Il delitto di ricorso abusivo al credito

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 3 settembre 2019, n. 36985.

Massima estrapolata:

Il delitto di ricorso abusivo al credito, che per essere perseguito necessita della dichiarazione di fallimento, ha un’oggettività giuridica più ampia di quello di truffa e pertanto costituisce ai fini penali la disposizione prevalente non immediatamente assorbita dal reato concorrente di truffa. Essendo infatti volto a tutelare non solo il patrimonio del creditore preesistente ma anche quello dei creditori sopravvenuti, tale delitto si caratterizza per più elementi specializzanti rispetto alla truffa, vuoi per la particolare qualità che deve rivestire il soggetto attivo vuoi per la necessità che alla condotta segua la sentenza dichiarativa di fallimento affinché il danno non resti limitato al soggetto che ha materialmente erogato il nuovo credito.

Sentenza 3 settembre 2019, n. 36985

Data udienza 24 giugno 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SABEONE Gerardo – Presidente

Dott. SCARLINI Enrico V. – Consigliere

Dott. MICHELI Paolo – Consigliere

Dott. BELMONTE Maria Tere – Consigliere

Dott. ROMANO Miche – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 17/05/2018 della Corte di Appello di Firenze;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere, Dott. Michele Romano;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. Epidendio Tomaso, che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio quanto alla durata delle pene accessorie ed il rigetto del ricorso nel resto;
udito il difensore dell’imputato, avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di Appello di Firenze ha parzialmente riformato la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Firenze del 24 marzo 2017 che, all’esito del giudizio abbreviato, ha affermato la penale responsabilita’ di (OMISSIS) per i delitti di concorso in ricorso abusivo al credito di cui al Regio Decreto n. 267 del 1942, articolo 218, (capo A) e bancarotta fraudolenta patrimoniale (capo B, punti 1 e 2), unificati in un unico delitto di bancarotta fraudolenta impropria aggravato ai sensi del Regio Decreto n. 267 del 1942, articolo 219, comma 2, n. 1 e per i delitti di concorso nelle truffe ai danni di (OMISSIS) (capo D), (OMISSIS) e (OMISSIS) (capo E) e della (OMISSIS) (capo F), delitti tutti unificati dal vincolo della continuazione, condannandolo alla pena di giustizia oltre che al risarcimento del danno, da liquidarsi in sede civile, in favore delle parti civili, (OMISSIS) e (OMISSIS).
In particolare la Corte di appello ha applicato le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti, riducendo la pena ad anni due di reclusione ed applicando il beneficio della sospensione condizionale della pena.
Nello specifico, all’imputato si addebita di avere indotto (OMISSIS), imprenditore titolare della ditta (OMISSIS), fallito il (OMISSIS), a ricorrere abusivamente al credito, sebbene gia’ insolvente, emettendo fatture per operazioni inesistenti che erano state poi presentate, dal (OMISSIS), alla filiale della (OMISSIS) ove l’impresa intratteneva un conto anticipo fatture e della quale il (OMISSIS) era direttore; in tal modo il (OMISSIS) aveva ottenuto un anticipo pari al 80% dell’importo fatturato.
Al (OMISSIS) si addebita pure di avere concorso con il (OMISSIS) nella distrazione di prestazioni rese dalla (OMISSIS) per Euro 20.000,00 e della somma di Euro 14.000,00 facendosi firmare dal (OMISSIS) due fogli in bianco che erano stati utilizzati come distinte di prelevamento dal conto corrente bancario intrattenuto dall’impresa poi fallita.
Inoltre, al (OMISSIS) si addebita di avere indotto (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) a richiedere finanziamenti alla banca e a versare le somme cosi’ ottenute sul conto intrattenuto presso l’azienda di credito dalla (OMISSIS) facendo falsamente credere loro ed al (OMISSIS) che quest’ultimo avrebbe presto conseguito un mutuo senior garantito dalla proprieta’ della sua abitazione pari a Euro 250.000,00, somma che sarebbe stata impiegata per restituire loro le somme versate sul conto della ditta, mentre poi il mutuo non era stato erogato e le somme non erano state restituite.
Infine al (OMISSIS) si imputa di avere, in concorso con il (OMISSIS), indotto in errore la (OMISSIS) attraverso l’utilizzo delle false fatture, inducendo l’azienda di credito ad anticipare alla ditta poi fallita un importo pari allo 80% delle somme fatturate.
2. Avverso detta sentenza ricorre per cassazione (OMISSIS), a mezzo del suo difensore, affidandosi a quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione degli articoli 42 e 110 c.p. e articolo 218 L.F. e manifesta illogicita’ della motivazione quanto al concorso nel delitto di ricorso abusivo al credito.
Nelle sentenze di merito era stato riconosciuto che egli non era l’ideatore del meccanismo attraverso il quale il (OMISSIS) aveva fatto abusivo ricorso al credito, poiche’ tale meccanismo era stato utilizzato dal fallito gia’ a partire dal (OMISSIS) e presso diverse aziende di credito, mentre egli era divenuto direttore della filiale della (OMISSIS) solo il (OMISSIS), cosicche’ egli non aveva partecipato alle erogazioni dei finanziamenti relativi a fatture anteriori, che erano state invece curate da (OMISSIS), diretto interlocutore del (OMISSIS).
Il (OMISSIS), quindi, non si era comportato diversamente dai direttori di filiale delle altre banche dalle quali il (OMISSIS) aveva ottenuto anticipazioni su fatture false.
La Corte di appello aveva affermato la sua penale responsabilita’ sulla base di presunte anomalie nelle procedure di erogazione delle anticipazioni che in realta’ erano insussistenti. In particolare, si era affermato che egli aveva omesso di inviare le raccomandate ai debitori ceduti, mentre le indagini avevano consentito di accertare che tutti i debitori avevano ricevuto comunicazione della cessione dei crediti, ma ad essa avevano omesso di rispondere. Neppure poteva ritenersi rilevante che i debitori non avessero pagato, poiche’ da tale circostanza poteva desumersi la insolvenza degli obbligati e non quella della (OMISSIS).
La Corte di appello non aveva adeguatamente motivato sulla attendibilita’ del (OMISSIS). Quest’ultimo provava risentimento verso l’odierno ricorrente perche’ addebitava il fallimento della sua impresa proprio al (OMISSIS) che aveva chiuso i rapporti che essa intratteneva con la banca e aveva chiesto l’immediato rientro delle esposizioni, determinando in tal modo la chiusura dei rapporti bancari della impresa anche presso le altre banche.
L’attendibilita’ del (OMISSIS) non poteva desumersi dalla natura autoaccusatoria delle sue dichiarazioni, poiche’ la sua responsabilita’ per i delitti a lui contestati era gia’ evidente.
La motivazione in ordine alla attendibilita’ del coimputato era perfino illogica, atteso che il (OMISSIS) era interessato a spostare sul (OMISSIS) le sue responsabilita’ e che la affermazione del (OMISSIS) secondo la quale egli, ricevuta dal (OMISSIS) la proposta di ottenere finanziamenti bancari attraverso l’utilizzo di fatture false, si sarebbe confidato con il (OMISSIS), che, venuto a conoscenza della proposta, avrebbe espresso stupore, era palesemente contraddetta dalla circostanza che il (OMISSIS) gia’ ricorreva a tale espediente ancor prima che il (OMISSIS) divenisse direttore della filiale, avvalendosi a tal fine proprio della collaborazione del (OMISSIS), che pertanto non poteva essersi stupito. Le forniture effettuate dalla (OMISSIS) a favore del (OMISSIS) avevano un valore di appena Euro 2.200,00 che certo non poteva costituire il prezzo del concorso nel ricorso abusivo al credito per un importo di circa Euro 250.000,00. Anche i prelevamenti attraverso i fogli firmati in bianco erano irreali e non consentiti dalla normativa, neppure con l’avallo del direttore della filiale.
Anche in ordine alla attendibilita’ delle deposizioni testimoniali dei truffati, che, essendosi questi costituiti parte civile, doveva essere valutata con particolare rigore, la Corte di appello non aveva dato risposta ai rilievi formulati nell’atto di impugnazione.
In particolare si era segnalato che (OMISSIS) aveva partecipato alla formazione delle false fatture e che la stessa, come (OMISSIS), aveva interesse a figurare quale vittima di un inesistente raggiro nella speranza di poter recuperare quanto versato al (OMISSIS). Neppure era credibile che il (OMISSIS), di eta’ avanzata e pesantemente esposto verso le banche, potesse ottenere un mutuo garantito da ipoteca sulla abitazione pur non disponendo di redditi adeguati a far fronte alle rate del mutuo stesso.
Quanto al (OMISSIS), egli era interessato ad allontanare da se’ la responsabilita’ di avere curato le pratiche di anticipazione su fatture.
La Corte di appello, in relazione a tali rilievi, si era limitata ad affermare che era difficile credere che il (OMISSIS), il (OMISSIS), la (OMISSIS) e gli altri potessero essersi accordati allo scopo di calunniare il (OMISSIS), senza tenere conto che ognuno dei testi aveva ben piu’ di un motivo per affermare il falso.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, quanto al delitto di concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale, violazione degli articoli 42 e 110 c.p. e articolo 216 L.F. e manifesta illogicita’ della motivazione.
La modestia delle prestazioni conseguite dall’imputato rendevano inconsistente l’accusa e comunque egli non era a conoscenza della condizione di insolvenza in cui versava l’impresa, contraddetta dai suoi bilanci.
2.3. Con il terzo motivo lamenta, quanto ai delitti di truffa a lui contestati, violazione dell’articolo 640 c.p. e manifesta illogicita’ della motivazione.
La Guardia di finanza non aveva sequestrato alcun documento relativo alla erogazione del finanziamento tramite il mutuo senior che il (OMISSIS) avrebbe dovuto conseguire e peraltro mai avrebbe potuto, non essendo credibile che il (OMISSIS), di eta’ avanzata e pesantemente esposto verso le banche, potesse ottenere ulteriore credito.
La Corte di appello aveva invece creduto ai testi che avevano affermato di essere stati raggirati dal (OMISSIS), osservando che essi potevano essere stati indotti a chiedere i finanziamenti e a mettere le somme cosi’ ottenute a disposizione del (OMISSIS) solo perche’ indotti a credere in una temporanea difficolta’ dell’imprenditore che si sarebbe presto risolta con l’erogazione del mutuo.
In realta’ i testi erano tutti a perfetta conoscenza delle disperate condizioni in cui versava il (OMISSIS) e si erano indotti ad aiutarlo perche’ a lui legati da vincoli familiari ( (OMISSIS)) o perche’ speravano di subentrare nella titolarita’ dell’impresa ( (OMISSIS)). Inoltre, anche se il mutuo fosse stato erogato, il relativo importo sarebbe stato integralmente assorbito dai ben maggiori crediti che la banca vantava verso l’imprenditore, cosicche’ non era sostenibile che essi confidassero nell’erogazione del mutuo per poter rientrare nella disponibilita’ delle somme date in prestito al (OMISSIS).
2.4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta violazione di legge sostenendo, alla luce dei principi affermati dalle Sezioni Unite nella sentenza La Marca (Sez. U, n. 41588 del 22/06/2017, La Marca, Rv. 27090201) e dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 200 del 2016, che la condotta descritta al capo A) dell’imputazione assorbe il reato di truffa ai danni della banca contestato al capo F), essendo identiche le due condotte e ricorrendo, quindi, un’ipotesi di concorso apparente di norme penali.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ fondato nei limiti di seguito esposti.
2. Il primo ed il secondo motivo di ricorso sono inammissibili.
La Corte di appello ha fornito ampia ed adeguata motivazione in ordine alle ragioni per le quali, pur a fronte dei rilievi contenuti nell’atto di appello, ha ritenuto attendibili le dichiarazioni accusatorie del (OMISSIS), evidenziando che esse sono solo uno degli elementi che hanno condotto all’affermazione della sua penale responsabilita’. Anche in ordine alle deposizioni degli altri testimoni la Corte di appello ha illustrato le ragioni per le quali anch’esse risultano attendibili e riscontrate, fornendo una motivazione esente da illogicita’ o contraddittorieta’ evidenti.
Le censure del ricorrente risultano attinenti esclusivamente al merito, in quanto dirette a sovrapporre all’interpretazione delle risultanze probatorie operata dal giudice una diversa valutazione dello stesso materiale probatorio per arrivare ad una decisione diversa, e come tali si pongono all’esterno dei limiti del sindacato di legittimita’. La decisione del giudice di merito non puo’ essere invalidata da ricostruzioni alternative che si risolvano in una “mirata rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perche’ illustrati come maggiormente plausibili o perche’ assertivamente dotati di una migliore capacita’ esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si e’ in concreto realizzata (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507).
Quanto al valore dei beni oggetto del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, la Corte di appello ha illustrato le ragioni per le quali ha ritenuto dimostrato il valore di Euro 20.000,00 delle prestazioni rese dalla (OMISSIS) in favore del (OMISSIS) in assenza di corrispettivo e provato che il (OMISSIS) fosse stato destinatario di somme prelevate dai conti correnti intestati alla ditta fallita.
Anche in relazione a tali aspetti, la motivazione della sentenza di appello non presenta illogicita’ o contraddizioni evidenti e comunque i giudici di secondo grado hanno avuto cura di precisare che la sussistenza del reato e’ indipendente dal valore dei beni oggetto di distrazione e che il (OMISSIS) ben sapeva che l’impresa versava in condizioni di insolvenza.
3. Anche il terzo motivo di ricorso e’ inammissibile.
Anche in questo caso il ricorrente si duole della ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito e chiede a questa Corte una non consentita rivalutazione del materiale istruttorio.
4. E’ invece fondato il quarto motivo.
Prima che la L. 28 dicembre 2005, n. 262, articolo 32, comma 1, modificasse il Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, articolo 218, non era possibile il concorso formale tra il delitto di ricorso abusivo al credito e quello di truffa, atteso che il citato articolo 218 conteneva una clausola di riserva che rendeva applicabile il delitto fallimentare solo in via sussidiaria, nel caso in cui il fatto non costituisse un delitto piu’ grave.
Poiche’ il ricorso abusivo al credito era punito nel massimo con la pena di anni due di reclusione, mentre il massimo edittale della truffa era pari ad anni tre di reclusione, nel caso in cui il fatto fosse ricaduto sotto la previsione di entrambe le norme incriminatrici, doveva ritenersi configurabile il solo delitto di truffa (Sez. 2, n. 5562 del 13/02/1986, Maniglia, Rv. 17312401).
La L. 28 dicembre 2005, n. 262, articolo 32, comma 1, ha modificato il Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, articolo 218, eliminando la clausola di sussidiarieta’, cosicche’ sorge il problema di verificare se sia configurabile il concorso formale dei reati e, in caso negativo, come debba essere risolto.
L’assunzione di ulteriore debito da parte di chi esercita un’attivita’ d’impresa e gia’ versi in condizioni finanziarie e patrimoniali tali da rendere improbabile il suo futuro adempimento e’ condotta che reca danno non solo al patrimonio del soggetto che concede il nuovo credito e che dovra’ sopportare il danno derivante dell’eventuale inadempimento – come avviene nel caso della truffa -, ma anche agli interessi di coloro che sono divenuti creditori in virtu’ di un titolo anteriore poiche’ essi, in caso di insolvenza, concorreranno con il nuovo creditore e ciascuno di essi partecipera’ in misura inferiore al riparto dell’attivo fallimentare.
Tale differenza giustifica la punibilita’ di ufficio del delitto di ricorso abusivo al credito.
Il delitto, tuttavia, sussiste solo nel caso in cui l’imprenditore, nel ricorrere o nel continuare a ricorrere al credito, abbia fatto ricorso ad un comportamento decettivo, dissimulando il proprio stato di dissesto o di insolvenza; non e’ necessario, invece, che egli, allo scopo di convincere il futuro creditore, non si sia limitato a nascondere le sue condizioni, mantenendo l’altro contraente nella sua originaria condizione di ignoranza, ma abbia fatto ricorso a veri e propri artifizi o raggiri allo scopo di indurre in errore l’altro contraente, che invece sono essenziali per la sussistenza del delitto di truffa.
In entrambi i casi, tuttavia, vi e’ un comportamento truffaldino. Nel ricorso abusivo al credito l’imprenditore approfitta della condizione di ignoranza in cui il creditore si trova, astenendosi dal comunicargli le cattive condizioni patrimoniali o finanziarie in cui egli si trova. La sua condotta e’ simile a quella dell’insolvenza fraudolenta di cui all’articolo 641 c.p. che pure rientra tra i delitti contro il patrimonio commessi mediante frode.
Gli elementi che, invece, caratterizzano il ricorso abusivo al credito sono la natura propria del delitto di cui al citato articolo 218 – che puo’ essere commesso solo dall’imprenditore e dagli altri soggetti previsti da detta disposizione e non da chiunque, come invece previsto dall’articolo 640 c.p. – e la necessita’, per la configurabilita’ del delitto fallimentare, dell’intervento della pronuncia di fallimento.
Difatti secondo la piu’ recente giurisprudenza di questa Corte di Cassazione e’ ormai pacifico che il delitto di ricorso abusivo al credito, anche dopo la sua modifica per effetto della L. 28 dicembre 2005, n. 262, articolo 32, comma 1, e’ punibile solo laddove intervenga la sentenza dichiarativa di fallimento (vedi Sez. 5, n. 44857 del 23/09/2014, Graziani, Rv. 26131201).
Del resto proprio la pronuncia della sentenza dichiarativa di fallimento rende concreto ed attuale il danno cagionato, per effetto della concessione di nuovo credito, a coloro nei cui confronti l’imprenditore gia’ era debitore, come si e’ gia’ esposto sopra.
Sulla base di quanto sopra esposto, non vi e’ dubbio che tra le due norme sussista un rapporto di specialita’ che, ai sensi dell’articolo 15 c.p., consente di individuare nell’articolo 218 L.F. la disposizione prevalente.
Difatti, il delitto di ricorso abusivo al credito ha un’oggettivita’ giuridica piu’ ampia di quello di truffa, atteso che il disvalore di questo delitto viene assorbito in quello del reato fallimentare che e’ volto a tutelare non solo il patrimonio del nuovo creditore ma anche quello dei creditori preesistenti e comunque ad evitare, nell’interesse pubblico dell’economia nazionale, che soggetti destinati al fallimento facciano ricorso al credito distruggendo risorse economiche che potrebbero essere impiegate piu’ proficuamente; proprio per tale ragione, il delitto di cui al citato articolo 218 si caratterizza per piu’ elementi specializzanti rispetto alla truffa, ossia per la particolare qualita’ che deve rivestire il soggetto attivo e la necessita’ che alla condotta segua la sentenza dichiarativa di fallimento, necessaria affinche’ il danno non resti limitato al soggetto che ha concesso nuovo credito.
5. Nel caso di specie non vi e’ dubbio che la condotta che integra il delitto di cui al capo F) sia la medesima contestata al capo A), cosicche’, in applicazione dei principi sopra esposti, il reato di cui al capo F) deve ritenersi assorbito in quello contestato al capo A).
Ne deriva che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nella parte in cui condanna il ricorrente per il delitto di truffa ai danni della banca (capo F), assorbito nel delitto di cui all’articolo 218 L. Fall., e la pena deve essere rideterminata escludendo l’aumento di pena per la continuazione con detto reato, in anno uno, mesi dieci e giorni venti di reclusione.
6. Deve pure essere rilevata l’illegalita’ delle pene accessorie la cui durata e’ stata determinata, ai sensi del Regio Decreto n. 267 del 1942, articolo 216, u.c., nella misura fissa di anni dieci.
Difatti, la Corte Costituzionale ha dichiarato, con la sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018, la illegittimita’ del Regio Decreto n. 267 del 1942, articolo 216, u.c., nella parte in cui determina nella misura fissa di anni dieci la durata della pena accessoria da essa prevista.
L’illegalita’ della pena, dipendente da una statuizione ab origine contraria all’assetto normativo vigente al momento consumativo del reato, e’ rilevabile d’ufficio nel giudizio di cassazione anche nel caso in cui il ricorso e’ inammissibile (Sez. 3, n. 6997 del 22/11/2017 – dep. 2018, C, Rv. 27209001, che ha eliminato la pena accessoria di cui all’articolo 609-nonies c.p., comma 2, illegalmente applicata poiche’ il reato di violenza sessuale non risultava commesso nei confronti di minori).
Per effetto della sentenza della Corte Costituzionale sopra citata, la pena accessoria inflitta con la sentenza impugnata in questa sede e’ divenuta illegale, cosicche’ la sentenza impugnata in questa sede deve, in tale parte, essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Firenze.
Peraltro, a seguito della citata sentenza della Corte Costituzionale, le Sezioni Unite hanno recentemente affermato, con sentenza adottata all’udienza del 28 febbraio 2019, che la durata delle pene accessorie deve essere determinata in concreto dal giudice in base ai criteri fissati dall’articolo 133 c.p. e non in misura pari a quella della pena principale ai sensi dell’articolo 37 c.p..

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata quanto al capo F) dell’imputazione ritenuto assorbito dal delitto di cui al capo A) e per l’effetto elimina la relativa pena di giorni quaranta di reclusione.
Annulla la medesima sentenza limitatamente alle pene accessorie previste dall’articolo 216 L. Fall., u.c., con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di appello di Firenze.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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