Il concetto di tutela del bene ambiente

Consiglio di Stato,Sentenza|10 marzo 2021| n. 2056.

Il concetto di tutela del bene ambiente deve intendersi in senso ampio, potendo comprendere ogni situazione idonea a cagionare un pregiudizio all’ambiente, quantunque in via diretta finalizzato alla tutela di interessi di natura più circoscritta o diversi; dunque, anche in riferimento a contestazioni rivolte ad atti di natura urbanistica, quali quelli impugnati nel presente giudizio, è possibile riconoscere la legittimazione ad agire delle associazioni ambientaliste, ogni qualvolta si deduca che tali atti sono idonei a compromettere l’ambiente.

Sentenza|10 marzo 2021| n. 2056

Data udienza 9 marzo 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Deliberazione della G.R.- Approvazione del Piano Particolareggiato – Variante allo Strumento Urbanistico Generale Comunale vigente – Annullamento – Potere pianificatorio – Ampia discrezionalità – Organizzazione del territorio – Sviluppo socio-economico – Parere negativo dell’ARPA – Errori di fatto – Criticità idrogeologiche – Associazione nazionale ambientalista – Criterio della vicinitas – Legittimazione ed interesse ad agire

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1964 del 2018, proposto da
Regione Piemonte, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Co., Eu. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ma. Co. in Roma, via (…);
contro
Le. As. Am. Na. Onlus non costituito in giudizio;
Pi. Me., Le. Na. Aps, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’avvocato Ch. Se., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Comune di (omissis), Va. Im. S.r.l. non costituiti in giudizio;
Soc. Va. Im. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Fr. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
sul ricorso numero di registro generale 2395 del 2018, proposto da
Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Gi. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gi. Ma. in Torino, via (…);

contro
Le. – As. Am. Na., Va. Im. S.r.l., Regione Piemonte non costituiti in giudizio;
Pi. Me., Le. Na. Aps, rappresentati e difesi dall’avvocato Ch. Se., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti
Soc. Va. Im. S.r.l., rappresentato e difeso dall’avvocato Fr. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
quanto al ricorso n. 2395 del 2018 e quanto al ricorso n. 1964 del 2018:
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale Per Il Piemonte (sezione Prima) n. 00959/2017, resa tra le parti, concernente l’annullamento della deliberazione della G.R. n. 11-2010 in data 17.5.2011, pubblicata sul B.U.R. della Regione Piemonte n. 21 in data 26.5.2001, avente ad oggetto: “Legge Regionale 5.12.1977 n. 56 e successive modificazioni, D.Lgs. 3.4.2006 n. 152 e successive modificazioni – Comune di (omissis). Approvazione del Piano Particolareggiato relativo alle aree 4.11 e 5.25 (Area (omissis)) e della contestuale Variante allo Strumento Urbanistico Generale Comunale vigente”; nonché degli atti tutti antecedenti, preordinati, consequenziali e comunque connessi del relativo procedimento, tra i quali, occorrendo, la deliberazione del Consiglio Comunale di (omissis) n. 21 in data 10.5.2010, avente ad oggetto: “Adozione documenti integrativi o sostitutivi inerenti il progetto definitivo del PPE in variante del vigente PRGC ai sensi dell’art. 40 comma 6 della L.R. n. 56/77 e s.m. e i. relativo alle aree 4.11 e 5.25 (Area (omissis))”, nonché della deliberazione del Consiglio Comunale n. 80 in data 21.12.2010, avente ad oggetto: “PPE con contestuale variante del vigente PRGC ai sensi art. 40 comma 6 della L.R. n. 56/1977 e s.m. e i. relativo alle aree 4.11 e 5.25 (Area (omissis)). Approvazione delle controdeduzioni alle osservazioni espresse dalla Regione Piemonte con nota del 30.7.2010 prot. 31789 a seguito della CTU del 22.7.2010”.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Pi. Me., di Soc. Va. Im. S.r.l., di Le. Na. Aps;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 marzo 2021 il Cons. Paolo Giovanni Nicolò Lotti;
Rilevato che l’udienza si svolge ai sensi degli artt. 25 del Decreto Legge 137 del 28 ottobre 2020 e 4 comma 1, Decreto Legge 28 del 30 aprile 2020, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto della circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa.

FATTO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, sez. I, 9 agosto 2017, n. 959 ha accolto il ricorso, proposto dall’attuale parti appellate sig. Me. e Le. – As. Am. Na. – Onlus, annullando le impugnate delibere del Consiglio Comunale del Comune di (omissis) n. 80 del 21.12.2010 e della Giunta Regionale n. 11-2010 del 17.5.2011.
Secondo il TAR, sinteticamente:
– delle censure dedotte con il primo motivo di ricorso (le uniche potenzialmente interessate dalla eventuale applicazione del ne bis in idem) si può prescindere in ragione della fondatezza e rilevanza dirimente del secondo motivo di ricorso, inerente vizi propri della D.G.R. n. 11-2010 del 17.5.2011, a mezzo della quale il PPE è stato approvato in via definitiva;
– la Delibera Regionale adottata il 17.5.2011 appare porsi in contraddizione con le precedenti indicazioni impartite dalla stessa Regione Piemonte, e carente in punto di onere di supervisione e verifica del progetto di variante del Piano Regolatore relativamente al rispetto, da parte dell’autorità comunale, delle prescrizioni alla medesima rivolte con le note del 2009 e 2010 della stessa Regione e delle altre autorità ;
– ciò emerge con particolare evidenza in riferimento alle criticità idrogeologiche evidenziate nel corso del procedimento di approvazione della variante del Piano Regolatore criticità che, considerata l’importanza degli interessi coinvolti, devono essere vagliate con estrema attenzione e superate mediante un’analisi basata su un’applicazione fortemente rigorosa del principio di precauzione;
– nella zona interessata dalle modifiche del PRGC il rischio alluvionale non si pone, infatti, esclusivamente in termini di astratto pericolo – elemento che sarebbe già in sé sufficiente ad imporre il sopra richiamato rigore – essendovi evidenza di periodici eventi alluvionali (sono noti quelli accaduti nel 1994 e nel 2000), al punto che l’area risulta essere stata inclusa dal PAI in fascia C, in quanto area soggetta ad esondazione in caso di piene catastrofiche, ed in inclusa nella classe di pericolosità IIIB2 di cui alla circolare 7LAP;
– la reiterazione di tali episodi anche in epoca successiva all’inizio del procedimento di variante del PRGC (si ricorda in particolare l’alluvione dell’area ancora nel 2010), ha evidenziato l’inadeguatezza degli interventi di messa in sicurezza eseguiti nella zona nel 2006, quegli stessi interventi che sono stati evocati a giustificazione del mutamento di destinazione urbanistica impresso all’area, divenuta edificabile con elevatissimo indice fondiario;
– le prescrizioni dettate d’ufficio dalla Regione in sede di approvazione dello strumento urbanistico non siano idonee a colmare la lacuna delle Delibere consiliari, non affrontando, se non in maniera tangenziale, le problematiche indicate;
– una variante di notevole impatto urbanistico, ambientale e paesaggistico è stata approvata senza che vi sia certezza che il progetto possa essere effettivamente realizzato in sicurezza, da tutti i punti di vista.
Sia la Regione che il Comune, entrambi parti appellanti, contestavano la sentenza del TAR, eccependo l’erroneità con riferimento sia alla parte reiettiva delle eccezioni preliminari, che venivano nella sostanza riproposte in appello, sia in relazione alla riconosciuta illegittimità nel merito delle delibere impugnate.
Con l’appello in esame chiedevano la reiezione del ricorso di primo grado.
Si costituiva la società Va. Im. S.R.L. chiedendo anch’essa la reiezione del ricorso di primo grado.
Si costituivano Le. – As. Am. Na. – Onlus, e il Sig. Me. Pi. chiedendo la reiezione dell’appello e riproponendo le censure del ricorso di primo grado assorbite dal TAR.
All’udienza pubblica del 9 marzo 2021 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Preliminarmente i due appelli in oggetto devono essere riuniti, in quanto rivolti contro la medesima sentenza, ex art. 96, comma 1, c.p.a.
2. Si può passare all’esame dei motivi di appello con cui si ribadiscono le eccezioni di rito già formulate in primo grado e disattese dal TAR.
Con riguardo all’eccezione di difetto di legittimazione sia dell’Associazione nazionale ambientalista Le. sia del sig. Pi. Me..
Con riguardo all’Associazione nazionale ambientalista Le. essa è associazione nazionale individuata ai sensi dell’art. 13 L. n. 349-1986, la cui legittimazione ad agire è espressamente prevista dalla medesima norma all’art. 18, per ogni ipotesi in cui la iniziativa sia volta alla prevenzione, contrasto o ripristino di situazioni con potenziale rischio o concreta verificazione di danno ambientale.
Vista la legittimazione processuale speciale prevista per le associazioni riconosciute ex art. 310 d.lgs. n. 152-2006 ed ex art. 139 d.lgs. n. 206-2005, non può dubitarsi della legittimazione ad agire dell’appellante in esame.
Infatti, come è noto, il concetto di tutela del bene ambiente deve intendersi in senso ampio, potendo comprendere ogni situazione idonea a cagionare un pregiudizio all’ambiente, quantunque in via diretta finalizzato alla tutela di interessi di natura più circoscritta o diversi; dunque, anche in riferimento a contestazioni rivolte ad atti di natura urbanistica, quali quelli impugnati nel presente giudizio, è possibile riconoscere la legittimazione ad agire delle associazioni ambientaliste, ogni qualvolta si deduca che tali atti sono idonei a compromettere l’ambiente, il che è certamente quanto viene prospettato con riferimento al PPE impugnato in primo grado.
Né può, per altro verso, sostenersi che il presente giudizio non sia attinente alla materia dell’ambiente, dal momento che, come evidenziato nella sentenza appellata, almeno due motivi del ricorso all’esame sollevano questioni di natura prettamente ambientale, quali la mancata sottoposizione del progetto alla valutazione ambientale strategica o la mancata allegazione della relazione geologica al progetto preliminare.
Per quanto concerne la legittimazione del sig. Pi. Me., la sua legittimazione si fonda sul concetto di vicinitas, in quanto il medesimo è proprietario di un fabbricato nel quale risiede, collocato in area 2.1a, a circa 100 mt. dall’area 4.11, destinata dal PPE a nuova edificazione.
Il requisito (incontestato) della vicinitas è di per sé sufficiente a supportare la legittimazione e l’interesse ad agire dell’appellante, dal momento che essa aggiunge l’elemento della differenziazione ad interessi qualificati in virtù delle norme costituzionali o di quelle ordinarie nelle materie che di volta in volta vengono in rilievo (nel caso, l’ambiente e l’urbanistica).
Ai fini della sussistenza delle condizioni dell’azione avverso provvedimenti lesivi dal punto di vista ambientale, il criterio della vicinitas, ovvero il fatto che i ricorrenti vivano abitualmente in prossimità del sito prescelto per la realizzazione dell’intervento o abbiano uno stabile e significativo collegamento con esso, tenuto conto della portata delle possibili esternalità negative rappresenta quindi un elemento di per sé qualificante dell’interesse a ricorrere e pretendere la dimostrazione di un sicuro pregiudizio all’ambiente o alla salute, ai fini della legittimazione e dell’interesse a ricorrere, costituirebbe una probatio diabolica, tale da incidere sul diritto costituzionale di tutela in giudizio delle posizioni giuridiche soggettive (Cons. St., Sez. V, 31 maggio 2012, n. 3254 e, da ultimo: Cons. St., Sez. IV, 9-11¬ 2020, n. 6862; inoltre, Cass., SS.UU., 27 agosto 2019, n. 21740).
Peraltro, nel caso in esame, la sussistenza della legittimazione e dell’interesse a ricorrere sono altresì dimostrati dal fatto che il fabbricato di proprietà del sig. Me. verrebbe penalizzato in termini di luce, aria e visione dalla costruzione dei nuovi edifici, aventi un’altezza di 21 mt ed inoltre, a seguito della edificazione delle aree inedificate, costituenti il bacino di laminazione delle acque meteoriche provenienti anche dalla linea ferroviaria Torino Milano, l’area ove sorge il fabbricato potrebbe essere destinata ad essere frequentemente allagata.
Né può sostenersi che la causa petendi dell’Associazione ambientalista e del privato siano disomogenee, atteso che entrambi gli appellati agiscono per la tutela dei medesimi interessi ed invocano le medesime ragioni di tutela, contestando il PPE e la contestuale variante al PRGC per le ricadute ambientali che l’intervento edilizio oggetto della strumento urbanistico comporterebbe all’ambiente, al paesaggio e all’assetto idrogeologico, e che, per il privato, si tradurrebbero anche in un pregiudizio per la luce, l’aria e la visione dal proprio immobile, nonché in un rischio di allagamento, come detto.
Pertanto, deve ritenersi fondata la legittimazione ad agire di entrambi i ricorrenti ed attuali appellanti.
3. Deve parimenti essere respinta l’eccezione di tardività del ricorso nella parte in cui aveva per oggetto le delibere consiliari n. 21 del 10.5.2010 e n. 80 del 21.12.2010, con i quali il Comune di (omissis) ha controdedotto alle osservazioni della Regione.
Infatti, sia la deliberazione n. 21 del 10.5.2010 sia la deliberazione n. 80 del 21.12.2010 non potevano ritenersi atti immediatamente lesivi al momento della loro adozione, non essendosi ancora concluso il procedimento di approvazione del PPE e contestuale variante, avvenuto solo con la definitiva approvazione da parte della Regione Piemonte con successiva deliberazione in data 17.5.2011.
La mancata impugnazione di tali atti endoprocedimentali non poteva, pertanto, ritenersi idonea a configurare un sopravvenuto difetto di interesse, anche perché, evidentemente, l’annullamento degli atti presupposti avrebbe ovviamente determinato la caducazione degli atti successivamente adottati.
Peraltro, si eccepisce che sarebbe stata acquisita da parte dei ricorrenti (odierni appellati) la piena conoscenza di tali provvedimenti e che era onere dei medesimi impugnarli tempestivamente entro il 24.04.2011 (mentre l’impugnazione è intervenuta nel mese di luglio 2011), ma non si dimostra in alcun modo come i ricorrenti avrebbero avuto piena conoscenza dei suddetti atti, piena conoscenza che non è surrogabile, come è noto, dalla conoscenza che, dei medesimi, hanno i difensori in giudizio dei ricorrenti medesimi (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 2 febbraio 2011, n. 747; Id., Sez. VI, 28 dicembre 2011, n. 6908).
Inoltre, come statuisce esattamente il TAR, la sentenza di primo grado n. 657-2011 ha pronunciato esclusivamente la parziale improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse derivante dalla mancata impugnazione delle delibere consiliari nn. 21-2010 e 80-2010 (oggetto del presente giudizio), intervenute successivamente all’atto oggetto di causa (delibera consiliare n. 61-2009).
La sentenza n. 657-2011 non ha tuttavia pronunciato l’inammissibilità della impugnazione delle delibere consiliari nn. 21 e 80 del 2010.
4. Le parti appellanti hanno eccepito l’inammissibilità di alcuni dei motivi di ricorso per violazione del principio “ne bis in idem”, applicabile a seguito della sentenza di primo grado n. 657-2011, già citata, che avrebbe già esaminato identiche doglianze.
Il TAR ha tuttavia correttamente rilevato che solo il primo motivo del ricorso di primo grado sarebbe potenzialmente interessato dall’eventuale applicazione del principio del ne bis in idem; ma se ne può prescindere in ragione della fondatezza del secondo motivo di ricorso, inerente vizi propri della D.G.R. n. 11-2010 del 17.5.2011, a mezzo della quale il PPE è stato approvato in via definitiva e che è stato ritenuto illegittimo.
5. Nel merito, deve preliminarmente osservarsi che In linea generale, giova ricordare che la giurisprudenza amministrativa ha costantemente e da tempo precisato (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. IV, 25 giugno 2019, n. 4343) che il disegno urbanistico definito da uno strumento di pianificazione generale o da una sua variante costituisce estrinsecazione del potere pianificatorio connotato da ampia discrezionalità, che rispecchia delle scelte riguardanti non solo l’organizzazione del territorio, ma anche il quadro assai più vasto delle opzioni inerenti al suo sviluppo socio-economico (Consiglio di Stato, sez. IV, 1 agosto 2018, n. 4734).
Le scelte urbanistiche configurano dunque valutazioni di merito sottratte al sindacato giurisdizionale di legittimità, salvo i casi in cui siano inficiate da errori di fatto, violazioni procedurali, illogicità abnormi o siano confliggenti con particolari situazioni che abbiano dato luogo ad aspettative qualificate (Consiglio di Stato, sez. IV, 22 febbraio 2017, n. 821).
Nel caso di specie, il TAR ha correttamente sindacato le delibere impugnate proprio sotto il profilo degli errori di fatto dedotti, analiticamente e specificamente individuati nella sentenza impugnati, dai quali discende la ritenuta illegittimità del piano strutturale approvato.
6. Sempre in via preliminare, deve rilevarsi che sia i motivi di ricorso dedotti sia la sentenza che li ha accolti indicano chiaramente le carenze e le contraddittorietà dell’attività istruttoria, nonché il mancato adeguamento dello strumento urbanistico alle prescrizioni delle competenti autorità intervenute nel corso dell’istruttoria amministrativa (ARPA, pareri competenti Settori regionali), nonché alle prescrizioni normative, regolamentari e urbanistiche.
7. Le criticità idrogeologiche evidenziate nella sentenza impugnate appaiono immuni da vizi, così come dedotti negli atti di appello.
Infatti, l’area oggetto del PPE è classificata in fascia C del PAI e nella classe IIIb2.1 della circolare n. 7LAP.
In tale area sono state realizzate uno serie di opere di sistemazione idraulica collaudate nel 2006, ma la reiterazione di tali episodi anche in epoca successiva all’inizio del procedimento di variante del PRGC (in particolare, l’alluvione dell’area ancora nel 2010), ha evidenziato l’inadeguatezza degli interventi di messa in sicurezza eseguiti nella zona nel 2006, quegli stessi interventi che sono stati evocati a giustificazione del mutamento di destinazione urbanistica impresso all’area, divenuta edificabile con elevatissimo indice fondiario: l’inidoneità e l’insufficienza delle opere del 2006 a garantire l’area dal rischio alluvioni è dimostrata dagli eventi alluvionali verificatisi nel 2010 nell’area, peraltro neppure considerati dal Comune di (omissis).
Del resto, nel senso dell’assoluta indispensabilità al fine dell’edificabilità dell’area della previa realizzazione di opere di messa in sicurezza efficienti e funzionali si erano già reiteratamente espressi sia l’ARPA in data 9.4.2010 sia il Settore Pianificazione Difesa del Suolo Dighe della Regione Piemonte in data 21.4.2010 e le criticità erano state ulteriormente ribadite dalla CTU della Regione, nonché nelle relazioni in data 14.7.2010 e 22.7.2010.
Peraltro, il parere della Regione Piemonte, Direzione OO.PP in data 2.7.2010, nel descrivere il sopralluogo eseguito con l’Ing. Lisa Dirigente del Comune, non riferisce nulla sullo stato di manutenzione dei corsi d’acqua, condizione invece assolutamente essenziale alla loro funzionalità, oltre che condizione imprescindibile per l’edificabilità della zona.
Quanto al Rio Orchetto, lo strumento urbanistico, come attestano sia le controdeduzioni del Comune sia la relazione del dott. Cairola, allegate alla deliberazione consiliare n. 80 in data 21.12.2010, mantiene ferma la parziale intubazione del Rio ed il tracciato è modificativo del corso naturale, nonostante tali interventi siano stati oggetto di critiche da parte dell’ARPA nel parere espresso nell’aprile 2010.
Condivisibilmente, pertanto, la sentenza del TAR contesta il fatto che il progetto approvato prevede ancora la parziale copertura del Rio Orchetto e non è dato comprendere per quale ragione esattamente si sia ritenuto di superare il parere negativo dell’ARPA, in violazione dell’art. 73 delle NTA.
Inoltre, correttamente la sentenza del TAR indica quale aspetto che inficia la legittimità del Paino approvato il mancato adeguamento del Comune ai rilievi mossi dall’ARPA con riguardo all’innalzamento del piano di campagna dell’area edificanda ed alla sua impermeabilizzazione.
Nella relazione in data 14.7.2010, infatti, la Direzione Programmazione Strategica Politiche Territoriali ed Edilizia – Settore Copianificazione Urbanistica Area Metropolitana, al punto 3.3, dopo aver richiamato le criticità evidenziate dall’ARPA nella nota in data 9-4-2010 e dal Settore Difesa del Suolo in data 21-4-2010, ha invitato il Comune a produrre ulteriori chiarimenti e specificazioni, specie in riferimento alla realizzazione delle opere di salvaguardia relative al reticolo minore, nonché alla classificazione dell’area a seguito della attuazione degli interventi previsti dal PAI.
In sede di controdeduzioni nel novembre 2010 (doc. 18 Comune (omissis)) allegata alla deliberazione C.C. n. 80 in data 21.12.2010, tuttavia, il Comune di (omissis) ha dichiarato di mantenere l’innalzamento artificiale del piano di campagna, nonostante i rilievi critici mossi da ARPA, ribadendo che le criticità formulate da ARPA (non contestate nel merito e quindi ritenute pertinenti e fondate) saranno tenute in debito conto in fase attuativa degli interventi e saranno oggetto di apposita relazione idro- geologica da parte del geo e che le prescrizioni saranno inserite nelle NTA del PPE.
E’ evidente come la risposta fornita non possa in alcun modo essere ritenuta satisfattiva di quanto richiesto da ARPA e meno che mai tutelante la sicurezza dell’area edificanda.
Correttamente, pertanto, la sentenza del TAR impugnata ha ritenuto inopportuno approvare una variante di simile impatto, con l’impegno finanziario che esso comporta per l’esecutore del Piano e con il rischio che i lotti edificabili vengano ceduti a terzi nel frattempo, senza acquisire preventivamente la dimostrazione richiesta dall’ARPA.
E’ evidente che l’edificazione di un’area che presenta un rilevante rischio idrogeologico non può essere demandata alla successiva fase di realizzazione del piano e della costruzione degli edifici, ma logicamente e necessariamente deve avvenire prima di tale fase meramente esecutiva.
La realizzazione di un’area non idonea sotto il profilo idrogeologico non comporta solamente conseguenze economiche negative, ma, soprattutto, rilevanti danni all’incolumità delle persone e dell’ambiente.
Le modifiche introdotte ex officio dalla Regione in sede di approvazione dello strumento urbanistico non possono ritenersi idonee e sufficienti a consentire l’edificazione dell’area prevista dal PPE, in quanto non è stata dimostrata l’efficienza delle opere di sicurezza realizzate nel 2006, né la realizzazione delle opere ulteriori, cui è subordinata l’edificazione in sicurezza dell’area.
Parimenti, non è stata acquisita dimostrazione che la parziale intubazione del Rio Orchetto e la modifica del tracciato del rio non comprometteranno il deflusso delle acque, né sia stata acquisita dimostrazione che l’innalzamento dell’area di campagna dell’area di lottizzazione e la conseguente impermeabilizzazione della medesima non procureranno un eccesso del deflusso sulla proprietà di terzi e la compromissione della sicurezza degli stabili, nonché, infine, non è stata acquisita dimostrazione che le opere di regimazione del Rio Orchetto, del Canale Gronda Ovest e del Canale scolmatore di Pratoreggio saranno sempre manutenute, da chi e con oneri a carico di quale soggetto.
Infine, deve rilevarsi che l’area interessata dal PPE ha un elevato indice fondiario, atteso che il Piano Particolareggiato prevede la modifica dei parametri contenuti nella tabella del PRGC; infatti, si conserva la quantità edificatoria consentita e pari a mc. 41.872, alla quale viene aggiunta la volumetria totale dell’edificio a destinazione industriale, pari a mc. 14.200, per un totale di mec. 56.072 di volumetria consentita: l’indice territoriale viene modificato e risulta pari a 1.35 mc/mq e l’indice fondiario medio residenziale diventa pari a 2,47 mc/mq.
Complessivamente, a fronte della volumetria totale pari a 56.072 mc, riferita alla Superficie Fondiaria totale pari a 22.307 mq, l’Indice fondiario risulta pari a 2,52 mc/mq. Vengono, quindi, previsti 550 nuovi abitanti, con un incremento delle previsioni abitative di 85 abitanti (incremento del 18% circa rispetto alla previsione del PRGC vigente).
Il Comune ha mantenuto la volumetria di cui all’originario progetto del PPE, giustificandolo con motivazioni eminentemente di natura economico-finanziaria che non possono certo ritenersi superiori agli interessi di tipo ambientale su cui la variante in oggetto va ad impattare e che necessita di una più approfondita istruttoria in merito alle criticità evidenziate e correttamente indicate nella sentenza del TAR.
La variante, di notevole impatto urbanistico, ambientale e paesaggistico è stata approvata dunque senza che vi sia certezza che il progetto possa essere effettivamente realizzato in sicurezza, da tutti i punti di vista, con la conseguenza che l’Amministrazione dovrà necessariamente approfondire gli aspetti istruttori sopra evidenziati, senza possibilità che, per effetto dell’annullamento così disposto, possa rivivere il precedente piano, risalente al 1983, che è da ritenersi, all’evidenza, ormai del tutto inadeguato sotto il profilo della tutela delle sicurezza e dell’ambiente e che verosimilmente non potrà essere utilizzato dal Comune per consentire l’attività edilizia ivi in astratto prevista.
8. Conclusivamente, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello deve essere respinto in quanto infondato, restando dunque assorbiti, per esigenze di economia processuale, i motivi di appello risposti dalle parti appellate nel grado di appello.
Le spese di lite del presente grado di giudizio possono essere compensate, sussistendo giusti motivi.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda,
Definitivamente pronunciando sugli appelli, previamente riuniti, come in epigrafe indicati, li respinge.
Compensa le spese di lite del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 marzo 2021 con l’intervento dei magistrati:
Giulio Castriota Scanderbeg – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere, Estensore
Italo Volpe – Consigliere
Cecilia Altavista – Consigliere
Carla Ciuffetti – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Per aprire la pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *