Il concetto di “centro abitato” e demanio comunale

Consiglio di Stato, Sentenza|11 aprile 2022| n. 2716.

Il concetto di “centro abitato” e demanio comunale

Il concetto di “centro abitato”, cui bisogna far riferimento per i fini dell’applicazione del suddetto art. 22, non è di tipo formale (non rileva pertanto il richiamo a delimitazioni amministrative dei luoghi) e coincide piuttosto con quello preso in considerazione dall’art. 16, lett. B), della stessa legge: all’uopo deve quindi intendersi come “abitato” ogni agglomerato urbano, o parte di esso, posto in continuità con un centro cittadino ed in cui si registri un’apprezzabile presenza di fabbricati destinati a residenze civili o di stabilimenti produttivi. È infatti l’antropizzazione di una località, ancor prima dei confini amministrativi di essa, a giustificare l’attrazione nell’ambito del demanio comunale – in tutta la sua estensione (cioè incluse le pertinenze ed i diritti pubblici su beni altrui) – delle infrastrutture destinate a servizio della collettività insediata sul territorio.

Sentenza|11 aprile 2022| n. 2716. Il concetto di “centro abitato” e demanio comunale

Data udienza 8 marzo 2022

Integrale

Tag- parola chiave Strade – Classificazioni – Spazi adiacenti le strade comunali ed aperti sul suolo pubblico – Appartenenza al demanio – Presunzione legale

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Settima
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9132 del 2021, proposto da
It. Pe. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fe. Ca. Te., Ga. Zu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ch. De Si., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sezione staccata di Latina Sezione Prima n. 00572/2021, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 marzo 2022 il Cons. Rosaria Maria Castorina e uditi per le parti gli avvocati Ga. Zu. e Ch. De Si.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

Il concetto di “centro abitato” e demanio comunale

FATTO

It. Pe. s.p.a. impugnava l’ordinanza n. 39 del 20 luglio 2021 del Comune di (omissis), con la quale le veniva: a) ordinato di sgomberare il suolo pubblico sito in via (omissis), oggetto della concessione rep. 740 del 5 novembre 2002 nel termine di 90 giorni, e di ripristinare lo stato dei luoghi; b) revocata l’autorizzazione all’esercizio dell’impianto di distribuzione carburanti ivi installato, con decorrenza dallo scadere del predetto termine di 90 giorni.
Il Tar del Lazio dichiarava inammissibile il ricorso per tardività sul presupposto che l’ordinanza di sgombero fosse atto meramente consequenziale alla nota la municipale prot. n. 11026 del 22 giugno 2020, rimasta inoppugnata, con la quale si comunicava, a far data dal 30 ottobre 2020, la disdetta della concessione contratto rep. n. 740 del 5 novembre 2002.
It. Pe. s.p.a. proponeva appello
Resisteva il Comune di (omissis).
All’udienza del giorno 8.3.2022 la causa passava in decisione.

 

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DIRITTO

A sostegno del gravame vengono addotte le seguenti doglianze:
1.Error in iudicando: difetto di giurisdizione, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1, 7, 9, 11 e 133, comma 1, lett. b), del codice del processo amministrativo, del principio di effettività della tutela. Eccesso di potere per travisamento dei fatti, erroneità dei presupposti, difetto di motivazione, illogicità, ingiustizia manifesta;
2. Error in iudicando et procedendo: Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia, violazione e/o degli artt. 41 e 97 della Costituzione, dei principii del giusto procedimento, dell’imparzialità e del buon andamento e correttezza dell’azione della pubblica amministrazione.
Eccesso di potere per travisamento dei fatti, erroneità dei presupposti, carenza di istruttoria, difetto di motivazione, contraddittorietà, sviamento, sproporzione, illogicità, ingiustizia manifesta;
3. Error in iudicando et procedendo: Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia. Illegittimità in via derivata del provvedimento di revoca dell’autorizzazione petrolifera. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 7 e 21 quinquies della L. 241 del 1990 e degli artt. 41 e 97 della Costituzione. Eccesso di potere per travisamento dei fatti, erroneità dei presupposti, carenza di istruttoria, difetto di motivazione;
4. Error in iudicando et procedendo: Erroneità e illegittimità della condanna alle spese del primo grado; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e dell’art. 26, comma 1, c.p.a. Difetto di motivazione. Ingiustizia manifesta.
Le censure sono suscettibili di trattazione congiunta in quanto strettamente connesse.
Esse non sono fondate.

 

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5. Plenaria 19/2021 conferma indirizzo precedente e SS. UU.
Non ignora il Collegio che con ordinanza n. 2013 del 9 marzo 2021 la seconda sezione di questo Consiglio di Stato ha rimesso all’Adunanza plenaria una serie di questioni tra cui quella: “se possa ammettersi in appello un motivo di impugnazione, per contestare la giurisdizione del giudice amministrativo, anche nell’ipotesi in cui siffatto motivo di appello sia introdotto in secondo grado da chi aveva introdotto il giudizio dinanzi al Tribunale amministrativo regionale”.
Tuttavia, nella specie, non appare necessario attendere la pronuncia dell’Adunanza Plenaria; la ricorrente, che ben avrebbe potuto proporre regolamento preventivo di giurisdizione, ha adito il giudice amministrativo da un lato per chiedere una pronuncia sul merito, preceduta da misure cautelari, e dall’altro per rinnegare quella stessa giurisdizione, domandandone la declinatoria.
Il Tar ha correttamente evidenziato che l’odierna appellante aveva adito il TAR impugnando il provvedimento con cui era stata disposta la revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’impianto di erogazione di carburante e la conseguente ordinanza di sgombero e che, in relazione agli atti impugnati, il giudice adito era dotato di giurisdizione (essendo poi questione di “merito” accertare se vi fossero i presupposti per l’adozione dell’impugnato provvedimento, anche sotto il profilo della natura giuridica del bene pubblico, oggetto del rapporto con IP).
6.L’eccezione di inammissibilità della produzione documentale offerta dal Comune di (omissis) per tardività deve essere disattesa.
Nella specie il giudizio di primo grado è stato definito con sentenza in forma semplificata all’esito di una camera di consiglio fissata dopo 28 giorni dall’inoltro del ricorso alla PEC del protocollo, prima che fossero scaduti gli stessi termini di costituzione delle parti, sebbene nel rispetto del potere attribuito al giudice dall’art. 60 c.p.a., che richiede soltanto che “siano trascorsi almeno venti giorni dall’ultima notificazione del ricorso”.
Sul punto deve infatti osservarsi che il rispetto dei principi del giusto processo impone di interpretare gli artt. 60 e 104 c.p.a. nel senso che, in caso di ricorso incamerato in decisione prima della scadenza del termine di costituzione delle parti intimate, deve essere consentito a queste ultime di svolgere ed integrare le proprie difese in appello anche mediante produzioni documentali che altrimenti sarebbero precluse, al fine di espletare il pieno esercizio del diritto di difesa (Consiglio di Stato 7026/2018).
Nella specie il Comune resistente ha usufruito, per la completa produzione documentale, del ristretto termine di soli ventidue giorni (tale è il lasso di tempo ricompreso tra il 23.09.2021, data di notificazione del ricorso, e il 16.10.2021, data di scadenza del termine per memorie e documenti ex art. 55, comma 5, c.p.a. in vista della camera di consiglio del 20.10.2021), sicché la produzione deve ritenersi ammissibile.
7. Per la migliore intelligenza delle ragioni del decidere, è opportuno precisare ulteriormente in fatto che:
con contratto Rep. 740, sottoscritto in data 5 novembre 2002 tra il Comune di (omissis) e l’allora Società A.P.T. Anonima Petroli Italiana SPA -oggi It. Pe. SPA- l’Ente ha concesso alla predetta Società la disponibilità del suolo pubblico sito in Via (omissis) per l’installazione di un impianto di distribuzione di carburanti;
– con lettera prot. n. 0011026 del 22 giugno 2020 l’Amministrazione – nel rispetto dei termini stabiliti dalla clausola contrattuale relativa all’istituto della disdetta (art. 7, lett. d, contratto Rep. 740) – ha comunicato formalmente l’intenzione di disdire il contratto de quo a far data dal 30 ottobre 2020, con l’obbligo di ripristino dello stato dei luoghi ex ante;
– con nota prot. n. 4198 del 9 marzo 2021, avente ad oggetto “comunicazione di avvio del procedimento ai sensi degli artt. 7 e segg. della Legge 241/90 – Ordinanza di sgombero della disponibilità del bene demaniale occupato dalla It. Pe. SPA sito in (omissis) alla Via (omissis)”, l’Ente ha comunicato “alla It. Pe. SPA, l’avvio del procedimento ai sensi degli artt. 7 e segg. della Legge 241/90 per il recupero della disponibilità del bene demaniale sito in Via (omissis) e attualmente occupato dalla It. Pe. Spa”;
L’appellante non ha sgomberato l’area né ripristinato lo stato dei luoghi non ritenendo applicabile il regime concessorio.

 

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Ed invero, muovendo dalla contraria affermazione dell’appartenenza del bene al patrimonio disponibile del Comune di (omissis) la IP, da un lato, denuncia l’illegittimo esercizio dei poteri di autotutela attivati dall’amministrazione civica e, dall’altro, proclama la perdurante efficacia dell’originario rapporto legittimante l’uso dell’area comunale, in quanto asseritamente regolato dalla disciplina speciale sulle locazioni degli immobili urbani (segnatamente la L. n. 392/1978 e le normative successivamente intervenute in tema di proroga legale della durata dei contratti).
In dettaglio, le argomentazioni spiegate dalla società appellante poggiano essenzialmente sui seguenti elementi: – in epoca antecedente al rilascio dell’assenso alla realizzazione dell’impianto, l’area era priva di qualunque specifica utilità pubblica; non era utilizzata per il transito dei veicoli, né per la sosta, né il Comune ne avrebbe dimostrato la demanialità ; della demanialità dell’area non si faceva menzione nel contratto del 2002.
8. Occorre premettere alla successiva esposizione che il Collegio ritiene di poter conoscere incidentalmente della natura (demaniale, patrimoniale indisponibile o disponibile) di un bene di proprietà comunale ai sensi degli artt. 28 del R.D. 26.6.1924, n. 1054 ed 8 della L. 6.12.1971, n. 1034. Infatti, ancorché l’accertamento dello statuto dominicale di un immobile spetti in via principale al giudice ordinario, nondimeno la risoluzione della questione costituisce, nel caso di specie, un passaggio logicamente indefettibile per lo scrutinio, riservato alla giurisdizione amministrativa, della legittimità dell’atto di autotutela impugnato in prime cure, giacché per la decisione sull’oggetto della presente controversia non è indispensabile che la particolare questione dibattuta venga definita con sentenza passata in cosa giudicata. Invero il rito amministrativo impone l’arresto obbligatorio del giudizio (oltre che nei casi, positivamente tipizzati, di rinvio ad altro giudice, come avviene nel caso della rimessione degli atti alla Corte costituzionale o alla Corte di Giustizia delle comunità europee) soltanto qualora si pongano questioni pregiudiziali in ordine all’incidente di falso oppure concernenti lo stato e la capacità dei privati individui (questioni che notoriamente devono esser definite con una sentenza passata in giudicato), mentre in ogni altro caso prevale il principio della autonomia dei due processi, le cui reciproche interferenze vanno, dunque, risolte sulla base delle regole che presiedono, nei rispettivi ambiti cognitori, agli accertamenti incidentali.
Tanto chiarito, va detto che nessuno degli argomenti portati dall’appellante a sostegno della propria pretesa si mostra conferente rispetto all’oggetto della dimostrazione (ossia la natura non demaniale del terreno occupato dal distributore di carburanti e dall’annessa stazione di servizio). Ed invero, l’allegazione secondo cui, in epoca antecedente al rilascio dell’assenso alla realizzazione dell’impianto, l’area fosse priva di qualunque specifica utilità pubblica e non utilizzata per il transito o per la sosta dei veicoli, ancor prima che indimostrata, si rivela assolutamente priva di pertinenza rispetto al tema dibattuto.
Nel caso del demanio, la sopravvenuta cessazione dell’utilità pubblica del bene può, al più, giustificare l’adozione da parte dell’amministrazione proprietaria (o di altra indicata dalla legge) di un atto esplicito di sdemanalizzazione; tuttavia, finché non intervenga una determinazione espressa in tal senso, il bene demaniale continua ad essere tale, giacché i criteri che regolano in origine tale appartenenza sono stabiliti direttamente dalla legge.
Il richiamo alle risultanze catastali, a prescindere dalla scarsa idoneità dimostrativa di tali documenti (consideratane la ridotta valenza probatoria), depone poi contro le allegazioni della appellante.
Non ha alcuna rilevanza che la concessione non faccia alcun accenno alla demanialità dell’area data in uso attesa la superfluità di una precisazione del genere in presenza di un atto espressamente denominato “Concessione di suolo pubblico” e recante un coerente contenuto precettivo.
9.Il Giudice di prime cure ha osservato condivisibilmente che:
a) l’atto rep. n. 740 del 5 novembre 2002, che disciplina il rapporto intercorso tra Comune di (omissis) e IP s.p.a., è una concessione di suolo pubblico e non una locazione, non richiamando, del resto, neppure le disposizioni della l. n. 392 del 1978 oggi invocate da parte ricorrente;
b) il corrispettivo del diritto di godimento sull’area de qua è una tariffa di occupazione di suolo pubblico e non un canone di locazione;
c) l’art. 7 della suddetta concessione prefigura ampi poteri dell’Amministrazione sul bene pubblico che appaiono incompatibili con un rapporto di natura privatistica costituito su basi paritarie;
d) l’immobile appare essere una pertinenza stradale che, ai sensi degli artt. 817, 822, comma 2, 826, e 24, d.lgs. 30 aprile 1992 n. 285, non fa parte del patrimonio disponibile dell’ente locale.
10. L’art. 22 della L. n. 2248/1865 nella parte d’interesse (primo e terzo comma), recita: “Il suolo delle strade nazionali è proprietà dello Stato; quello delle strade provinciali appartiene alle province, ed è proprietà dei comuni il suolo delle strade comunali (…) Nell’interno delle città e villaggi fanno parte delle strade comunali le piazze, gli spazi ed i vicoli ad esse adiacenti ed aperti sul suolo pubblico, restando però ferme le consuetudini, le convenzioni esistenti ed i diritti acquisiti”.
L’art. 22 stabilisce una presunzione legale circa l’appartenenza al demanio degli spazi adiacenti le strade comunali ed aperti sul suolo pubblico. Per l’operare di siffatta presunzione è sufficiente dimostrare che l’area è ubicata all’interno dell’abitato e che essa è obiettivamente pertinenziale, ossia accessibile dall’area stradale, a questa contigua nonché inserita nel sistema viario comunale. La prova necessaria a vincere siffatta presunzione è poi vincolata, visto che il legislatore del 1865 ha preteso la dimostrazione, ad esclusivo onere dell’interessato, dell’esistenza di contrarie consuetudini, convenzioni o diritti acquisiti.
Nel caso in esame, va riconosciuta la natura obiettivamente pertinenziale del terreno di proprietà pubblica (basti al riguardo considerare, pur volendo prescindere dal rilievo che ogni stazione per l’erogazione di carburanti è per definizione posta a servizio degli utenti della strada, che l’effettiva adiacenza ed il diretto collegamento dell’area al sistema viario comunale emerge eloquentemente dalla visione della documentazione prodotta dal Comune oltre che dalle planimetrie depositate).
Ciò precisato, come risulta dalla documentazione in atti, l’area de qua è una porzione della carreggiata di via (omissis) in direzione dal centro verso la SR 213 Flacca, dunque è un bene demaniale, a tale categoria dovendo ascriversi non solo le strade, ma anche “le piazze, gli spazi ed i vicoli ad esse adiacenti ed aperti sul suolo pubblico” (art. 22, All. F., L. 20.03.1865, n. 2248).

 

Il concetto di “centro abitato” e demanio comunale

Inoltre il concetto di “centro abitato”, cui bisogna far riferimento per i fini dell’applicazione del suddetto art. 22, non è di tipo formale (non rileva pertanto il richiamo a delimitazioni amministrative dei luoghi) e coincide piuttosto con quello preso in considerazione dall’art. 16, lett. B), della stessa legge: all’uopo deve quindi intendersi come “abitato” ogni agglomerato urbano, o parte di esso, posto in continuità con un centro cittadino ed in cui si registri un’apprezzabile presenza di fabbricati destinati a residenze civili o di stabilimenti produttivi. È infatti l’antropizzazione di una località, ancor prima dei confini amministrativi di essa, a giustificare l’attrazione nell’ambito del demanio comunale – in tutta la sua estensione (cioè incluse le pertinenze ed i diritti pubblici su beni altrui) – delle infrastrutture destinate a servizio della collettività insediata sul territorio.
Una volta dimostrata la natura demaniale e, più in dettaglio, pertinenziale (art. 822 c.c.), del terreno in questione (difettando la prova del contrario che avrebbero dovuto fornire l’appellante), cade in via consequenziale la tesi dell’applicabilità alle concessioni sopra menzionate della normativa civilistica in materia di locazioni.
Come correttamente evidenziato dal Tar, la nota municipale del 22 giugno 2020 ha natura di provvedimento volto all’estinzione del rapporto concessorio in essere, dato che essa cita chiaramente la facoltà unilaterale di disdetta contemplata dall’art. 7, lett. d), del contratto rep. n. 740 del 5 novembre 2002 e manifesta in modo inequivocabile l’intenzione di avvalersene, contenendo a tal fine anche la ratifica da parte del Sindaco, legale rappresentante dell’ente locale, a ulteriore conferma della definitività della determinazione assunta, mentre il provvedimento gravato rappresenta uno sviluppo vincolato della precedente vicenda amministrativa che ha visto l’estinzione del rapporto concessorio.
La mancata impugnazione del provvedimento di disdetta della concessione ne ha comportato la definitività e la conseguente tardività dell’impugnazione del provvedimento gravato.
L’appello deve essere, pertanto, rigettato.
Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali che liquida in euro 3000,00 oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2022 con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari – Presidente
Daniela Di Carlo – Consigliere
Pietro De Berardinis – Consigliere
Marco Morgantini – Consigliere
Rosaria Maria Castorina – Consigliere, Estensore

 

Il concetto di “centro abitato” e demanio comunale

 

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