Consiglio di Stato, Sentenza|12 marzo 2021| n. 2145.
Il concetto di biomassa viene assimilata ad una fonte energetica rinnovabile per la produzione di energia elettrica ma solo a ben chiare condizioni: quella di bruciarne quantità limitate che siano reperibili in un ambito di filiera corta. A differenza di eolico e fotovoltaico, infatti, la combustione di biomasse per produrre energia elettrica non evita l’emissione in atmosfera di gas. Ciò rende evidente che, in un impianto a biomasse in assetto cogenerativo, la potenza termica e quella elettrica sono strettamente correlate tra loro, dai principi fisici e tecnologici stessi sui quali si basa il rendimento energetico dell’impianto. Con la conseguenza che, se un impianto richiede ingenti quantità di combustibile, allora è indispensabile sottoporre il relativo progetto ad un esame più rigoroso e completo da parte degli enti competenti, risultando insufficiente il meccanismo invocato della procedura autorizzativa semplificata.
Sentenza|12 marzo 2021| n. 2145
Data udienza 9 marzo 2021
Integrale
Tag – parola chiave: Autorizzazione alle emissioni in atmosfera – Art. 269, D.Lgs. n. 152/06 – Esercizio di una centrale per la produzione di energia elettrica alimentata a biomasse – Art. 27, comma 20, L. n. 99 del 2009 – Procedura semplificata per gli impianti operanti in assetto cogenerativo – Principio di precauzione – Art. 3 ter, D.Lgs. n. 152 del 2006 – Complessità istruttoria
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1816 del 2015, proposto da
Fl. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Gi. Ma. Ci., con domicilio eletto presso il dott. Pi. Ma. in Roma, via (…);
contro
Provincia di Brindisi, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Ma. Ma. Gu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Regione Puglia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Ti. Te. Co., con domicilio eletto presso gli uffici della Delegazione Romana della Regione stessa in Roma, via (…);
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ra. Mo., con domicilio eletto presso lo studio Serra in Roma, viale (…);
Arpa Puglia – Dipartimento Provinciale di Brindisi, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, Sezione Prima, n. 02823/2014, resa tra le parti, concernente autorizzazione alle emissioni in atmosfera per l’esercizio di una centrale per la produzione di energia elettrica alimentata a biomasse – risarcimento danni.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Brindisi, della Regione Puglia e del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza smaltimento del giorno 9 marzo 2021 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti, in collegamento da remoto, gli avvocati Ciullo, Guadalupi e Colelli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con l’appello in esame la società odierna parte appellante impugnava la sentenza n. 2823 del 2014 del Tar Lecce, di reiezione dell’originario gravame. Quest’ultimo era stato proposto dalla stessa parte al fine di ottenere l’annullamento del provvedimento dirigenziale di autorizzazione n. 1 del 14/01/2014 della Provincia di Brindisi – Servizio Ambiente ed Ecologia avente ad oggetto “Autorizzazione alle emissioni in atmosfera art. 269 del D.Lgs. n. 152/06 per l’esercizio di una centrale per la produzione di energia elettrica alimentata a biomasse nel Comune di Cellino S.M. Fl. s.r.l.” comunicato il 14/01/2014, nella parte in cui prevede che “l’autorizzazione è rilasciata alle seguenti condizioni e prescrizioni: ai sensi della L.R. n. 25 del 24/9/12, art. 6, comma 1, lett. D, la realizzazione e l’esercizio dell’impianto potrà avvenire solo dopo il conseguimento del legittimo titolo autorizzativo, ovvero l’Autorizzazione Unica ai sensi dell’art. 12 del D.Lgs. n. 387 del 29/12/2003”.
Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante richiamava i tre ordini di vizi di prime cure, censurando le argomentazioni di rigetto del Tar per i seguenti motivi:
– error in iudicando, violazione del giusto procedimento e della natura degli istituti autorizzativi, avendo la Provincia accettato ed istruito la procedura semplificata salvo poi, dopo due anni, subordinarne il rilascio alla autorizzazione unica regionale;
– error in iudicando, violazione di legge, travisamento dei fatti, in quanto la sentenza si fonda su opinioni del giudicante che travalicano il potere discrezionale;
– omessa valutazione degli elementi costitutivi del danno, omessa pronuncia sul danno da ritardo.
Le amministrazioni regionale, provinciale e comunale appellate si costituivano in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello.
Alla pubblica udienza di smaltimento del 9 marzo 2021 la causa passava in decisione.
DIRITTO
1. L’appello è infondato.
2. La controversia si concentra, nel merito, sulla questione interpretativa del dato normativo applicato nella specie.
2.1 L’art. 27, comma 20, della legge n. 99 del 2009 statuisce quanto segue: “L’installazione e l’esercizio di unità di microcogenerazione così come definite dall’articolo 2, comma 1, lettera e), del decreto legislativo 8 febbraio 2007, n. 20, sono assoggettati alla sola comunicazione da presentare alla autorità competente ai sensi del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380. L’installazione e l’esercizio di unità di piccola cogenerazione, così come definite dall’articolo 2, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 8 febbraio 2007, n. 20, ovvero di potenza termica nominale inferiore a 3 MW, sono assoggettati alla disciplina della denuncia di inizio attività di cui agli articoli 22 e 23 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380”.
A propria volta, la norma settoriale richiamata (art. 2, comma 1, lett. d, del d.lgs. n. 20 del 2007) definisce le unità di piccola cogenerazione come “unità di cogenerazione con una capacità di generazione installata inferiore a 1 MWe”.
2.2 Parte appellante sostiene, sin dalla presentazione della domanda, che l’art. 27 cit., comma 20, della legge n. 99 del 2009, laddove ammette l’utilizzo della procedura semplificata per gli impianti operanti in assetto cogenerativo che hanno una capacità di generazione massima inferiore a 1 MW elettrici (unità di piccola generazione ex art. 2, comma 1, lett. d, del d.lgs. n. 20/2007) ovvero potenza nominale inferiore a 3 MW termici, vada letto nel senso che per il ricorso a tale procedura è sufficiente il mancato superamento di uno solo dei due limiti e che, quindi, l’avverbio “ovvero” debba intendersi come disgiuntivo.
2.3 In termini opposti, le amministrazioni sostengono la soluzione posta a fondamento del provvedimento impugnato, sul presupposto che, in forza di tale norma, l’uso della procedura autorizzativa semplificata sia limitata agli impianti di cogenerazione che rispettano contemporaneamente i due limiti, dovendosi quindi assoggettare ad autorizzazione unica gli impianti, come quello oggetto di causa, che rispettano invece solo uno dei due limiti.
3. Invero, l’opzione ermeneutica fatta propria dai provvedimenti impugnati va condivisa, in specie alla luce del superiore, in materia ambientale, principio di precauzione, nei termini resi evidenti, in via di principio, dall’art. 3-ter del d.lgs. n. 152 del 2006 (c.d. codice ambiente). Il principio di origine europea, di cui all’art. 174 del trattato istitutivo della Comunità europea, rappresenta un criterio direttivo che deve ispirare l’elaborazione, la definizione e l’attuazione delle politiche ambientali della intera comunità europea sulla base di dati scientifici sufficienti e attendibili valutazioni tecniche circa gli effetti che possono essere prodotti da una determinata attività (cfr. ad es. Corte Costituzionale 3/11/2005, n. 406); in tale contesto lo stesso principio assume rilievo preminente in relazione alle opzioni interpretative dettate da normative che, peraltro, assumono contenuto estremamente complesso e frastagliato.
3.1 In proposito, le pur comprensibili argomentazioni poste a base del gravame, si scontrano con una soluzione applicativa della norma, la cui complessità giustifica anche il carattere tendenzialmente ordinatorio dei tempi procedimentali (specie laddove occorrano approfondimenti istruttori, come nella specie), coerente al predetto principio nonché alle caratteristiche degli impianti in questione.
Al riguardo, nel richiamare le puntuali argomentazioni svolte nel merito dalla sentenza impugnata, va parimenti condivisa l’analisi svolta dalle difese regionali. Il concetto di biomassa viene assimilata ad una fonte energetica rinnovabile per la produzione di energia elettrica ma solo a ben chiare condizioni: quella di bruciarne quantità limitate che siano reperibili in un ambito di filiera corta. A differenza di eolico e fotovoltaico, infatti, la combustione di biomasse per produrre energia elettrica non evita l’emissione in atmosfera di gas. Ciò rende evidente che, in un impianto a biomasse in assetto cogenerativo, la potenza termica e quella elettrica sono strettamente correlate tra loro, dai principi fisici e tecnologici stessi sui quali si basa il rendimento energetico dell’impianto. Con la conseguenza che, se un impianto richiede ingenti quantità di combustibile, allora è indispensabile sottoporre il relativo progetto ad un esame più rigoroso e completo da parte degli enti competenti, risultando insufficiente il meccanismo invocato della procedura autorizzativa semplificata.
3.2 A fronte di tale complessità istruttoria e della correttezza dell’esito confluito negli atti impugnati in prime cure, perdono di rilevanza anche le censure di carattere formale e procedimentale, poste a fondamento del primo ordine di motivi, sia per la natura ordinatoria dei termini invocati, sia per l’assenza di vincoli nell’iter così come avviato dalla parte istante.
4. Parimenti infondate risultano le censure di cui al terzo ordine di motivi di appello, con cui si ripropone la domanda risarcitoria.
In proposito, infatti, assume rilievo ostativo dirimente l’orientamento consolidato a mente del quale il risarcimento del danno, relativo ad un interesse legittimo pretensivo, deve essere subordinato, tra l’altro, anche alla dimostrazione che l’aspirazione al provvedimento sia destinata ad esito favorevole e, quindi, alla dimostrazione della spettanza definitiva del bene sostanziale della vita collegato a un tale interesse (cfr. ex multis Consiglio di Stato, sez. IV, 20 ottobre 2020, n. 6351).
Nel caso di specie la fondatezza della interpretazione posta a base del provvedimento impugnato, confermata dalla sentenza impugnata, esclude la sussistenza del presupposto necessario, nei termini appena richiamati, alla domanda risarcitoria proposta.
5. Sussistono giusti motivi, a fronte della complessità della normativa in materia, per la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 marzo 2021 con l’intervento dei magistrati:
Carmine Volpe – Presidente
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
Raffaello Sestini – Consigliere
Davide Ponte – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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