Consiglio di Stato, Sentenza|11 gennaio 2021| n. 376.
I P.I.P. sono connotati da eccezionalità poiché attraverso di essi si realizza un trasferimento di ricchezza dal proprietario espropriato all’assegnatario, con un sacrifico del principio di uguaglianza e del diritto alla proprietà privata, giustificato dalla necessità di incrementare i livelli occupazionali attraverso il rilancio della attività produttive.
Sentenza|11 gennaio 2021| n. 376
Data udienza 26 novembre 2020
Integrale
Tag – parola chiave: Strumenti urbanistici – PIP – Natura – Funzione – Incremento dei livelli occupazionali
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2903 del 2020, proposto dalla società Pl. Ga. s.r.l, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. La., Si. Co. e Fr. La., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Se. Pe. e Br. Me., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
il signor Al. Pi., non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Salerno (sezione seconda) n. 2004 del 13 novembre 2019.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio e l’appello incidentale del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatrice nell’udienza pubblica del giorno 26 novembre 2020, svoltasi ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 137 del 2020, il consigliere Emanuela Loria;
Nessuno presente per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con il ricorso di primo grado (proposto al Ta.r. per la Campania, sezione di Salerno), la società Pl. Ga. s.r.l., assegnataria di un lotto ricadente in zona P.I.P., ha impugnato gli atti della serie procedimentale attivata dal Comune di (omissis) per il recupero, pro quota tra tutti gli assegnatari, dei maggiori oneri sostenuti dall’Ente comunale per portare a termine l’attuazione del piano, determinati dalla necessità di regolarizzare le procedure espropriative delle aree di proprietà di terzi soggetti, a seguito dell’annullamento giurisdizionale dei relativi atti di esproprio nonché dei costi sostenuti dal medesimo Comune per gli oneri di urbanizzazione.
1.2. In particolare, gli atti impugnati con il ricorso introduttivo di primo grado e con due atti di motivi aggiunti sono i seguenti:
I. la determina n. 429 dell’8 agosto 2018, con la quale il Responsabile del SUAP del Comune di (omissis) aveva approvato il riparto dei maggiori costi sostenuti dall’ente locale per l’acquisizione delle aree necessarie alla realizzazione del P.I.P. relativo ai comparti (omissis) (in appresso, PIP (omissis));
II. la nota del 14 novembre 2018, prot. n. 27500, con la quale il Responsabile dell’Area Gestione del Territorio – Lavori Pubblici del Comune di (omissis) aveva comunicato “l’avviso di pagamento per recupero maggiori costi sostenuti dall’ente per la realizzazione del PIP”;
III. la delibera del Commissario straordinario del Comune di (omissis) n. 9 del 1 febbraio 2017, con la quale era stato approvato il Piano di riequilibrio finanziario pluriennale ex art. 243 bis del d.lgs. n. 267/2000 e dove era stato previsto, tra l’altro, di avviare le procedure per il recupero delle somme sostenute dall’ente per la realizzazione del PIP (omissis);
IV. la determina n. 95 del 5 marzo 2019 (prot. n. 46 del 4 marzo 2019), con la quale il Comune precisava che il maggior costo sostenuto per l’acquisizione dei suoli in area PIP (nell’ammontare complessivo di Euro (2.200.000,00 + 1.312.233,12 = 3.512.233,12: a) “è stato calcolato sulla scorta del valore a mq, definito dal CTU sulla base del più probabile valore di mercato delle aree fabbricabili a destinazione produttiva e del valore di trasformazione delle aree”; b) “non è scaturito dai risarcimenti danni per procedure ablative, atteso che, a fronte delle somme calcolate in caso di acquisizione sanante, le parti con atto di transazione hanno definito la vicenda determinando la somma di Euro 2.200.000,00, necessaria per l’acquisto delle aree del signor Ca., e determinando la somma di Euro 1.312.233,12, necessaria per l’acquisto delle aree del signor Pi., calcolata in base al mero valore venale delle aree”.
2. E’ opportuno richiamare la disciplina di settore, applicabile ratione temporis al caso in esame, relativamente ai Piani degli insediamenti produttivi:
L’art. 27 ultimo comma della l. 22 ottobre 1971 n. 865 prevede che “Contestualmente all’atto di concessione, o all’atto di cessione della proprietà dell’area, tra il comune da una parte e il concessionario o l’acquirente dall’altra, viene stipulata una convenzione per atto pubblico con la quale vengono disciplinati gli oneri posti a carico del concessionario o dell’acquirente e le sanzioni per la loro inosservanza”.
Il successivo art. 35, comma 12, l. n. 865 del 1971 stabilisce i criteri da applicarsi per la determinazione del corrispettivo della concessione e per le modalità del relativo versamento nei seguenti termini: “I corrispettivi della concessione in superficie, di cui all’ottavo comma, lettera a), ed i prezzi delle aree cedute in proprietà devono, nel loro insieme, assicurare la copertura delle spese sostenute dal comune o dal consorzio per l’acquisizione delle aree comprese in ciascun piano approvato a norma della legge 18 aprile 1962, n. 167; i corrispettivi della concessione in superficie riferiti al metro cubo edificabile non possono essere superiori al 60 per cento dei prezzi di cessione riferiti allo stesso volume ed il loro versamento può essere dilazionato in un massimo di 15 annualità, di importo costante o crescente, ad un tasso annuo non superiore alla media mensile dei rendimenti lordi dei titoli pubblici soggetti a tassazione (Rendistato) accertata dalla Banca d’italia per il secondo mese precedente a quello di stipulazione della convenzione di cui al settimo comma. Il corrispettivo delle opere di urbanizzazione, sia per le aree concesse in superficie che per quelle cedute in proprietà, è determinato in misura pari al costo di realizzazione in proporzione al volume edificabile entro il limite di quanto dovuto ai sensi della legge 28 gennaio 1977, n. 10, e successive modificazioni.”
L’art. 3, comma 64, della l. 23 dicembre 1996 n. 662, come sostituito dall’art. 11 della l. 12 dicembre n. 273 prevede altresì che: “3. 64. I comuni possono cedere in proprietà le aree già concesse in diritto di superficie nell’à mbito dei piani delle aree destinate a insediamenti produttivi di cui all’articolo 27 della legge 22 ottobre 1971, n. 865. Il corrispettivo delle aree cedute in proprietà è determinato con delibera del consiglio comunale, in misura non inferiore alla differenza tra il valore delle aree da cedere direttamente in diritto di proprietà e quello delle aree da cedere in diritto di superficie, valutati al momento della trasformazione di cui al presente comma. La proprietà delle suddette aree non può essere ceduta a terzi nei cinque anni successivi all’acquisto.”
2.1. Da tale articolato quadro normativo, interpretato alla luce della giurisprudenza (Cass. civ., sez. I, ord. 10 luglio 2020, n. 14782, sez. I, 12 aprile 2018, n. 9066, sia pure nella diversa ma assimilabile fattispecie degli alloggi popolari; Cass. civ., sez. un. 16 settembre 2015 n. 18135), derivano le seguenti considerazioni (peraltro già ampiamente articolate nella sentenza di questa stessa Sezione n. 7784 del 9 dicembre 2020 in analoga fattispecie).
2.2. La ratio dei piani per gli insediamenti produttivi (cd. P.I.P.) è duplice:
– per un verso trattasi di strumenti di governo del territorio, secondo la classica impostazione degli usi, delle classificazioni e delle destinazioni da imprimere alle aree che compongono un determinato territorio, per l’ordinato sviluppo dell’antropizzazione;
– per altro verso, la funzione è quella di strumenti di politica economica, ossia quella di essere strumenti per incentivare le imprese, offrendo loro, ad un prezzo politico, previa espropriazione e urbanizzazione, le aree occorrenti per l’impianto o l’espansione delle produzioni commerciali o industriali, garantendo l’armonico sviluppo del territorio all’interno della più ampia cornice della sostenibilità delle produzioni nell’ambiente naturale nel quale l’uomo vive.
In particolare da tale ultima funzione deriva che i P.I.P. sono connotati da eccezionalità poiché attraverso di essi si realizza un trasferimento di ricchezza dal proprietario espropriato all’assegnatario, con un sacrifico del principio di uguaglianza e del diritto alla proprietà privata, giustificato dalla necessità di incrementare i livelli occupazionali attraverso il rilancio della attività produttive (Cons. Stato, sez. IV, n. 5501 del 2004; sez. IV, n. 550 del 2004).
2.3. Da ciò, derivano due fondamentali corollari.
2.3.1. Il primo corollario è che gli oneri sostenuti dal Comune per l’acquisizione delle aree necessarie per attuare il P.I.P. non hanno natura di mero corrispettivo di diritto privato, bensì natura pubblicistica, perché l’Amministrazione:
a) persegue la superiore funzione, che è di interesse generale, di insediare produzioni che creano o innalzano i livelli occupazionali e di benessere di un determinato territorio;
b) espropria i beni di terzi soggetti per beneficiare altri privati, e cioè gli assegnatari dei lotti, i quali eserciteranno la propria libertà di iniziativa economica;
c) conforma i beni così destinati all’espropriazione, in modo da renderli per destinazione urbanistica, per dimensioni e per caratteristiche strutturali, ivi compresa l’urbanizzazione, idonei e funzionali allo scopo produttivo;
d) non dispone dell’entrata, poiché il capitolo previsionale contenente l’entrata non ha natura di diritto disponibile o rinunciabile; ha invece natura imperativa e si inserisce o si sostituisce a clausole invalide, in caso di carenza nei contratti di cessione; la correlativa obbligazione, a carico del primo assegnatario, configura anche un’obbligazione propter rem, perché grava anche sui successivi acquirenti;
e) può discrezionalmente introdurre limitazioni al trasferimento di immobili.
Sotto tale ultimo profilo, va rilevato che, prima della riforma dell’art. 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, disposta dall’art. 23 della legge n. 179/1992, vigeva un vero e proprio obbligo legale di pagamento, a favore dell’ente pubblico assegnante, della somma corrispondente alla differenza tra il valore di mercato dell’area al momento dell’alienazione e il prezzo di acquisizione a suo tempo corrisposto, rivalutato sulla base delle variazioni dell’indice dei prezzi all’ingrosso calcolato dall’Istituto centrale di statistica, allo scopo di evitare indebite speculazioni.
In sede giurisprudenziale (cfr. Cass. civ., sez. un., 16 settembre 2015, n. 18135), si sono chiarite la natura e la portata applicativa di tali limitazioni al trasferimento dopo l’entrata in vigore della novella in questione, confermando che sussiste la piena discrezionalità dell’Amministrazione pubblica di inserire ancora oggi, nel testo delle convenzioni, i limiti in questione.
2.3.2. Il secondo corollario è che lo spostamento di ricchezza da un privato ad un altro privato ha una causa normativa tipizzata, che è quella di funzionalizzare in senso economico e sociale il sacrificio imposto ad un soggetto determinato per il benessere dell’intera collettività stanziata sul territorio, consentendo all’imprenditore, che assume su di sé il rischio imprenditoriale, di organizzare il capitale e i mezzi della produzione (Cons. Stato, sez. IV, n. 5501 del 2004; sez. IV, n. 550 del 2004).
L’ordinamento realizza un razionale e soddisfacente punto di equilibrio tra la tutela del diritto della proprietà privata e il sostegno alle produzioni economiche che creano posti di lavoro, redditi e ricchezza, non allo scopo di discriminare il proprietario terriero rispetto all’imprenditore, né di impoverire i bilanci degli enti locali, bensì all’unica finalità di conformare in senso sociale e redistributivo le ricchezze, consentendo il fruttuoso utilizzo di fondi altrimenti inutilizzati o utilizzati per scopi non produttivi o, comunque, per scopi non idonei ad assicurare l’incremento di ricchezza del territorio in generale.
Questo determina la nascita, in capo al privato beneficiato da questo grave sacrificio individuale, di una posizione giuridica fonte di responsabilità sociale, rispetto agli oneri e ai costi giuridici, economici e organizzativi sostenuti dall’Amministrazione pubblica per consentire la realizzazione del programma, ad un tempo urbanistico e di politica economica.
2.4. Tale responsabilità è condensata nei principi cardine sui quali si regge l’ordinamento di settore desumibili dalla disciplina sopra testualmente citata, come interpretati dalla giurisprudenza civile e amministrativa secondo indirizzi consolidati.
Tra questi principi, fondamentale importanza riveste quello del cd. pareggio di bilancio o della sostenibilità finanziaria, perché esso ha ricadute sulla tenuta economica e finanziaria:
– sia del settore economico nel quale rileva il P.I.P.;
– sia degli altri settori economico-sociali nei quali il governo del territorio ha la primaria finalità di aumentare i livelli di benessere della collettività (si tratta dei P.E.E.P., ossia dei piani per l’edilizia economica e popolare, o piani di zona, i quali anch’essi si reggono sul meccanismo dell’esproprio dei terzi in vista dell’assegnazione dei lotti affinché gli assegnatari vi realizzino immobili da adibire a residenze per i non abbienti: si veda, in particolare, la legge 18 aprile 1962, n. 167, recante “disposizioni per favorire l’acquisizione di aree fabbricabili per l’edilizia economica e popolare”, e le successive modificazioni);
– sia dell’ordinamento giuridico nel suo complesso, poiché la contabilità degli enti locali, insieme a quella statale in senso stretto, fa parte della più ampia contabilità pubblica, in quanto tale disciplinata dall’art. 81 della Costituzione.
3. Nel caso in esame la impugnata sentenza del T.a.r per la Campania (sede di Salerno):
a) ha accolto parzialmente il ricorso (punti 1 e 1.11) in relazione alla imputazione alla società assegnataria del lotto P.I.P. di taluni dei costi che il Comune è stato condannato a pagare al proprietario espropriato, signor Ca., a seguito di transazione di giudizio dinanzi al T.a.r. (definito con la sentenza n. 1374 del 9 luglio 2012), ed in particolare delle voci estranee all’art. 35 comma 12 della l. n. 865 del 1971, quali: la quota di aumento corrispondente alla, medio tempore, mutata destinazione urbanistica dei suoli, la quota di danni non patrimoniali, l’indennità per occupazione sine titulo, l’ammontare degli interessi e della rivalutazione monetaria; ha comunque disposto che da tali voci vada decurtato l’ammontare pari a euro 410.370,00 già corrisposto al menzionato proprietario espropriato (punto 8);
b) ha respinto (punto 1.12) i motivi di ricorso articolati dalla società ricorrente concernenti la violazione delle disposizioni in materia di imputazione dei maggiori costi determinatisi in relazione al procedimento ablatorio nei confronti dei proprietari dei suoli signori De Si. e Pi.;
c) ha dichiarato inammissibili (punto 4) i secondi motivi aggiunti, con i quali la ricorrente ha contestato il criterio di riparto dei maggiori costi delle procedure ablatorie afferenti ai suoli ricompresi in comparti diversi da quello che le è stato assegnato, poiché i motivi aggiunti non sono stati notificati alle ditte assegnatarie dei lotti PIP ricompresi nei comparti in questione;
d) ha respinto (punto 5) i motivi relativi alla mancata partecipazione procedimentale e alla carenza di motivazione;
e) ha respinto (punto 6) l’eccezione di prescrizione del credito vantato dal Comune;
f) ha respinto (punto 7), definendolo “esplorativo”, l’ordine di doglianze inteso a far valere la non debenza delle somme versate in corrispettivo di opere di urbanizzazione primaria e secondaria coperti da finanziamenti regionali.
4. Con l’atto di appello la società Pl. Ga. s.r.l. ha articolato i seguenti tre motivi (da pagina 6 a pagina 27 del ricorso):
I) Error in procedendo e in iudicando (Violazione e falsa applicazione di legge: artt. 3, 97 e 111 Cost.; Artt. 34 e 112 C.P.A.) – Violazione dei limiti della giurisdizione del giudice amministrativo e della sfera di amministrazione attiva.
II) Error in procedendo e in iudicando (Violazione e falsa applicazione di legge: artt. 3, 97 e 111 Cost.; artt. 34 e 112 C.P.A.; l. 241/1990; l. 865/1971; artt. 1346, 1375 c.c.; ) – Violazione della convenzione di cessione del lotto P.I.P. stipulata tra le parti nel 2011 – violazione dei principi di buona fede, correttezza, trasparenza, pacta sunt servanda; Violazione del giusto procedimento – Eccesso di potere (difetto dei presupposti e di istruttoria – erroneità – travisamento) – Violazione dei limiti della giurisdizione del giudice amministrativo e della sfera di amministrazione attiva.
III) Error in procedendo e in iudicando (Violazione e falsa applicazione di legge: artt. 3, 97 e 111 Cost.; artt. 34 e 112 C.P.A.; l. 241/1990; l. 865/1971; artt. 1346, 1375 c.c.; ) — Violazione della convenzione di cessione del lotto P.I.P. stipulata tra le parti nel 2011 – violazione dei principi di buona fede, correttezza, trasparenza, pacta sunt servanda; Violazione del giusto procedimento – Eccesso di potere (difetto dei presupposti e di istruttoria – erroneità – travisamento) – Violazione dei limiti della giurisdizione del giudice amministrativo e della sfera di amministrazione attiva.
4.1. Il Comune di (omissis) si è costituito in giudizio con memoria e documenti depositati il 28 maggio 2020.
4.2. Il medesimo Comune ha depositato, in data 9 giugno 2020, appello incidentale impugnando, in parte qua, la sentenza di primo grado.
In particolare, con l’appello incidentale il Comune ha impugnato la sentenza (articolando 9 autonomi motivi da pagina 18 a pagina 41 del ricorso) limitatamente ai capi contenuti nei punti 1, 1.5, 1.7, 1.8, 1.9, 1.11 e 1.12 della parte in diritto, anche con riferimento ai punti 3.a e 5 della parte narrativa dei fatti, laddove si afferma:
a) l’impossibilità di includere nell’importo, che l’assegnatario dei suoli è obbligato a corrispondere al Comune, ai sensi dell’art. 35, 12 comma, l.n. 865/1971, voci diverse dall’indennità e, in particolare, “la quota di aumento corrispondente alla (medio tempore) mutata destinazione urbanistica dei suoli, la quota di danni non patrimoniali, l’? indennità per occupazione sine titulo, l’? ammontare degli interessi e della rivalutazione monetaria”;
b) che la somma complessivamente riconosciuta al Ca. per i suoli in sua proprietà ricadenti in area PIP (Euro 2.200.000,00 + 410.370,00 = 2.610.370,00) non è da reputarsi proporzionalmente riversabile sui soggetti assegnatari dei lotti, se non limitatamente alla porzione di essa identificabile come valore venale attualizzato complessivo dei suoli anzidetti, pari a Euro 1.039.604,00, alla stregua delle indicazioni rivenienti dalla relazione del CTU nominato con ord. coll. n. 1222 del 29 giugno 2011 nell’ambito del giudizio definito dalla citata sentenza di questo Tribunale amministrativo regionale, Salerno, sez. II, n. 1374 del 9 luglio 2012.”
4.3. L’appellante ha depositato memoria difensiva in data 26 ottobre 2020 chiedendo l’accoglimento del proprio ricorso e il rigetto dell’appello incidentale.
5. Alla pubblica udienza del 26 novembre 2020 la causa è stata spedita in decisione.
5.1. L’appello principale è infondato.
5.2. Principiando dall’esame del primo motivo dell’appello principale, definito “assorbente” (pagg. 6 – 10), con esso la società assegnataria di uno dei lotti del P.I.P. del Comune di (omissis) rileva che le sentenza appellata sarebbe incorsa in uno sconfinamento nell’ambito riservato all’agire dell’amministrazione e nel vizio di ultrapetizione; in particolare, l’istante ritiene che “le conclusioni a cui giunge il Tar sono il risultato di statuizioni che non si limitano a motivare sulla fondatezza o meno delle censure articolate nel giudizio di primo grado dall’odierno appellante, ma sconfinano in un illegittimo esercizio di amministrazione attiva laddove si sostituiscono alla P.A. nella determinazione del “giusto corrispettivo della cessione del lotto PIP”, sulla scorta peraltro di una interpretazione di merito di una consulenza tecnica d’ufficio resa, per di più, nell’ambito di un contenzioso rispetto al quale la ditta ricorrente non è stata parte, né è stata mai notiziata.”
Inoltre la giurisdizione esclusiva che il giudice amministrativo esercita in subiecta materia “non dequota ex se i vizi di legittimità che affliggono evidentemente il provvedimento amministrativo, così come nella fattispecie.” (pag. 9 dell’appello).
5.2.1. Il motivo è infondato.
In primo luogo, occorre rilevare che non vi è contestazione alcuna (né la sentenza contiene alcun cenno in proposito) al fatto che la giurisdizione del giudice amministrativo nella materia in esame sia oggetto di giurisdizione esclusiva ai sensi dell’art. 133 comma 1 lett. f).
In secondo luogo, dalla lettura della sentenza impugnata non risulta violato il confine tra la sfera sottoposta al controllo giurisdizionale e quella riservata all’azione dell’Amministrazione Pubblica, poiché, venendo in esame profili attinenti alla spettanza di varie poste di credito, il giudice di prime cure ha fatto corretta applicazione di una serie di principi normativi e giurisprudenziali al fine di determinare l’an e il quantum delle voci di credito.
5.3. Con il secondo motivo la società appellante ha articolato diverse censure (da pag. 10 a pag. 23, lettere A, B, C) che possono essere unitariamente trattate per la loro connessione.
5.3.1. In primo luogo, sostiene l’appellante che il giudice di prime cure sarebbe incorso in molteplici contraddizioni nello stabilire i parametri del quantum dovuto alla società appellante: da un lato, avrebbe richiamato i principi di copertura o di pareggio finanziario che devono sempre ed inderogabilmente informare i procedimenti espropriativi finalizzati alla realizzazione di opere pubbliche, dall’altro avrebbe evocato l’applicazione del meccanismo della c.d. “eterointegrazione del contenuto del contratto” ex artt. 1339 e 1419, comma 2, c.c.
Tali parametri sarebbero stati peraltro applicati disattendendo il divieto per la P.A. procedente di accollare i maggiori costi sostenuti per le procedure ablatorie allorquando le stesse si pongano al di fuori dallo schema legale tipico stabilito dal legislatore, in altri termini nel caso in cui le maggiori somme siano il risultato di condotte illecite con conseguente insorgere di diritti risarcitori in capo al privato illegittimamente privato della sua proprietà, per cui vi sarebbe una contraddizione tra il punto 1.5 e il punto 1.8 della sentenza gravata.
5.3.2. Sotto un ulteriore profilo, il T.a.r., pur citando la sentenza del Consiglio di Stato n. 4960 del 2019, in materia di transazione stipulata per far cessare l’illecito permanente derivante da illegittimi procedimenti espropriativi, si sarebbe immotivatamente discostato da detto precedente per affermare l’applicazione della somma prevista nell’ambito della transazione a cui il Comune di (omissis), nel caso di specie, è addivenuto con la proprietà Ca. a seguito della sentenza del T.a.r. Salerno, sez. II, con sentenza n. 1374 del 9 luglio 2012, che si è pronunciata in ordine alla legittimità del procedimento espropriativo.
5.3.3. Erroneo sarebbe, inoltre, il passaggio della sentenza nel quale si fa discendere dalla clausola “salvo conguaglio”, contenuta nell’ultimo capoverso dell’art. 1 della convenzione di cessione dei suoli stipulata tra l’appellante e il Comune di (omissis) nell’anno 2011, l’obbligo della prima di corrispondere l’ulteriore somma integrante il valore venale dei suoli all’epoca acquistati.
La convenzione di cessione del lotto P.I.P. contiene una specifica garanzia riferita alla regolarità della procedura espropriativa posta in essere dal Comune per cui sarebbe chiaro, nell’interpretazione delle clausole pattizie, che l’appellante non avrebbe inteso assumere alcuna alea che vada oltre il limite della tolleranza e dell’equilibrio delle prestazioni dedotte in convenzione.
Nell’interpretazione della clausola “salvo conguaglio”, la sentenza appellata sarebbe incorsa nella violazione dei principi di buon andamento, di buona fede e correttezza nonché dell’art. 1346 c.c.
5.3.4. Il capo 3 della sentenza appellata sarebbe ingiusto giacché l’appellante ha interamente corrisposto il prezzo di cessione del lotto P.I.P., come si evincerebbe dalla convenzione stipulata; ciò sarebbe poi desumibile dalla circostanza per cui il Comune non solo ha rilasciato ampia e liberatoria quietanza ma ha anche rinunciato espressamente alla ipoteca legale, istituto previsto dall’ordinamento proprio a tutela del venditore per l’integrale pagamento del prezzo.
5.3.5. Le censure sopra riassunte sono infondate.
5.4.6. In linea generale, il Collegio condivide, essendo conformi alla lettura più sopra data della disciplina di settore, le argomentazioni poste a base della sentenza impugnata, le quali hanno rimarcato la sussistenza del principio ordinamentale di copertura dei costi sostenuti dall’Amministrazione per l’ablazione e l’infrastrutturazione delle aree da devolvere in favore di soggetti privati, nella specie a fini di insediamenti produttivi (punto 1.2. “I citati artt. 27 e 35, comma 12, della l. n. 865/1971 sono stati, cioè, pacificamente intesi a presidio dell’obiettivo di perfetto pareggio dell’operazione ablatorio urbanizzatoria complessivamente sostenuta dall’amministrazione, ossia dell’esatta corrispondenza fra i costi sopportati dal Comune per l’acquisizione e l’infrastrutturazione delle aree e i corrispettivi dovuti dai privati beneficiari (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 1751/2011; sez. V, n. 50/2012; sez. IV, n. 2854/2012; n. 2213/2014; sez. V, n. 3809/2014; sez. IV, n. 1117/2015). In altri termini, in base al principio riveniente dalle disposizioni legislative richiamate, il Comune deve recuperare dai privati gli esborsi affrontati per l’esproprio delle aree e per la realizzazione delle opere di urbanizzazione (cfr. Cons. Stato, ad. plen., n. 26/1983; Cons. Stato, sez. V, n. 462/1997; sez. IV, n. 421/2009; n. 4685/2014; n. 4686/2014 e n. 4687/2014)).
Tale principio è rinominabile anche come della ‘neutralità finanziarià, perché dall’operazione non devono derivare sul bilancio dell’ente locale costi o oneri non ripianati.
5.3.7. Facendo applicazione di tali principi, non si riscontrano contraddizioni nel ragionamento effettuato dal giudice di prime cure, il quale ha semmai elaborato, per alcune doglianze, una doppia motivazione piuttosto articolata pervenendo comunque all’esito della loro reiezione, ad esclusione che in relazione al ricalcolo di una parte di quanto dovuto al Comune (punto 1.11 della sentenza).
Il criterio coerentemente utilizzato nella sentenza si basa sulla distinzione tra i costi che l’ente ha sostenuto quali conseguenze direttamente ed esclusivamente riferibili ad una propria condotta illecita ed a procedimenti illegittimi che hanno dato luogo a risarcimenti del danno (tali costi non sono riversabili sui privati e sono definitivamente sostenuti dall’ente pubblico) e quelli che l’ente ha sostenuto per portare a compimento le procedure espropriative o per acquisire il diritto di proprietà, poi attribuito ai concessionari o agli assegnatari (tali costi sono, al contrario, integralmente riversabili sul privato).
Peraltro, nel caso in esame, gli atti di esproprio emessi dal Comune di (omissis) sono stati impugnati dai proprietari e sono stati annullati dal T.a.r., con sentenze non impugnate in parte qua e passate definitivamente in cosa giudicata.
Queste sentenze hanno anche condannato l’Amministrazione comunale, in via alternativa, a restituire i fondi e a pagare una somma per l’occupazione sine titulo, ovvero, ad acquisirli ai sensi dell’art. 42 bis d.P.R. n. 327 del 2001, anche in questo caso pagando una somma per il periodo dell’illecita occupazione.
In particolare, la sentenza del T.a.r. per la Campania, sede di Salerno, n. 1374 del 9 luglio 2012, ha individuato il criterio del valore venale del bene sia per il ristoro indennitario nel caso di emanazione del provvedimento di acquisizione ex art. 42 bis d.P.R. n. 327 del 2001 sia per la quantificazione del risarcimento nel caso di restituzione del bene stesso alla proprietà .
Invero, il criterio del valore venale è quello effettivamente utilizzato sia nel caso della transazione a cui il Comune è pervenuto con la proprietà Campioni sia nel caso dell’emanazione del provvedimento ex art. 42 bis d.P.R. n. 327 del 2001 emanato per l’acquisizione delle proprietà De Si.- Pi..
Il parametro così stabilito nel valore venale del bene è stato individuato nel valore di mercato, ossia nel valore di mercato come conseguito ad un accertamento di tipo tecnico, compiuto da un soggetto terzo e contenuto in sentenze passate in giudicato. Detto accertamento fa stato nei rapporti tra le parti del giudizio e anche nei confronti dell’assegnatario dei lotti, poiché anche a prescindere dalla evocazione in giudizio della parte (la cui mancanza avrebbe comunque legittimato alla azione con opposizione di terzo avverso le statuizioni pregiudizievoli), “l’obbligazione di pagamento ha natura di obligatio propter rem, si trasferisce unitamente al bene immobile a cui accede e risulta opponibile sia al primo assegnatario, sia in ogni caso ai successivi eventuali acquirenti.” (sent. Sez. IV, n. 7784 del 2020).
Nessuna contraddizione è dato, pertanto, riscontrare tra il punto 1.5 e il punto 1.8 della sentenza impugnata.
5.3.8. Sotto ulteriore profilo non risulta essere pertinente neanche l’osservazione contenuta nell’atto di appello al punto B.2 (pag. 18) in relazione al fatto che la conclusione della vicenda a mezzo del contratto di transazione, in presenza di un preventivo accertamento giurisdizionale della responsabilità comunale, comproverebbe che gli importi definiti “sono la diretta conseguenza dell’illiceità del comportamento dell’Ente e dell’illegittimità degli atti dal medesimo assunti”.
Invero, come già affermato dalla sentenza n. 7784 del 2020 più sopra ricordata, “A parte la considerazione che l’illegittimità degli atti di per sé non evidenzia neppure la ‘colpà dell’Amministrazione, si deve rimarcare come gli assegnatari siano i diretti beneficiari dell’acquisto del bene, effettuato dall’Amministrazione.
Le esternalizzazioni positive derivanti, in termini occupazionali e reddituali, sul territorio, hanno un’efficacia soltanto indiretta rispetto alla collettività stanziata su un determinato territorio, mentre l’utilizzazione diretta dei fondi per l’esercizio dell’attività imprenditoriale costituisce un sicuro e diretto vantaggio per gli assegnatari.
Ciò consente – anche alla luce dei principi civilistici in materia di obbligazioni e di contratti, applicabili alle convenzioni pubbliche nei limiti della compatibilità, nonché del principio per il quale non ci si può arricchire senza causa con detrimento altrui (nella specie, del Comune) – di affermare in primo luogo l’obbligo dell’assegnatario di ristorare l’Amministrazione, per le spese che questa avvia sostenuto per attribuirle il diritto di proprietà (o altro diritto reale) sull’area che altrimenti non avrebbe acquisito.
In secondo luogo, i sopra richiamati principi consentono di ravvisare uno specifico onere giuridico degli assegnatari, i quali hanno ab origine un indubbio interesse a verificare che l’Amministrazione – alla quale essi hanno proposto l’istanza, volta ad acquisire la titolarità delle aree per il tramite dell’esercizio del potere pubblico nel loro interesse – ponga in essere nel corso del tempo gli atti del procedimento espropriativo.
Sotto tale profilo, la Sezione evidenzia che, una volta attivato il procedimento volto alla assegnazione delle aree inserite nel P.I.P. (esattamente come una volta sia stato attivato il procedimento volto all’assegnazione delle aree inserite nel P.E.E.P.), i beneficiari – ovvero coloro che intendano esserne beneficiari – abbiano l’onere di vigilare sul corretto andamento della procedura espropriativa.
Essi hanno specifici rimedi, previsti dall’ordinamento giuridico, e possono sollecitare il Comune alla tempestiva emanazione del decreto di esproprio, perché titolari dell’interesse diretto, concreto, personale e immediato a disporre di un titolo giuridico a giustificazione della materiale disponibilità del bene. Gli assegnatari, in altri termini, così come si giovano dell’immissione nel possesso del bene in via d’urgenza, al contempo hanno l’onere di avere la cura che sia concluso – legittimamente – il procedimento espropriativo.
Inoltre, qualora non sia stato emanato il decreto d’esproprio, essi hanno un interesse diretto, concreto, personale e immediato all’esercizio del potere previsto dall’art. 42 bis del testo unico sugli espropri.
Infatti, quando l’Amministrazione abbia attivato il procedimento espropriativo e l’atto conclusivo del procedimento non sia stato emesso o sia stato annullato in sede giurisdizionale, coloro che sono stati immessi nel frattempo nel possesso dell’area – in applicazione della legge n. 865 del 1971 o della legge n. 167 del 1962 – sono anch’essi legittimati a chiedere (dapprima in sede amministrativa e poi in sede giurisdizionale) che l’Autorità competente eserciti il potere di acquisizione, previsto dall’art. 42 bis del testo unico sugli espropri: tale potere va esercitato d’ufficio, come chiarito dall’Adunanza Plenaria con le sentenze nn. 2, 3 e 4 del 2020, ma può anche essere sollecitato sia dal proprietario, sia dal possessore, affinché vi sia l’adeguamento dello stato di fatto a quello di diritto e, se del caso, affinché il possessore diventi proprietario.
Per converso, da ciò deriva che, nel lasso di tempo che intercorre dal primo giorno utile successivo alla scadenza del termine per l’emanazione del legittimo decreto di esproprio e fino al momento in cui lo stato di fatto è adeguato alla situazione di diritto (tramite l’emanazione del provvedimento ex 42 bis o la stipulazione della cessione volontaria o la transazione della lite), anche gli assegnatari rispondono delle conseguenze negative e dei maggiori costi sostenuti per l’acquisizione delle aree.
f) Del resto, l’ente comunale sostiene tali costi in nome proprio (il diritto di proprietà è trasferito dal patrimonio del privato a quello comunale), ma nel precipuo interesse del privato assegnatario (il diritto di proprietà è successivamente ceduto dal Comune agli assegnatari, secondo l’ordine riportato nel decreto di assegnazione), allo scopo di impedire l’effetto restitutorio, altrimenti inevitabile in base ai giudicati di annullamento dei decreti di esproprio.
Se il Comune non definisse la procedura espropriativa (col decreto d’esproprio o con l’atto di acquisizione previsto dall’art. 42 bis), al proprietario spetterebbe la restituzione delle aree con l’applicazione del principio dell’accessione, con un grave vulnus per gli interessi pubblici coinvolti e con diretto pregiudizio proprio dell’assegnatario, che non conseguirebbe il titolo di proprietà e perderebbe il possesso delle opere da lui realizzate, anche con sacrificio delle risorse pubbliche.
I principi di buona fede e di correttezza nell’adempimento delle obbligazioni (anche quelle di cd. cooperazione nell’adempimento dell’altrui obbligazione) e degli oneri, il principio della compensatio lucri cum damni e il divieto dell’arricchimento senza causa ostano tutti a che il beneficiario di una prestazione pagata con denaro pubblico (l’assegnatario o il concessionario dell’area) si avvantaggi ingiustamente, esimendosi dal sostenere i correlativi oneri o pretendendo di addossarli interamente sull’Ente pubblico e sulla collettività in generale.
Sotto tale profilo, è insostenibile la tesi secondo cui – a seguito dell’annullamento del decreto d’esproprio o della sua mancata emanazione – l’assegnatario o il concessionario, di per sé tenuto a rimborsare quanto spettante al proprietario a titolo di indennità d’esproprio, non debba rivalere l’Amministrazione di quanto pagato allo stesso proprietario per munirsi del titolo di proprietà, sulla base di una transazione o dell’atto di acquisizione ex art. 42 bis.”.
5.3.9. Sotto ulteriore profilo, il giudice di prime cure sarebbe incorso in un ulteriore errore di giudizio laddove ha richiamato la sentenza del T.a.r. Campania (Napoli) n. 3628 del 2015 (“riferita ad una fattispecie analoga in materia edilizia economica e popolare”) e non si sarebbe invece conformato all’indirizzo giurisprudenziale – che comunque viene citato dal T.a.r. al punto 1.10 – delineato in materia dal Consiglio di Stato, Sez. II, con la sentenza 4960 del 2019.
Secondo il citato precedente, “la transazione non ha e non può avere effetto nei confronti di terzi e non può essere considerata un atto di accertamento di una situazione giuridica soggettiva”, essendo il frutto di libere valutazioni di convenienza, che possono trarre la loro origine anche da fatti estranei alla materia di causa e tradursi nella composizione anche di rapporti giuridici estranei alla lite.
Pertanto, i maggiori oneri che il Comune ha deciso di versare per definire il contenzioso a mezzo di una transazione con la proprietà Ca. non potrebbero essere riversati sul soggetto assegnatario del relativo lotto P.I.P.
5.3.10. Anche tale censura non coglie nel segno.
Infatti, la citata sentenza non costituisce precedente conforme ai sensi degli artt. 74 comma 1 e 88 comma 2 lettera d) c.p.a.) in quanto si riferisce ad un caso diverso rispetto a quello in esame: in questo – a differenza che in quello deciso con la invocata sentenza – la transazione ha individuato in modo chiaro e distinto il valore venale del bene e le voci risarcitorie, poiché è pervenuta alla determinazione della somma dovuta dal Comune recependo gli elementi derivanti dalla controversia definita con la sentenza del T.a.r. n. 1374 del 9 luglio 2012, senza che nella determinazione della somma siano refluite circostanze estranee a quel giudizio.
Pertanto, pur essendo corretta, in linea di principio, la ricostruzione degli effetti del contratto di transazione rispetto ai terzi estranei contenuta nel citato precedente, tuttavia, nel caso concreto in esame, è da confermare la ricostruzione che dei criteri di imputazione dei costi dell’espropriazione ha effettuato il T.a.r. al punto 1.10, lettere b) e c), in un’ottica di coerenza rispetto alla lettura delle norme sopra richiamate in materia di “pareggio di bilancio”, di finalità di sviluppo del territorio oltre che di equa ripartizione degli oneri dei P.I.P. sia sulla parte pubblica che su quelle private che ne beneficiano.
5.3.11. L’appellante ritiene altresì (lettera B.4. pag. 20) non corretta l’interpretazione che della clausola “salvo conguaglio” contenuta nella convenzione di lottizzazione ha dato il T.a.r. al punto 1.10 lettera c) della sentenza impugnata, laddove si afferma che l’impresa assegnataria dei lotti PIP “risulta, nella specie, obbligata al rimborso dei maggiori oneri non già in forza di eterointegrazione della convenzione di cessione con la regola ex art. 35 comma 12 della l. n. 865 del 1971, bensì in forza dell’espressa clausola negoziale “salvo conguaglio” la quale da un lato contrattualizza la citata previsione legislativa, e d’altro lato, per il suo tenore non incontra limiti quanto alla fonte (anche transattiva) generatrice degli anzidetti maggiori costi.”
Tale esegesi non sarebbe conforme ai principi di equa ripartizione dell’alea contrattuale e determinerebbe uno squilibrio dei rispettivi obblighi derivanti dalla convenzione di lottizzazione, per cui l’espressione “salvo conguaglio” sarebbe da riferire ai soli casi in cui l’incremento sia oggetto di un giudizio di opposizione alla stima, proposto nell’ambito di una procedura espropriativa illegittima.
5.3.12. Il Collegio condivide la ricostruzione operata dal giudice di primo grado della clausola “salvo conguaglio”, che risulta peraltro avvalorata dalla lettura del bando di assegnazione dei lotti (determina n. 1347 del 31 ottobre 2001) al cui art. 4 comma 2 punto 5) si stabiliva che i partecipanti dovevano dichiarare l’impegno a pagare il corrispettivo per l’acquisizione in proprietà delle aree.
Nel caso in esame e come più sopra argomentato, il corrispettivo è stato determinato in applicazione del criterio del valore venale del bene, così come stabilito dalla sentenza del giudice di primo grado n. 1374 del 2012 che ha consentito che sia per i beni per i quali è intervenuta la stipulazione dell’atto di transazione sia per quelli per i quali è intervenuto il provvedimento di acquisizione, si formasse il titolo giuridico giustificativo dell’acquisito della proprietà da parte della concessionaria o assegnatari.
5.4. Con ulteriore profilo di censura (lettera C, pag. 22) l’appellante richiama, a dimostrazione dell’avvenuto versamento del dovuto prezzo di cessione del lotto P.I.P., la circostanza che il Comune avendo rilasciato quietanza avrebbe rinunciato espressamente all’ipoteca legale.
5.4.1. L’elemento sottoposto all’esame del Collegio appare irrilevante, considerato che la rinuncia all’ipoteca legale contenuta nella originaria convenzione, non esime l’assegnataria del lotto, per tutte le considerazioni sopra svolte, dal pagamento di quanto dovuto a seguito della avvenuta definizione delle procedure espropriative a mezzo della stipulazione dell’atto di transazione e dell’emanazione del provvedimento ai sensi dell’art. 42 bis d.P.R. n. 327 del 2001.
6. Perimenti infondato è il terzo motivo, articolato in quattro lettere (da A a D, pagg. 23-27).
6.1. In primo luogo, con la censura di cui alla lettera A), l’appellante si duole per la pronuncia di inammissibilità resa dal giudice di prime cure sui secondi motivi aggiunti, ritenendo che al limite la mancata notifica al controinteressato, avrebbe reso necessaria una integrazione del contraddittorio agli ulteriori controinteressati individuati dal T.a.r.
6.1.2. La deduzione è infondata.
L’atto contenente i secondi motivi aggiunti conteneva la doglianza relativa al fatto che l’appellante aveva già corrisposto tutte le somme dovute, per cui l’eventuale accoglimento della doglianza avrebbe avuto effetti sugli altri assegnatari dei lotti (ditte assegnatarie dei comparti Oscato e Moscatelli), che pertanto risultavano essere soggetti controinteressati.
Poiché a nessuno di essi risulta essere stato notificato l’atto di motivi aggiunti in questione e l’unico soggetto al quale è stato notificato (oltre che al Comune di (omissis)) è il signor Pi., non avente la qualità di controinteressato, va confermata la pronuncia di inammissibilità .
6.2. In secondo luogo, sono infondate le deduzioni (contenute al punto B) avverso i punti 4.2., 5., 5.1., 5.2. della sentenza di prime cure, nella quale è stato esattamente e idoneamente ricostruito il quadro normativo relativo alle garanzie procedimentali e agli obblighi motivazionali applicabili ai “moduli convenzionali di urbanistica” e ai rapporti obbligatori scaturenti dalle forme convenzionali nonché in relazione alla motivazione per relationem ai sensi dell’art. 3 comma 3 l. 7 agosto 1990 n. 241.
6.3. Al punto C) l’appellante ritorna sull’eccezione di prescrizione delle somme contestando il punto 6 della sentenza di prime cure laddove si è affermata la non predicabilità del termine di prescrizione quinquennale ai sensi dell’art. 2947 c.c. del credito vantato dal Comune di (omissis) ed è stata affermata la non decorrenza del termine per molteplici aspetti.
6.3.1. La prescrizione del diritto al pagamento delle somme avanzato da parte del Comune non può essere dichiarata.
In primo luogo, si ritiene che non trovi applicazione il termine quinquennale poiché il Comune non chiede agli assegnatari dei lotti il pagamento di somme aventi titolo in una responsabilità da fatto illecito nei loro riguardi.
Inoltre, il termine di prescrizione decorre dal giorno in cui diviene possibile l’esercizio del diritto (art. 2935 c.c.) e, nel caso in esame, esso corrisponde alla definizione delle controversie con i proprietari destinatari delle procedure ablatorie, identificabile nel caso de quo, con l’atto di transazione del 2 gennaio 2014 e con l’emanazione della deliberazione commissariale del 30 agosto 2016 n. 1.; e ciò in ragione del fatto che, prima di tali atti, non era possibile per il Comune quantificare le maggiori somme occorrenti per addivenire agli espropri dei terreni in questione, per cui il correlativo diritto di credito da far valere nei riguardi degli assegnatari dei lotti non era esercitabile.
6.4. Con riguardo alla censura di cui alla lettera D) relativa all’illegittimità dell’addebito all’appellante della quota parte delle spese sostenute per gli oneri di urbanizzazione, in quanto coperte da fondi regionali, va confermata la statuizione del T.a.r. trattandosi di censura esplorativa ed appena abbozzata.
7. Può quindi essere esaminato l’appello incidentale con il quale sono articolati nove motivi avverso i capi di cui ai punti 1, 1.5, 1.7, 1.8, 1.9, 1.11 e 1.12, della parte in diritto della sentenza del T.a.r. Salerno n. 2004/2019, anche con riferimento ai punti 3.a e 5 della parte narrativa dei fatti, nella parte in cui in estrema sintesi si afferma:
a) l’impossibilità di includere nell’importo, che l’assegnatario dei suoli è obbligato a corrispondere al Comune, ai sensi dell’art. 35, 12 comma, l.n. 865/1971, voci diverse dall’indennità e, in particolare, “la quota di aumento corrispondente alla (medio tempore) mutata destinazione urbanistica dei suoli, la quota di danni non patrimoniali, l’? indennità per occupazione sine titulo, l’? ammontare degli interessi e della rivalutazione monetaria”;
b) che la somma complessivamente riconosciuta al Ca. per i suoli in sua proprietà ricadenti in area PIP (Euro 2.200.000,00 + 410.370,00 = 2.610.370,00) non è da reputarsi proporzionalmente riversabile sui soggetti assegnatari dei lotti, se non limitatamente alla porzione di essa identificabile
come valore venale attualizzato complessivo dei suoli anzidetti, pari a Euro 1.039.604,00, alla stregua delle indicazioni rivenienti dalla relazione del CTU nominato con ord. coll. n. 1222 del 29 giugno 2011 nell’ambito del giudizio definito dalla citata sentenza di questo Tribunale amministrativo regionale, Salerno, sez. II, n. 1374 del 9 luglio 2012.
Alla luce di tale specificazione, l’interesse del Comune sussiste con esclusivo riferimento alle somme che l’impugnata sentenza ha ritenuto non ripetibili dagli assegnatari.
7.1. I motivi nn. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 e 8 possono essere trattati congiuntamente poiché si riferiscono ad una unica doglianza consistente nel ritenere viziata la sentenza gravata poiché ha omesso di considerare, sotto svariati aspetti, che la corresponsione di tutti i costi effettivamente sostenuti dal Comune per l’acquisizione dei suoli è imposta dal principio di riequilibrio economico di cui all’art. 35 l. n. 865 del 1971, principio declinato anche nel bando di assegnazione del P.I.P. nonché negli ulteriori atti della serie procedimentale che ha condotto alla stipula della convenzione, nonché in molteplici arresti giurisprudenziali.
7.1.1. Il Collegio si riporta, per esigenze di economia processuale, alle considerazioni sopra svolte al punto 5.4.7. della motivazione, sulla base delle quali è individuato il criterio discretivo che consente di discernere quali siano i costi e gli oneri qualificabili come corrispettivi per l’acquisizione dei beni e quali, al contrario, quali indennità e risarcimenti.
7.1.2. Ad avviso del Collegio, la sentenza risulta esente dai vizi logico-giuridici in relazione ai capi 1, 1.5, 1.7, 1.8, 1.9, 1.11 e 1.12, perché le deduzioni contenute nell’atto di appello incidentale inducono a ritenere che questi non abbia titolo a pretendere il pagamento di voci diverse dalle somme occorse per acquisire dapprima il possesso e poi la proprietà del bene al valore venale di mercato.
7.1.3. In particolare, circa la quota di aumento corrispondente alla medio tempore mutata destinazione urbanistica dei suoli, tale profilo si può considerare irrilevante (sicché la censura non risulta supportata da un concreto interesse), in quanto tale mutamento è stato già preso in considerazione dapprima dal consulente tecnico d’ufficio (il quale ha stimato il valore venale del bene in circa 76,00 euro e il maggior valore per la mutata destinazione urbanistica in circa 11,40 euro) e poi, conseguentemente, in sede di determinazione del corrispettivo della transazione (le parti hanno individuato la somma unitaria di 80,00 euro, la quale sostanzialmente corrisponde all’arrotondamento della somma stimata dal c.t.u., pari a 76.00 euro), sicché il Comune ha titolo a chiedere il rimborso dell’intera somma indicata nella transazione stessa, a titolo di controvalore corrisposto al proprietario, ma non anche ulteriori importi non considerati nemmeno in sede transattiva.
7.1.4. Per quanto riguarda invece l’importo corrisposto al proprietario a titolo di danni non patrimoniali, il relativo importo risulta la conseguenza immediata e diretta della commissione dell’illecito imputabile al Comune, venuto meno con l’atto di acquisto della proprietà, sicché per tale parte va confermata la sentenza impugnata.
8. Si deve ora esaminare la domanda del Comune volta ad ottenere dalla società il rimborso di quanto corrisposto all’originario proprietario a seguito del verificarsi della occupazione sine titulo, con i conseguenti accessori degli interessi e della rivalutazione monetaria.
8.1. Al riguardo, va premesso che, come risulta dagli atti:
– a seguito della relativa dichiarazione di pubblica utilità, l’occupazione delle aree dell’originario proprietario fu disposta con alcune ordinanze di occupazione d’urgenza di cui è risultata beneficiaria proprio la società ;
– la patologia dell’azione amministrativa si è a suo tempo verificata perché, entro il termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità, non sono stati emanati i decreti d’esproprio;
– la originaria sentenza del T.a.r. n. 1374 del 2012, sopra citata, ha dapprima rilevato al § 2 che nel corso del procedimento erano stati emanati ‘una valida dichiarazione di pubblica utilità ed un legittimo decreto di occupazione d’urgenza senza tuttavia emanare il provvedimento definitivo di esproprio nei termini previsti dalla leggè ed ha poi disposto l’annullamento di quegli atti di acquisizione (tempestivamente impugnati) emessi dal Comune nel 2006, unicamente in considerazione della sentenza della Corte costituzionale n. 293 del 2010, che ha annullato per eccesso di delega l’art. 43 del testo unico sugli espropri.
8.2. La sentenza del T.a.r. ora impugnata – per affermare che il Comune non si può rivalere nei confronti della società per gli importi corrisposti all’originario proprietario con riferimento al periodo di occupazione senza titolo – al § 1.6. ha osservato che, in considerazione di quanto deciso con la sentenza n. 1374 del 2012, “costituisce dato oggettivo e incontestato che la detta procedura…. si è rilevata illegittima”.
8.3. Ad avviso del Collegio, tale considerazione della sentenza del T.a.r.- richiamata in successivi suoi passaggi motivazionali – di per sé non è errata, ma ne va precisato il significato.
In relazione agli atti di acquisizione emessi nel 2006 ai sensi dell’art. 43 del testo unico sugli espropri e poi annullati dal T.a.r. con la sentenza n. 1374 del 2012, non si può ravvisare una illegittimità imputabile al Comune, il quale aveva dato applicazione ad una disposizione di rango primario attributiva del relativo potere ed in vigore al momento della loro emanazione, che poi, però, è stata dichiarata incostituzionale per il ravvisato eccesso di delega.
Ad avviso del Collegio, l’illecito a suo tempo venutosi a verificare (poi venuto meno con l’atto d’acquisto della proprietà ) è invece imputabile al Comune limitatamente alla parte in cui, a suo tempo, l’ente non ha concluso tempestivamente il procedimento espropriativo, con la conseguenza che l’occupazione – originariamente disposta con le ordinanze d’occupazione d’urgenza divenute inoppugnabili, come rilevato dalla sentenza del T.a.r. n. 1374 del 2012 al § 2- non è stata successivamente supportata da un titolo, proprio per la perdita di efficacia delle medesime ordinanze.
8.4. Ciò comporta che per gli importi corrisposti all’originario proprietario a titolo di indennità per il periodo di efficacia delle ordinanze d’occupazione d’urgenza il Comune ha senz’altro titolo a rivalersi nei confronti della società .
Sotto tale aspetto, la Sezione rileva che dalla lettura degli analitici conteggi effettuati dalla sentenza impugnata non è dato agevolmente comprendere se i relativi importi abbiano tenuto conto di un tale principio (basato sulla semplice considerazione che il titolo del rimborso per il periodo della occupazione d’urgenza a suo tempo vi era e non è certo venuto meno a seguito della mancata conclusione del procedimento espropriativo).
Tuttavia, di tale principio si deve tenere conto in sede di effettuazione dei calcoli, da effettuare in esecuzione del dispositivo della sentenza impugnata.
Pertanto, non dovendosi effettuare in questa sede calcoli eventualmente rettificativi sui conteggi effettuati dal T.a.r., ma risultando condivisibile il’criteriò da esso enunciato, in sede di quantificazione di quanto va rimborsato dalla società, il Comune deve comunque computare quanto complessivamente corrisposto all’originario proprietario con riferimento al periodo di occupazione supportata dal titolo.
8.5. Per quanto riguarda invece il periodo durante il quale vi è poi stata l’occupazione senza titolo delle aree dell’originario proprietario, le articolate deduzioni dell’Amministrazione – che si sono incentrate sull’assenza di suoi profili di responsabilità dell’accaduto – non possono che essere respinte, poiché – come si è sopra rilevato – effettivamente l’Amministrazione ha commesso un illecito, non avendo concluso a suo tempo il procedimento espropriativo.
9. Con un ultimo motivo dell’appello incidentale, il Comune sostiene che la sentenza sia viziata poiché fonda le sue determinazioni esclusivamente sul verbale della Conferenza di servizi svoltasi il 19 luglio 2013 e ometterebbe di rilevare che le affermazioni contenute nella determinazione delle somme da transigere erano riconducibili esclusivamente ad affermazioni del Commissario ad acta nominato dal T.a.r. di Salerno in esito alla sentenza n. 1374 del 2012.
Sul punto, impregiudicato quanto affermato al punto 8.4. in ordine ai criteri da seguire e ai conteggi effettuati nella sentenza impugnata, il Collegio ritiene che il motivo sia infondato poiché le valutazioni effettuate dalla Conferenza di servizi sulla base degli atti del Commissario ad acta nominato dalla sentenza del T.a.r di Salerno n. 1374 del 2012, non possono che imputarsi all’Amministrazione stessa, per cui il giudice di prime cure le ha correttamente considerate univoca e valida base di calcolo.
10. In definitiva, per le considerazioni suesposte, vanno respinti sia l’appello principale che quello incidentale, con la conseguente conferma delle statuizioni contenute nella sentenza di primo grado.
In considerazione dell’esigenza di prevenire possibili ulteriori contenziosi e differimenti della definizione della controversia, la Sezione ritiene di precisare che tale conferma comporta che, nel caso in cui ci si dolga di una imprecisa esecuzione del giudicato, un eventuale ricorso per l’ottemperanza potrà essere proposto al Tribunale amministrativo regionale.
11. Le spese del presente grado d’appello sono compensate, attesa la reciproca soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello n. 2903/2020, lo respinge.
Respinge l’appello incidentale.
Compensa tra le parti costituite le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso dal Consiglio di Stato, nella camera di consiglio del giorno 26 novembre 2020, svoltasi ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 137 del 2020, con l’intervento dei magistrati:
Vito Poli – Presidente
Leonardo Spagnoletti – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere
Roberto Caponigro – Consigliere
Emanuela Loria – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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