Il diritto del coniuge superstite alla pensione di reversibilità

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|18 aprile 2023| n. 10291.

Il diritto del coniuge superstite alla pensione di reversibilità

In caso di morte dell’ex coniuge, il diritto del coniuge superstite alla pensione di reversibilità ai sensi dell’art. 9, comma 2, l. n. 898 del 1970, che scaturisce, assieme agli altri presupposti, dal riconoscimento giudiziale, in suo favore, dell’assegno di divorzio, non viene meno per effetto della rinuncia stragiudiziale a detto assegno da parte del suo titolare, essendo necessario un provvedimento giurisdizionale che accerti l’effettiva e definitiva rinuncia a tale emolumento.

Ordinanza|18 aprile 2023| n. 10291. Il diritto del coniuge superstite alla pensione di reversibilità

Data udienza 28 ottobre 2022

Integrale

Tag/parola chiave Previdenza e assistenza – Pensione di reversibilità – Accordo tra le parti – Insufficienza – Vaglio del giudice – Necessità – Legge 898/1970

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sui ricorso n. 19633/2020 r.g. proposto da:
(OMISSIS), (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato (OMISSIS), presso il cui studio e’ elettivamente domiciliata in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, dall’Avvocato (OMISSIS), presso il cui studio e’ elettivamente domiciliata in (OMISSIS);
– controricorrente –
contro
ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, (cod. fisc. (OMISSIS)), con sede in (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, dagli Avvocati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), con i quali elettivamente domicilia in Roma, alla Via Cesare Beccaria n. 29, presso l’Avvocatura centrale dell’Istituto;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1931/2020 della Corte di appello di Roma, depositata in data 20.04.2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 28/10/2022 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

Il diritto del coniuge superstite alla pensione di reversibilità

RILEVATO

Che:
1. Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 104/2017, pubblicata il 12.9.2017, definendo il giudizio introdotto il 21.9.2015 da (OMISSIS) per l’accertamento della quota di pensione di reversibilita’ a lei spettante quale coniuge divorziata di (OMISSIS), deceduto il (OMISSIS), aveva ripartito detta pensione attribuendola per il 50% ciascuna alle due coniugi (divorziata e superstite), condannando l’INPS, ente erogatore del trattamento pensionistico, a corrispondere le rispettive quote con decorrenza dal mese successivo al decesso del (OMISSIS), detratti gli eventuali importi gia’ corrisposti e respinte le ulteriori domande formulate dall’Inps.
2. Proposto appello da parte di (OMISSIS) avverso la predetta sentenza del Tribunale di Roma, la Corte di appello di Roma, con la sentenza n. 1981/2020 del 20.4.2020, qui nuovo impugnata, ha accolto il gravame, rigettando pertanto la domanda proposta da (OMISSIS).
La corte del merito – dopo aver disatteso l’eccezione di inammissibilita’ dell’impugnazione per genericita’ e le istanze istruttorie reiterate in appello ha ritenuto, per quanto qui ancora di interesse, che risultavano circostanze accertate e non contestate quelle secondo cui, da un lato, i rispettivi matrimoni della (OMISSIS) e della (OMISSIS) con il defunto (OMISSIS) avevano avuto durata il primo dal (OMISSIS) ed il secondo dal (OMISSIS) e, dall’altro, che alla (OMISSIS) era stato attribuito un assegno divorzile dell’importo di Lire 1.200.000 con la sentenza di divorzio e che quest’ultima non si era risposata; ha evidenziato – come ulteriore circostanza fattuale non controversa – che, successivamente al divorzio, erano intervenuti ulteriori accordi tra gli ex coniugi (OMISSIS) – (OMISSIS), dapprima, nel (OMISSIS), per la riduzione dell’assegno divorzile (da Lire 1.200.000 a 700.000) e, poi, per la cessazione dell’obbligo nel (OMISSIS); ha ricordato che il Tribunale non aveva ritenuto di dover tenere conto degli accordi tra gli ex coniugi (incontestati in punto di fatto) e, in particolare, di non poter riconoscere agli stessi la volonta’ della (OMISSIS) di rinunciare definitivamente all’assegno divorzile ed ai diritti conseguenti (quale il diritto a percepire una quota della pensione di reversibilita’) poiche’ non ratificati in sede giudiziale; ha invece evidenziato che la giurisprudenza di legittimita’ ha, nel tempo, sempre piu’ riconosciuto autonomia negoziale e logica contrattuale alle pattuizioni tra coniugi ove non contrastanti con esigenze di protezione di soggetti minori ovvero piu’ deboli; ha evidenziato che anche la giurisprudenza resa dalle Sezioni Unite di questa Corte (sent. n. 22434/2018) era giunta ad affermare, in omaggio all’affermata funzione solidaristica dell’assegno divorzile e del trattamento di reversibilita’, che, ai fini del riconoscimento della pensione di reversibilita’ in favore del coniuge nei cui confronti era stato dichiarato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, la titolarita’ dell’assegno di cui alla L. n. 898 del 1970, articolo 5, doveva intendersi come titolarita’ attuale e concretamente fruibile dell’assegno periodico divorzile al momento della morte dell’ex coniuge e non gia’ come titolarita’ astratta del diritto all’assegno gia’ definitivamente soddisfatto con la corresponsione in una unica soluzione; ha evidenziato, seguendo il ragionamento delle Sez. Un. da ultimo citate, che il diritto alla pensione di reversibilita’ non deriva dalla semplice qualita’ di ex coniuge ma da uno dei suoi necessari requisiti nella titolarita’ attuale dell’assegno, la cui attribuzione si fonda sulla esigenza di assicurare allo stesso ex coniuge mezzi adeguati, dovendosi altresi’ ritenere che il presupposto per l’attribuzione della pensione e’ il venir meno di un sostegno economico assicurato in vita dal coniuge ovvero ex coniuge scomparso e la sua finalita’ e’ quella di sopperire a tale perdita economica all’esito di una valutazione effettuata dal giudice in concreto sulla base di vari elementi tra cui, in primo luogo, l’ammontare dell’assegno goduto dal coniuge divorziato prima del decesso dell’ex coniuge; ha osservato che per effetto degli accordi liberamente assunti tra gli ex coniugi (OMISSIS) – (OMISSIS), successivamente al divorzio e da entrambi rispettati, era venuto meno l’obbligo della corresponsione dell’assegno divorzile giudizialmente riconosciuto alla (OMISSIS) con la sentenza di divorzio, avendo peraltro la medesima (OMISSIS) riconosciuto, in sede di accordo, di non aver piu’ necessita’ del sostegno fornitole sino allora dall’ex coniuge ed esplicitato di non rinunciare alla persistenza del proprio diritto alla corresponsione della sola quota di trattamento di fine rapporto; ha evidenziato che, al momento del decesso del (OMISSIS), avvenuto nel (OMISSIS), questi non corrispondeva piu’ l’assegno divorzile alla (OMISSIS) da oltre dieci anni, dovendosi dunque ritenere che al momento del decesso del (OMISSIS) non sussisteva una situazione di contribuzione periodica ed attuale in favore dell’ex coniuge che dovesse essere continuata con l’attribuzione della quota di pensione di reversibilita’; ha concluso dunque nel senso che, in difetto del requisito della titolarita’ dell’assegno, la domanda di attribuzione della pensione di reversibilita’ proposta dalla (OMISSIS) dovesse essere respinta, con la conseguente riforma della sentenza di primo grado.
2. La sentenza, pubblicata il 20.4.2020, e’ stata impugnata da (OMISSIS) con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui (OMISSIS) e ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE hanno resistito con controricorso.
(OMISSIS) e (OMISSIS) hanno depositato memoria.

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CONSIDERATO

Che:
1. Con il primo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione della L. n. 898 del 1970, articoli 5 e 9. Ricorda la ricorrente che in base alla L. n. 898 del 1970, articolo 9, comma 2, in caso di morte dell’ex coniuge, il coniuge divorziato puo’ vantare il diritto alla pensione di reversibilita’ qualora non abbia contratto nuove nozze, il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza di scioglimento del matrimonio e sia titolare dell’assegno divorzile, dovendosi ritenere per “titolarita’” l’avvenuto riconoscimento dell’assegno medesimo da parte del Tribunale, ai sensi della L. n. 263 del 2005. Osserva ancora la ricorrente che sarebbe errata la giustificazione addotta dalla Corte di appello in ordine al mancato riconoscimento del diritto di reversibilita’, tenendo conto di fatti concludenti, viziati e, pertanto, nulli, che avevano portato il giudicante a ritenere sussistente la mancanza di “titolarita’” dell’assegno come condizione ostativa al riconoscimento della pensione di reversibilita’ in quota parte. Si evidenzia, sul punto qui da ultimo in discussione, che con riferimento all’espressione normativa “… che sia titolare di assegno ai sensi dell’articolo 5…”, il legislatore ha fornito un’interpretazione autentica. Osserva ancora la ricorrente che, unitamente al possesso degli altri requisiti, al fine di poter aspirare alla pensione di reversibilita’ ovvero ad una quota di essa, occorre che il coniuge divorziato sia titolare di un assegno divorzile giudizialmente stabilito, senza che assumano rilievo le concrete successive vicende ad esso relative, prevedendo in realta’ la L. n. 898 del 1970, uno specifico procedimento giurisdizionale quale unico mezzo idoneo a determinare l’eventuale perdita della titolarita’ dell’assegno da parte del coniuge divorziato e dunque la mancanza del relativo requisito per poter aspirare alla pensione di reversibilita’. Cio’ sarebbe stato affermato – aggiunge la ricorrente – anche dalla Corte Cost. (sent. n. 87/1995) laddove si era precisato che “… in tale fattispecie l’elemento della titolarita’ dell’assegno giudizialmente riconosciuta non e’ surrogabile da una convenzione privata, perche’ solo il giudice, non l’autonomia privata, ha il potere di accertare i presupposti, attinenti alle condizioni economiche dei coniugi e alle ragioni della decisione di scioglimento del matrimonio, che giustificano, nei rapporti con l’INPS, la prosecuzione, nella forma della pensione di reversibilita’, della funzione di sostentamento del coniuge superstite prima indirettamente adempiuta dalla pensione di cui era titolare il coniuge defunto…”. Errando – evidenzia ancora la ricorrente – la Corte di appello avrebbe invece individuato in una mera scrittura privata, nello specifico costituita dallo scambio di due missive viziate (e pertanto nulle), la perdita del diritto di reversibilita’.
2. Con il secondo mezzo si deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del “diritto alla pensione di reversibilita’ ai sensi della L. n. 898 del 1970, alla luce di una scrittura privata viziata”. Osserva la ricorrente che, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, l’assegno divorzile ha una natura di “diritto indisponibile”, insuscettibile di rinuncia, dovendosi anche ritenere nulla la transazione avente ad oggetto il diritto all’assegno divorzile. Pur ribadendo – aggiunge la ricorrente – che, nel caso di specie, successivamente al divorzio, non era comunque intervenuto alcun accordo tra le parti, l’interpretazione della Corte di appello finirebbe per attribuire rilievo giuridico a due missive nelle quali l’iniziativa a non corrispondere piu’ l’assegno proveniva dal de cuius (OMISSIS) che ella ricorrente aveva accettato, anche se in dissenso con la proposta, inconsapevole peraltro degli effetti conseguenti sulla sua situazione clinica ed economica assai precaria. Osserva ancora la ricorrente che era stato positivamente dimostrato che, a decorrere dal 1993/1995, le era stata riconosciuta una condizione di invalidita’ “con riduzione permanente della capacita’ lavorativa dal 74% al 99%”, in seguito anche alla riscontrata sindrome psicotica bipolare di II grado medio-grave, condizione patologica sempre sussistente e mai revocata.

Il diritto del coniuge superstite alla pensione di reversibilità

A cio’ andrebbe aggiunto, sempre a fondamento dell’illegittimita’ della scrittura privata, che le somme conseguite a titolo di alimenti, ossia necessarie a provvedere ai bisogni primari di vita, rientrano tra i diritti indisponibili e, in quanto tali, non sono soggetti a rinuncia mediante un semplice accordo tra le parti.
3. Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame di fatto decisivo, sul rilievo che la Corte di appello avrebbe omesso di considerare i fatti esposti a sostegno della sua precaria condizione clinica ed economica che evidenziavano una condizione di mancanza di autosufficienza.
4. Il quarto mezzo denuncia, sempre in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il vizio di “falsa applicazione al caso di specie della sentenza a Sezioni Unite n. 22434 del 2018”, sul rilievo che la Corte di appello avrebbe mal interpretato il principio dell’attualita’ dell’assegno come requisito di titolarita’ dell’assegno, trattando l’odierna vicenda ancora sub iudice una questione simile ma non analoga a quella trattata dalle Sezioni Unite.
5. Il primo motivo e’ fondato ed il suo accoglimento determina l’assorbimento delle ulteriori doglianze prospettate nei restanti motivi.
5.1 La L. n. 898 del 1970, articolo 9, comma 2, prevede che “Viri caso di morte dell’ex coniuge e in assenza di un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilita’, il coniuge rispetto al quale e’ stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e sempre che sia titolare di assegno ai sensi dell’articolo 5, alla pensione di reversibilita’, sempre che il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza”.
La L. n. 263 del 2005, articolo 5, reca, poi, un’interpretazione autentica dell’indicato articolo 9, comma 2, specificando che tale disposizione debba interpretarsi “nel senso che per titolarita’ dell’assegno ai sensi dell’articolo 5, deve intendersi l’avvenuto riconoscimento dell’assegno medesimo da parte del tribunale ai sensi della citata L. n. 898 del 1970, predetto articolo 5”.
Pertanto, secondo della L. n. 898 del 1970, articolo 9, comma 2 (come modificato dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, articolo 13, recante “Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio”), il diritto alla pensione di reversibilita’ scaturisce, insieme con altri presupposti, dalla titolarita’ del diritto all’assegno di divorzio. Quest’ultimo, a sua volta, e’ giustificato da ragioni assistenziali e compensativo-perequative, che coniugano, nei rapporti orizzontali, la solidarieta’ con l’esigenza di riequilibrare gli effetti delle scelte condivise nello svolgimento della vita coniugale.
In virtu’ di tale presupposto, anche il diritto alla pensione di reversibilita’ rispecchia, sul piano assiologico, una funzione solidaristica (Corte Cost. sentenze n. 419 del 1999, n. 286 del 1987 e n. 7 del 1980), che sottende, al contempo, istanze perequativo-compensative.
Dunque, i diritti alla pensione di reversibilita’ (ed anche ad una quota di indennita’ di fine rapporto) svolgono, in sostanza, funzioni che, nei rapporti orizzontali tra ex coniugi, riflettono istanze di rilievo costituzionale, che attengono alla solidarieta’ e all’effettivita’ del principio di eguaglianza. Tali diritti, pur traendo giustificazione e origine dai rapporti fra gli ex coniugi, producono effetti che si riverberano anche nei confronti di terzi.
Proprio al fine, dunque, di evitare che, nell’ambito di processi relativi a pretese previdenziali, coinvolgenti gli enti obbligati a tali prestazioni, possano porsi, tramite accertamenti incidenter tantum, questioni inerenti alla spettanza in astratto del diritto all’assegno di divorzio, della L. n. 263 del 2005, articolo 5, disposizione di interpretazione autentica, ha previsto che “per titolarita’ dell’assegno (…) deve intendersi l’avvenuto riconoscimento dell’assegno medesimo da parte del tribunale ai sensi della (…) L. n. 898 del 1970, articolo 5”.

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5.2 Cio’ posto, la ricostruzione dell’istituto qui in esame operata dalla Corte territoriale non puo’ essere condiviso.
E’ stato infatti di recente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte che, in tema di divorzio, il diritto alla quota della pensione di reversibilita’ previsto dalla L. n. 898 del 1970, articolo 9, spetta all’ex coniuge titolare dell’assegno divorzile e non puo’ essere escluso per il solo fatto che tale assegno non sia stato corrisposto per un periodo piu’ o meno lungo senza alcuna reazione, giudiziale o stragiudiziale, dell’avente diritto, poiche’ tale inerzia non comporta “ipso facto” la rinuncia al menzionato assegno, “in assenza della necessaria verifica giudiziale in ordine all’effettivita’ della stessa e alle correlate modificazioni dei presupposti per la sua percezione” (cfr. Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 27875 del 12/10/2021). Ne consegue che, con riferimento al caso di specie, non e’ certo lo scambio di missive – che concreterebbero, secondo la diversa ricostruzione della Corte di appello, una rinuncia alla corresponsione dell’assegno divorzile – ad essere condizione sufficiente per ritenere che l’odierna ricorrente non sia piu’ “titolare” dell’assegno di divorzio, e neanche a tal fine rileva il lungo tempo trascorso senza la corresponsione dell’assegno stesso, essendo necessaria – come per tutte le manifestazione di volonta’ in ambito familiare (come tra breve si puntualizzera’) – una verifica giudiziale in ordine all’effettivita’ della stessa rinuncia e alle eventuali correlate modificazioni dei presupposti per la percezione dell’assegno.
5.3 E’ pur vero che, come argomentato dalla Corte di appello, le Sezioni Unite di questa Corte, richiamate anche dai giudici di secondo grado, hanno affermato che, ai fini del riconoscimento della pensione di reversibilita’ in favore del coniuge nei cui confronti e’ stato dichiarato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, la titolarita’ dell’assegno di cui alla L. n. 898 del 1970, articolo 5, deve intendersi come titolarita’ attuale e concretamente fruibile dell’assegno periodico divorzile al momento della morte dell’ex coniuge e non gia’ come titolarita’ astratta del diritto all’assegno divorzile gia’ definitivamente soddisfatto con la
corresponsione in unica soluzione. In quest’ultimo caso, infatti, difetterebbe il requisito funzionale del trattamento di reversibilita’, che e’ dato dal medesimo presupposto solidaristico dell’assegno periodico di divorzio, finalizzato alla continuazione del sostegno economico in favore dell’ex coniuge, mentre nel caso in cui sia stato corrisposto l’assegno “una tantum” non esisterebbe una situazione di contribuzione economica che viene a mancare (Cass., Sez. U., 24 settembre 2018, n. 22434).
Tuttavia, l’arresto giurisprudenziale da ultimo citato non puo’ certo venire in soccorso per la soluzione della questio iuris oggi all’esame di questo Collegio, come invece ritenuto dai giudici del gravame nel provvedimento qui impugnato. Ed invero, secondo tale decisione – ai fini del riconoscimento della pensione di reversibilita’ in favore del coniuge nei cui confronti e’ stato dichiarato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio la titolarita’ dell’assegno di cui alla L. n. 898 del 1970, articolo 5, deve intendersi – per quanto anche gia’ sopra ricordato – come titolarita’ attuale e concretamente fruibile dell’assegno periodico divorzile al momento della morte dell’ex coniuge e non gia’ come titolarita’ astratta del diritto all’assegno divorzile gia’ definitivamente soddisfatto con la corresponsione in unica soluzione. In quest’ultimo caso, infatti, difetterebbe – secondo le Sez. Un. cit. supra – il requisito funzionale del trattamento di reversibilita’, che e’ dato dal medesimo presupposto solidaristico dell’assegno periodico di divorzio, finalizzato alla continuazione del sostegno economico in favore dell’ex coniuge, mentre nel caso in cui sia stato corrisposto l’assegno “una tantum” non esisterebbe una situazione di contribuzione economica che verrebbe a mancare.
Ma deve essere chiarito che la “titolarita’” attuale, che fa si’ che l’assegno sia ancora fruibile si ha, invero, proprio quanto non vi e’ un provvedimento giurisdizionale che accerti – come dianzi detto – l’effettiva e definitiva rinuncia a tale emolumento. Situazione che non ricorre proprio quando l’assegno viene corrisposto in un’unica soluzione, perche’ in tal caso difetterebbe la titolarita’ attuale e concreta.

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5.4 Cio’ detto e venendo alla questione dell’asserito accordo intervenuto tra (OMISSIS) e (OMISSIS), deve ricordarsi che questa Corte ha affermato che se e’ vero che gli accordi tra i coniugi trovano legittimo fondamento nel disposto dell’articolo 1322 c.c., e’ altrettanto vero che gli stessi sono validi ed efficaci nei limiti in cui non interferiscano con quello gia’ omologato o con quanto disposto in sede di divorzio, ma ne specifichino soltanto il contenuto con disposizioni maggiormente rispondenti, all’evidenza, con gli interessi tutelati (cfr., Cass., 24 febbraio 2021, n. 5065).
5.5 Sul punto qui da ultimo in esame una giurisprudenza risalente espressa da questa Corte (ma ancora condivisibile) aveva precisato che “in tema di divorzio e con riguardo al trattamento economico del coniuge divorziato in caso di morte dell’ex coniuge, nel caso in cui il divorzio sia stato pronunciato e l’assegno di divorzio giudizialmente stabilito durante la vigenza della disciplina anteriore alla L. 6 marzo 1987, n. 74, e tuttavia il decesso del coniuge sia avvenuto dopo l’entrata in vigore della legge citata, la disciplina applicabile e’ quella dettata dall’articolo 13, di quest’ultima (il quale ha, da ultimo, sostituito, introducendo un regime radicalmente innovativo, della L. 1 dicembre 1970, n. 898, articolo 9), con la conseguenza che, unitamente al possesso degli altri requisiti, e’ sufficiente, al fine di poter aspirare alla pensione di reversibilita’, o ad una quota di essa, che il coniuge divorziato sia titolare di assegno divorzile giudizialmente stabilito, senza che assumano rilievo la natura e l’entita’ dell’assegno stesso, ne’ le concrete successive vicende ad esso relative (prevedendo il citato articolo 13, uno specifico procedimento giurisdizionale quale unico mezzo idoneo a determinare l’eventuale perdita della titolarita’ dell’assegno divorzile da parte del coniuge divorziato e, quindi, la mancanza del relativo requisito per poter aspirare alla pensione di reversibilita’” (cosi’, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 15148 del 10/10/2003). In tale prospettiva, occorre ricordare che la legge – della L. n. 898 del 1970, articolo 9, comma 1 (come sost. dalla L. n. 74 del 1987, articolo 13) – prevede uno specifico procedimento giurisdizionale anche per “la revisione delle disposizioni…. relative alla misura e alle modalita’ dei contributi da corrispondere ai sensi degli articoli 5 e 6”: procedimento che costituisce l’unico mezzo idoneo a determinare l’eventuale perdita della titolarita’ dell’assegno divorzile da parte del coniuge divorziato e, quindi, la mancanza del relativo requisito per poter aspirare alla pensione di reversibilita’ (cosi’, sempre Cass. n. 15148/2003).
5.6 Era stato anche affermato dalla giurisprudenza di questa Corte – prima dell’intervento di interpretazione autentica della L. n. 898 del 1970, menzionato articolo 9, da parte della L. n. 263 del 2005, articolo 5, e sempre nella scia interpretativa da ultimo ricordata – che, ai fini del diritto del coniuge divorziato alla pensione di reversibilita’, il requisito, previsto dalla L. n. 898 del 1970, articolo 9 (nel testo di cui alla L. n. 74 del 1987), della titolarita’ dell’assegno disciplinato dall’articolo 5, presuppone il riconoscimento giudiziale del cosiddetto assegno divorzile, a seguito di proposizione delle relativa domanda, mentre non e’ sufficiente il godimento di erogazioni corrisposte di fatto o anche sulla base di convenzioni tra le parti (Cass. Sez. L, Sentenza n. 15242 del 27/11/2000; v. anche: Cass. n. 412-1996; n. 14111-1999; Cass. 457-2000).

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5.7 Non sfuggono a questo Collegio le aperture, nella giurisprudenza di legittimita’, all’intervento dell’autonomia privata e della negozialita’ in materia di famiglia, ma tali aperture devono essere necessariamente contestualizzate.
Cosi’ Cass., Sez. 3, n. 24621 del 03/12/2015 ha affermato che “L’accordo transattivo relativo alle attribuzioni patrimoniali, concluso tra le parti ai margini di un giudizio di separazione o di divorzio, ha natura negoziale e produce effetti senza necessita’ di essere sottoposto al giudice per l’omologazione”.
5.7.1 Com’e’ noto, nell’accordo tra le parti, in sede di separazione e di divorzio, si ravvisa un contenuto necessario (attinente all’affidamento dei figli, al regime di visita dei genitori, ai modi di contributo al mantenimento dei figli, all’assegnazione della casa coniugale, alla misura e al modo di mantenimento, ovvero alla determinazione di un assegno divorzile per il coniuge economicamente piu’ debole) ed uno eventuale (la regolamentazione di ogni altra questione patrimoniale o personale tra i coniugi stessi). Tradizionalmente gli accordi “negoziali” in materia familiare erano ritenuti del tutto estranei alla materia e alla logica contrattuale, affermandosi che si perseguiva un interesse della famiglia trascendente quello delle parti, e l’elemento patrimoniale, ancorche’ presente, era strettamente collegato e subordinato a quello personale. Oggi, escludendosi in genere che l’interesse della famiglia sia superiore e trascendente rispetto alla somma di quelli, coordinati e collegati, dei singoli componenti, si ammette sempre piu’ frequentemente un’ampia autonomia negoziale, e la logica contrattuale, seppur con qualche cautela, la’ dove essa non contrasti con l’esigenza di protezione dei minori o comunque dei soggetti piu’ deboli, si afferma con maggior convinzione (cosi’, sempre Cass., n. 24621-2015, cit. supra).
5.7.2 La giurisprudenza di questa Corte e’ cosi’ rimasta, per lungo tempo, tradizionalmente orientata a ritenere gli accordi assunti prima del matrimonio o magari in sede di separazione consensuale, in vista del futuro divorzio, nulli per illiceita’ della causa, perche’ in contrasto con i principi di indisponibilita’ degli status e dello stesso assegno di divorzio (tra le altre Cass. n. 6857/1992). Giurisprudenza piu’ recente ha sostenuto che tali accordi non sarebbero di per se’ contrari all’ordine pubblico. Come si e’ detto, l’accordo delle parti in sede di separazione o di divorzio (e magari quale oggetto di precisazioni comuni in un procedimento originariamente contenzioso) ha natura sicuramente negoziale, e talora da’ vita ad un vero e proprio contratto (Cass. n. 18066/2014; Cass. n. 19304/2013; Cass. n. 23713/2012). Ma, anche se esso non si configurasse come contratto, all’accordo stesso sarebbero sicuramente applicabili alcuni principi generali dell’ordinamento come quelli attinenti alla nullita’ dell’atto o alla capacita’ delle parti, ma pure alcuni piu’ specifici (ad es. relativi ai vizi di volonta’).
5.7.3 Tutto cio’ premesso, rileva tuttavia il Collegio che – come correttamente precisato, di recente, da questa stessa Prima Sezione (ord. n. 5065 del 24/02/2021, cit. supra, in tema di patti stipulati tra i coniugi per la disciplina della modalita’ di corresponsione dell’assegno di mantenimento di cui ha confermato la validita’), gli accordi tra i coniugi trovano si’ legittimo fondamento nel disposto dell’articolo 1322 c.c., tuttavia gli stessi sono validi ed efficaci nei limiti in cui non interferiscano con quello gia’ omologato o con quanto disposto in sede di divorzio, ma ne specifichino soltanto il contenuto con disposizioni maggiormente rispondenti, all’evidenza, con gli interessi tutelati.
5.8 Orbene, nel caso in esame non siamo invero in presenza di accordi integrativi ovvero meramente specificativi del contenuto delle disposizioni gia’ regolate in sede di omologazione ovvero nella sede della decisione degli effetti del divorzio, ma, diversamente, si e’ in presenza di un presunto accordo negoziale volto ad annullare l’assegno divorzile, gia’ disposto nella sede giudiziale dello scioglimento del vincolo matrimoniale ovvero della dichiarata cessazione degli effetti civili del matrimonio, senza che tale annullamento sia stato deliberato nella competente sede di revisione delle condizioni di divorzio seguendo la speciale procedura prevista dalla L. n. 898 del 1970, articolo 9, comma 1.
Ritiene il Collegio che se, come chiarito dal legislatore nella L. n. 263 del 2005, articolo 5 – recante un’interpretazione autentica dell’indicato articolo 9, comma 2 – deve, ora, ritenersi che tale disposizione debba essere interpretata “nel senso che per titolarita’ dell’assegno ai sensi dell’articolo 5, deve intendersi l’avvenuto riconoscimento dell’assegno medesimo da parte del tribunale ai sensi della citata L. n. 898 del 1970, predetto articolo 5”; allora, per converso, non puo’ che concludersi, sull’opposto fronte della revoca ovvero della rinuncia alla titolarita’ dell’assegno, che occorra sempre un intervento giudiziale per operare una modifica di tale titolarita’, e cio’ anche al solo fine di recepire eventuali accordi intervenuti tra gli ex coniugi in tal senso.

Il diritto del coniuge superstite alla pensione di reversibilità

Tale intervento giudiziale si giustifica proprio in ragione degli ulteriori effetti giuridici che si producono nelle rispettive sfere patrimoniali delle parti e dei terzi (istituti e casse previdenziali), in caso di eventuale decesso del titolare dell’assegno pensionistico gia’ coniugato con il titolare dell’assegno divorzile. In realta’, e’ proprio l’intreccio di questi interessi patrimoniali eterogenei riconducibili al titolare dell’assegno pensionistico, al titolare dell’assegno divorzile, agli istituti ovvero alle casse previdenziali e, da ultimo, anche all’eventuale altro coniuge superstite che consiglia il necessario accertamento giudiziale della titolarita’ o meno in capo all’ex coniuge dell’assegno divorzile, quale requisito imprescindibile per la liquidazione dell’assegno pensionistico di reversibilita’, nei termini gia’ sopra chiariti, senza che siano a cio’ sufficienti meri accordi ovvero intese tra le parti non sottoposte al vaglio giurisdizionale.
Ne consegue l’accoglimento del primo motivo e la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Corte territoriale che dovra’ decidere la causa secondo i principi sopra affermati.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti i restanti’; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Roma che, in diversa composizione, decidera’ anche sulle spese del presente giudizio di legittimita’.

 

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Il diritto del coniuge superstite alla pensione di reversibilità

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