Il danno da ritardo risarcibile presuppone la spettanza sostanziale del bene della vita

Consiglio di Stato, Sezione quinta, Sentenza 2 aprile 2020, n. 2212.

La massima estrapolata:

Il danno da ritardo risarcibile presuppone la spettanza sostanziale del bene della vita, solo tardivamente riconosciuto dall’amministrazione, e l’ascrivibilità del ritardo ad una condotta colpevole. In quanto tale, il danno da ritardo deve essere riconducibile, secondo la verifica del nesso di causalità, al comportamento inadempiente (in termini di inerzia assoluta, ovvero di adozione tardiva) dell’amministrazione.

Sentenza|2 aprile 2020| n. 2212

Data udienza 23 gennaio 2020

Tag – parola chiave: Energia rinnovabile – Impianto fotovoltaico – Autorizzazione – Procedimento – Danno da ritardo – Risarcibilità – Presupposti

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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9710 del 2015, proposto da
Co. Re. En. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, nonché i signori Co. Ro., Ni. Ro., Vi. Ro., Gi. Ro., Ma. Ro.., Fr. Ro., rappresentati e difesi dall’avvocato Er. St. Da., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza (…);
contro
Regione Puglia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Ti. Te. Co., con domicilio eletto presso l’ufficio della Regione Puglia, Delegazione in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia sezione staccata di Lecce Sezione Prima n. 02513/2015, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Puglia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 novembre 2019 il Cons. Stefano Fantini e uditi per le parti gli avvocati An. St. Da., in sostituzione dell’avv. Er. St. Da., e Ti. Te. Co.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.- La Co. Re. En. s.r.l. ed i suoi soci in proprio hanno interposto appello nei confronti della sentenza 22 luglio 2015, n. 2513 del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, Lecce, sez. I, che ha respinto il loro ricorso volto ad ottenere la condanna della Regione Puglia al risarcimento del danno da ritardo determinato dal comportamento asseritamente tenuto dall’amministrazione nell’ambito del procedimento introdotto per il conseguimento dell’autorizzazione unica strumentale alla costruzione di un impianto fotovoltaico in (omissis), località (omissis), denominato Ca. Ro., della potenza complessiva di 9,76 Mw.
L’istanza è stata presentata dall’appellante al Servizio industria-industria energetica della Regione Puglia in data 19 marzo 2009, il successivo 24 aprile sono stati prodotti documenti sostitutivi; l’amministrazione con nota del 28 luglio ha chiesto un’integrazione documentale, riscontrata il successivo 30 luglio. La Regione ha poi inoltrato un’ulteriore richiesta di integrazione documentale il 22 settembre 2009, riscontrata il successivo 19 ottobre. Solamente con nota del 13 novembre 2009 il dirigente del Servizio energia, reti e infrastrutture materiali per lo sviluppo della Regione Puglia ha comunicato l’avvio del procedimento preordinato al rilascio dell’autorizzazione unica. Il 25 gennaio 2010 è stata convocata la conferenza di servizi per il successivo 18 febbraio, nell’ambito della quale è emerso il solo parere negativo del Consorzio speciale per la bonifica dell’Ar..
In data 2 luglio 2010 la società appellante ha diffidato la Regione Puglia alla conclusione del procedimento autorizzatorio; ne è seguito un lungo silenzio, che è stato spiegato informalmente nella considerazione della potenza dell’impianto, incompatibile (in mancanza di un abbattimento della potenza del 30 per cento) con il territorio del Comune di Brindisi, area ad alto rischio ambientale.
Pur criticando la condotta regionale, la Co. Re. il 19 ottobre 2010 ha autorizzato il rilascio di un’autorizzazione unica di potenza complessiva di 6,83 Mw.; il successivo 23 novembre ne ha fatto formale istanza.
Con la determinazione n. 16 del 26 gennaio 2011, ad oltre 21 mesi dalla presentazione dell’istanza, il dirigente del Servizio ha adottato l’autorizzazione unica “per la costruzione ed esercizio di un impianto di produzione di energia elettrica da fonte solare (fotovoltaica) della potenza di 6,83 Mw”.
Con il ricorso in primo grado la Co. Re. En. s.r.l. ha chiesto la condanna della Regione Puglia al risarcimento del danno (da ritardo) derivante dalla violazione del termine di conclusione del procedimento di cui all’art. 12, comma 4, del d.lgs. n. 387 del 2003, ravvisando la connessione del danno con il contratto preliminare, stipulato in data 30 giugno 2009 con il sig. W.R. Ge., avente ad oggetto la cessione delle quote della società successivamente al conseguimento dell’autorizzazione unica (che doveva avvenire entro il 30 marzo 2010), al prezzo di euro 4.000.000; il mancato rispetto del predetto termine ha comportato la risoluzione consensuale del contratto il 10 maggio 2011.
2. – La sentenza appellata ha respinto il ricorso ritenendo difettare il presupposto oggettivo richiesto ai fini della configurabilità del danno da ritardo. Ha rilevato la sentenza che la prima istanza di rilascio di autorizzazione unica è divenuta procedibile a decorrere dal 19 ottobre 2009, ma che solo in data 23 novembre 2010 è stata presentata dalla società Co. Re. un’ulteriore istanza con la quale è stata chiesta la riduzione della potenza dell’impianto (da 9,76 Mw a 6,83 Mw, al di sotto, cioè, della soglia di assoggettabilità a VIA). Individuando come dies a quo tale momento, l’autorizzazione è tempestivamente intervenuta nel termine di novanta giorni previsto dall’art. 12, comma 3, del d.lgs. n. 387 del 2003, con determina dirigenziale n. 16 del 26 gennaio 2011. Ha dunque affermato la sentenza che il superamento del termine del 30 marzo 2010, previsto per il rilascio dell’autorizzazione dal preliminare di cessione di quote, “è da imputarsi non già alla Regione, ma alla ricorrente, la quale ha inizialmente instato per la costruzione ed esercizio di un impianto di 9,76 Mw, superiore pertanto alla soglia di assoggettabilità a VIA ex art. 4 L.R. n. 11/01, e soltanto in data 23.11.2010 -vale a dire ben oltre il superamento della data del 30.3.2010, pattuita nel citato contratto preliminare di cessione di quote- ha chiesto il ridimensionamento di potenza dell’impianto”.
3.- Con l’appello la Co. Re. En. s.r.l. ha reiterato, alla stregua di motivi di critica della sentenza, le censure di primo grado.
4. – Si è costituita in resistenza la Regione Puglia controdeducendo ai motivi di appello e chiedendone la reiezione.
5. – All’udienza pubblica del 7 novembre 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.- Il primo motivo di appello critica la sentenza di primo grado per non avere riconosciuto il danno da ritardo nell’adozione dell’autorizzazione unica, per la quale la delibera di G.R. n. 35 del 23 gennaio 2007 prevedeva un termine finale del procedimento di centottanta giorni decorrente dalla presentazione della domanda. Assume l’appellante che, tenendo conto delle sospensioni del termine di 180 giorni dalla domanda, dovute alle richieste istruttorie da parte dell’amministrazione regionale, detto termine finale scadeva il 22 novembre 2009; irrilevante sarebbe il riferimento al d.P.R. 23 aprile 1998 ed alla qualificazione dell’area come ad alto rischio ambientale, atteso che tale condizione è decaduta dal 2007 (per effetto della riparametrazione dell’area brindisina ad opera della deliberazione di G.R. n. 596 del 14 maggio 2002). Ma anche diversamente opinando, e dunque ammettendo la necessità dello screening ambientale, la condotta dell’amministrazione non sarebbe esente da colpa, in quanto non ha mai segnalato detta necessità e neppure l’alternativa di un abbattimento del 30 per cento della potenza richiesta, utilizzando tale argomento, in modo strumentale, solamente nel corso del giudizio di primo grado.
Assume l’appellante come in ogni caso sia stata illegittima una duplice richiesta di integrazione documentale, per violazione dell’art. 2, comma 7, della legge n. 241 del 1990, e come altrettanto illegittima sia stata la mancata conclusione del procedimento conferenziale nella seduta del 18 febbraio 2010 con il parere contrario all’opera espresso dal solo Consorzio speciale per la bonifica di Ar. (parere non sensibile).
Il secondo motivo, che può essere esaminato congiuntamente al primo, in quanto complementare o, meglio, conseguenziale, critica la sentenza per avere omesso di pronunciarsi in merito all’an ed al quantum del danno subito dall’appellante, parametrato al controvalore delle quote societarie pattuito nel contratto preliminare del 30 giugno 2009, ed attualmente azzerato per effetto del c.d. “quarto conto energia”; l’importo reclamato a titolo di lucro cessante è pari ad euro 1.366.000,00.
I motivi sono infondati.
Nella complessità della scansione temporale, si evidenzia dalla ricostruzione diacronica dell’appellante che a fronte dell’iniziale domanda di autorizzazione unica in data 19 marzo/24 aprile 2009, la società ha poi presentato la nuova domanda in data 23 novembre 2010, concernente il rilascio di un provvedimento di autorizzazione alla costruzione di un impianto con minore potenza complessiva.
Questa seconda domanda è tra l’altro successiva alla scadenza del termine (30 marzo 2010) previsto nel contratto preliminare per il conseguimento dell’autorizzazione prodromica alla stipula del definitivo di cessione delle quote societarie.
Obietta peraltro l’amministrazione regionale che la domanda sia diventata procedibile solo dopo la richiesta di integrazione documentale del 22 settembre 2009, ed in particolare con la produzione effettuata dalla società appellante il 19 ottobre.
Né appare rilevante la circostanza che vi fossero state precedenti richieste istruttorie, laddove l’art. 2, comma 7, della legge n. 241 del 1990 prevede che il termine finale del procedimento può essere sospeso una sola volta e per un periodo non superiore a trenta giorni. Ed infatti tale disposizione vale a chiarire che le cause di interruzione e di sospensione sono tipiche e di stretta interpretazione e non lasciano spazio a sospensioni sine die motivate da qualsivoglia esigenza estranea al paradigma normativo che regola l’attività amministrativa (Cons. Stato, IV, 11 aprile 2014, n. 1767; IV, 18 dicembre 2013, n. 6105).
Ma nel caso di specie appare dimostrato che la pendenza del procedimento, implicante la presenza della documentazione posta a supporto della domanda, inizi a decorrere solamente dal 19 ottobre 2009.
Se questo è il dies a quo, il termine dei centottanta giorni non era ancora maturato alla data del 30 marzo 2010, previsto dall’art. 6 del contratto preliminare come termine finale per il conseguimento dell’autorizzazione unica, presupposto per la stipulazione del contratto definitivo concernente la cessione delle quote societarie al sig. Ge. Wolfang Reiner.
Né può condividersi l’assunto dell’appellante, svolto con la memoria di replica, secondo cui la documentazione precedentemente versata agli atti del procedimento era completa. Osta a tale soluzione il contenuto puntuale della richiesta documentale del 22 settembre 2009, nonché la nota della Co. Re. En. s.r.l., ove si precisa che la trasmissione dei documenti indicati viene effettuata “ad integrazione e corredo di quanto già depositato ed in ossequio alla richiesta di documentazione integrativa formulata con la nota de qua”.
Tale constatazione assume un rilievo determinante, ad avviso del Collegio, ai fini del decidere, in quanto il danno da ritardo, anche nella sua quantificazione, risulta correlato proprio al superamento del termine pattuito per il rilascio dell’autorizzazione nel contratto preliminare.
Ed infatti il danno da ritardo risarcibile presuppone la spettanza sostanziale del bene della vita, solo tardivamente riconosciuto dall’amministrazione, e l’ascrivibilità del ritardo ad una condotta colpevole (Cons. Stato, IV, 2 dicembre 2019, n. 8235).
In quanto tale, il danno da ritardo deve essere riconducibile, secondo la verifica del nesso di causalità, al comportamento inadempiente (in termini di inerzia assoluta, ovvero di adozione tardiva) dell’amministrazione; nel caso di specie, anche ad ammettere che un inadempimento temporaneo dell’amministrazione vi sia stato (obliterando però, in tale modo, il valore della seconda domanda di rilascio di autorizzazione per un impianto di 6,83 Mw., la quale, nello “autorizzare” la Regione Puglia al rilascio del diverso provvedimento, non può che valere come rinuncia alla precedente istanza), lo stesso non appare eziologicamente connesso al danno lamentato, in quanto il termine finale sarebbe scaduto dopo il termine essenziale previsto nel contratto preliminare per il rilascio dell’autorizzazione stessa.
Tale considerazione, escludendo sul piano del nesso eziologico, il danno, esime il Collegio dalla disamina dell’incidenza della sopravvenuta decadenza dalla proroga dell’autorizzazione unica decisa con provvedimento del 12 giugno 2014 (sulla quale è intervenuto il giudicato di rigetto), come pure della prova del danno, che risulta indimostrato nel suo ammontare.
2. – Alla stregua di quanto esposto, l’appello va respinto in quanto infondato.
La complessità e non linearità della vicenda amministrativa integra le ragioni che per legge consentono la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa tra le parti le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 novembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini – Presidente
Raffaele Prosperi – Consigliere
Angela Rotondano – Consigliere
Stefano Fantini – Consigliere, Estensore
Giuseppina Luciana Barreca – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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