Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 19 marzo 2020, n. 1953.
La massima estrapolata:
Una volta che emerga il carattere infedele della rappresentazione dei luoghi prodotta in sede di richiesta del titolo edilizio, l’attivazione dei poteri di autotutela e repressivi da parte del Comune è sempre legittima, non potendosi sostenere che l’istruttoria a suo tempo fatta per il rilascio del permesso consumi ogni potere di verifica successiva.
Sentenza 19 marzo 2020, n. 1953
Data udienza 18 febbraio 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1072 del 2012, proposto dalla Società Ma. Re. S.r.l. – Impresa di Costruzioni, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fr. Ma. e An. Ma., elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avvocato An. Ma. in Roma, alla via (…),
contro
il Comune di Rovigo, in persona del Sindaco in carica pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Fe. Le., domiciliato d’ufficio presso la segreteria della Sezione II del Consiglio di Stato in Roma, piazza (…),
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per il Veneto, Sezione II, n. 1144 del 6 luglio 2011, resa inter partes, concernente l’annullamento di un permesso di costruire per infedele rappresentazione dello stato di fatto.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Rovigo;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 18 febbraio 2020, il consigliere Giovanni Sabbato e uditi, per le parti rispettivamente rappresentate, gli avvocati Ga. St., su delega dell’avvocato An. Ma., e Fe. Le.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue;
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso n. 933 del 2009, proposto innanzi al T.a.r. per il Veneto, la Società Ma. Re. S.r.l. – Impresa di Costruzioni aveva chiesto quanto segue:
– l’annullamento dei seguenti atti:
a) dell’ordinanza del 19 febbraio 2009, con la quale veniva disposto l’annullamento d’ufficio del permesso di costruire n. 288 del 18 agosto 2006, rilasciato dal Comune di Rovigo, avente ad oggetto “Ristrutturazione al piano secondo, terzo e sottotetto con ricavo di due alloggi” per infedele rappresentazione dello stato di fatto;
b) della relazione del tecnico comunale del 28 novembre 2008;
c) del verbale di sopralluogo della Polizia Locale del 3 dicembre 2008;
d) dell’ordinanza di sospensione dei lavori a valere anche come atto di avvio del procedimento del 4 dicembre 2008;
e) del parere della C.E.C. del 17 febbraio 2009, richiamato nel provvedimento impugnato.
– il risarcimento del danno consequenziale.
2. A sostegno dell’impugnativa la società aveva dedotto quanto segue:
i) premesso che il titolo edilizio concerne un intervento di ristrutturazione che interessa i piani secondo, terzo e sottotetto di un fabbricato preesistente in modo da ricavare due unità abitative ad uso residenziale, si evidenzia che lo stato di fatto, ritenuto infedelmente rappresentato, sarebbe stato agevolmente verificabile in sede di istruttoria prima di rilasciare il P.d.C. e la ricostruzione operata dall’Ufficio si fonderebbe su dati erronei e soggetti ad interpretazione;
ii) i rilievi sollevati dal tecnico comunale sarebbero non solo insufficienti ma anche tecnicamente incompatibili con quanto risulta dalle tavole di progetto, in particolare per il fatto che la linea obliqua tracciata sulla muratura e ritenuta indice della preesistenza della falda originaria sarebbe perfettamente compatibile con la rappresentazione dello stato di fatto presentata dal progettista anche in considerazione della finestra preesistente;
iii) la presunta difformità della cornice di gronda rispetto alla cornice esistente, come può evincersi dalle due fotografie prodotte dall’Amministrazione, sarebbe meramente estetica e quindi priva di valore urbanistico, ed il rilevato aumento di spessore sarebbe da ricondurre ad esigenze di isolamento termico;
iv) si invoca, pertanto, il risarcimento del danno patito in considerazione del valore dei due appartamenti in progetto, nella misura di Euro 500.000,00 o nella diversa cifra che risulterà all’esito del giudizio.
3. Costituitasi l’Amministrazione comunale in resistenza, il Tribunale adì to, Sezione II, ha così deciso il gravame al suo esame:
– ha respinto l’istanza di approfondimento istruttorio avanzata dalla società ricorrente;
– ha respinto il ricorso nella parte impugnatoria;
– ha respinto, di conseguenza, anche la domanda di risarcimento del danno per equivalente;
– ha condannato parte ricorrente al rimborso delle spese di lite (Euro 3.000,00).
4. In particolare, il Tribunale ha ritenuto che:
– è infondato il primo motivo di ricorso, in quanto è irrilevante il fatto che l’annullamento del permesso di costruire sia avvenuto a distanza di tre anni dall’approvazione delle tavole di progetto e risulta che sono stati violati i limiti di altezza nella zona in cui ricade l’immobile oggetto dell’intervento;
– è altresì infondato quanto ulteriormente lamentato con il primo motivo, atteso che “il rischio derivante dalla mancata verifica ex ante della corrispondenza dello stato di fatto alle tavole di progetto non può che restare a carico della parte che di tale infedele rappresentazione si avvale”;
– infondato è il secondo motivo di ricorso, avendo il tecnico comunale accertato che “la falda a Nord del fabbricato, lato Piazza (omissis), sia stata alzata di circa mt.0,20 nel punto minimo e di mt. 1,10 (sottotrave) nel punto massimo rispetto alla pendenza originaria”;
– sempre in ordine alle deduzioni sollevate con tale motivo, il Tribunale rileva che “Il fatto che rispetto allo stato di fatto esistente alla data della domanda di PC siano stati aggiunti da 2 a 10 nuove file di blocchi in laterizio emerge chiaramente anche da un confronto incrociato tra il materiale fotografico depositato in atti dalla ditta ricorrente (doc. n. 10, fotografia n. 13) e il materiale fotografico allegato al sopralluogo svolto dal Responsabile della Sezione Edilizia Privata (doc. n. 1, fotografia n. 2)”_
– inoltre “le giustificazioni fornite nella stessa perizia (tra cui il diverso posizionamento del punto di posa della trave rispetto alla cornice di gronda dovuto all’uso di una in legno lamellare di forte spessore e le ragioni di isolamento e coibentazione termica che avrebbero comportato un notevole aumento di spessore dell’intero pacchetto, stimabile in circa 40-50 cm. e posto al di sopra della quota interna di utilizzo dell’ambiente – tutti elementi che non sono stati evidenziati nel progetto – appaiono tali da giustificare la differenza di sopraelevazione della copertura (al colmo) che l’amministrazione ha quantificato in circa 110 cm.”;
– i reperti fotografici evidenziati con il terzo motivo “al contrario di quanto si adduce, evidenziano una struttura della copertura preesistente perfettamente aderente alla traccia di profilo presente sulla nuova muratura”.
5. Avverso tale pronuncia la società ha interposto appello, notificato il 9 febbraio 2012 e depositato il 16 febbraio 2012, lamentando, attraverso due motivi di gravame (pagine 16-24), quanto di seguito sintetizzato:
I) il Tribunale non avrebbe considerato che, in base all’art. 12, comma 6, del REC l’Ufficio è tenuto a verificare, nei trenta giorni successivi alla richiesta edificatoria, la regolarità delle attestazioni del progettista;
II) il Tribunale non avrebbe adeguatamente valorizzato la documentazione fotografica prodotta da parte ricorrente ed in particolare due fotografie che sarebbero in grado di smentire la ricostruzione operata dall’Ufficio;
III) il Tribunale avrebbe erroneamente effettuato il raffronto tra la foto n. 13 prodotta dalla società e la foto n. 2 prodotta dall’Amministrazione resistente, al fine di accertare l’incremento dell’altezza della falda del tetto, in quanto il muro raffigurato nel primo reperto fotografico non sarebbe più esistente perché demolito in esecuzione dei lavori.
6. L’appellante ha concluso chiedendo, in riforma dell’impugnata sentenza, l’annullamento degli atti impugnati in prime cure e la condanna del Comune al risarcimento del danno anche reiterando l’istanza istruttoria disattesa dal Tribunale.
7. Il Comune di Rovigo, in data 31 agosto 2017, si è costituito chiedendo la reiezione del gravame.
8. In vista della trattazione nel merito del ricorso entrambe le parti hanno svolto difese scritte, l’appellante anche in replica, insistendo per le rispettive conclusioni. In particolare, la difesa comunale ha evidenziato che l’art. 12 del Regolamento non può fondare alcun onere “investigativo” a carico dell’Amministrazione e che la documentazione in atti sarebbe eloquente nel dimostrare la falsa o comunque erronea rappresentazione dello stato dei luoghi, fermo restando che l’immobile non è stato mai sottoposto, precedentemente, a lavori di ristrutturazione. Parte appellante ha invece evidenziato, in sede di replica, che la traccia riscontrata dal tecnico comunale “ben può riferirsi a lavori compiuti in epoche precedenti o a errori di impostazioni sempre risalenti al passato remoto”.
9. La causa, chiamata per la discussione alla pubblica udienza del 18 febbraio 2020, è stata ivi introitata in decisione.
10. Ritiene il Collegio che l’appello sia infondato e sia pertanto da respingere.
10.1. Preliminarmente, va dichiarata l’inammissibilità dell’ulteriore relazione di C.T. prodotta dalla parte appellante per la prima volta in questo giudizio in data 7 gennaio 2020, per violazione del divieto di nuove prove di cui all’art. 104, comma 2, c.p.a., divieto che, come precisato da questo Consiglio,
involge anche “le perizie tecniche” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 19 agosto 2016, n. 3657); né emergono
le speciali ragioni che possano giustificare la deroga al divieto per la sussistenza di una causa non imputabile, che abbia impedito alla parte di esibirli in primo grado, ovvero la positiva valutazione della loro indispensabilità .
10.2. Passando alla disamina dei rilievi sollevati dall’appellante, a proposito di quanto da questi dedotto in ordine ad una pretesa complessiva inadeguatezza motivazionale della pronuncia gravata, occorre rilevare che “Il difetto di motivazione di una sentenza appellata rappresenta un vizio assorbito dall’effetto devolutivo dell’appello, comportante l’integrale rivalutazione delle questioni controverse, che vengano riproposte in appello con modifica o integrazione della motivazione” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20 gennaio 2020, n. 444).
Ritiene, quindi, il Collegio che sia infondato il primo motivo, con cui si riproduce la censura di illegittimo esercizio del potere di autotutela da parte del Comune alla luce degli accertamenti esperiti in sede di rilascio del permesso di costruire ex art. 12, comma 6, del Regolamento edilizio comunale.
Ed invero, non pare revocabile in dubbio quanto obiettato dal Comune circa il fatto che, una volta che emerga il carattere infedele della rappresentazione dei luoghi prodotta in sede di richiesta del titolo edilizio, l’attivazione dei poteri di autotutela e repressivi da parte del Comune è sempre legittima, non potendosi sostenere che l’istruttoria a suo tempo fatta per il rilascio del permesso consumi ogni potere di verifica successiva da parte del Comune: ad opinare nel senso auspicato da parte appellante, infatti, sarebbe premiata l’infedeltà del richiedente il titolo, il quale sarebbe definitivamente al riparo da ogni iniziativa repressiva qualora l’Amministrazione si avveda successivamente della frode. La tesi coltivata dalla parte, inoltre, è ulteriormente contraddetta dall’orientamento ormai consolidatosi in sede pretoria, avendo l’Adunanza plenaria stabilito che “La non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell’atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare in capo a lui una posizione di affidamento legittimo, con la conseguenza per cui l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte” (cfr. Ad. plen. n. 8 del 17 ottobre 2017).
10.3. Infondate sono anche le doglianze con cui si torna a sostenere l’erroneità delle valutazioni tecniche che hanno indotto l’Amministrazione a ritenere sussistente un’infedele rappresentazione dello stato dei luoghi, come è emerso dalla relazione del tecnico comunale del 28 novembre 2008 e dal verbale del Corpo di Polizia Municipale del 3 dicembre 2008. In particolare, gli organi comunali hanno accertato che l’immobile è stato interessato da una significativa variazione della sagoma preesistente attraverso il significativo incremento dell’altezza del fabbricato, chiaramente desumibile dalla distanza tra la (più alta) falda esistente, frutto dei lavori di ristrutturazione come sopra assentiti, e la traccia sul muro della falda preesistente.
Non convincono le deduzioni sul punto sollevate col ricorso originario e riproposte in questa sede, assumendosi innanzitutto che alcuna variazione sarebbe stata apportata al preesistente e comunque l’applicazione di un “pacchetto” per esigenze di isolamento e coibentazione avrebbe determinato una maggiore altezza della falda. In disparte la intima contraddittorietà di tali deduzioni – con le quali si nega e, contestualmente, si ammette la portata modificativa dell’intervento sui parametri costruttivi – vi è da dire che il surplus in termini di maggiore altezza del fabbricato è risultato pari a mt. 1,10 quando invece il suddetto “pacchetto” avrebbe determinato un aumento di spessore “stimabile intorno ai 45-50 cm.” quindi ben inferiore a quella riscontrata. Inoltre, nella memoria depositata agli atti del giudizio di prime cure in data 15 dicembre 2010, a cura della ricorrente originaria, si discorre della presenza di una muratura di tamponamento sulle due facciate del fabbricato al di sopra della vecchia cornice che è pari alla “differenza tra lo spessore della vecchia copertura (struttura e manto) circa 50 cm e la nuova copertura (struttura + pacchetto ventilato + manto) di circa 80 cm” cosicché l’elemento aggiuntivo valorizzato in appello (denominato “pacchetto”) non potrebbe giammai giustificare, oltre che la differenza riscontrata alla gronda, il ben maggiore incremento della quota d’imposta della falda di mt. 1,10 (sottotrave) rispetto allo stato di fatto (sezione B-B).
La riscontrata maggiore altezza della copertura nemmeno può trovare giustificazione nel ricorso, in sede di esecuzione dei lavori, ad “una trave in legno lamellare di forte spessore”, con conseguente arretramento del punto di posa della stessa trave rispetto alla cornice di gronda, in quanto è lo stesso ricorrente ad ammettere che il diverso materiale utilizzato ha comportato soltanto “un leggero aumento della pendenza della falda” che di certo non è comparabile con quello, senz’altro significativo, riscontrato dagli organi accertatori. Inoltre la rilevata maggiore altezza di mt. 1,10 al colmo della falda inclinata è stata calcolata al “sottotrave” cioè, come evidenziato dalla rappresentazione grafica in atti, escludendo dal computo la trave lamellare.
10.4. L’appellante, altresì, contesta l’idoneità del materiale fotografico valorizzato dal Tribunale a sostegno della statuizione reiettiva, ma invece essa è particolarmente eloquente (vedi, in particolare, la foto n. 2 di produzione comunale) nel raffigurare le differenze riscontrate tra stato dei luoghi ante e post lavori, tanto più che non risulta che l’immobile, come evidenziato da parte appellante, sia stato precedentemente sottoposto a lavori di ristrutturazione che possono avere lasciato la traccia evidenziata dal tecnico comunale, così da inficiare l’efficacia probatoria della documentazione in atti.
10.5. Il riferimento alla “fotografia n. 13” (cfr. § 2.1. della sentenza gravata) di cui al documento n. 10 prodotto dalla originaria ricorrente, invece che a quella n. 12, non è in grado di inficiare la complessiva idoneità dei riscontri documentali indicati dal Tribunale a suffragio delle contestate statuizioni reiettive recate dalla impugnata sentenza in considerazione delle rilevate difformità dello stato di fatto; da ciò deriva che è meritevole di conferma, in questa sede, anche il rigetto dell’istanza istruttoria avanzata in prime cure e reiterata in questa sede, ivi compresa la richiesta di verificazione o C.T.U.
10.6. Per le ragioni anzidette, la domanda risarcitoria, reiterata in questa sede, non può che essere disattesa per l’insussistenza degli elementi costitutivi del prospettato illecito dell’Amministrazione correlato alla, insussistente, illegittimità degli atti impugnati.
11. In conclusione, l’appello è infondato e deve essere respinto.
12. Le spese del presente grado di giudizio, per il principio di soccombenza, sono a carico di parte appellante e sono liquidate come in dispositivo in base ai criteri stabiliti dal regolamento n. 55 del 2014 e dall’art. 26, comma 1, c.p.a.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto (R.G. n. 1072/2012), lo respinge.
Condanna l’appellante alla rifusione, in favore del Comune appellato, delle spese del presente grado di giudizio che liquida in euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre agli accessori di legge (I.V.A., C.P.A. e rimborso spese generali al 15%).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 febbraio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Raffaele Greco – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere
Giancarlo Luttazi – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere, Estensore
Cecilia Altavista – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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