifiche dell’atto richiamato;
nel caso di specie, come rilevato dalla C.t.r., la mancata allegazione dell’informativa della Polizia giudiziaria non comportava una nullita’ dell’atto, in quanto, insieme all’avviso di accertamento, risultava notificata la segnalazione dell’Agenzia delle Entrate – Direzione Regionale della Campania n. 2010/314 del 4.1.2010, contenente tutti gli elementi necessari all’individuazione dei fatti contestati;
con il secondo motivo, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2696 c.c. e dei principi generali in materia di onere probatorio nel processo tributario, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3;
secondo la ricorrente, la C.t.r. avrebbe escluso che la contribuente avesse fornito la prova contraria alla tesi erariale, senza prima verificare se l’amministrazione finanziaria avesse fornito la prova diretta della pretesa impositiva;
Il disconoscimento della propria sottoscrizione
il motivo e’ infondato e va rigettato;
nel caso di specie, la C.t.r. in primo luogo ha dato atto delle modalita’ del rinvenimento delle fatture ed ha rilevato che l’accertamento relativo all’inesistenza di alcune operazioni si fondava sulla contestazione relativa alla natura “incoerente” della merce indicata in fattura (portachiavi, porta-bigliettini in tessuto, portafogli in finta pelle, penne di marca Montblanc, porta-blocknotes in tessuto, quaderni formato A4) rispetto all’attivita’ commerciale esercitata dalla ditta individuale Interno 8 di (OMISSIS), che operava nel settore della biancheria, maglieria e camiceria;
a fronte di cio’, il giudice di appello ha ritenuto che l’appellante non avesse fornito alcuna prova della commercializzazione abituale, da parte sua, di gadgets aventi ad oggetto materiali di cancelleria, ma si fosse limitata alla semplice asserzione di tale circostanza, senza neanche allegare dimostrazioni contabili dell’acquisto di tale merce, successivamente ceduta alla (OMISSIS) s.p.a.;
la decisione non incorre nella denunziata violazione di legge, in quanto, come questa Corte ha piu’ volte affermato in tema di IVA, con un principio valevole anche per le imposte dirette, “una volta assolta da parte dell’Amministrazione finanziaria la prova, anche mediante elementi indiziari, dell’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente dimostrarne, di contro, l’effettiva esistenza, senza che, tuttavia, sia sufficiente a tal fine l’esibizione della fattura, documentazione di solito utilizzata proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia” (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 26453 del 19/10/2018);
con il terzo motivo, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 21, comma 7, e dei principi generali in materia di responsabilita’ tributaria, colpevolezza e buona fede, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3;
la ricorrente ritiene che, avendo negato di essere consapevole dell’emissione delle fatture oggetto di accertamento, adducendo come esse fossero state emesse da terzi (in particolare, dal coniuge deceduto) e quindi dall’istante non conosciute, la C.t.r. avrebbe dovuto stabilire attraverso l’esame degli atti processuali se all’istante fosse imputabile l’emissione delle fatture in contestazione;
altrimenti opinando, si ricondurrebbero nell’alveo della responsabilita’ fiscale del contribuente anche gli atti illeciti commessi da terzi;
il motivo e’ infondato e va rigettato;
Il disconoscimento della propria sottoscrizione
ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 21, comma 7 “Se viene emessa fattura per operazioni inesistenti, ovvero se nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relative sono indicate in misura superiore a quella reale, l’imposta e’ dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura”;
la ricorrente non contesta che, ai sensi della norma citata, sia possibile il recupero dell’Iva a carico del cedente in base al solo fatto che questi abbia emesso la fattura, a prescindere dall’annotazione nei registri contabili;
invero, l’emittente la fattura, in base al principio di cartolarita’, e’ tenuto a versare l’imposta ivi liquidata;
la disposizione citata appare conforme ai principi comunitari (secondo cui e’ debitore d’imposta chiunque indichi tale imposta in una fattura) e risponde ad una ratio di salvaguardia dell’interesse fiscale per evitare possibili danni erariali determinati dalla possibilita’ apparente per il destinatario di operare la detrazione (CGCE C-454/98) (vedi amplius Cass. n. 27685 dell’11 dicembre 2013, in motivazione);
tuttavia, la ricorrente rileva che, affinche’ le fatture possano essere recuperate a tassazione come ricavi non dichiarati e come IVA non versata in capo a colui che figura come emittente della fattura medesima, sia pur sempre necessario che quest’ultimo abbia emesso consapevolmente il documento fiscale;
in altri termini, secondo la ricorrente, nessuna responsabilita’ fiscale puo’ essere fatta valere in capo a colui che, pur risultando cartolarmente l’esecutore della prestazione fatturata, sia del tutto inconsapevole dell’emissione della fattura in quanto quest’ultima risulti fraudolentemente redatta da un terzo;
deve, pero’, rilevarsi che, in linea generale, la prova che il soggetto passivo sapeva
o avrebbe dovuto sapere che la operazione si iscriveva in un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto, in linea con la giurisprudenza della Corte di giustizia (Corte giustizia 22 ottobre 2015, C-277/14), puo’ essere fornita dall’Amministrazione anche mediante presunzioni – come espressamente prevede il Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 54, comma 2 – valorizzando, nel quadro indiziario, gli elementi sintomatici della mancata esecuzione della prestazione dal fatturante (Sez. 5, Sentenza n. 5339 del 27/02/2020, Rv. 657341 – 01);
nel caso di specie, la contribuente non ha dimostrato di aver predisposto un insieme di accorgimenti preventivi idonei ad evitare la commissione di violazioni del tipo di quelle realizzate, al fine di escludere una sua culpa in vigilando, ne’ ha eliminato in tempo utile e completamente il rischio di perdite di entrate fiscali (Corte di giustizia n. 454 del 19/09/2000, C-454/98, v. in motiv. 48-49-58-6063-68-70 e in dispositivo 1-2);
Il disconoscimento della propria sottoscrizione
ne’ la ricorrente risulta aver specificamente disconosciuto le proprie firme sui documenti fiscali (Sez. 5, Sentenza n. 7355 del 31/03/2011, Rv. 617445 – 01), rimanendo incerto il riferimento contenuto in ricorso in ordine alla dichiarazione resa alla Polstato sulla falsita’ della propria sottoscrizione e sull’attribuzione al marito di tale falsificazione;
come questa Corte ha avuto modo di rilevare, il disconoscimento della propria sottoscrizione deve avvenire in modo formale ed inequivoco: e’, pertanto, inidonea a tal fine una contestazione generica oppure implicita, perche’ frammista ad altre difese
o meramente sottintesa in una diversa versione dei fatti (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12448 del 19/07/2012, Rv. 623355 – 01);
Il disconoscimento della propria sottoscrizione
inoltre, la relativa eccezione deve contenere specifico riferimento al documento ed al profilo di esso che venga contestato, sicche’ non vale, ove venga dedotta preventivamente, a fini solo esplorativi e senza riferimento circoscritto al determinato documento, ma con riguardo ad ogni eventuale produzione in copia che sia stata o possa essere effettuata da controparte (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 16232 del 19/08/2004, Rv. 575966 – 01);
nel ricorso introduttivo (pag.6) la contribuente sostiene di aver dichiarato agli inquirenti che le sue firme erano false, ma non ne fa oggetto di un espresso e dettagliato disconoscimento;
dunque, la tesi della contribuente, di essere stata una sorta d’ignara prestanome con condotta fiscalmente neutra, resta al livello di mera enunciazione ed e’ priva di riscontri obiettivi, logici e/o circostanziali (da quanto riportato in ricorso, si evince che nell’atto di appello la contribuente afferma soltanto di non essere a conoscenza se eventuali manipolazioni delle fatture siano state poste in essere dai soggetti riceventi o dal defunto coniuge, lo stesso argomento e’ speso nella prima difesa dopo la costituzione del fisco in primo grado, mentre nella nella segnalazione del 30.12.2009, cosi’ come trascritta, non si accenna affatto ad eventuali falsificazioni);
pertanto, i tributi evasi, accertati nei confronti della ditta individuale, sono comunque dovuti, perche’ riferibili all’attivita’ commerciale svolta da quest’ultima;
pertanto, il ricorso va complessivamente rigettato;
nulla deve disporsi in ordine alle spese, in quanto l’Agenzia delle entrate e’ rimasta intimata.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
Il disconoscimento della propria sottoscrizione
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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