Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 20 febbraio 2020, n. 1306.
La massima estrapolata:
Il diniego di autorizzazione paesaggistica non può limitarsi ad esprimere valutazioni apodittiche e stereotipate, dovendo infatti specificare le ragioni del rigetto dell’istanza con riferimento concreto alla fattispecie coinvolta sia in relazione al vincolo che ai caratteri del manufatto, ovvero esplicitare i motivi del contrasto tra le opere da realizzarsi e le ragioni di tutela dell’area interessata dall’apposizione del vincolo, con la conseguenza che non risulta sufficiente la motivazione di diniego fondata su di una generica incompatibilità, non potendo l’Amministrazione limitare la sua valutazione al mero riferimento ad un pregiudizio ambientale utilizzando espressioni vaghe e formule stereotipate.
Sentenza 20 febbraio 2020, n. 1306
Data udienza 15 ottobre 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sui seguenti ricorsi in appello:
1) numero di registro generale 5542 del 2012, proposto da Ra. On. Li. S.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Pa. Mo., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Cl. Sa. in Roma, via (…),
contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Pa. Di Ri. e Ma. Fr., con domicilio eletto presso il primo in Roma, viale (…),
nei confronti
di Te. S.r.l. ed altri, non costituitesi in giudizio;
2) numero di registro generale 5844 del 2012, proposto da Te. S.r.l. Br. & Te. Se., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Mi. Br. e Sa. Ca., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato An. Ga. in Roma, via (…); poi, in corso di causa, divenuta per incorporazione SB. S.r.l., costituitasi nel presente grado di giudizio in persona del suo legale rappresentante pro tempore, parimenti rappresentata e difesa dagli avvocati Mi. Br. e Sa. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, e comunque domicilio eletto presso lo studio dell’avv. An. Ga. in Roma, piazzale (…),
contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Pa. Di Ri. e Ma. Fr., con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, viale (…),
nei confronti
di Ra. On. Li. S.r.l. e Ra. Am. S.r.l., non costituitesi in giudizio;
3) numero di registro generale 6100 del 2012, proposto da Ra. Am. S.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Fa. Gi., domiciliata à sensi dell’art. 25, comma 1, lett. b), c.p.a. presso la Segreteria della competente Sezione del Consiglio di Stato in Roma, dapprima (…) e ora al (…),
contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Pa. Di Ri. e Ma. Fr., con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, viale (…),
nei confronti
di Ra. On. Li. S.r.l. e Te. S.r.l. non costituitesi in giudizio;
per la riforma
quanto ai ricorsi nn. 5542 del 2012, 5844 del 2012 e 6100 del 2012,
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria (sezione Prima) n. 4/2012, resa tra le parti e concernente diniego autorizzazione paesaggistica per l’installazione di nuove antenne.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 15 ottobre 2019, il Consigliere Fulvio Rocco e uditi per le parti appellanti l’avvocato Pa. Mo., l’avvocato Ga. Zu. su delega dell’avvocato Mi. Br., nonché l’avvocato Fa. Gi., e per la parte appellata l’avvocato Ma. Fr.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.1. Le attuali appellanti, Ra. On. Li. S.r.l., Te. S.r.l. Br. & Co. Se. e Ra. Am. S.r.l., hanno rispettivamente chiesto al Comune di (omissis) il rilascio del permesso di costruire, in un’area boschiva ubicata in località (omissis), lottizzazione ROL, tre antenne per espletare la propria attività di radiodiffusione sonora a carattere commerciale in ambito locale, autorizzata nei confronti delle predette Ra. On. Li. e Ra. On. Am. à sensi dell’art. 16 della l. 6 agosto 1990, n. 223, e successive modifiche.
Più precisamente, la società Te. ha chiesto l’installazione di una nuova antenna, nel mentre la Ra. On. Li. S.r.l. e la Ra. Am. S.r.l. hanno chiesto il rilascio di provvedimenti di sanatoria aventi ad oggetto le due antenne con i manufatti a loro servizio già da esse rispettivamente realizzate nell’anzidetto sito.
L’Amministrazione comunale ha negato a tali due Società il rilascio del nulla-osta paesaggistico, viceversa preliminarmente assentito a beneficio della Te. ma alla sola condizione che nel nuovo traliccio da essa realizzato, alto più di 43 metri, fossero allocati anche gli apparati di trasmissione delle altre due emittenti.
Le tre emittenti non hanno peraltro raggiunto alcun accordo in proposito, e in dipendenza di ciò è pertanto scaturito il presente contenzioso.
1.2.1. Innanzitutto, con ricorso proposto sub R.G. 105 del 2010 innanzi al T.A.R. per l’Umbria la Te. S.r.l. Br. & Co. Se. ha chiesto l’annullamento del provvedimento Prot. n. 10322 dd. 21 dicembre 2009 con il quale il Responsabile dell’Area Urbanistica del Comune di (omissis), Sportello Unico per l’Edilizia ha negato à sensi dell’art. 159 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, l’autorizzazione per la realizzazione dell’anzidetta antenna elevata per m. 43 in quanto non comprendente anche gli apparati di trasmissione delle altre due predette emittenti.
Tale impugnativa è stata estesa anche al preavviso di diniego emesso à sensi dell’art. 10-bis della l. 7 agosto 1990, n. 241, comunicato con nota Prot. n. 8753 dd. 21 ottobre 2009; al parere espresso al riguardo dalla Commissione comunale per la qualità architettonica ed il paesaggio emesso nella seduta del 19 maggio 2008, nel quale si afferma la compatibilità del progetto di costruzione con la tutela del vincolo ambientale insistente sull’area “a condizione che l’installazione della nuova antenna prevista sulla particella n. (omissis) del foglio (omissis), sia in sostituzione delle due antenne esistenti sulla limitrofa particella n. (omissis) del foglio (omissis)”; nonché ad ogni altro atto presupposto e conseguente.
La ricorrente ha dedotto al riguardo l’avvenuta violazione dell’anzidetto art. 10-bis della l. n. 241 del 1990 per l’omessa motivazione del rigetto delle osservazioni della ricorrente a fronte del preavviso di diniego, difetto di motivazione per violazione dell’art. 3 della medesima l. n. 241 del 1990, violazione del d.lgs. 259 1 agosto 2003, n. 259, eccesso di potere per difetto di istruttoria e travisamento dei fatti, nonché sviamento di potere.
1.2.2. In tale primo grado di giudizio si è costituito il Comune di (omissis), concludendo per la reiezione del ricorso.
1.2.3. Si è – altresì – costituita in tale primo procedimento la Ra. On. Li. S.r.l., in quanto evocata in giudizio dalla Te. S.r.l., concludendo a sua volta per l’accoglimento del ricorso.
1.3.1. Con ricorso proposto sub R.G. 445 del 2010 Ra. On. Li. S.r.l. ha impugnato a sua volta innanzi al T.A.R. per l’Umbria il preavviso di diniego di nulla-osta paesaggistico emesso à sensi dell’art. 159 del d.lgs. n. 42 del 2004 comunicato con nota del Comune di (omissis) Prot. n. 3657 e n. 3659 dd. 26 aprile 2010; l’ulteriore preavviso di diniego di nulla-osta paesaggistico emesso a sensi dell’art. 159 del d.lgs. n. 42 del 2004 comunicato con nota del Comune di (omissis) Prot. n. 3756 dd. 28 aprile 2010; i provvedimenti di diniego di nulla-osta paesaggistico Prot. n. 5565, Prot. n. 5568 e Prot. n. 5570 dd. 6 luglio 2010; il parere reso dalla Commissione comunale per la qualità architettonica ed il paesaggio verbale n. 10 dd. 29 dicembre 2009, nonché ogni altro atto presupposto e conseguente.
La ricorrente ha dedotto al riguardo l’avvenuta violazione dell’art. 4 della l. n. 223 del 1990 per mancata osservanza della regola del silenzio-assenso ivi contenuta, eccesso di potere per violazione del principio di affidamento, nonché eccesso di potere e violazione dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990 per difetto di motivazione.
1.3.2. Anche in questo primo grado di giudizio si è costituito il Comune di (omissis), concludendo per la reiezione del ricorso.
1.4.1. Da ultimo, con ricorso proposto sub R.G. 455 del 2010 Ra. Am. S.r.l. ha chiesto l’annullamento innanzi al T.A.R. per l’Umbria della determina del responsabile dell’Area Urbanistica del Comune di (omissis) Prot. n. 5573 dd. 6 luglio 2010, recante la reiezione della domanda presentata da Ra. So., poi Ra. Am. S.r.l. Prot. n. 713 dd. 29 gennaio 2002, avente ad oggetto l’installazione di un’antenna per diffusione radiofonica con annesso e recinzione da realizzarsi in località (omissis); nonché di ogni altro provvedimento presupposto e conseguente, ivi segnatamente compresi il parere della Commissione comunale per la qualità architettonica e il paesaggio di cui al verbale n. 8 dd. 29 dicembre 2009 e la comunicazione del Comune di (omissis) Prot. n. 3757 dd. 28 aprile 2010 di avvio del procedimento per il diniego dell’autorizzazione paesaggistica.
A tale riguardo la ricorrente ha dedotto l’avvenuta violazione dell’art. 4 della l. n. 223 del 1990 per mancata osservanza della regola del silenzio-assenso ivi contenuta, violazione dell’art. 32 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni in l. 24 novembre 2003, n. 326, mancata comunicazione dei pareri negativi della Commissione edilizia comunale, violazione dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990 ed eccesso di potere difetto di motivazione e di istruttoria sotto più profili, nonché eccesso di potere per violazione del principio di affidamento.
1.4.2. Anche in questo primo grado di giudizio si è costituito il Comune di (omissis), concludendo per la reiezione del ricorso.
1.5.1. Con sentenza n. 4 dd. 13 gennaio 2012 l’adito T.A.R. previa riunione dei tre sopradescritti ricorsi “per evidenti ragioni di connessione soggettiva (sono promossi contro la stessa amministrazione) ed oggettiva (riguardano vicende correlate)” (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata), li ha in parte respinti e in parte dichiarati inammissibili.
1.5.2. In particolare, per quanto attiene al ricorso ivi proposto sub R.G. n. 105 del 2010 dalla Te. S.r.l., il giudice di primo grado ha affermato che “non è condivisibile il primo motivo di ricorso con il quale si deduce la violazione dell’art. 10 bis l. n. 241del 1990 per l’omessa motivazione del rigetto delle osservazioni della ricorrente a fronte del preavviso di diniego. Difatti, conformemente alla cennata norma, la motivazione è esposta nel provvedimento impugnato laddove si specifica che il contenuto delle osservazioni non apporta alcun elemento idoneo per modificare l’orientamento dell’Amministrazione essendo questo “basato sulla tutela dell’area boscata soggetta a vincolo paesaggistico ambientale”. L’onere formale previsto dall’art. 10 bis è stato quindi assolto ed altrettanto può dirsi dell’onere sostanziale di un’adeguata esposizione dei motivi del rigetto delle osservazioni. Difatti, questi agevolmente si ricavano per relationem dal parere della Commissione Comunale per la qualità architettonica ed il paesaggio del 19 maggio 2008, richiamato a pag. 1 ed integralmente riportato a pag. 4 dell’atto impugnato. Anche quest’ultimo, per quanto sintetico, è adeguatamente motivato quanto al suo contenuto provvedimentale, come più avanti si vedrà …. Non merita accoglimento nemmeno il secondo ordine di censure. Infatti, la motivazione del provvedimento impugnato, come già osservato, si evince per relationem dal parere della Commissione Comunale che può ritenersi congruamente motivato. Per vero, la logicità della ritenuta opportunità di subordinare la compatibilità paesaggistica all’accentramento in una sola antenna anche degli impianti installati su tralicci già esistenti non necessita di particolari spiegazioni. Il vincolo paesaggistico discende infatti dalla natura boschiva dell’area interessata dagli interventi ed è di immediata evidenza, alla luce del comune buon senso, che se si può tollerare (a detta dell’amministrazione) un traliccio di oltre 43 m., altrettanto non può dirsi ove questo si affianchi ad ulteriori antenne facendo sì che al bosco si aggiunga un agglomerato di tralicci ed altri inerenti manufatti. Del resto, la stessa ricorrente è consapevole di tale circostanza allorché afferma, nella relazione tecnica allegata alla propria istanza, che il proprio traliccio sarebbe stato adeguato ‘ad alloggiare gli impianti già esistenti e a disposizione degli utenti interessatà . Va poi precisato che diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente non v’è alcuna violazione del d.lgs. n. 259 del 2003, giacché nel diniego di compatibilità paesaggistica non è contenuto alcun obbligo di condivisione degli impianti, ma semplicemente si afferma che il nuovo impianto non può aggiungersi ad altri già esistenti poiché in tal modo provocherebbe un insostenibile impatto ambientale. Se poi l’esistenza degli altri impianti sia o meno imputabile all’inerzia comunale è questione estranea al provvedimento impugnato e quindi al presente giudizio…. E’ fuor di centro il terzo ordine di censure perché, diversamente da quanto si sostiene nel ricorso, è ragionevole l’aver tenuto conto della presenza di due antenne, ancorché abusive. Infatti, rileva la situazione esistente al momento dell’emanazione del provvedimento essendo comunque incerta, per eventuali sanatorie o giudizi, la sorte delle cennate antenne nel futuro…. Il provvedimento impugnato, basta leggerlo, è stato poi emanato esclusivamente in contemplazione delle esigenze di tutela del vincolo paesaggistico e non in considerazione delle emissioni elettromagnetiche o dell’esistenza di insediamenti residenziali come pretenderebbe la ricorrente. La mera menzione di tali questioni in un atto endoprocedimentale (nota comunale n. 4237 del 25 giugno 2009) non è certo sufficiente a far ritenere viziato il provvedimento impugnato che si fonda su motivazioni autonome e del tutto diverse” (cfr. ibidem, pag. 6 e ss.).
1.5.3. Per quanto attiene invece al ricorso proposto da Ra. Am. S.r.l. sub n. 455 del 2020, il medesimo giudice ha rilevato che “non è condivisibile la censura con la quale si prospetta l’illegittimità del diniego del nulla – osta paesaggistico giacché sull’istanza di installazione (rectius di regolarizzazione) dell’antenna si sarebbe consolidato, prima del diniego stesso, il silenzio – assenso ex art. 4 l. n. 223 del 1990. Difatti, il silenzio – assenso non si forma allorché l’area sia vincolata. Per vero, sia lo speciale regime previsto dall’art. 4 cit., sia la presunzione di conformità urbanistica (art. 86, 3° comma d.lgs. n. 259 del 2003) trovano un limite nell’esistenza di vincoli. Per quanto in particolare attiene ai vincoli ambientali e paesaggistici, qual è quello in questione (boschivo), si rammenta che essi sono posti a difesa di valori di rango costituzionale (Corte Costituzionale n. 94 del 1985, n. 359 del 1985; n. 151 del 1986) la tutela dei quali prevale sulle esigenze della comunicazione radio elettrica che, per quanto rilevanti, certamente non sono di pari rango. (T.A.R. Umbria n. 367 del 2011; id. n. 116 del 2001; arg. da Cons. Stato Sez. VI, 15 dicembre 2009 n. 7944)…. Non può considerarsi poi maturato alcun affidamento per la lunga permanenza dell’antenna abusiva anche dopo la presentazione dell’istanza di regolarizzazione. Invero, è notoria l’illegittimità permanente delle opere abusive e ciò, a fortiori, ove queste insistano in aree vincolate. Solo in casi eccezionali può rilevare, ai fini di una più approfondita motivazione dei provvedimenti ripristinatori, la protratta esistenza delle opere, ma ciò non accade allorché esse insistano su aree vincolate…. Inoltre, la motivazione del provvedimento impugnato è da ritenersi sufficiente e congrua per ragioni analoghe a quelle già illustrate… Non ha poi alcun rilievo il fatto che nell’area sia stato realizzato un insediamento abitativo giacché, come afferma l’Amministrazione, non smentita, questo sarebbe antecedente all’entrata in vigore della l. n. 431 del 1985, dalla quale deriva il vincolo di cui trattasi. In ogni caso, sia la valutazione dell’incidenza dell’insediamento sul valore paesaggistico dell’area, sia quella dell’impatto dell’antenna, attengono al merito dell’azione amministrativa e non sono impugnabili se non per vizi formali o per manifesta illogicità . I primi non sono dedotti e la seconda non sussiste sempre per considerazioni analoghe a quelle già formulate…. Le censure in rassegna sono invece palesemente inammissibili allorché tendono a censurare il merito dell’azione amministrativa criticando le scelte dell’Amministrazione sotto il profilo dell’inadeguatezza della valutazione dello stato di fatto, degli interessi in gioco e così via” (cfr. ibidem, pag. 8 e ss.).
1.5.4. Per quanto attiene invece al ricorso proposto sub R.G. 445 del 2010 da Ra. On. Li. S.r.l., il giudice di primo grado ha rilevato che “non merita accoglimento il motivo di ricorso con il quale si invoca, per l’antenna, il silenzio assenso ex art. 4 l. n. 223 del 1990 per le ragioni già illustrate…. Altrettanto è a dirsi per il dedotto consolidamento del silenzio – assenso sull’istanza di condono ex d.l. n. 269 del 2003, concernente i manufatti accessori all’antenna. Difatti, per gli abusi in aree vincolate, come nota l’attenta difesa del Comune, la sanatoria è subordinata al nulla – osta delle autorità tutrici dei vincoli. Ciò, in forza dell’art. 32 della l. n. 47 del 1985, facente parte del capo IV della l. n. 47 del 1985, capo espressamente richiamato dall’art. 32, comma 25° d.l. n. 269 del 2003 (fra le tante T.A.R. Umbria n. 2 del 2010)…. E’ poi fuor di centro l’invocare l’art. 32 comma 15 ° d.l. n. 269 del 2003. Questo, infatti, concerne l’ipotesi, diversa da quella all’esame, del mantenimento di opere eseguite da terzi su aree di proprietà dello Stato. Qui si tratta invece di opere (manufatti e antenna) realizzate su aree private, tali rimaste per la mancata formazione del silenzio assenso ex l. n. 223 del 1990… e per la conseguente impossibilità di espropriarle…. Non sono infine condivisibili le variegate censure con le quali si deduce, in sostanza, la mancata comunicazione dei pareri negativi della Commissione edilizia comunale e l’inadeguatezza della motivazione e dell’istruttoria poiché l’Amministrazione avrebbe mal valutato lo stato dei luoghi e l’incidenza dei manufatti sugli stessi. Al riguardo si osserva, in primo luogo, che la comunicazione separata di atti endoprocedimentali quali i pareri delle commissioni edilizie non è imposta da alcuna norma. In secondo luogo, si nota che una siffatta comunicazione (da non confondersi con quella ex art. 10 bis l. n. 241 del 1990) costituirebbe un inutile aggravamento del procedimento giacché contro gli atti endoprocedimentali è data tutela (ove rilevanti non lesivi ex se) in sede d’impugnazione del provvedimento finale. In terzo luogo, si giudicano evidentemente inammissibili le censure di difetto di motivazione e d’istruttoria ivi compresa, in particolare, quella incentrata sull’esiguo spessore della parte sommitale dell’antenna, asseritamente non apprezzato dall’Amministrazione per un ‘abbaglio dei sensà . Per vero con esse, al di là di ogni sterile sofisma, si cerca di contestare il merito delle scelte amministrative. Quest’ultime si ritengono invece adeguatamente giustificate e la loro logicità appare indubbia sempre per ragioni analoghe a quelle già illustrate… E’ infine fuor di luogo l’invocare l’affidamento per gli stessi motivi già esposti…” (cfr. ibidem, pag. 10 e ss.)
1.5.5. Da ultimo il T.A.R. ha disposto nel senso che “l’Amministrazione provvederà immediatamente, tenendo conto della ora accertata legittimità dei dinieghi di nulla osta paesaggistico, a concludere i procedimenti autorizzatori cui afferiscono i dinieghi stessi e ad adottare contestualmente, ove del caso, gli obbligatori provvedimenti repressivi. Le spese del ricorso Te. (n. 105/2010) possono essere compensate nei confronti del Comune perché ha ingiustificatamente tollerato la permanenza delle due antenne abusive, l’esistenza delle quali ha condizionato (ancorché legittimamente come si è visto) il nulla – osta ambientale rilasciato alla Te., così da renderlo praticamente inutilizzabile. La compensazione viene disposta anche nei confronti di Ra. On. Li. poiché ha provocato (unitamente a Ra. Am.) quella inutilizzabilità a causa dell’abuso commesso, pervicacemente protratto nonostante la possibilità ragionevolmente offerta dall’Amministrazione, sul piano di mero fatto, di contemperare le esigenze paesaggistiche con quelle della radiodiffusione, mediante la consensuale concentrazione degli apparati nell’edificando traliccio della Te., dichiaratasi disponibile al riguardo…. Le spese degli altri due ricorsi (n. 445/2010 e n. 455/2010) seguono invece la soccombenza e sono liquidate… tenendo conto della complessa attività difensiva cui è stata costretta la parte vittoriosa”, ossia nella misura di “Euro 6.000,00 (seimila/00) per ciascun ricorso, oltre agli oneri di legge ed alle ulteriori spese che dovessero eventualmente rendersi necessarie” (cfr. ibidem, pag. 12 e ss.).
2.1.1. Con il primo degli appelli in epigrafe (R.G. 5542 del 2012) la Ra. On. Li. S.r.l. chiede la riforma del capo della surriferita sentenza che segnatamente attiene all’esito del ricorso da essa proposto in primo grado.
Tale appellante deduce al riguardo i seguenti motivi:
1) error in iudicando per omessa valutazione e palese travisamento dei fatti e circostanze determinanti ai fini della decisione; erronea qualificazione giuridica della fattispecie; errore circa l’applicabilità dell’art. 4 della l. n. 223 del 1990;
2) error in iudicando per manifesta illogicità sotto ulteriori profili e violazione dell’art. 34 c.p.a.;
3) omessa pronuncia sull’eccezione di difetto di legittimazione/interesse della Te. S.r.l.;
4) illogicità della motivazione sulle spese, violazione dell’art. 24 c.p.a. nonché dell’art. 91 e ss. c.p.c.
2.1.2. Si è costituito anche nel presente grado di giudizio il Comune di (omissis), concludendo per la reiezione dell’appello.
2.1.3. Non si sono viceversa costituite nel presente procedimento le pur intimate Te. S.r.l. Br. & Co. Se. e Ra. Am. S.r.l.
2.2.1. Con il secondo appello in epigrafe (R.G. 5844 del 2012) la Te. S.r.l. Br. & Co. Se. chiede a sua volta la riforma del capo della surriferita sentenza che segnatamente attiene all’esito del ricorso da essa proposto in primo grado, deducendo al riguardo i seguenti motivi:
1) error in iudicando; erronea qualificazione giuridica del provvedimento gravato; contraddittorietà, illogicità ed irragionevolezza della motivazione della sentenza;
2) error in iudicando; violazione e falsa o errata applicazione dell’art. 10-bis della l. n. 241 del 1990; mancata o (in)adeguata valutazione delle osservazioni;
3) error in iudicando; violazione o falsa applicazione dell’art. 159 del d.lgs. n. 42 del 2004 e dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990; difetto e/o insufficienza di motivazione;
4) violazione e falsa o errata applicazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sul difetto di istruttoria; violazione e falsa o errata applicazione dell’art. 89 del d.lgs. 1 agosto 2003, n. 259;
5) erroneità ed illogicità ; eccesso di potere per falsità del presupposto, travisamento ovvero erronea valutazione dei presupposti in fatto e in diritto; illogicità, contraddittorietà, manifesta ingiustizia, irragionevolezza e sviamento;
6) errore manifesto, travisamento, illogicità e divieto di integrazione postuma della motivazione.
2.2.2. Si è costituito anche nel presente grado di giudizio il Comune di (omissis), concludendo per la reiezione dell’appello.
2.2.3. Non si sono viceversa costituite nel presente procedimento le pur intimate Ra. On. Li. S.r.l. e Ra. Am. S.r.l.
2.2.4. Nel corso di causa è subentrata all’originaria appellante la SB. S.r.l. quale incorporante della
Te. S.r.l. Br. & Co. Se..
2.3.1. Da ultimo, con il terzo appello in epigrafe (R.G. 6100 del 2012) la Ra. Am. S.r.l. ha parimenti chiesto la riforma del capo della surriferita sentenza che segnatamente attiene all’esito del ricorso da essa proposto in primo grado, deducendo a sua volta i seguenti ordini di motivi:
1) error in iudicando con riguardo alla fondatezza del primo ordine di censure proposte in primo grado, attinenti ad eccesso di potere per difetto di istruttoria, manifesta illogicità, palese irragionevolezza, sviamento, motivazione inadeguata, violazione dell’art. 4 della l. n. 223 del 1990;
2) error in iudicando con riguardo alla fondatezza delle censure di eccesso di potere per difetto di istruttoria, motivazione insufficiente ed inadeguata dedotte in primo grado;
3) error in iudicando con riguardo alla fondatezza delle censure di eccesso di potere per manifesta illogicità, palese irragionevolezza e sviamento dedotte in primo grado;
4) ingiusta condanna alle spese disposta nel giudizio di primo grado.
2.3.2. Si è costituito anche nel presente grado di giudizio il Comune di (omissis), concludendo per la reiezione dell’appello.
2.3.3. Non si sono viceversa costituite nel presente procedimento le pur intimate Ra. On. Li. S.r.l. e Te. S.r.l. Br. & Co. Se..
2.4. All’odierna pubblica udienza tutti e tre gli appelli in epigrafe sono stati trattenuti per la decisione.
3.1. Il Collegio preliminarmente dispone, à sensi dell’art. 96, comma 1, c.p.a., la riunione degli appelli in epigrafe, obbligatoria in quanto essi sono stati proposti avverso la medesima sentenza emessa in primo grado.
3.2.1. Tutto ciò premesso, tutte e tre le sopradescritte impugnative devono essere respinte.
3.2.2. Per quanto attiene al primo appello in epigrafe, proposto sub R.G. 5542 del 2012 da Ra. On. Li. S.r.l., va innanzitutto evidenziato che tale società ha presentato, al Comune di (omissis) una prima domanda Prot. n. 4506 dd. 2 giugno 1998 avente ad oggetto il rilascio di titolo edilizio in sanatoria per la realizzazione di una stazione radio in Località (omissis) di (omissis), seguita quindi dalla domanda Prot. n. 8946 dd. 13 dicembre 2004 avente ad oggetto il rilascio di titolo edilizio in sanatoria (condono à sensi dell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003 convertito in l. n. 326 del 2003) per “…ampliamento box postazione radio diffusione sonora…” e dalla domanda Prot. n. 8947 dd. 13 dicembre 2004 avente ad oggetto il rilascio di titolo edilizio in sanatoria (condono à sensi dell’anzidetto art. 32 del d.l. n. 269 del 2003 convertito in l. n. 326 del 2003) sempre per “…ampliamento box postazione radio diffusione sonora…” (cfr. all. da E ad H del fascicolo di parte resistente in primo grado sub R.G. 455 del 2010).
L’Amministrazione appellata evidenzia che l’area interessata dalla realizzazione delle sopradescritte opere, data la presenza di un bosco, è gravata da vincolo paesaggistico à sensi dell’art. 1, lett. g), del d.l. 27 giugno 1985, n. 312, convertito con modificazioni con l. 8 agosto 1985, n. 431, e attualmente corrispondente all’art. 142, comma 1, lett. g), del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, e che in dipendenza di tale circostanza l’attuale appellante era tenuta a chiedere il previo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica a ‘ sensi dell’art. 159 del medesimo d.lgs. n. 42 del 2004 secondo il testo a quel momento in vigore, essendo pertanto necessaria l’acquisizione del parere di competenza della Commissione Comunale per la Qualità Architettonica ed il Paesaggio.
Tale organo collegiale si è espresso nel senso della non compatibilità delle sopradescritte opere con il vincolo paesaggistico.
Previa comunicazione dei preavvisi di rigetto à sensi dell’art. 10-bis della l. n. 241 del 1990, i dinieghi di rilascio del nulla-osta paesaggistico sono stati adottati mediante i provvedimenti Prot. 5565, Prot. n. 5568 e Prot. n. 570 dd. 6 luglio 2010 (cfr. ibidem, allegati da I a K).
Nel formulare la propria impugnativa in primo grado la Ra. On. Li. S.r.l. ha premesso di essere stata autorizzata all’esercizio della propria attività di radiodiffusione con decreti ministeriali emessi à sensi della l. 6 agosto 1990, n. 223, e successive modifiche e che la struttura mediante la quale tale attività è esercitata è “…indispensabile per assicurare il servizio di pubblica utilità …” in quanto “…parte sostanziale ed imprescindibile dell’impianto di telecomunicazione, composto da box 2 prefabbricato per il ricovero delle apparecchiature e da un traliccio tipo Enel con palo sul quale sono collocate le antenne di trasmissione e ricezione…”.
Nell’esporre ora i propri motivi d’appello la medesima Ra. On. Li. S.r.l. ha preliminarmente riferito che: la propria antenna per radio-trasmissione è stata realizzata nell’anno 1982 su terreni già oggetto di lottizzazione; che l’antenna e il box (ampliato nel corso dell’anno 2000 e che l’Amministrazione appellata reputa sia piuttosto un container) sono poste accanto ad “….altre opere di urbanizzazione…”, tra le quali figura un serbatoio dell’acqua ubicato in zona destinata dalla vigente strumentazione urbanistica comunale a “servizi pubblici”, ossia nell’area distinta in catasto al Foglio (omissis) particella (omissis); che l’area ove sono collocati il box e l’antenna non risulterebbero boscate, ma si presenterebbero come una radura, e cioè come uno spiazzo libero; che all’epoca in cui la struttura è stata realizzata l’area non risultava ancora vincolata ed era da considerarsi edificabile, dato che non era stato ancora adottato un Piano regolatore generale e che l’area medesima era classificata come “…agricola esterna…”; che l’art. 1 del d.l. n. 312 del 1985 convertito con modificazioni in l. n. 431 del 1985 di per sé prevedeva, con disposizione attualmente trasfusa nell’art. 142 del d.lgs. n. 42 del 2004, n. 42, l’inapplicabilità del vincolo paesaggistico per le zone A e B “…e – limitatamente alle parti ricomprese nei piani pluriennali di attuazione – alle altre zone, come delimitate negli strumenti urbanistici ai sensi del decreto ministeriale 2 aprile 1968 n. 1444, e nei comuni sprovvisti di tali strumenti, ai centri edificati perimetrati ai sensi dell’art. 18 della legge 22 ottobre 1971, n. 865”; che la zona ove sono state realizzate le strutture in questione sarebbe da considerarsi proprio un “centro perimetrato” con conseguente inapplicabilità del vincolo; che il Piano regolatore generale del Comune di (omissis) ha poi recepito il contenuto dei piani attuativi approvati precedentemente, ivi compreso quella relativo all’area in questione, al punto che nella “…tav. (omissis) – Carta dei vincoli – tavola di sintesi…l’area in discussione risulta come area non boscata (si rinviene un’interruzione della superficie boscata – indicata in verde – proprio in corrispondenza della particella (omissis)”.
Va rilevato che al fine di suffragare tale affermazione la Ra. On. Li. S.r.l. ha prodotto nel presente grado di giudizio una relazione tecnica di parte dalla quale in effetti risulta che l’area di cui trattasi ricade in tale porzione di terreno non boscata.
L’appellante evidenzia pure che nel Piano regolatore generale del Comune l’anzidetta superficie non boscata risulta compresa nella Macrozona ME1, disciplinata dall’art. 108 delle Norme tecniche di attuazione – Parte Strutturale, in forza del quale “…Nei lotti edificabili ricoperti da bosco e facenti parte della lottizzazione non è consentita l’edificazione fatte salve le radure e i lotti che pur situati all’interno del bosco, siano privi di vegetazione arborea”.
Secondo la medesima appellante l’insieme delle circostanze ora descritte “…formavano già oggetto del panorama conoscitivo del Giudice di prime cure (o quantomeno avrebbero dovuto entrarne necessariamente a far parte)…”, con la conseguenza che il giudice medesimo avrebbe errato pronunciandosi a prescindere da tali elementi e senza acquisire la prova “…che effettivamente quell’area fosse e sia vincolata. Non risultano infatti prodotte in giudizio né le tavole di PRG né gli atti relativi alla lottizzazione (omissis) (da cui si sarebbe potuta ricavare la disciplina vincolistica dell’area)”.
3.2.3. Premesso tutto ciò, la Ra. On. Li. S.r.l. innanzitutto afferma che il giudice di primo grado avrebbe omesso di considerare che l’antenna in questione era stata realizzata nell’anno 1982, ossia in epoca in cui il vincolo boschivo non era ancora stato imposto e che la domanda da essa presentata non era finalizzata al rilascio di un titolo edificatorio in sanatoria, bensì “…ai sensi dell’art. 4 comma 1, della l. n. 223 del 1990 per un impianto già funzionante…”, e che in forza di tale dirimente circostanza essa non avrebbe realizzato una struttura abusiva, anche perché insistente su area destinata dalla vigente strumentazione urbanistica comunale su terreni destinati a servizi pubblici e compresi in una lottizzazione precedentemente approvata; senza sottacere, inoltre, che l’area medesima mai sarebbe stata assoggettata a vincolo paesaggistico in quanto probatamente non boscata.
Secondo l’appellante non competerebbe ad essa provare l’esistenza dell’impedimento all’accoglimento della propria domanda di sanatoria, posto che l’Amministrazione comunale avrebbe fondato i suoi provvedimenti su di un parere negativo a fini paesaggistici senza dimostrare che il relativo vincolo fosse effettivamente sussistente.
A fronte di tali argomenti dell’appellante, va in primo luogo precisato che, ai fini della disamina delle domande di sanatoria – quale è, per l’appunto, quella nella specie presentata all’Amministrazione comunale da parte della Ra. On. Li. S.r.l. proprio in quanto essa ha per oggetto un’opera realizzata senza l’assenso dell’Amministrazione medesima – non assume alcun rilievo l’epoca di realizzazione dell’opera stessa, né la circostanza che al momento della presentazione di tale istanza fossero sussistenti o meno dei vincoli: e ciò nella necessaria applicazione del principio tempus regit actum, ontologicamente insito nella strutturazione di ogni procedimento amministrativo e che impone di definire le domande in esso presentate in conformità alla situazione di fatto e di diritto esistente nel momento in cui si procede.
Del resto, un’ormai del tutto consolidata giurisprudenza afferma l’irrilevanza dell’epoca di esecuzione dell’opera oggetto di sanatoria, sussistendo in tal senso la necessità di considerare anche l’incidenza dei vincoli intervenuti successivamente.
In tal senso, infatti, va evidenziato che dal sistema normativo che ha disciplinato il condono edilizio à sensi dell’art. 31 e ss. della l. 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modifiche, richiamato anche dalle susseguenti discipline di condono contenute nell’art. 39 della l. 23 dicembre 1994, n. 724, e dall’art. 43 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni in l. 24 novembre 2003, n. 326, risulta evidente che nell’ipotesi del vincolo di inedificabilità sopravvenuto all’esecuzione dell’opera, la disciplina applicabile è esclusivamente quella dell’art. 32 della predetta l. n. 47 del 1985, con conseguente possibilità di sanatoria dell’opera, subordinata al parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo medesimo (così, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 18 marzo 2014, n. 1338; Sez. VI, 7 maggio 2015, n. 2297, 9 ottobre 2014, n. (omissis)5, 17 gennaio 2014, n. 231, tutte emesse in adesione al medesimo principio affermato al riguardo da Cons. Stato, A.P., 20 luglio 1999, n. 20).
Va in ogni caso rimarcato che al momento della presentazione delle istanze in questione il vincolo (nella specie risalente all’anno 1985) era già in vigore, con la conseguenza che la necessità di considerarne l’operatività non è per certo imputabile al ritardo dell’Amministrazione comunale nel definire le istanze medesime, bensì alla circostanza per cui l’appellante ha atteso il non trascurabile lasso di tempo di 16 anni prima di chiedere il rilascio del titolo a sanatoria.
Né il Collegio può convenire con la tesi dell’appellante secondo cui non sarebbe stato nella specie chiesto il rilascio di una concessione in sanatoria, bensì di una concessione per adeguamento funzionale ai sensi dell’art. 4 della l. 6 agosto 1990, n. 223, in vigore all’epoca dei fatti di causa e presentemente abrogata per effetto dell’art. 58, comma 1, n. 128), del t.u. approvato con d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327.
Il comma 1 dell’anzidetto art. 4 disponeva infatti che il rilascio della concessione per l’installazione e l’esercizio di impianti di radiodiffusione, disciplinato dall’art. 16 della stessa legge, “…da(va) titolo per richiedere alle autorità competenti le necessarie concessioni ed autorizzazioni per la installazione degli impianti nelle località indicate nel piano di assegnazione…”, nel mentre il comma 2 a sua volta espressamente disponeva, per quanto qui segnatamente interessa, che “i Comuni, ricevuta la domanda di concessione edilizia dai concessionari privati o dalla concessionaria pubblica, provvedono ad acquisire o, se del caso, ad occupare d’urgenza e ad espropriare, ai sensi della legge 22 ottobre 1971, n. 865 e successive modificazioni, l’area indicata dal piano di assegnazione e dal piano territoriale di coordinamento per l’installazione degli impianti, anche se già di proprietà degli stessi richiedenti, che viene a far parte del patrimonio indisponibile dei Comuni; provvedono altresì a rilasciare la concessione edilizia, anche nelle more della procedura di esproprio, ed a concedere contestualmente ai richiedenti il diritto di superficie sulle aree acquisite o espropriate per l’installazione degli impianti…”
Proprio i ripetuti e del tutto puntuali riferimenti della disciplina surriportata all’istanza e al rilascio della concessione edilizia impongono dunque di affermare che, nella vigenza della disciplina stessa, la realizzazione di un impianto quale quello di cui trattasi era assoggettata al regime della concessione edilizia, e che pertanto l’istanza di rilascio di un titolo successivo alla sua realizzazione non poteva che essere qualificata come istanza di rilascio di concessione in sanatoria: e ciò anche se l’istanza medesima era stata presentata à sensi dell’allora vigente art. 4 della l. n. 223 del 1990 e del tutto indipendentemente dalla qualificazione nominale che l’istante aveva attribuito al proprio atto.
Tale notazione di fondo impedisce pertanto di annettere un rilievo all’argomento svolto in tal senso dall’appellante, anche con riguardo alla circostanza che la l. n. 223 del 1990 non contemplava la presentazione di un'”istanza di adeguamento funzionale”, bensì subordinava comunque la realizzazione degli impianti di diffusione sonora e televisiva anche al rilascio della concessione edilizia (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. VI, 26 marzo 2018, n. 1887, secondo cui in applicazione dell’art. 4 della legge n. 223 del 1990 l’installazione e l’esercizio di impianti di diffusione sonora e televisiva necessitavano di due autonome e distinte concessioni, quella radiotelevisiva e quella urbanistico-edilizia, con la precisazione che il quadro normativo è mutato soltanto a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 1 agosto 2003, n. 259, recante il Codice delle comunicazioni elettroniche, i cui artt. 86 e 87, nel disciplinare il rilascio di autorizzazioni relativamente alle infrastrutture di comunicazione elettronica per impianti radioelettrici, prevedono ora un procedimento di rilascio di un’autorizzazione unica che assorbe e sostituisce il procedimento per il rilascio del titolo abilitativo edilizio; cfr. inoltre ex multis, nello stesso senso, Cons. Stato, Sez. III, 27 marzo 2017, n. 1386; Sez. VI, 19 marzo 2010, n. 1387, 15 dicembre 2009, n. 7944, 23 maggio 2006, n. 3077 e 18 maggio 2004, n. 3193).
3.2.4. Quanto alla tesi in fatto dell’appellante circa l’inapplicabilità del vincolo ex l. n. 431 del 1985 all’area in questione in quanto costituita da una radura non boscata, essa risulterebbe di per sé inammissibile in quanto da ricondursi ad una censura non dedotta nel primo grado di giudizio e, perciò, rientrante nel divieto di ius novorum in appello sancito dall’art. 104, comma 1, c.p.a. che, per l’appunto, preclude nel presente grado di giudizio qualsiasi ampliamento della domanda e la proposizione di nuove eccezioni che non siano rilevabili d’ufficio.
In tal senso va infatti evidenziato che con il proprio ricorso proposto innanzi al T.A.R. la Ra. On. Li. S.r.l. non aveva dedotto l’avvenuta violazione dell’art. 1 della l. n. 431 del 1985 nella parte in cui disciplina i casi di inapplicabilità del vincolo, limitandosi a contestare la legittimità del parere reso dall’organo consultivo così come poi recepito dall’Amministrazione comunale mediante i provvedimenti di diniego.
Invero la medesima parte ora sostiene che il T.A.R. avrebbe dovuto concludere nel senso della non inclusione dell’area in questione all’interno della superficie boscata – e, quindi, dell’insussistenza del relativo vincolo – sulla base di elementi fattuali che sarebbero già stati presenti nel fascicolo di primo grado.
Ma, come puntualmente rilevato dalla parte resistente, da tale documentazione nulla risulta in ordine alla perimetrazione dell’area in questione quale “centro edificato”; e, parimenti, nulla risulta in ordine alla lottizzazione in passato approvata dal Comune di (omissis), nonché al contenuto del P.R.G. e alle sue tavole 16S (carte dei vincoli) e 15S (contenuti territoriali ed urbanistici), dai quali – per l’appunto – si ricaverebbe la circostanza che l’area nella quale è stato realizzato l’impianto della Ra. On. Li. S.r.l. risulterebbe edificabile nonostante la presenza del bosco.
Infatti, nel corso del procedimento di primo grado, tale documentazione non è stata depositata né dalla ricorrente nonché attuale appellante, né dall’Amministrazione resistente, con la conseguenza che deve decisamente escludersi che il giudice di primo grado abbia errato nel dare per scontata la sussistenza e la vigenza del vincolo di cui trattasi.
Viceversa, lo stesso giudice ha in tale contesto correttamente ritenuto sussistente ed efficace il vincolo medesimo proprio in quanto la medesima parte ricorrente non ha formulato contestazioni al riguardo, dimostrando in tal modo anch’essa di non dubitare della sussistenza del vincolo predetto sull’area nella quale l’abuso era stato realizzato.
Né può ora imputarsi all’Amministrazione comunale di non aver a sua volta prodotto innanzi al T.A.R. l’anzidetta documentazione che avrebbe comprovato e comproverebbe a tutt’oggi l’assenza del vincolo in questione, posto che l’art. 46, comma 3, c.p.a. di per sé impone all’amministrazione intimata di produrre soltanto l’eventuale provvedimento impugnato, nonché gli atti e i documenti in base ai quali l’atto è stato emanato e quelli in esso citati e quelli che l’amministrazione ritiene utili al giudizio: onere, questo, puntualmente adempiuto dal Comune di (omissis), il quale – per quanto dianzi rilevato – non era dunque tenuto a produrre ulteriore documentazione proprio in dipendenza della mancata formulazione nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado di censure segnatamente inerenti la materiale estensione del vincolo di cui trattasi.
Ma, in disparte da ciò, anche la stessa nuova documentazione prodotta nel presente grado di giudizio dalla Ra. On. Li. S.r.l. comunque non giova a supportarne le ragioni ma, anzi, consente di smentirle.
Nella perizia di parte redatta dal geom. Ot. Gr., solo ora depositata agli atti, invero si afferma che l’antenna installata dall’attuale appellante risulterebbe collocata all’interno della particella n. (omissis), asseritamente non inclusa nell’area assoggettata a vincolo in dipendenza della strumentazione urbanistica all’epoca vigente.
La medesima perizia, tuttavia, non consente con ciò di affermare che l’area in questione non risulta di per sé gravata da vincolo, posto che essa non dimostra affatto che il relativo sedime sia compreso in un “…centro abitato perimetrato ai sensi dell’art. 18 della legge 22 ottobre 1971. n. 865”, come viceversa pretenderebbe l’attuale appellante.
Lo stesso art. 18 della l. n. 865 del 1971, a quel tempo vigente, disponeva infatti che la perimetrazione dei centri abitati doveva essere effettuata da parte dei Comuni, entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore della legge medesima, ossia entro il 15 novembre 1971, e che tale incombente era imposto “ai fini dell’applicazione del precedente articolo 16”, ossia agli effetti della determinazione dell’indennità di esproprio da parte delle commissioni provinciali “con deliberazione adottata dal consiglio comunale” e senza comprendere, nei centri edificati, “gli insediamenti sparsi e le aree esterne, anche se interessate dal processo di urbanizzazione” (cfr. art. 18 cit., secondo comma).
Posto ciò, e in disparte restando la problematica circa la perentorietà – o meno – del termine anzidetto, risulta comunque del tutto dirimente la circostanza della mancata comprova dell’avvenuta adozione, da parte del Consiglio Comunale di (omissis), di una deliberazione con la quale la lottizzazione denominata (omissis) sia stata qualificata come “centro abitato” à sensi del surriferito art. 18 della l. n. 865 del 1971.
Né l’attuale parte appellante smentisce l’assunto dell’Amministrazione appellata secondo cui l’anzidetta area lottizzata si troverebbe del tutto isolata nelle colline che circondano l’agglomerato urbano di (omissis), ossia in un'”area esterna” al “centro abitato” e che pertanto si configura in tal senso, secondo quanto espressamente disposto dal predetto art. 18, quale “insediamento sparso” ancorché “interessato dal processo di urbanizzazione”.
La mancata inclusione della lottizzazione (omissis) nel centro abitato di (omissis) risulta, pertanto, di per sé dirimente agli effetti dell’acclarata sussistenza del vincolo paesaggistico sull’area boscata in questione.
Né comunque va sottaciuto che l’art. 1 del d.l. n. 312 del 1985 convertito in l. n. 431 del 1985 inequivocabilmente dispone che il vincolo di cui trattasi, imposto ex lege, non trova comunque applicazione nelle aree eventualmente assoggettate alla perimetrazione di cui all’anzidetto art. 18 della l. n. 865 del 1971 soltanto “…limitatamente alle parti ricomprese nei piani pluriennali di attuazione…” (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 20 dicembre 1996, n. 1563), tra i quali certamente non rientra il piano di lottizzazione che include i terreni ubicati nelle vicinanze dell’impianto esercito dalla Ra. On. Li. S.r.l.
Va infatti a tale riguardo rilevato che i piani pluriennali di attuazione erano disciplinati all’epoca dei fatti di causa e sono a tutt’oggi disciplinati dall’art. 13 della l. 28 gennaio 1977, n. 10, come sostituito dall’art. 16-bis, del d.l. 1 luglio 1986, n. 318, convertito con modificazioni con l. 9 agosto 1986, n. 488, e che tali strumenti attuativi della pianificazione primaria sono concettualmente diversi dai piani di lottizzazione, viceversa disciplinati dall’art. 28 della l. 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modifiche.
Questa fondamentale distinzione permaneva, all’epoca dei fatti di causa, anche all’interno della disciplina urbanistica di fonte regionale contenuta pro tempore nella l.r. 22 febbraio 2005, n. 11, posto che ivi l’art. 20 e ss. distinguevano tra piani attuativi di iniziativa pubblica e piani attuativi di iniziativa privata, rientrando tra i primi la pianificazione pluriennale attuativa e tra i secondi la pianificazione di lottizzazione.
Né, da ultimo, può annettersi rilievo all’assunto della parte appellante secondo cui la disciplina contenuta nel Piano regolatore generale del Comune consentirebbe comunque l’edificazione nella zona in questione nonostante la presenza del bosco.
A tale riguardo va infatti evidenziato che l’edificazione, proprio in dipendenza dell’acclarata presenza del vincolo sull’area di cui trattasi, risulta in ogni caso subordinata al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica anche se consentita dalla disciplina contenuta nella pianificazione urbanistica primaria del Comune; e che il Comune di (omissis) ha nella specie approvato il proprio Piano regolatore, adottato nell’anno 2008 con deliberazione consiliare del 25 ottobre 2011, con la conseguenza che all’epoca dei fatti di causa (anno 2010) tale disciplina di piano valeva quale misura di salvaguardia, e ciò alla stessa guisa della disciplina di piano previgente, la quale – a sua volta – non consentiva l’edificazione nell’area medesima, anche a prescindere dal rilascio dell’autorizzazione paesaggistica.
3.2.5. Dall’acclarata vigenza nell’area di cui trattasi del vincolo paesaggistico imposto dall’art. 1 del d.l. n. 312 del 1985 convertito con modificazioni con l. n. 431 del 1985 consegue l’infondatezza della tesi dell’appellante secondo cui, nella specie, sarebbe maturato sulle proprie istanze di sanatoria il silenzio-assenso, segnatamente à sensi dell’art. 4 della l. n. 223 del 1990 in ordine all’istanza di sanatoria avente ad oggetto la realizzazione dell’antenna e à sensi dell’art. 35 della l. n. 47 del 1985 in ordine alla realizzazione del box.
Premesso infatti che, come detto innanzi al § 3.2.3, all’epoca dei fatti di causa anche per la realizzazione dell’antenna vigeva l’obbligo del rilascio di un titolo edilizio autonomo rispetto all’autorizzazione per l’esercizio dell’attività radio-televisiva, l’unanime giurisprudenza esclude l’operatività dell’istituto del silenzio-assenso nelle ipotesi in cui l’immobile in ordine al quale si chiede il rilascio del titolo edilizio in sanatoria ricada in area assoggettata a vincolo paesaggistico (cfr. sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 8 agosto 2014, n. 4226, 14 ottobre 2015, n. 4749, e 2 maggio 2013, n. 2395).
3.2.6. L’appellante contesta – altresì – il capo della sentenza impugnata con il quale non sono state accolte le “censure di difetto di motivazione e di istruttoria, ivi compresa…quella incentrata sull’esiguo spessore della parte sommitale dell’antenna”.
In proposito il giudice di primo grado ha ritenuto che tali contestazioni riguardavano il merito dell’azione amministrativa, concludendo comunque nel senso che le scelte operate dall’Amministrazione comunale risultano del tutto logiche e “adeguatamente giustificate”.
L’appellante – per contro – sostiene nel presente grado di giudizio di non voler “contestare il merito delle scelte amministrative, ma la logicità intrinseca delle stesse”, e che tale illogicità emergerebbe, dal fatto che la sanatoria delle opere in questione è stata negata nonostante una situazione di fatto caratterizzata dalla presenza nella medesima zona di ulteriori opere (edifici, tralicci della linea elettrica e serbatoio dell’acqua a servizio della lottizzazione) che non sarebbe stata considerata nell’istruttoria da parte dell’Amministrazione comunale, e ciò in contrasto con la giurisprudenza secondo cui ai fini della tutela paesaggistica la valutazione dell’impatto delle opere deve essere effettuata tenendo presente le effettive e reali condizioni dell’area in cui le stesse sono state realizzate (cfr. al riguardo, ad es., Cons. Stato, Sez. VI, 6 marzo 2018, n. 1424).
Il Collegio, per parte propria, non condivide l’assunto dell’appellante.
Dalla lettura dei pareri resi dalla Commissione Comunale e condivisi dal Dirigente che ha emesso i dinieghi impugnati nel giudizio di primo grado risulta che la situazione di fatto è stata tenuta nella dovuta considerazione, tanto che ivi si fa anche esplicito riferimento alle caratteristiche costruttive delle opere oggetto di sanatoria e, quindi, anche alle ragioni per cui le relative opere sono state ritenute contraddistinte da elementi incompatibili con i valori a tutela dei quali è stato posto il vincolo.
Infatti, per quanto segnatamente attiene alla realizzazione del box (che, peraltro, è in realtà costituito da un container stabilmente infisso al suolo) e al suo ampliamento nel parere si rileva testualmente che “la struttura prefabbricata per tipologia (tipo container), materiali e finiture (pareti esterne tinteggiate di colore bianco e copertura color nero), costituisce elemento incompatibile con il bosco all’interno del quale è stata installata, del quale rappresenta una deturpazione”.
Per quanto attiene invece alla realizzazione dell’antenna, il relativo parere evidenzia che la stessa “costituisce un impatto negativo, quale elemento improprio nell’ambito dell’area boscata circostante sottoposta a vincolo ambientale”.
Tali motivazioni sono state articolate in forma indubitabilmente concisa, ma di per sé sufficiente, posto che il diniego di autorizzazione paesaggistica è esaustivamente motivato ogniqualvolta esso non si concreti in affermazioni generiche relative alla sussistenza del vincolo e al riguardo meramente assertive, ma si sostanzi in un apprezzamento di compatibilità da condurre sulla base di rilevazioni e giudizi puntuali (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. VI, 4 febbraio 2019, n. 853): apprezzamento che – per l’appunto – è nella specie puntualmente e sufficientemente espresso dalle considerazioni, in alcun modo riconducibili a stereotipi, dell’oggettiva “deturpazione” del bosco da parte del container e dei suoi annessi, nonché dell’altrettanto oggettiva negatività dell’impatto dell’antenna quale “elemento improprio” rispetto alla circostante superficie boscata.
Né può ragionevolmente ritenersi che, sempre con riguardo alla situazione in concreto, la presenza di fabbricati nella zona di per sé imponga di ritenere assentibile la permanenza degli anzidetti manufatti nell’area in questione.
Gli ulteriori corpi edificati ivi presenti nelle adiacenze, compreso anche l’anzidetto serbatoio, sono stati infatti regolarmente realizzati al servizio della lottizzazione (omissis) (risalente all’ormai lontano 1973) mediante il rilascio di titoli edilizi in epoca antecedente all’imposizione del vincolo boschivo.
Si tratta, pertanto, di realizzazioni del tutto legittime e che costituiscono invero elementi da considerare anche nella valutazione dell’inserimento di nuove opere che – come puntualmente ha denotato l’Amministrazione appellata – non può per certo tradursi in un vulnus ulteriore per un paesaggio già in parte negativamente contraddistinto da tali preesistenze.
3.2.7. Secondo l’appellante il giudice di primo grado avrebbe comunque motivato la propria sentenza con argomentazioni tra loro incompatibili in quanto, pur ritenendo sussistente il vincolo boschivo, ha ritenuto compatibile con il vincolo medesimo il concorrente intervento effettuato sulla medesima area dalla Te. Br. & Co. Se., per di più contraddistinto dalla realizzazione di un’antenna di maggiori dimensioni.
In tale contesto, quindi, secondo la prospettazione della Ra. On. Li. S.r.l. il diniego “ricevuto da Te. sarebbe dovuto non tanto all’incompatibilità del progetto con la disciplina urbanistica e vincolistica della zona, ma all’esistenza di due antenne, secondo il giudicante, abusive”.
Anche tale assunto dell’appellante non trova l’adesione del Collegio, posto che – come si vedrà appresso, al § 3.3.1. e ss. della presente sentenza – il giudice di primo grado ha disaminato e respinto il ricorso della Te. S.r.l. reputando incompatibile con il vincolo paesaggistico anche l’impianto da quest’ultima realizzato.
Pare comunque opportuno a questo riguardo qui anticipare che la pur concorrente istanza presentata dalla Te. S.r.l. non aveva ad oggetto la sanatoria di un’opera preesistente, bensì la realizzazione ex novo di una antenna che la stessa Te. aveva rappresentato come sostitutiva delle due antenne già presenti, ossia l’una di titolarità di Ra. On. Li. e l’altra di titolarità di Ra. Am..
Tale pur fondamentale circostanza viene elusa dalla Ra. On. Li. S.r.l., la quale – altrettanto significativamente – omette pure di riferire che il T.A.R. ha affermato la legittimità del provvedimento con il quale l’Amministrazione comunale, dopo aver ritenuto l’antenna della Te. compatibile con il vincolo paesaggistico a condizione che fosse realizzata in sostituzione e non già in aggiunta alle due antenne già presenti, ha negato il titolo edilizio richiesto dalla medesima Te. in quanto non era stata presentata la richiesta documentazione comprovante l’esistenza di accordi tra le tre società interessate (ivi dunque compresa la stessa Ra. On. Li. S.r.l.) in ordine al trasferimento in tale unica e nuova struttura delle attrezzature collocate sulle due antenne già presenti in zona.
Sempre in tal senso, va anche rimarcato che il diniego opposto alla Te. S.r.l. è stato adottato in data antecedente a quella in cui sono state definite le istanze di sanatoria presentate dalla Ra. Am. S.r.l. nonché dalla stessa Ra. On. Li. S.r.l., rispettivamente aventi ad oggetto – si ribadisce – due impianti che, seppur realizzati senza titolo, sono stati comunque necessariamente ritenuti dall’Amministrazione comunale – proprio in forza della loro oggettiva insistenza sull’area in questione – quali elementi da considerare nel complessivo apprezzamento dello stato di fatto nel quale sarebbe stato inserito il nuovo impianto della Te. S.r.l., non più destinato ad accorparli.
Se così è, risulta dunque con ogni evidenza che il giudice di primo grado non è incorso in alcun errore di valutazione della fattispecie.
3.2.8. La medesima appellante imputa – altresì – al giudice di primo grado la violazione dell’art. 34, comma 2, c.p.a. per essersi pronunciato in ordine a poteri amministrativi non ancora esercitati.
In tal senso l’appellante rileva che il T.A.R. ha qualificato l’antenna da essa realizzata come realità abusiva nonostante che tale valutazione competesse in via esclusiva all’Amministrazione comunale, la quale è stata per di più sollecitata nella stessa sentenza ad adottare al riguardo gli opportuni provvedimenti repressivi.
Il Collegio, per parte propria, rileva che – ferma restando la sussistenza della violazione dell’art. 34, comma 2, c.p.a. soltanto nell’ipotesi in cui giudice amministrativo detti in concreto “le regole dell’azione amministrativa nei confronti di un organo che non ha ancora esercitato il suo munus” (così, ad es., Cons. Stato, Sez. VI, 30 giugno 2017, n. 3207) – il riferimento nella specie operato dal giudice di primo grado nei confronti dei provvedimenti repressivi, da adottarsi da parte dell’Amministrazione comunale risulta del tutto incidentale ed oggettivamente privo della valenza di statuizione idonea a vincolare la parti con forza del giudicato, posto che nel dispositivo della sentenza qui impugnata è disposta soltanto la reiezione dei ricorsi ivi proposti senza alcuna imposizione nei confronti dell’Amministrazione comunale di adottare provvedimenti repressivi, peraltro direttamente previsti dalla legge quali atti dovuti (pare addirittura superfluo denotare che su tale punto la giurisprudenza è del tutto unanime: cfr. ad es., tra le più recenti, Cons. Stato, Sez. VI, 6 febbraio 2019, n. 903)
3.2.9. L’appellante, in dipendenza dell’avvenuta riunione dei ricorsi proposti in primo grado, deduce ora quale motivo d’appello anche il mancato accoglimento dell’eccezione, formulata da Ra. On. Li. S.r.l., nell’ambito del ricorso proposto nello stesso primo grado sub R.G. 105 del 2010 dalla Te. S.r.l. Br. & Co. Se. secondo la quale la stessa Te. S.r.l. sarebbe stata da ritenersi priva di interesse all’impugnazione in quanto non titolare di autorizzazione ministeriale rilasciata à sensi dell’art. 16 della l. 223 del 1990.
Al riguardo è sufficiente rilevare che, come si vedrà appresso al § 3.3.1. della presente sentenza, l’eccezione stessa è risultata assorbita dalla declaratoria di infondatezza dei motivi di impugnazione proposti in primo grado dalla stessa Te. S.r.l.; senza sottacere, poi, in via del tutto dirimente che essendo – come si è visto innanzi al § 3.2.3 della presente sentenza – del tutto distinto e concorrente all’epoca dei fatti di causa il regime autorizzatorio di cui alla l. n. 223 del 1990 rispetto al regime urbanistico-edilizio di realizzazione delle opere destinate alla radiodiffusione, la circostanza che l’anzidetta Te. S.r.l. fosse – o meno – a quel momento titolare dell’autorizzazione contemplata dall’art. 16 della l. n. 223 del 1990 risulta, di per sé, del tutto irrilevante nell’economia della presente causa.
3.2.10. Da ultimo Ra. On. Li. S.r.l. ha pure contestato la condanna da essa subita nel precedente grado di giudizio al pagamento delle spese processuali in asserita violazione degli artt. 26 c.p.a. e 91 e ss. c.p.c. in quanto pronunciata – per l’appunto – soltanto nei propri confronti nonché nei confronti della Ra. Am. S.r.l., e non già nei confronti della Te. S.r.l. Br. & Co. Se., le cui ragioni di lite con l’Amministrazione comunale sono state viceversa compensate nonostante che anche tale società fosse risultata soccombente.
Orbene, a tale proposito va innanzitutto evidenziato che anche di recente questo Consiglio di Stato ha statuito nel senso che in materia di spese processuali la decisione del giudice di primo grado è censurabile in sede di legittimità, sotto il profilo della violazione di legge, soltanto quando le spese siano state poste, totalmente o parzialmente, a carico della parte totalmente vittoriosa; non è invece sindacabile, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione, l’esercizio del potere discrezionale dello stesso giudice sull’opportunità di compensare, in tutto o in parte, le spese medesime (così, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 17 giugno 2019, n. 4036, e 13 maggio 2019, n. 3092, nonché Sez. III, 25 aprile 2019, n. 2689, con puntuale riferimento – tra l’altro – a Cons. Stato, A.P., 24 maggio 2007, n. 8; cfr., altresì, sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 3 novembre 2015, n. 5012; 22 giugno 2004, n. 4471, e 27 settembre 1993, n. 798; Sez. III, 9 novembre 2016, n. 4655; Sez. VI 9 febbraio 2011, n. 891).
Posto ciò, soltanto per mera completezza espositiva va pertanto rilevato che nella presente fattispecie il giudice di primo grado ha comunque dato esplicita contezza del motivo – intrinsecamente condivisibile – della compensazione delle spese accordata a beneficio della Te. S.r.l., in dipendenza della disponibilità che essa aveva offerto ad ospitare sul proprio traliccio anche gli impianti di Ra. On. Li. e di Ra. Am..
3.3.1. Per quanto attiene al secondo appello in epigrafe, proposto sub R.G. 5844 del 2012 da Te. S.r.l. Br. & Te. Se., alla quale è succeduta in corso di causa per incorporazione la SB. S.r.l., va innanzitutto rilevato che la relativa controversia de qua concerne il provvedimento Prot. 10322 dd. 21 dicembre 2009 con il quale il Comune di (omissis) ha respinto l’istanza di autorizzazione paesaggistica, presentata da tale Società, medio tempore incorporata per fusione nella SB. S.r.l., avente ad oggetto la “installazione torre in acciaio per antenne di telecomunicazione con annessi shelters per la protezione degli impianti tecnologici” in località (omissis) su terreni catastalmente distinti al Foglio (omissis), particella (omissis) del catasto terreni del Comune di (omissis), ubicati in zona boschiva, e quindi gravati da vincolo paesaggistico à sensi dell’art. 142, comma 1, lett. g), del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42.
In ordine a tale istanza l’Agenzia regionale per la protezione ambientale (A.R.P.A.) dell’Umbria aveva espresso parere favorevole per quanto atteneva all’osservanza dei limiti di esposizione ai campi magnetici à sensi della disciplina contenuta nel d.p.c.m. 8 luglio 2003, nel mentre la Commissione comunale per la qualità architettonica e il paesaggio aveva ritenuto, nel corso della propria seduta del 19 maggio 2008, tale intervento “compatibile con la tutela del vincolo ambientale di cui al d.lgs. 42 del 2004, a condizione che l’installazione della nuova antenna prevista sulla particella (omissis) del foglio (omissis), sia in sostituzione delle due antenne esistenti sulla limitrofa particella n. (omissis) del foglio (omissis), così come, tra l’altro, indicato nella relazione tecnica allegata al progetto presentato dalla società in indirizzo”.
Con nota Prot. n. 8211 dd. 8 ottobre 2008 (cfr. doc. 4 di parte resistente nel procedimento di primo grado proposto sub R.G. n. 105 del 2010) ha comunicato tale parere a Te. S.r.l., e ha pertanto subordinato la definizione del procedimento di autorizzazione paesaggistica “alla presentazione degli atti attestanti i necessari accordi con i proprietari delle antenne da rimuovere, tali da legittimare l’esecuzione dei lavori di che trattasi”: e ciò – si badi – anche in conformità allo stesso contenuto della relazione tecnica depositata dalla medesima Te. S.r.l., nella quale – per l’appunto – l’antenna di cui trattasi veniva rappresentata come da realizzarsi in sostituzione, e non in aggiunta, alle antenne presenti nelle vicinanze.
Con nota dd. 23 luglio 2008 (cfr. ibidem, doc. 5) la Te. S.r.l., manifestandosi disponibile ad installare sulla propria antenna anche le attrezzature di Ra. On. Li. e di Ra. Am., ha prospettato la formalizzazione di un accordo in tal senso con tali due Società (cfr. ivi: “Tale accordo sarà formalizzato tra le parti con idonee scritture private”).
Il Responsabile dello Sportello Unico per l’edilizia del Comune di (omissis), dopo essere stato diffidato a concludere il procedimento, con nota Prot. n. 5427 dd. 25 giugno 2009 (cfr. ibidem, doc. 6) ha ribadito la legittimità della precedente sospensione dello stesso in quanto necessaria affinché venisse prodotta documentazione “attestante la sussistenza delle condizioni per lo spostamento sulla nuova struttura in progetto, delle due vecchie antenne esistenti nelle immediate vicinanze, come riportato anche nelle relazioni progettuali”.
La Te., peraltro, non ha prodotto tale documentazione e, in conseguenza di ciò, il medesimo Responsabile con nota Prot. n. 8753 dd. 21 ottobre 2009 (cfr. ibidem, doc. n. 7) ha comunicato alla Te. S.r.l., à sensi dell’art. 10-bis della l. 7 agosto 1990, n. 241, i motivi ritenuti ostativi al rilascio dell’autorizzazione richiesta.
Ritenendo quindi di non poter condividere le osservazioni al riguardo proposte dalla Te. S.r.l. (cfr. ibidem, doc. 8), con provvedimento Prot. n. 10322 dd. 21 dicembre 2009 lo stesso Responsabile ha respinto l’istanza di tale Società “facendo proprie le motivazioni espresse nel parere della Commissione comunale per la qualità architettonica ed il paesaggio in data 19 maggio 2008”, integralmente trascritto nel provvedimento medesimo.
3.3.2. Nell’appello in epigrafe la Te. S.r.l. muove innanzitutto dal presupposto che il nulla-osta paesaggistico le sarebbe stato invero rilasciato a condizione che venissero installati su di un’unica antenna anche gli apparati di trasmissione presenti sulle altre due antenne preesistenti, nel mentre il provvedimento impugnato sostanzia, a tutti gli effetti, un diniego dell’autorizzazione medesima.
In dipendenza di ciò, secondo la Te., il T.A.R. avrebbe pertanto errato nel ritenere infondato il ricorso, il quale sarebbe stato, piuttosto, da dichiararsi inammissibile per difetto di interesse: e ciò in quanto se il provvedimento erroneamente ritenuto come recante un’autorizzazione paesaggistica fosse stato davvero “praticamente inutilizzabile” (come affermato dallo stesso giudice di primo grado), la Te. S.r.l. “non avrebbe avuto alcuna utilità da una statuizione di annullamento”.
La Te. reputa – altresì – errata la sentenza emessa in primo grado in quanto il T.A.R., pur prendendo atto dell’abusività delle antenne presenti su terreni limitrofi a quello della medesima Te., “ne afferma l’irrilevanza giuridica, attribuendo valore – in maniera erronea, illogica ed irrazionale – esclusivamente sul dato di fatto della loro presenza”.
Per quanto attiene al primo assunto il Collegio reputa che esso sia errato nello stesso presupposto fattuale ivi enunciato, posto che – a ben vedere – il giudice di primo grado non ha qualificato il provvedimento innanzi ad esso impugnato come una “accoglimento condizionato”, ma ha affermato che il provvedimento di diniego emesso nei confronti della Te. è stato correttamente motivato con riferimento al fatto che, stante la presenza del vincolo paesaggistico al quale l’area è assoggettata e che è dovuto alla presenza del bosco, l’apprezzamento di tale stato di fatto da parte della Commissione comunale nel parere da essa reso era da ritenersi del tutto logico ed immune da vizi e che il conseguente provvedimento di diniego emesso dal Responsabile dello Sportello Unico era – a sua volta – conseguentemente – legittimo essendo al riguardo sufficiente il richiamo ob relationem al parere medesimo.
Se così è, quindi, deve allora concludersi nel senso che è stato il parere reso dalla Commissione comunale (che il T.A.R. indica con la locuzione “nulla osta”) ad essere stato ritenuto un “assenso condizionato” e non già il provvedimento di diniego emesso dal Responsabile dello Sportello Unico e che ha fatto seguito a tale parere.
Più in dettaglio, il sopradescritto motivo d’appello è stato formulato senza considerare quanto in concreto è avvenuto nel corso del procedimento, ed in particolare obliterando la circostanza che era stata la stessa Te. a prefigurare, mediante la propria relazione tecnica allegata all’istanza di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, la realizzazione della propria antenna come sostitutiva e non già aggiuntiva delle altre due antenne già esistenti.
E proprio in dipendenza di tale circostanza e dopo l’emissione del parere – esso sì condizionato – da parte dell’anzidetta Commissione, l’Amministrazione comunale ha esplicitamente significato a Te. che, per poter emettere l’autorizzazione, era necessaria la “presentazione degli atti attestanti i necessari accordi con i proprietari delle antenne da rimuovere, tali da legittimare l’esecuzione dei lavori di che trattasi” (così l’anzidetta nota Prot. 8211 dd. 8 ottobre 2008, doc. 4 di parte resistente nel fascicolo di primo grado).
A fronte di tale comunicazione – che, giova ribadire, discendeva anche dall’inequivoco contenuto della relazione annessa alla domanda di autorizzazione – la Te. S.r.l. non ha mosso contestazioni di sorta a tale “condizione”, e ha chiesto all’Amministrazione comunale di convocare le parti e dichiarando ivi di porre a disposizione dei proprietari delle altre antenne uno shelter (termine tecnico indicante un manufatto idoneo al riparo di congegni o attrezzi) “di dimensioni di mt. 3.0×2.5 circa, con accessi indipendenti e ampiamente idoneo ad ospitare le apparecchiature delle stesse. Tale accordo sarà formalizzato tra le parti con idonee scritture private” (cfr. l’anzidetta nota della Te. S.r.l. indirizzata al Comune dd. 23 luglio 2008, allegata quale doc. 5 della parte resistente in primo grado).
Anche questa comunicazione della Te. S.r.l. conferma pertanto, ancora una volta, l’intenzione della stessa società di realizzare un’antenna in sostituzione di quelle preesistenti.
Non essendosi quindi verificata la “condizione” contenuta nel parere reso dalla Commissione comunale e previamente richiesta dalla stessa Te., e avendo nondimeno quest’ultima chiesto la definizione del procedimento pur senza aver prodotto la documentazione necessaria all’avveramento della “condizione” medesima, l’Amministrazione comunale non ha potuto che formalizzare il proprio diniego al rilascio dell’autorizzazione di cui trattasi.
In tal senso, quindi – e a differenza di quanto sostenuto ora dall’appellante – il giudice di primo grado ha rettamente compreso che la surriferita “condizione” era stata apposta al parere della Commissione comunale e che il provvedimento impugnato dalla Te. S.r.l. si configura con ogni evidenza quale diniego emesso in dipendenza della circostanza che la medesima Te. non aveva fornito la documentazione necessaria a dare conto del verificarsi della “condizione” sopradescritta, ossia – in buona sostanza – per l’acclarata impossibilità di realizzare l’antenna così come richiesta dalla stessa Te., e cioè in sostituzione di quelle già presenti.
Da tale constatazione discende pure l’infondatezza dell’ulteriore assunto dell’appellante secondo il quale il ricorso da essa proposto in primo grado avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile per difetto di interesse e non già respinto nel merito, e ciò nell’errata presupposizione della sussistenza di un provvedimento favorevole che il ricorrente non avrebbe avuto interesse ad impugnare.
In disparte restando la notazione circa il difetto di interesse dell’appellante alla formulazione di tale motivo in quanto comunque insuscettibile di determinare l’accoglimento del presente appello, va in ogni caso evidenziato che, avendo il T.A.R. correttamente qualificato come diniego il provvedimento innanzi ad esso impugnato, risulta del tutto irrilevante il riferimento contenuto nella sentenza impugnata alla circostanza che il nulla-osta rilasciato alla Te. S.r.l. è divenuto “praticamente inutilizzabile” in dipendenza di una tolleranza del Comune (probatamente smentita dagli altri provvedimenti di diniego emessi anche nei confronti di Ra. On. Li. e di Ra. Am.) rispetto alla presenza delle antenne abusive già presenti nelle vicinanze e che avrebbe legittimamente condizionato l’agire dell’Amministrazione stessa.
Tale affermazione, come del resto già rilevato al § 3.2.10 della presente sentenza, è peraltro contenuta nella statuizione relativa alle spese del giudizio di primo grado, che sono state infatti compensate a beneficio della Te. S.r.l. nonostante la reiezione del ricorso, e concerne quindi soltanto tale statuizione.
Ne è comprova l’assunto contenuto nella sentenza medesima secondo cui “se poi l’esistenza degli altri impianti sia o meno imputabile all’inerzia comunale è questione estranea al provvedimento impugnato e quindi al presente giudizio” (cfr. ivi, pag. 6): il che, pertanto, rende ben evidente che il riferimento all’inutilizzabilità del “nulla osta” contenuto nella sentenza impugnata di per sé non smentisce la circostanza che il giudice di primo grado ha del tutto correttamente considerato la fattispecie ritenendo la “condizione” apposta al parere della Commissione comunale, e non al provvedimento di diniego.
3.3.3. Va a questo punto evidenziato che – a ben vedere – nel proprio appello la Te. S.r.l. neppure illustra in concreto per quale ragione sarebbe da ritenersi illogico ovvero non corretto prendere in considerazione, nel valutare l’impatto paesaggistico della struttura da essa progettata, la presenza di altre antenne in zona, ancorché abusive.
Questa notazione di fondo condurrebbe – di per sé – a dichiarare inammissibile per genericità il relativo motivo d’appello ora formulato dalla Te. S.r.l.
Ma, comunque sia, il Collegio reputa che il capo della sentenza impugnata incentrato sulla logicità e correttezza della considerazione delle preesistenti (e abusive) antenne risulta scevro da vizi logici, anche e soprattutto in considerazione della circostanza che all’epoca in cui è stata definita la domanda presentata dalla Te. S.r.l. mediante l’emissione del provvedimento di diniego qui impugnato tali antenne costituivano comunque delle componenti della situazione di fatto che l’Amministrazione comunale non poteva astenersi dal valutare.
In tal senso, risulta intuitivo che se l’Amministrazione comunale avesse provveduto sulla domanda presentata dalla Te. S.r.l. senza considerare (come, per l’appunto, pretenderebbe l’attuale appellante) la materiale esistenza delle antenne esistenti – dandole, cioè, per demolite nonostante la pendenza, a quello stesso momento, delle istanze per il loro condono edilizio che erano state presentate – avrebbe consentito la realizzazione nella stessa area assoggettata a vincolo di una terza antenna, in tal modo aggravando la situazione e apertamente violando il contenuto del vincolo medesimo.
3.3.4. Sempre secondo la prospettazione della Te. S.r.l., il Comune di (omissis) avrebbe motivato il rigetto delle osservazioni da essa proposte con una formula di mero stile, in quanto non avrebbe fornito alcuna motivazione in ordine all’inapplicabilità, al caso di specie, della disciplina di cui all’art. 15 della l.r. 24 marzo 2000, n. 27, recante il Piano urbanistico territoriale della Regione Umbria, specificamente richiamata nelle proprie osservazioni che avevano preceduto l’emanazione dell’impugnato diniego.
Né – sempre secondo l’appellante – l’Amministrazione comunale avrebbe espresso nel proprio provvedimento di diniego una considerazione “della analitica descrizione contenuta nelle osservazioni…relativamente alla tipologia di intervento”, dichiaratamente non comportante la realizzazione di volumetria o cubatura e, pertanto, asseritamente non contrastante con il vincolo paesaggistico imposto sulla zona.
A tale riguardo va in primo luogo evidenziato che il comma 7 dell’art. 15 della l.r. n. 27 del 2000 invero dispone – per quanto qui segnatamente interessa – che “nelle aree boscate e nelle fasce di transizione è consentita… la realizzazione di infrastrutture a rete e puntuali di rilevante interesse pubblico, qualora sia dimostrata l’impossibilità di soluzioni alternative”.
Anche a prescindere dalla mancata individuazione nella specie di possibili “soluzioni alternative”, risulta innanzitutto evidente che la disposizione legislativa surriportata non può per certo configurarsi come abrogatrice della necessità dell’emanazione dell’autorizzazione paesaggistica al fine della realizzazione di tali infrastrutture nelle aree assoggettate al relativo vincolo, non essendo per certo possibile al legislatore regionale infrangere – stanti gli artt. 9 e 117 Cost. – la competenza statuale nella disciplina complessivamente normata dall’art. 136 e ss. del d.lgs. n. 42 del 2004; e, del resto, la stessa Amministrazione comunale ha nella specie negato la richiesta autorizzazione non già con riguardo ad un’intrinseca impossibilità di realizzare sotto il profilo edilizio l’antenna di cui trattasi, bensì in ragione dell’eccessivo impatto che tale opera avrebbe avuto qualora non fosse stata realizzata in sostituzione di quelle preesistenti nella medesima zona, con ciò – quindi – presupponendo la possibilità, sotto il profilo edilizio nonché paesaggistico, di realizzare l’opera medesima conformemente alla natura del vincolo ivi insistente e garantendo pertanto, sotto questo profilo, proprio l’applicazione dell’anzidetto art. 15, comma 7, della l.r. n. 27 del 2000 che del tutto erroneamente, pertanto, la parte appellante reputa nella specie violato.
Inoltre risulta con ogni evidenza che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Te. S.r.l. in sede di osservazioni, la circostanza che un’antenna non sviluppi volumetria o cubatura non consente affatto di ritenere che tale opera risulti irrilevante sotto il profilo paesaggistico.
A tale riguardo giova ancora una volta rimarcare che l’antenna proposta dalla Te. S.r.l. si sviluppa nel relativo progetto per ben 43,5 metri di altezza, configurandosi pertanto quale installazione ben visibile anche a notevole distanza e, quindi, evidentemente rilevante sotto il profilo paesaggistico.
Né va sottaciuto che mediante tali suoi argomenti l’attuale appellante di fatto censura la circostanza che l’Amministrazione comunale, nel respingere le osservazioni ad essa proposte, non ne avrebbe analiticamente confutato il contenuto.
Tale assunto di Te. è peraltro smentito dalla giurisprudenza secondo cui l’art. 10-bis della l. 7 agosto 1990, n. 241, di per sé non impone all’Amministrazione di introdurre nel provvedimento conclusivo del procedimento la puntale e analitica confutazione delle singole argomentazioni svolte dalla parte privata, essendo sufficiente ai fini della sua giustificazione una motivazione complessivamente e logicamente resa a sostegno dell’atto stesso (così, ad es., Con. Stato, Sez. V, 25 luglio 2018, n. 4523); e ciò anche perché l’onere di illustrare le ragioni per le quali non si è tenuto conto delle osservazioni che, ai sensi dell’anzidetto art. 10-bis della l. n. 241 del 1990 sono state presentate dai privati, non deve essere inteso in senso formalistico, considerato che tale obbligo viene meno qualora le stesse non avrebbero potuto influenzare effettivamente la concreta portata del provvedimento finale (così, puntualmente, Cons. Stato, Sez. IV, 22 febbraio, 2019, n. 1225).
Da tutto ciò discende, pertanto, che l’impugnato provvedimento di diniego emesso nei confronti della Te. S.r.l. non può essere censurato in dipendenza del fatto che l’Amministrazione comunale non ha analiticamente considerato e confutato le osservazioni che la medesima Te. ha formulato in ordine all’applicabilità dell’art. 15, comma 7, della l.r. n. 27 del 2000, nonché in ordine alle caratteristiche costruttive dell’opera che si pretenderebbero compatibili con il vincolo in questione.
Per contro, la motivazione nella specie fornita dall’Amministrazione comunale risulta soddisfare il precetto contenuto nell’anzidetto art. 10-bis della l. n. 241 del 1990 proprio in quanto né il richiamo all’anzidetto art. 15, comma 7, della l.r. n. 27 del 2000, né le caratteristiche costruttive dell’opera progettata consentono di superare il contenuto del parere reso dalla Commissione comunale, e cioè di ritenere – in via del tutto assorbente – che l’antenna stessa non sia in contrasto con il vincolo se realizzata in aggiunta alle altre due antenne già esistenti.
3.3.5. Secondo la Te. S.r.l. il giudice di primo grado non si sarebbe – altresì – limitato nella specie al solo sindacato di legittimità dell’attività amministrativa, ma avrebbe anche valutato profili di opportunità e convenienza delle determinazioni adottate dall’Amministrazione comunale che atterrebbero al merito dell’azione amministrativa, formulando in tal modo proprie considerazioni che esulerebbero dal sindacato giurisdizionale proprio relative all’esercizio di una discrezionalità c.d. “in senso proprio”, ossia non costituenti espressione di una discrezionalità tecnica.
Sempre secondo l’appellante, lo stesso giudice di primo grado avrebbe errato nel ritenere l’impugnato provvedimento di diniego sufficientemente motivato, stante il rinvio in esso contenuto al precedente parere reso dalla Commissione comunale, a sua volta illegittimo in quanto asseritamente “generico e privo di adeguata motivazione” laddove, nel valutare la compatibilità dell’opera con il vincolo, l’organo consultivo non avrebbe tenuto nella dovuta considerazione la “specifica tipologia dell’intervento proposto dalla Te. avente ad oggetto delle infrastrutture che…non possono essere assimilate alle normali costruzioni edilizie, in quanto non sviluppano volumetria e cubature, non determinano un ingombro visivo paragonabile a quello delle costruzioni e non hanno un impatto sul territorio e sull’ambiente equiparabile a quello degli edifici in cemento armato o in muratura”. Semmai, sempre secondo la prospettazione dell’appellante, l’organo consultivo e la stessa Amministrazione comunale avrebbero dovuto svolgere un’attività istruttoria più approfondita e fornire pertanto una ben più esaustiva motivazione considerando sia la disciplina contenuta nell’anzidetto art. 15, comma 7, della l.r. n. 27 del 2000 che – come rilevato innanzi – di per sé consente la realizzazione di infrastrutture a rete o puntuali di rilevante interesse pubblico anche nelle aree boscate, sia l’esistenza in loco di altre analoghe infrastrutture.
Né – sempre secondo la tesi dell’appellante – l’Amministrazione comunale avrebbe nella specie considerato “la peculiarità degli interessi pubblici coinvolti nel caso di specie”, dato che l’attività di radiodiffusione è disciplinata dal regime pubblicistico contenuto nel testo unico della radiotelevisione, di cui al d.lgs. 31 luglio 2005, n. 177, à sensi del quale (rectius: à sensi del d.lgs. 1 agosto 2003, n. 259, recante il Codice delle comunicazioni elettroniche) tale attività assume natura di servizio di interesse generale, gode del regime delle limitazioni legali della proprietà e le antenne ad essa destinate sono assimilate ex lege alle opere di urbanizzazione primaria.
Secondo la prospettazione dell’appellante, pertanto, proprio in ragione di tale particolare disciplina e della nozione giuridica di “paesaggio” (tale per cui la valutazione di compatibilità paesaggistica implica il coordinamento con i fenomeni sociali in esercizio di una discrezionalità pura, e non tecnica) non potrebbe escludersi che il “paesaggio” medesimo possa essere plasmato “…in funzione delle esigenze della comunità insediata sul territorio, secondo opzioni di carattere (non tecnico, ma) strettamente politico e culturale”.
Posto ciò, sotto un primo profilo il Collegio non condivide l’assunto dell’appellante secondo cui il giudice di primo grado avrebbe valutato il merito dell’azione amministrativa violando in tal modo gli stessi limiti del sindacato giurisdizionale.
Semmai va rilevato che il T.A.R., stante il motivo di impugnazione formulato in primo grado dalla Te. S.r.l. in ordine alla motivazione del provvedimento ivi impugnato, si è fatto carico di verificare se il parere reso dalla Commissione comunale, richiamato ob relationem nella motivazione del provvedimento di diniego, recasse – o meno – vizi di logicità : e ciò in quanto la stessa parte ricorrente aveva chiesto al giudice adito di compiere detta valutazione.
Il Collegio reputa che la pronuncia resa dal giudice di primo grado rientri nei limiti del sindacato giurisdizionale in quanto non sostanzia una sovrapposizione delle valutazioni del giudice medesimo rispetto a quelle formulate dall’Amministrazione comunale ed espresse nel provvedimento impugnato.
In tal senso, infatti, il T.A.R. si è astenuto da qualsivoglia, propria valutazione nel merito dell’intervento proposto dalla Te. S.r.l., ma si è limitato ad affermare come corretta e logica, quindi immune dai vizi dedotti dalla medesima Te. S.r.l., la valutazione resa dalla Commissione comunale e puntualmente recepita dal Responsabile dello Sportello Unico.
Va inoltre rilevato che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Te. S.r.l., la Commissione comunale ha reso il proprio parere all’esito di una valutazione puntuale e in conseguenza di una piena comprensione delle caratteristiche dell’opera progettata.
In tale parere, pedissequamente riportato nel provvedimento di diniego impugnato, si afferma che “l’antenna in questione non può andare in aggiunta alle due vecchie esistenti, in quanto con un’altezza di ml. 43,50 m. costituirebbe un insostenibile impatto sia per le sue rilevanti dimensioni che per l’eccessivo incremento della presenza di strutture estranee all’ambiente tutelato costituito da bosco, che ne risulterebbe irreparabilmente compromesso”.
Il Collegio reputa che dalla lettura di quanto sopra non può che concludersi nel senso che il surriportato parere, nonché il provvedimento di diniego che integralmente lo riproduce e lo condivide, non possano essere considerati come motivati in via meramente generica, posto che la motivazione in essi contenuta reca specifici riferimenti alla natura e alle dimensioni dell’opera, al contesto paesaggistico in cui essa dovrebbe realizzarsi e alle condizioni ostative alla sua installazione, puntualmente enunciate.
In tal senso, quindi, nella specie risulta pienamente osservata la consolidata giurisprudenza secondo cui il diniego di autorizzazione paesaggistica non può limitarsi ad esprimere valutazioni apodittiche e stereotipate, dovendo infatti specificare le ragioni del rigetto dell’istanza con riferimento concreto alla fattispecie coinvolta sia in relazione al vincolo che ai caratteri del manufatto, ovvero esplicitare i motivi del contrasto tra le opere da realizzarsi e le ragioni di tutela dell’area interessata dall’apposizione del vincolo, con la conseguenza che non risulta sufficiente la motivazione di diniego fondata su di una generica incompatibilità, non potendo l’Amministrazione limitare la sua valutazione al mero riferimento ad un pregiudizio ambientale utilizzando espressioni vaghe e formule stereotipate (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 4 febbraio 2019, n. 853) qui – per l’appunto – in alcun modo rilevabili.
Per quanto attiene ai mancati riferimenti nella motivazione al disposto dall’art. 15, comma 7, della l.r. n. 27 del 2000 e alle caratteristiche dell’antenna in questione si rinvia a quanto già evidenziato in proposito al precedente § 3.3.4 della presente sentenza.
Va – viceversa – qui disaminato l’assunto dell’appellante secondo cui l’Amministrazione comunale non avrebbe considerato nella propria motivazione “la peculiarità degli interessi pubblici coinvolti nel caso di specie”, ritenendo quindi del tutto irrilevante che l’attività di radiodiffusione sia disciplinata dal regime pubblicistico contenuto nel testo unico della radiotelevisione di cui al d.lgs. n. 177 del 2005 nonché dal Codice delle comunicazioni elettroniche approvato con d.lgs. n. 259 del 2003 e obliterando in tal senso le circostanze che tale attività assume natura di servizio di interesse generale, gode del regime delle limitazioni legali della proprietà e le antenne ad essa destinate sono assimilate ex lege alle opere di urbanizzazione primaria.
A tale proposito il Collegio evidenzia che – fermo quanto già evidenziato al § 3.2.3.della presente sentenza in ordine alla concorrente necessità, all’epoca dei fatti di causa, di un titolo edilizio autonomo rispetto all’autorizzazione per l’esercizio dell’attività di radiodiffusione – che la giurisprudenza ha già avuto modo di affermare che se, invero, l’installazione di una antenna di stazione radio di limitata consistenza non costituisce – di per sé – trasformazione del territorio comunale agli effetti delle leggi urbanistiche ed edilizie e non necessita di un titolo edilizio più di quanto ne necessitino le antenne televisive poste sui tetti delle case, ciò riguarda essenzialmente gli impianti di modeste dimensioni, nel mentre nelle ipotesi di realizzazione di tralicci o di antenne di notevoli dimensioni, tali manufatti, in relazione alla loro obiettiva consistenza, necessitano comunque del rilascio di un titolo edilizio e se del caso l’autorizzazione paesaggistica (così, ad es., Cons. Stato, Sez. III, 15 gennaio 2014, n. 119), posto che – con espresso riguardo a quest’ultima notazione – “la tutela dei valori paesaggistici non è recessiva rispetto all’esercizio delle radiotrasmissioni e telecomunicazioni” (cfr. ibidem).
Né a diversa conclusione si perviene con riguardo alla circostanza che tali infrastrutture siano considerate ex lege opere di urbanizzazione primaria deputate a svolgere un servizio di pubblico interesse, e ciò in quanto la disciplina vigente in materia consente soltanto di affermare la loro compatibilità con ogni possibile destinazione urbanistica ma non anche di ritenerle compatibili “a prescindere” anche con i vincoli paesaggistici (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. VI, 15 luglio 2010, n. 4557).
3.3.6. L’appellante ancora deduce, con un ulteriore e onnicomprensivo motivo, l’omessa considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato e del suo presupposto parere, delle caratteristiche dell’intervento da essa proposto, della condizione di abusività delle antenne preesistenti e della disciplina di settore relativa alle infrastrutture per la radiotrasmissione, nonché l’omessa esternazione delle ragioni di incompatibilità dell’intervento: circostanze, queste, che l’appellante medesima riconduce nel loro assieme ad un asserito difetto di istruttoria nel quale sarebbe incorsa l’Amministrazione comunale ed in ordine al quale il giudice di primo grado non si sarebbe pronunciato, con conseguente violazione dell’art. 112 c.p.c.
Il Collegio – per parte propria – reputa che non necessitino particolari considerazioni per evidenziare la manifesta infondatezza di tale motivo di appello, risultando ampiamente sufficienti in proposito tutte le notazioni sin qui svolte dal § 3.3.1 al § 3.3.5 della presente sentenza, dalle quali si trae agevolmente la conclusione che quanto disposto dall’Amministrazione comunale non può che configurarsi quale corretto esito di una puntuale istruttoria effettuata in ordine all’istanza presentata dalla Te. S.r.l.
3.3.7. Parimenti infondato risulta il motivo d’appello con cui la Te. S.r.l. deduce l’omessa pronuncia da parte del T.A.R. in ordine alla censura, da essa ivi dedotta, di violazione dell’art. 89 dell’anzidetto d.lgs. n. 259 del 2003.
Secondo la prospettazione dell’attuale appellante, infatti, l’Amministrazione comunale avrebbe nella sostanza imposto l’accorpamento di più impianti di trasmissione in un’unica antenna, in tal modo di fatto esercitando competenze che il medesimo art. 89 attribuirebbe all’Autorità Garante per le Comunicazioni.
A tale riguardo va innanzitutto denotato che il giudice di primo grado, contrariamente a quanto sostenuto dall’attuale appellante, si è espressamente pronunciato sulla sopradescritta censura laddove ha testualmente affermato che “diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente non v’è alcuna violazione del d.lgs. n. 259 del 2003, giacché nel diniego di compatibilità paesaggistica non è contenuto alcun obbligo di condivisione degli impianti, ma semplicemente si afferma che il nuovo impianto non può aggiungersi ad altri già esistenti poiché in tale modo provocherebbe un insostenibile impatto ambientale” (cfr. pagg. 7 e 8 della sentenza impugnata).
Comunque sia – e per quanto qui segnatamente interessa – i primi due commi dell’anzidetto art. 89 disponevano, nel testo vigente all’epoca dei fatti di causa, quanto segue:
“(1) Quando un operatore che fornisce reti di comunicazione elettronica ha il diritto di installare infrastrutture su proprietà pubbliche o private ovvero al di sopra o al di sotto di esse, in base alle disposizioni in materia di limitazioni legali della proprietà, servitù ed espropriazione di cui al presente Capo, l’Autorità, anche mediante l’adozione di specifici regolamenti, incoraggia la coubicazione o la condivisione di tali infrastrutture o proprietà “.
“(2) Fermo quanto disposto in materia di coubicazione e condivisione di infrastrutture e di coordinamento di lavori dalla legge 1 agosto 2002, n. 166, e dal comma 3 del presente articolo, quando gli operatori non dispongano di valide alternative a causa di esigenze connesse alla tutela dell’ambiente, alla salute pubblica, alla pubblica sicurezza o alla realizzazione di obiettivi di pianificazione urbana o rurale, l’Autorità può richiedere ed eventualmente imporre la condivisione di strutture o proprietà, compresa la coubicazione fisica, ad un operatore che gestisce una rete di comunicazione elettronica od adottare ulteriori misure volte a facilitare il coordinamento dei lavori, soltanto dopo un adeguato periodo di pubblica consultazione ai sensi dell’articolo 11, stabilendo altresì i criteri per la ripartizione dei costi della condivisione delle strutture o delle proprietà “.
Tale disciplina non risulta comunque violata in quanto, come dianzi evidenziato, è stata la stessa Te. S.r.l. a chiedere all’Amministrazione comunale di realizzare un’unica antenna in sostituzione di quelle preesistenti.
Risulta altrettanto evidente che a fronte di tale inequivoca istanza l’Amministrazione comunale ha adibito un comportamento del tutto collaborativo, consentendo alla medesima Te. S.r.l. di attivarsi con le imprese titolari delle altre preesistenti antenne al fine di acquisire un loro assenso, per contro non ottenuto.
In tale contesto non è pertanto fondato l’assunto dell’attuale appellante secondo il quale l’Amministrazione comunale si sarebbe arrogata l’esercizio delle competenze che il surriportato art. 89 attribuiva e tutt’oggi attribuisce all’Autorità Garante per le Comunicazioni.
3.3.8. Sempre secondo la Te. S.r.l., il giudice di primo grado avrebbe – altresì – errato nel ritenere giuridicamente irrilevante la condizione di abusività delle antenne esistenti, e ciò in quanto se nel momento in cui è stato emesso nei confronti della medesima Te. il provvedimento di diniego erano in effetti pendenti le istanze di condono aventi ad oggetto proprio tali antenne, la loro susseguente reiezione avrebbe determinato l’illegittimità ab origine del provvedimento di diniego adottato nei confronti della stessa Te., posto che proprio tale definizione delle relative istanze farebbe venir meno, sin dalla sua emanazione, il presupposto che lo sorreggeva.
Tale assunto è giustificato dall’appellante con il richiamo alla tesi secondo cui, se è vero che la legittimità dell’atto amministrativo va valutata in ragione dello stato di fatto e di diritto esistente al momento della sue emissione (assunto del tutto consolidato in giurisprudenza: cfr. al riguardo, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. V, 20 dicembre 2018, n. 7187), tale principio incontrerebbe comunque un limite – sempre secondo l’appellante – allorquando la situazione venga successivamente modificata in ragione di norme sopravvenute, ovvero del venir meno di presupposti indefettibili della legittimità dell’atto, in quanto in tale caso ineluttabilmente si determinerebbe – per l’appunto – la sua illegittimità ab origine.
Il Collegio, a tale riguardo, denota ancora una volta che l’assunto di fondo contenuto nella sentenza impugnata, secondo cui l’Amministrazione comunale ha agito correttamente dando rilievo alla presenza delle antenne pur essendo le stesse abusive, trova il proprio fondamento nella circostanza che tali antenne – anche a prescindere dal loro carattere abusivo – erano materialmente esistenti e dovevano essere pertanto considerate quali necessarie e imprescindibili componenti del paesaggio, senza alcuna possibilità di ignorarne la presenza.
Proprio in dipendenza di ciò, quindi, lo stesso giudice ha affermato che al riguardo “rileva la situazione esistente al momento dell’emanazione del provvedimento essendo, comunque incerta, per eventuali sanatorie o giudizi, la sorte delle cennate antenne” (cfr. pag. 8 della sentenza impugnata): assunto, questo, che all’evidenza equivale pertanto a ritenere che le stesse antenne, sino a che non saranno rimosse o almeno sino a che non sarà certa la loro rimozione, devono essere – per l’appunto – considerate nella valutazione dell’impatto sul vincolo paesaggistico che potrebbe determinare l’installazione nel medesimo sito di un’ulteriore antenna, oltre a tutto di notevoli dimensioni.
Se così è, diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, la situazione di fatto non può invero dirsi mutata in dipendenza della reiezione delle domande di condono relative alle due preesistenti antenne, posto che la sorte di esse, così come era incerta al momento dell’emanazione del diniego opposto alla medesima Te. nella pendenza delle domande di condono per la realizzazione di tali opere, risulterà parimenti incerta fino a quando non ne sarà disposta e attuata la demolizione.
3.3.9. Concludendo la disamina dell’appello proposto dalla Te. S.r.l., in ordine al capo della sentenza impugnata con il quale è stata dichiarata l’infondatezza del motivo di ricorso proposto in primo grado da tale appellante con riguardo alla circostanza che il diniego ad essa opposto non era stato motivato anche con riferimento alle emissioni elettromagnetiche o alla vicinanza di un insediamento abitativo, va rilevato che l’appellante medesima, visto che tali questioni erano state affrontate con la nota Prot. 4237 dd. 25 giugno 2009 (rectius, Prot. 5427: cfr. doc. 6 di parte resistente), afferma che tale nota, essendo richiamata nel medesimo provvedimento di diniego, risulterebbe comunque di fatto “entrata a far parte del contenuto del medesimo”, e che in dipendenza del contenuto della stessa dovrebbe pertanto reputarsi che la reiezione della propria istanza da parte dell’Amministrazione comunale “sia funzionale non tanto, o quanto meno non solo, al rispetto del vincolo ambientale, quanto piuttosto alla tutela della salute della popolazione dai rischi dell’elettromagnetismo ed al governo del territorio”, sostanziando in tal modo un vizio di sviamento di potere.
Al riguardo il Collegio rileva che, come a ragione ha evidenziato la difesa dell’Amministrazione comunale, l’anzidetta nota Prot. 5427 dd. 25 giugno 2009 non è affatto “richiamata” ma semplicemente “citata” nell’impugnato diniego quale atto del relativo procedimento, e ciò dunque al mero fine di descrivere la successione dei diversi atti che ha preceduto l’emanazione del provvedimento di reiezione della domanda proposta dalla medesima Te. S.r.l.
In tal senso va infatti denotato che nel testo dell’impugnato diniego l’unico cenno a tale nota è contenuto nella seconda riga delle premesse, dove in effetti si legge: “Vista la nota prot. 5427 del 25/05/2009”, senza alcun richiamo al contenuto della nota medesima che possa far ritenere che l’Amministrazione comunale avvia voluto motivare il diniego, ob relationem, anche con riguardo al contenuto della nota stessa.
3.4.1. Per quanto da ultimo attiene al terzo appello in epigrafe, proposto sub R.G. 6100 del 2012 dalla Ra. Am. S.r.l., va innanzitutto rilevato che con istanza dd. 29 gennaio 2001 (cfr. doc. 3 di parte resistente nel procedimento di primo grado proposto sub R.G. 455 del 2010) tale società ha chiesto il rilascio di una concessione edilizia avente ad oggetto un impianto di radiodiffusione – ivi più esattamente definito come “installazione di antenna per diffusione radiofonica, annesso e recinzione – in sanatoria…” -, realizzato su terreni catastalmente identificati al Foglio (omissis), particella n. (omissis) del catasto terreni del Comune censuario di (omissis).
Contestualmente è stata ivi richiesta anche l’adozione di “ogni consequenziale provvedimento ex art. 4, comma 2 della l. n. 223 del 1990 di acquisizione o, se del caso, di occupazione d’urgenza ed esproprio ex lege n. 865 del 1971 e successive modifiche, dell’area ove l’impianto è ubicato (area attualmente di proprietà di S. An. Soc. Coop. a r.l.) e successiva concessione di diritto di superficie sull’area stessa” (cfr. ibidem, doc.ti 3 e 4).
Poiché anche tale appezzamento di terreno risultava assoggettato al medesimo vincolo di bosco di cui si è detto innanzi, anche tale istanza è stata sottoposta all’esame della Commissione comunale per la qualità architettonica e il paesaggio che, all’esito della propria seduta dd. 29 dicembre 2009, ha espresso al riguardo parere negativo “in quanto l’antenna (vecchio traliccio di gru riadattato ad uso antenna) costituisce un impatto negativo, quale elemento improprio nell’ambito dell’area boscata circostante sottoposta a vincolo ambientale” (cfr. ibidem, doc. 8).
All’esito del contraddittorio conseguente all’inoltro dell’avviso di cui all’art. 10-bis della l. 7 agosto 1990, n. 241, e alle conseguenti deduzioni formulate dalla Ra. Am. S.r.l. (cfr. ibidem, doc.ti 6 e 7) il Responsabile dell’Area Urbanistica ha respinto con la propria determina Prot. n. 5573 dd. 6 luglio 2010 l’istanza di tale società .
Nel proprio ricorso proposto in primo grado la Ra. Am. S.r.l. ha evidenziato di avere acquistato, nel corso dell’anno 1980, l’emittente radiofonica denominata Ra. So., dotata dell’impianto di trasmissione di che trattasi, la quale aveva a sua volta in precedenza stipulato con la S. An. Soc. coop a r.l., un contratto di affitto per ottenere la disponibilità del terreno sopradescritto.
La medesima Ra. So. aveva poi provveduto ad installare – secondo quanto illustrato dall’attuale appellante – una struttura mobile, costituita da un vecchio traliccio di gru riadattato ad uso antenna e finalizzato al funzionamento dell’impianto di radiodiffusione, collocando quindi tale struttura in uno spiazzo ricavato all’interno di un’area intensamente disboscata, “in cui a pochi metri dalla struttura mobile è stato costruito un manufatto di cemento armato…adibito a serbatoio”: il tutto in prossimità di un “ampio centro residenziale composto da decine di fabbricati”.
Successivamente, l’attività di Ra. Am. S.r.l. sarebbe stata dichiarata di pubblica utilità in forza del decreto del Ministero delle Poste e Telecomunicazioni n. 902518 dd. 2 dicembre 1994, recante – per l’appunto – il rilascio della “concessione alla radiodiffusione”: circostanza, questa, che – è bene da subito precisare – risulta di per sé irrilevante agli effetti della sanatoria paesaggistica ed edilizia dell’antenna in questione, posto che tale concessione ministeriale non costituisce affatto dichiarazione di pubblica utilità dell’antenna in questione, bensì il presupposto necessario affinché tale valenza possa essere assunta dal titolo che autorizza la realizzazione del relativo impianto.
In dipendenza di tutto ciò, pertanto, la Ra. Am. S.r.l. ha presentato all’Amministrazione comunale l’anzidetta istanza dd. 29 gennaio 2001 dichiaratamente finalizzata “al mantenimento dell’opera e l’esproprio della relativa area”, à sensi dell’art. 4 della l. 6 agosto 1990, n. 223, e dell’art. 3, comma 22, della l. 31 luglio 1997, n. 249, e – per l’appunto – respinta con il provvedimento da essa impugnato in primo grado.
3.4.2. Ciò posto, nel presente grado di giudizio l’appellante deduce, innanzitutto, l’avvenuta violazione del predetto art. 4 della l. n. 223 del 1990 in quanto l’Amministrazione comunale non avrebbe fornito risposta all’istanza anzidetta, con la conseguenza che la medesima appellante, trascorsi 90 giorni dal deposito dell’istanza medesima, avrebbe “acquisito la convinzione” che fosse maturato al riguardo il silenzio-assenso, seguitando ad utilizzare il proprio impianto sino all’aprile 2010, allorquando ha ricevuto il preavviso di rigetto.
La Ra. Am. S.r.l. afferma che ciò è avvenuto anche in dipendenza della circostanza che essa avrebbe chiesto “soltanto una concessione in sanatoria” per poter continuare a svolgere l’attività di radiodiffusione, e reputa pertanto che nella specie si sarebbe concretata nel propri confronti una violazione e falsa applicazione dell’art. 35 della l. 28 febbraio 1985, n. 47, per avere l’Amministrazione comunale applicato erroneamente tale norma in presenza di una fattispecie da considerare in generale irrilevante sotto il profilo urbanistico-edilizio, nonché paesaggistico.
Il Collegio, a tale riguardo, non può che evidenziare la palese infondatezza di tale motivo d’appello, richiamando in proposito quanto già dianzi illustrato al § 3.2.3 e al § 3.2.5 della presente sentenza in tema di rapporto tra autorizzazione all’esercizio dell’attività di radiodiffusione e rilascio del titolo edilizio previa emissione dell’autorizzazione paesaggistica secondo la disciplina vigente all’epoca dei fatti di causa: e ciò anche in relazione alla parimenti ivi rilevata inapplicabilità dell’istituto del silenzio-assenso nelle ipotesi in cui fosse stata chiesta la sanatoria edilizia per opere realizzate in aree assoggettate a vincolo paesaggistico sopravvenuto rispetto alla commissione dell’abuso e alla data di presentazione della domanda anzidetta.
3.4.3 Sempre secondo l’appellante, nella propria motivazione l’Amministrazione comunale non avrebbe considerato il fatto che, mentre l’anzidetta istanza era in corso di esame, era entrato in vigore il Codice delle Comunicazioni Elettroniche, approvato con d.lgs. 1 agosto 2003, n. 259, il cui art. 87, comma 9, contempla un procedimento contraddistinto dall’applicazione dell’istituto del silenzio-assenso in via omologa a quello previsto dall’art. 4 della l. n. 223 del 1990 e che avrebbe dovuto trovare applicazione anche alla presente fattispecie quale disciplina sopravvenuta: e ciò in dipendenza della giurisprudenza secondo cui il Codice anzidetto si configura quale legge speciale che prevale sull’applicazione del t.u. in materia edilizia approvato con d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, posto che Cons. Stato, Sez.VI, 28 aprile 2010, n. 2436, si sarebbe – per l’appunto – pronunciato nel senso che l’art. 87 del d.lgs. n. 259 del 2003 sostituisce e assorbe il procedimento abilitativo edilizio, e, conseguentemente, assorbe tutti gli elementi necessari nel suo ambito, ivi compreso l’esame di impatto paesaggistico.
Posto ciò, il Collegio – per parte propria – rileva che, in effetti, l’anzidetto comma 9, prima parte, dell’art. 87 del d.lgs. n. 259 del 2003, nel testo vigente all’epoca dei fatti di causa, dispone nel senso che “le istanze di autorizzazione e le denunce di attività ” relative alla realizzazione degli impianti in questione, “nonché quelle relative alla modifica delle caratteristiche di emissione degli impianti già esistenti, si intendono accolte qualora, entro novanta giorni dalla presentazione del progetto e della relativa domanda, fatta eccezione per il dissenso di cui al comma 8, non sia stato comunicato un provvedimento di diniego”; e, a sua volta, il comma 8 ora richiamato, nel contesto della convocazione di una conferenza di servizi tra le amministrazioni interessate ai fini della disamina e della decisione sulle istanze di autorizzazione nella materia di cui trattasi, disponeva – sempre con riguardo al testo vigente all’epoca dei fatti di causa – che “qualora il motivato dissenso, a fronte di una decisione positiva assunta dalla conferenza di servizi, sia espresso da un’Amministrazione preposta alla tutela ambientale, alla tutela della salute o alla tutela del patrimonio storico-artistico, la decisione è rimessa al Consiglio dei Ministri e trovano applicazione, in quanto compatibili con il Codice, le disposizioni di cui agli articoli 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni”.
A ben vedere, tuttavia, tale disciplina non può trovare applicazione nel caso di specie.
Il Collegio in tal senso non ignora che “nei procedimenti amministrativi la corretta applicazione del principio tempus regit actum comporta che la pubblica amministrazione deve considerare anche le modifiche normative intervenute durante il procedimento, non potendo considerare l’assetto normativo cristallizzato in via definitiva alla data dell’atto che vi ha dato avvio, con la conseguenza che la legittimità del provvedimento adottato al termine di un procedimento avviato ad istanza di parte deve essere valutata con riferimento alla disciplina vigente al tempo in cui è stato adottato il provvedimento finale, e non al tempo della presentazione della domanda da parte del privato, dovendo ogni atto del procedimento amministrativo essere regolato dalla legge del tempo in cui è emanato in dipendenza della circostanza che lo jus superveniens reca sempre una diversa valutazione degli interessi pubblici”, e che “il sopradescritto principio si completa con il presupposto di diritto secondo cui, fintantoché l’amministrazione non ha approvato il provvedimento definitivo, il privato richiedente non è titolare di una situazione sostanziale consolidata meritevole di tutela sotto il profilo del legittimo affidamento, ma di un’aspettativa (cfr. sul punto, tra le più recenti, Cons. Stato, Sez. III, 29 aprile 2019, n. 2768, e Sez. V, 10 aprile 2018, n. 2171).
Tuttavia, per il caso di specie, va anche evidenziato che, sempre con riguardo al testo del predetto art. 87 del d.lgs. n. 259 del 2003, il surriportato ius novum disponeva, al comma 1 del medesimo articolo, intitolato “Procedimenti autorizzatori relativi alle infrastrutture di comunicazione elettronica per impianti radioelettrici”, quanto segue: “L’installazione di infrastrutture per impianti radioelettrici e la modifica delle caratteristiche di emissione di questi ultimi e, in specie, l’installazione di torri, di tralicci, di impianti radio-trasmittenti, di ripetitori di servizi di comunicazione elettronica, di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche mobili GSM/UMTS, per reti di diffusione, distribuzione e contribuzione dedicate alla televisione digitale terrestre, per reti a radiofrequenza dedicate alle emergenze sanitarie ed alla protezione civile, nonché per reti radio a larga banda punto-multipunto nelle bande di frequenza all’uopo assegnate, viene autorizzata dagli Enti locali, previo accertamento, da parte dell’Organismo competente ad effettuare i controlli, di cui all’articolo 14 della legge 22 febbraio 2001, n. 36 della compatibilità del progetto con i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità, stabiliti uniformemente a livello nazionale in relazione al disposto della citata legge 22 febbraio 2001, n. 36, e relativi provvedimenti di attuazione”.
Il comma 2 dello stesso articolo disponeva, sempre nel testo pro tempore vigente, che “l’istanza di autorizzazione alla installazione di infrastrutture di cui al comma 1 è presentata all’Ente locale dai soggetti a tale fine abilitati. Al momento della presentazione della domanda, l’ufficio abilitato a riceverla indica al richiedente il nome del responsabile del procedimento”.
Dalla lettura dei susseguenti commi 3 usque 7 dell’articolo in esame consta – altresì – che la domanda da parte dei “soggetti a tal fine abilitati” doveva essere redatta con modalità “conforme al modello di cui al modello A dell’allegato n. 13” al medesimo decreto legislativo, “realizzato al fine della sua acquisizione su supporti informatici e destinato alla formazione del catasto nazionale delle sorgenti elettromagnetiche di origine industriale”, e doveva – altresì – “essere corredata della documentazione atta a comprovare il rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, relativi alle emissioni elettromagnetiche, di cui alla legge 22 febbraio 2001, n. 36, e relativi provvedimenti di attuazione, attraverso l’utilizzo di modelli predittivi conformi alle prescrizioni della CEI, non appena emanate”.
La domanda medesima doveva inoltre essere “contestualmente” presentata in copia, a cura dello stesso richiedente, all’Organismo competente ad effettuare i controlli di cui all’articolo 14 della legge 22 febbraio 2001, n. 36 (ossia l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente – A.R.P.A., di cui al d.l. 4 dicembre 1993, n. 496, convertito, con modificazioni, dalla l. 21 gennaio 1994, n. 61), tenuto a pronunciarsi entro trenta giorni dalla sua ricezione, nel mentre “lo sportello locale competente” provvedeva “a pubblicizzare l’istanza, pur senza diffondere i dati caratteristici dell’impianto”; il responsabile del procedimento poteva richiedere, per una sola volta, entro quindici giorni dalla data di ricezione dell’istanza, il rilascio di dichiarazioni e l’integrazione della documentazione prodotta; e, nell’ipotesi in cui un’amministrazione interessata avesse “espresso motivato dissenso”, il responsabile medesimo era tenuto a convocare, entro trenta giorni dalla data di ricezione della domanda, la conferenza di servizi di cui al predetto comma 8, alla quale prendevano parte i rappresentanti delle amministrazioni degli Enti locali interessati, nonché dei soggetti preposti ai controlli di cui all’articolo 14 della legge 22 febbraio 2001, n. 36, ed un rappresentante dell’amministrazione dissenziente.
Orbene, il procedimento così complessivamente descritto, normato dallo ius novum ed entrato in vigore dopo oltre due anni e mezzo dalla proposizione della domanda di sanatoria presentata dalla Ra. Am. S.r.l. risultava del tutto diverso da quello avviato da quest’ultima mediante la propria domanda, invero a sua volta evasa dall’Amministrazione comunale dopo oltre nove anni dalla sua presentazione.
La Ra. Am. S.r.l. aveva infatti chiesto in data 29 gennaio 2001 al Comune di (omissis) di pronunciarsi in ordine a una domanda proposta à sensi dell’allora vigente art. 4, comma 2, della l. n. 223 del 1990, contemplante il rilascio del titolo edilizio e l’eventuale espropriazione del terreno su cui era già stata realizzata l’antenna in questione.
Invero anche tale disciplina di per sé parimenti prevedeva la formazione del silenzio-assenso dopo il decorso del termine di 90 giorni della data di presentazione della relativa domanda all’Amministrazione comunale: ma, come si è già dianzi precisato al § 3.2.3 e al § 3.2.5 della presente sentenza, tale istituto non poteva trovare applicazione nell’ipotesi – qui, per l’appunto, ricorrente – di insistenza di un vincolo paesaggistico nel sito della prevista realizzazione dell’opera.
Posto ciò, il Collegio non reputa possibile che a distanza – si ribadisce – di oltre due anni e mezzo dalla presentazione della domanda secondo i paradigmi propri dello ius vetus, si applichi ora ex abrupto lo ius novum affermando l’avvenuta formazione di un silenzio-assenso ontologicamente del tutto diverso da quello della precedente disciplina di settore, dove il profilo dell’autorizzazione paesaggistica è definito essenzialmente (salvo che, perdurando il dissenso, della questione sia investito addirittura il Consiglio dei Ministri) in sede di una conferenza di servizi in alcun modo prevista dal predetto art. 4 della l. n. 223 del 1990 e che pertanto mai è stata indetta per il caso di specie.
Né va sottaciuto che lo stesso contenuto della domanda previsto dall’art. 4 della l. n. 223 del 1990, le modalità di presentazione della domanda medesima e la conseguente istruttoria sulla stessa risultano del tutto diverse da quanto normato dall’art. 87 del d.lgs. n. 259 del 2003: il che dunque induce il Collegio ad affermare che i due procedimenti succedutisi nel tempo, ancorché deputati allo stesso scopo, sono strutturalmente tra di loro diversi, e che pertanto l’entrata in vigore dello ius novum nella pendenza della definizione dei procedimenti già avviati ma non ancora conclusi secondo i dettami della disciplina antecedente non poteva determinare tout court l’obbligo per l’Amministrazione comunale di completare i procedimenti medesimi assoggettando gli adempimenti non ancora perfezionatisi all’applicazione della disciplina sopravvenuta.
Se così è, quindi, in tale contesto era – semmai – onere della Ra. Am. S.r.l. chiedere di propria iniziativa all’Amministrazione comunale, dopo l’entrata in vigore dell’art. 87 del d.lgs. n. 259 del 2003, di pronunciarsi in ordine all’impianto in questione mediante un’apposita nuova domanda, assoggettata – per l’appunto – a tale nuova disciplina: senza sottacere, comunque, che à sensi del comma 1 dell’art. 87, lo ius novum poteva letteralmente applicarsi soltanto per gli impianti di nuova realizzazione ovvero per la “modifica delle caratteristiche di emissione” di quelli già esistenti (e, quindi, legittimamente e lecitamente già realizzati), non contemplando – di per sé – il medesimo art. 87 procedimenti in sanatoria.
3.4.4. Rebus sic stantibus l’appellante in via subordinata prospetta che, anche ove dovesse condividersi la tesi sostenuta nella sentenza impugnata secondo cui l’istituto del silenzio-assenso non opera nell’ipotesi dell’insistenza di un vincolo paesaggistico, l’Amministrazione comunale risulterebbe comunque assoggettata all’obbligo di concludere il procedimento in tempi ragionevoli mediante l’adozione di un provvedimento espresso: e ciò anche in dipendenza della circostanza che la concessione di cui all’art. 16 della l. n. 223 del 1990 equivale a dichiarazione di pubblica utilità delle opere connesse, con la conseguenza che l’Amministrazione medesima non avrebbe nella specie tenuto conto del principio dell’affidamento che sarebbe legittimamente insorto in capo alla società appellante dopo oltre nove anni dalla presentazione della propria domanda di sanatoria.
Tale assunto non trova peraltro l’adesione di un’ormai del tutto consolidata giurisprudenza, in forza della quale “la mera inerzia da parte dell’amministrazione nell’esercizio di un potere – dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l’edificazione sine titulo) è sin dall’origine illegittimo. Tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere ‘legittimò in capo al proprietario dell’abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un’aspettativa giuridicamente qualificata. Non si può applicare a un fatto illecito (l’abuso edilizio) il complesso di acquisizioni che, in tema di valutazione dell’interesse pubblico, è stato enucleato per la diversa ipotesi dell’autotutela decisoria. Né è in alcun modo concepibile l’idea stessa di connettere al decorso del tempo e all’inerzia dell’amministrazione la sostanziale perdita del potere di contrastare l’abusivismo edilizio, ovvero di legittimare in qualche misura l’edificazione avvenuta senza titolo, non emergendo oltretutto alcuna possibile giustificazione normativa a una siffatta – e inammissibile – forma di sanatoria automatica” (cfr. sul punto, ex plurimis, Cons. Stato sez. VI, 5 febbraio 2018, n. 755).
Sempre in tal senso risultano parimenti destituiti di fondamento gli ulteriori assunti dell’appellante relativi alla violazione del principio della ragionevole durata del procedimento amministrativo che l’appellante medesima deduce insistendo sulla circostanza per cui si sarebbe comunque nella specie formato il silenzio-assenso sulla istanza di sanatoria da essa presentata e che pertanto il provvedimento di diniego qui impugnato rivestirebbe di fatto la natura di un provvedimento di autotutela non adottato entro termini ragionevoli e, pertanto, ex se illegittimo.
Anche tale prospettazione non può essere accolta in quanto, in disparte restando l’erronea premessa dalla quale essa muove – ossia l’applicabilità alla fattispecie dell’istituto del silenzio-assenso – lo stesso principio della ragionevole durata del procedimento amministrativo di per sé non assume alcuna rileva non hanno alcuna rilevanza in ordine alla legittimità dell’atto nelle ipotesi in cui – come, per l’appunto, quella ora in esame – la mancata osservanza del termine per la conclusione del procedimento non determina la consumazione del potere che l’Amministrazione è chiamata ad esercitare né la formazione di silenzio-assenso: ossia – detto altrimenti – allorquando il temine stesso non sia espressamente definito da una disposizione normativa – ovvero di una evidente, manifesta e univoca ratio legis in tal senso – come perentorio (cfr. al riguardo, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. V, 30 luglio 2018, n. 4657, anche sulla scorta di quanto già affermato da Cons. Stato, A.P., 25 febbraio 2014, n. 10).
3.4.5. L’appellante sostiene – altresì – che il giudice di primo grado non avrebbe disaminato la censura da essa ivi dedotta di difetto di motivazione, dovendosi ritenere in tal senso non sufficiente – per l’appunto – la motivazione apposta al provvedimento di diniego secondo cui “la struttura dell’antenna in questione (vecchi tralicci di gru riadattati ad uso antenna) costituisce un impatto negativo, quale elemento improprio nell’ambito dell’area boscata circostante sottoposta a vincolo ambientale”.
A tale riguardo, e in sintesi, l’appellante afferma che il parere reso dalla Commissione comunale e fatto proprio dal Responsabile che ha adottato il provvedimento di diniego non recherebbe alcuna motivazione in merito alle osservazioni e difese da essa svolte nel relativo procedimento, né recherebbe le varie opinioni dei soggetti presenti nella Commissione medesima; e che la motivazione comunemente addotta sia dall’organo consultivo che da quello decidente risulterebbe comunque carente perché non recherebbe alcuna indicazione circa la comparazione dell’interesse pubblico con l’affidamento derivante dal meccanismo del silenzio-assenso, concretandosi di fatto in una formula di mero stile che riproporrebbe pedissequamente l’analoga conclusione della Commissione comunale senza approfondire la motivazione in relazione alle specifiche tecniche dell’intervento proposto.
Il Collegio – per parte propria – anche in disparte dell’eccezione sollevata al riguardo dalla difesa dell’Amministrazione comunale secondo cui tali assunti si configurerebbero per ampia parte inammissibili, à sensi dell’art. 104 c.p.a., in quanto sostanzianti motivi nuovi rispetto alle censure dedotte nel precedente grado di giudizio, rileva l’intrinseca infondatezza dell’insieme di tali argomenti illustrati dall’attuale appellante.
In tal senso va infatti evidenziato che il parere reso dalla Commissione comunale in ordine agli interventi da eseguirsi, ovvero da sanare, in area assoggettata a vincolo paesaggistico risulta di per sé vincolante, con la conseguenza che non è censurabile l’agire dell’Amministrazione comunale che motivi ob relationem il proprio diniego integralmente richiamando nel diniego medesimo il contenuto dell’apprezzamento operato dal proprio organo consultivo: e ciò proprio in quanto la natura vincolante del parere stesso non consente all’Amministrazione di discostarsene (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. VI, 9 luglio 2018, n. 4163).
Se così è, quindi, nella specie non sussisteva alcun obbligo per l’Amministrazione comunale di approfondire nel proprio provvedimento di diniego le valutazioni espresse dalla Commissione.
Va anche in questa sede ribadito che ai fini della legittimità della Commissione non necessita che nel relativo parere siano riportate tutte le opinioni espresse da ciascuno dei propri membri, posto che il parere reso in materia paesaggistica di per sé non implica una diffusa motivazione, dovendo esso ritenersi sufficientemente motivato dall’indicazione delle ragioni assunte a fondamento della valutazione di compatibilità dell’intervento edilizio con le esigenze di tutela paesistica poste a base del relativo vincolo: e ciò, dunque, con la conseguenza che anche una motivazione scarna e sintetica, laddove rilevi gli estremi logici dell’apprezzamento negativo è da ritenersi sufficiente (cfr. sul punto, ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 18 agosto 2017, n. 4032, e Sez. IV, 21 ottobre 2014, n. 5173).
Né, ancora, può ritenersi nella specie violato l’obbligo di motivare il rigetto delle osservazioni proposte à sensi dell’art. 10-bis della l. n. 241 del 1990, posto che anche nel presente contesto va ribadito che l’Amministrazione non è comunque tenuta in tale sede ad una confutazione puntuale delle deduzioni della parte interessata, risultando sufficiente al fine di idoneamente supportare la motivazione del provvedimento conclusivo del procedimento l’esplicitazione delle ragioni complessivamente e logicamente rese a suo sostegno in esito alle risultanze complessivamente acquisite dall’istruttoria (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. VI, 13 maggio 2016, n. 1933, e 10 dicembre 2015, n. 5622).
Nel caso di specie, inoltre, nel provvedimento di diniego le osservazioni della parte destinataria dello stesso sono state comunque integralmente trascritte nella sua parte motiva con la precisazione conclusiva secondo cui le stesse non potevano ad ogni buon conto “ragionevolmente inficiare le motivazione sulle quali si basa il preannunciato provvedimento di diniego, che attengono alla tutela dell’area boscata soggetta a vincolo paesaggistico – ambientale”.
Va anche rimarcato che nel corso di tale procedimento la Ra. Am. S.r.l. nulla ha dedotto in ordine all’incidenza che l’opera in questione comportava sul paesaggio e, quindi, sulla stessa osservanza del vincolo.
Inoltre non può condividersi l’assunto secondo cui, nel motivare il provvedimento di diniego, l’Amministrazione avrebbe dovuto dare atto dell’avvenuta comparazione tra l’interesse pubblico e quello privato, dato che – per tutto quanto dianzi evidenziato – è da escludersi che, nel caso di specie, possa ritenersi insorto, in capo all’attuale appellante, un legittimo affidamento in ordine alla possibilità di mantenere in essere le opere oggetto di istanza di sanatoria in dipendenza del mero decorso del tempo, anche a prescindere dalla già più volte rimarcata inapplicabilità nella specie dell’istituto del silenzio-assenso.
3.4.6. La parte appellante contesta inoltre il capo della sentenza di primo grado laddove si afferma che non ha rilievo la presenza, in zona, delle opere di relative ad un insediamento abitativo, anche considerando che la valutazione in ordine all’incidenza dell’opera di cui è chiesta la sanatoria sul vincolo rientra comunque nel merito dell’azione amministrativa, di per sé censurabile esclusivamente per vizi formali (nella specie insussistenti, per tutto quanto detto dianzi), ovvero per manifesta illogicità (a sua volta non sussistente nel caso di specie, stante la testé rilevata correttezza della motivazione apposta al provvedimento).
In tal senso la medesima appellante sostiene, in buona sostanza, che il giudice di primo grado, allorquando ha disaminato i presupposti fattuali addotti a supporto del provvedimento impugnato, avrebbe comunque dovuto considerare la presenza in zona del quartiere residenziale realizzato nelle vicinanze dell’antenna in questione, prima dell’anno 1985, al pari delle opere oggetto di sanatoria, così come avrebbe dovuto tenere conto che nella stessa zona sarebbero state realizzate altre antenne “…di dimensioni ben più considerevoli, tanto che, di recente, lo stesso ente ha chiesto agli utenti di non installare nuovi impianti ma di concentrare le apparecchiature in quelli già esistenti (v. impianto Te. srl ricorrente nel procedimento n. 105/010)”.
Sul punto il Collegio reputa del tutto esaustive le considerazioni già svolte in precedenza in ordine agli appelli proposti sia da Ra. On. Li. S.r.l. che dalla Te. S.r.l., cui peraltro va qui aggiunta un’ulteriore e del tutto dirimente notazione.
Tra l’opera oggetto della sanatoria richiesta dall’attuale appellante e l’ambito residenziale posto nelle vicinanze (ivi segnatamente comprese le opere ad esso funzionali, quali la cisterna alla quale fa espresso riferimento l’appellante medesima), pur essendo stati entrambi realizzati in epoca anteriore all’anno 1985, sussiste una sostanziale differenza: la zona residenziale è stata infatti realizzata dopo il rilascio dei titoli edificatori necessari al riguardo (cfr. doc.ti al n. 9 depositati dalla parte resistente nel procedimento proposto in primo grado sub R.G. 455 del 2010), ossia in epoca in cui il vincolo paesaggistico non era ancora vigente, nel mentre l’antenna di cui trattasi è stata realizzata abusivamente.
In dipendenza di ciò, dunque, e in ordine alla dianzi ribadita necessità di considerare agli effetti della definizione dell’istanza di sanatoria l’insistenza sull’area del vincolo dopo la sua entrata in vigore, risulta con ogni evidenza che la presenza dell’insediamento residenziale costituiva un elemento del tutto irrilevante al fine da valutare la legittimità del provvedimento da adottare.
Per quanto concerne il riferimento dell’appellante all’avvenuta realizzazione nel medesimo sito di ulteriori antenne, si è visto innanzi che l’impianto progettato dalla Te. S.r.l. non è stato realizzato e che l’Amministrazione comunale non ha affatto richiesto di spostare, sull’antenna che la medesima Te. intendeva realizzare, gli impianti di radiotramissione di altri soggetti, costituendo ciò – per contro – una finalità che la stessa Te. si era del tutto autonomamente proposta.
Pertanto, contrariamente a quanto afferma l’attuale appellante, nella zona in questione non sono state realizzate nuove antenne, ad eccezione di quella costruita – parimenti in modo abusivo – dalla Ra. On. Li. S.r.l., e in ordine alla quale l’Amministrazione comunale ha pertanto emesso un omo provvedimento di diniego della sanatoria.
3.4.7. Ra. Am. S.r.l. ha – altresì – dedotto la sostanziale ingiustizia della statuizione relativa alle spese del primo grado di giudizio, essendo stata disposta la compensazione delle spese in favore della Te. S.r.l. ma non anche in proprio favore.
A tale riguardo il Collegio non può che richiamarsi a quanto già rilevato al § 3.2.10 della presente sentenza con riguardo alla posizione di Ra. On. Li. S.r.l.
Va anche soggiunto che Ra. Am. S.r.l. ha anche contestato la correttezza della liquidazione delle spese contenuta nella sentenza di primo grado nel capo della sentenza di primo grado che segnatamente la riguarda.
A differenza di quanto sostenuto da tale parte, la liquidazione stessa non risulta in contrasto con i criteri contemplati dalle tariffe forensi pro tempore vigenti, corrispondendo il quantum liquidato dal T.A.R. alle tariffe medie relative allo scaglione compreso tra il valore di Euro 5.000,00 (cinquemila/00) e quello di Euro 26.000,00 (ventiseimila/00): e ciò – si badi – quando ragionevolmente alla causa stessa ben avrebbe potuto – semmai – annettersi un valore ancor più elevato in ragione dell’attività economica insita nell’esercizio dell’attività di radiodiffusione.
4. Dalla reiezione di tutti e tre gli appelli in epigrafe consegue, per quanto attiene alle spese del presente grado di giudizio, l’applicazione della regola della soccombenza di lite nei confronti di tutte e tre le appellanti, nella misura indicata nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando – previa riunione – sugli appelli come in epigrafe proposti, li respinge.
Condanna le parti appellanti al pagamento, in favore del Comune di (omissis), delle spese e degli onorari del presente grado di giudizio, complessivamente liquidati nella misura di Euro 3.000,00 (tremila/00) a carico di ciascuna di esse.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 ottobre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Raffaele Greco – Presidente
Fulvio Rocco – Consigliere, Estensore
Giovanni Sabbato – Consigliere
Giovanni Orsini – Consigliere
Cecilia Altavista – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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