I limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 17240.

I limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio

I limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la sentenza di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per l’una e per l’altra ragione: nella prima ipotesi, il giudice di rinvio è tenuto soltanto ad uniformarsi, ai sensi dell’art. 384, comma 1, c.p.c., al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo; nella seconda ipotesi, il giudice non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma può anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in relazione alla pronuncia da emettere in sostituzione di quella cassata, tenendo conto, peraltro, delle preclusioni e decadenze già verificatesi; nella terza ipotesi, la “potestas iudicandi” del giudice di rinvio, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione “ex novo” dei fatti già acquisiti, nonché la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione sia consentita in base alle direttive impartite dalla Corte di cassazione e sempre nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse. (Nella specie, ricadente in tale ultima ipotesi, la S.C. ha affermato che il giudice di rinvio aveva correttamente disposto una nuova c.t.u., non preclusa dalla pronuncia rescindente che aveva rinviato per un nuovo esame della controversia sulla rilevata violazione, da parte del giudice di merito, delle regole sull’onere della prova in tema di risarcimento per responsabilità medica con conseguente erronea motivazione).

Ordinanza|| n. 17240. I limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio

Data udienza  2023

Integrale

Tag/parola chiave: Impugnazioni civili – Cassazione (ricorso per) – Giudizio di rinvio – Giudice di rinvio – Poteri – In genere cassazione per violazione di legge oppure per vizio di motivazione oppure per l’una e per l’altro – Limiti rispettivi del giudice di rinvio – Fattispecie.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente
Dott. CIRILLO Francesco M. – rel. Consigliere

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 16224 del 2022 proposto da:

(OMISSIS), in persona dell’Amministratore di sostegno, ed (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e

(OMISSIS) s.p.a., in persona dei legali rappresentanti, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

e

(OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)

– controricorrenti –

e

(OMISSIS) s.p.a., in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);

– controricorrente –

e

(OMISSIS) s.p.a., elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

e

(OMISSIS) s.p.a., elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2587/2022 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 19/04/2022;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/04/2023 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO.

I limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS), in proprio e quale esercente la potesta’ genitoriale sull’allora minore (OMISSIS), convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, la (OMISSIS) s.p.a. e i medici (OMISSIS) e (OMISSIS), chiedendo che fossero condannati al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, sofferti dal minore a causa delle lesioni permanenti da lui patite in occasione del parto, per una sofferenza ipossico-ischemica che aveva dato luogo a paralisi cerebrale infantile.

Si costituirono in giudizio tutte le parti convenute, chiedendo il rigetto della domanda e sollecitando la chiamata in cause delle rispettive societa’ di assicurazioni, le quali a loro volta si costituirono associandosi alle richieste dei convenuti.

Il Tribunale, dopo aver svolto prova per interrogatorio ed aver espletato due diverse consulenze tecniche d’ufficio, rigetto’ la domanda e compenso’ le spese di lite.

Tale pronuncia fu confermata dalla Corte d’appello di Roma con sentenza del 18 luglio 2013.

2. Impugnata la sentenza d’appello da parte degli attori, la Corte di cassazione, con sentenza 4 aprile 2017, n. 8664, accolse il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso, casso’ la pronuncia di secondo grado e rinvio’ la causa alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, “per un nuovo esame della controversia alla luce dei precisati principi di diritto” e per la liquidazione delle spese.

3. A seguito della cassazione, il giudizio e’ stato riassunto da (OMISSIS) e da (OMISSIS), quest’ultimo in qualita’ di amministratore di sostegno di (OMISSIS), ormai maggiorenne.

Il giudizio e’ stato dichiarato interrotto per la morte del Dott. (OMISSIS), con riassunzione nei confronti degli eredi.

La Corte d’appello ha quindi disposto una nuova c.t.u. e, con sentenza del 19 aprile 2022, ha rigettato il gravame e, dopo aver integralmente compensato le spese dei precedenti gradi di merito e del giudizio di cassazione, ha condannato gli appellanti alla rifusione delle spese del giudizio di rinvio in favore di tutti gli appellati.

3.1. La Corte territoriale ha innanzitutto ritenuto di dover inquadrare i limiti del giudizio di rinvio alla luce della citata sentenza n. 8664 del 2017.

A questo proposito, essa ha rigettato le osservazioni degli appellanti secondo cui la pronuncia di cassazione aveva gia’ accertato, con efficacia di giudicato, la sussistenza della responsabilita’ medica e il nesso causale. Dalla lettura di quella decisione, infatti, derivava che essa “aveva affermato l’erronea applicazione, da parte del giudice del merito, dei principi probatori della materia e del relativo onere a carico delle parti, con conseguente erronea motivazione”. In particolare, la Corte romana ha riportato nel corpo della motivazione ampi passaggi della suindicata sentenza n. 8664, concludendo nel senso che la cassazione era avvenuta sia per violazione di legge sia per vizio di motivazione, “nella parte in cui la Suprema Corte ha rilevato l’erronea valutazione di irrilevanza del mancato monitoraggio TCG nella fase del travaglio e l’erronea affermazione dell’assenza di una sicura prova di uno stato di sofferenza fetale, per l’inversione dell’onere della prova, attribuito impropriamente al danneggiato”.

Poiche’ nelle cause di responsabilita’ medica relative alla sofferenza fetale cio’ che conta e’ la prova certa dell’esclusione della stessa, prova che e’ carico della parte convenuta, entro tali limiti doveva essere fissato il perimetro del giudizio di rinvio, gravando a carico del debitore (medico o struttura) l’ignoranza della causa del danno e tenendo conto del fatto che “la Cassazione ha stabilito che il danneggiato ha assolto l’onere probatorio sul medesimo gravante”.

La Corte territoriale, dunque, ha concluso nel senso che non erano corrette le affermazioni degli appellanti circa l’esistenza, nella sentenza di legittimita’, di un accertamento pacifico della sussistenza della responsabilita’ medica e del nesso causale, perche’ la Corte di cassazione aveva dato atto dell’assolvimento, da parte dei danneggiati, dell’onere della prova esistente a loro carico, “demandando al giudice del rinvio l’accertamento della sussistenza o meno della causa di esclusione della responsabilita’ in relazione all’onere dei convenuti di dimostrare la causa non imputabile ex articolo 1218 c.c. perche’, diversamente, avrebbe affermato la responsabilita’ medica e rimesso al giudice di rinvio solo per la liquidazione del danno”.

I limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio

Alla luce di siffatta ricostruzione, la Corte d’appello ha rigettato la domanda degli appellanti di revoca del provvedimento dispositivo di una nuova consulenza tecnica.

3.2. Tutto cio’ premesso, la sentenza e’ passata a riportare ampie parti della c.t.u. redatta dai dottori (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali avevano concluso nel senso che “il sig. (OMISSIS), dell’attuale eta’ di (OMISSIS), e’ affetto da paralisi cerebrale infantile (PCI). Detta infermita’ non puo’ ritenersi collegata al parto per cui non esistono postumi ad esso ascrivibili da valutare cosi’ come richiesto dal quesito che ci era stato formulato al conferimento dell’incarico”.

Sono state poi riportate le numerose censure, di carattere sia giuridico che tecnico, mosse dai c.t. di parte appellante e le relative risposte fornite dai consulenti d’ufficio, i quali avevano ribadito che la patologia dalla quale e’ affetto il (OMISSIS) era da ricondurre ad un evento lesivo verificatosi nel terzo trimestre di gravidanza e non nella fase perinatale.

Tirando le fila della complessa attivita’ istruttoria svolta, la Corte romana ha affermato che non vi era un riscontro, obiettivamente valutabile, che il parto fosse stato segnato da complicanze solo per il fatto che era mancato il tracciato cardiotocografico nell’ultimo periodo del travaglio, perche’ “in caso diverso ovvero di bradicardia severa o asfissia come ipotizzato dai c.t.p., cio’ sarebbe immediatamente emerso alla nascita perche’ il neonato sarebbe stato sintomatico e sarebbe stato necessario un intervento attivo del personale presente in sala parto per il ripristino delle funzioni compromesse, questione mai adombrata in causa”. Ragione per cui, pur ammettendo la Corte che la c.t.u. genetica svolta in primo grado aveva considerato “come estremamente improbabile una causa diversa da un evento ipossico ischemico in epoca perinatale”, il Collegio medico nominato nel giudizio di rinvio aveva fornito “una diversa interpretazione che si avvale dei progressi scientifici della materia raggiunti nel ventennio che separa le due relazioni, anche sulla base di un approfondito esame delle RMN fatte dal bambino nei primi anni di vita”. Da tale consulenza risultava, infatti, che la paralisi cerebrale infantile era emersa per la prima volta nel (OMISSIS) ed era stata poi confermata nel (OMISSIS); le risonanze magnetiche esaminate avevano mostrato l’interessamento della sostanza bianca cerebrale, segno tipico della lesione da leucomalacia periventricolare, “riconducibile alla formazione in utero al terzo trimestre di gravidanza, mentre l’elemento cardine di riscontro dell’evento ischemico del periodo perinatale e’ la lesione della sostanza grigia cerebrale, non riscontrata nelle suddette risonanze”.

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Richiamati, dunque, i principi sull’onere della prova e sulla verifica dell’esistenza del nesso causale, la Corte territoriale ha ritenuto raggiunta la prova positiva dell’esclusione della sofferenza fetale (e cioe’ dell’esistenza di una causa di inadempimento non imputabile al debitore) da valutare ai sensi dell’articolo 1218 c.c.; detta esclusione andava ad interrompere il nesso causale “tra l’interruzione del tracciato cardiotografico e/o l’attivita’ posta in essere dal neonatologo dopo il parto e il danno da p.c.i. da cui e’ affetto (OMISSIS)”, con conseguente rigetto della domanda risarcitoria.

4. Contro la sentenza della Corte d’appello di Roma propongono ricorso (OMISSIS) e (OMISSIS), quest’ultimo in qualita’ di amministratore di sostegno di (OMISSIS), con unico atto affidato a quattro motivi.

Resistono con separati controricorsi il Dott. (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)

I ricorrenti, la (OMISSIS) s.p.a., l’ (OMISSIS) s.p.a. e la (OMISSIS) s.p.a. hanno depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo complesso motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e n. 4), la violazione e falsa applicazione di una serie di norme e di principi relativi al giudicato e al giudizio di rinvio. In particolare, la censura evidenzia la violazione dell’articolo 2909 c.c. e dei principi e norme che disciplinano il giudicato e di cui alla sentenza di questa Corte n. 8664 del 2017, con conseguente nullita’ della pronuncia impugnata per violazione dell’articolo 2909 c.c. e dei principi e norme di cui alla citata sentenza, che aveva disposto il rinvio in relazione alle riscontrate e denunciate violazioni di legge sull’assolvimento dell’onere probatorio a carico del danneggiato e sulla sussistenza della invocata responsabilita’ medica e del nesso causale; nonche’ la violazione e falsa applicazione dell’articolo 384 c.p.c., comma 2, e dei principi e norme che disciplinano il giudizio di rinvio e impongono al giudice di rinvio di attenersi al principio di diritto e a quanto stabilito dalla Suprema Corte, precludendo allo stesso di riesaminare i presupposti di applicabilita’ del principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte, sulla base di fatti e profili non dedotti, con conseguente nullita’ della sentenza.

I ricorrenti introducono l’articolata censura ricostruendo le tappe principali della complessa vicenda processuale. Ricordano, innanzitutto, che la sentenza di cassazione aveva accolto il ricorso non per vizi di motivazione ma per violazione di legge, avendo riscontrato la violazione delle regole sull’attribuzione dell’onere della prova. Indi, trascritti ampi stralci della citata sentenza n. 8664 del 2017, i ricorrenti rilevano che da essa risultavano “chiaramente accertati, con riferimento al caso di specie, tanto la responsabilita’ dei medici quanto il nesso causale e che il danneggiato aveva assolto l’onere probatorio e non anche che restava aperta l’indagine circa l’assolvimento dell’onere a carico del danneggiante come erroneamente ritenuto dal Giudice di rinvio”. Risulterebbe pertanto evidente, secondo i ricorrenti, che la Corte di merito abbia violato i principi dettati dall’articolo 384 c.p.c. per il giudizio di rinvio, perche’ essa aveva rimesso in discussione, attraverso il rinnovo della c.t.u. alla quale i ricorrenti si erano a suo tempo ripetutamente opposti, l’accertamento con efficacia di giudicato derivante dalla decisione cassatoria, tanto in relazione alla sussistenza della responsabilita’ medica quanto in ordine al nesso di causalita’. La censura ripercorre una serie di passaggi della sentenza impugnata e aggiunge che il vincolo esistente nel giudizio di rinvio impediva alla Corte d’appello di compiere un diverso accertamento sull’esistenza del nesso di causalita’ tra il comportamento dei sanitari oggetto di censura e la gravissima patologia sviluppata dal bambino, in considerazione dell’irrevocabile accertamento del fatto che i danneggiati avevano ampiamente assolto l’onere della prova esistente a loro carico.

I limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e n. 4), la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2909 c.c. e dell’articolo 384 c.p.c., comma 2, e dei principi e norme che precludono al giudice di rinvio di disporre consulenza tecnica in ordine all’accertamento di fatti o profili non dedotti e che importano il riesame dei presupposti del principio di diritto statuito e dei fatti accertati da questa Corte con la sentenza che dispone il rinvio, con conseguente nullita’ ex articoli 161 e 157 c.p.c. della c.t.u. svolta in sede di rinvio; nonche’ la nullita’ della sentenza e del procedimento per violazione delle norme appena citate e dei principi relativi al giudizio di rinvio.

La censura ricorda che la Corte d’appello, con ordinanza del 6 ottobre 2021, a chiarimento del quesito posto ai consulenti, ha disposto illegittimamente il rinnovo della c.t.u. diretta ad accertare l’esistenza del nesso di causalita’, respingendo la richiesta, gia’ presentata dagli appellanti, di revoca del provvedimento di ammissione della nuova consulenza tecnica. Da tale violazione deriva, secondo i ricorrenti, l’erroneita’ dell’impugnata sentenza la’ dove ha posto a fondamento della decisione una serie di illegittimi accertamenti peritali, disposti in violazione dei limiti del giudizio di rinvio.

3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e n. 4), la violazione e falsa applicazione del principio dispositivo del processo civile e dell’articolo 157 c.p.c., oltre che del principio secondo cui le indagini e le risultanze peritali non contestate dalle parti divengono intangibili e non puo’ essere disposta una nuova indagine peritale per una rivalutazione degli stessi fatti e degli stessi accertamenti; con conseguente nullita’ della sentenza e del procedimento per violazione e falsa applicazione del principio dispositivo del processo civile.

I ricorrenti osservano che l’utilizzabilita’, da parte della Corte d’appello, della nuova c.t.u. disposta in sede di rinvio sarebbe preclusa, anche a prescindere dai rilievi contenuti nel secondo motivo, dal fatto che le conclusioni della seconda c.t.u. svolta in primo grado (dei dottori (OMISSIS) e (OMISSIS)) non erano state mai contestate, nemmeno in sede di appello, da parte della (OMISSIS) e dei medici convenuti in giudizio. Da tale mancata contestazione deriverebbe, secondo i ricorrenti, l’intangibilita’ delle conclusioni della citata consulenza, secondo cui una causa della patologia di (OMISSIS) “diversa da un evento anossico ischemico, in epoca perinatale” sembrava estremamente improbabile. L’eventuale erroneita’ o nullita’ di quella consulenza avrebbe dovuto essere tempestivamente eccepita ai sensi dell’articolo 157 cit., cosa che non era avvenuta.

4. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), n. 4) e n. 5), la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2909 c.c. e dell’articolo 384 c.p.c., comma 2 e dei principi e norme relativi al giudizio di rinvio, con conseguente nullita’ della sentenza e del procedimento, oltre che l’omesso esame su un punto decisivo della controversia che e’ stato oggetto di dissenso tra le parti.

La censura muove dall’affermazione, contenuta nella sentenza della Corte di cassazione, secondo cui nel caso specifico mancava nella cartella clinica la descrizione obiettiva del travaglio e del parto, incompletezza che non poteva tradursi in un vantaggio per la parte debitrice. Da cio’ deriva, secondo i ricorrenti, che il giudice di rinvio non avrebbe dovuto e potuto, nella specie, limitarsi all’affermazione che l’incompletezza della cartella clinica non avesse rilievo.

5. La Corte ritiene che i primi due motivi di ricorso, in considerazione della stretta ed evidente connessione che li unisce e della parziale coincidenza delle censure, possano essere trattati congiuntamente.

5.1. E’ opportuno, ai fini di un corretto inquadramento delle questioni sulle quali il Collegio e’ chiamato a pronunciarsi, riassumere brevemente i passaggi argomentativi principali che, secondo la tesi dei ricorrenti, dovrebbero condurre alla cassazione della sentenza impugnata.

I limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio

La tesi di fondo, intorno alla quale ruotano entrambi i motivi qui in esame, e’ che, in sostanza, la sentenza di questa Corte n. 8664 del 2017 avrebbe gia’ accertato, in modo vincolante per il giudice di rinvio, l’esistenza sia della responsabilita’ professionale dei medici sia del nesso di causalita’ tra detta malpratice e la terribile malattia che ha colpito il bambino (chiaramente in tal senso e’ il ricorso alla p. 33). Da tale premessa deriva, nell’assunto dei ricorrenti, la violazione delle norme sul giudicato e di quelle che fissano i limiti del giudizio di rinvio; e da tanto si dovrebbe trarre la conclusione, costantemente ripetuta nel giudizio di rinvio e nella sede odierna, in base alla quale la Corte romana non avrebbe potuto disporre una nuova c.t.u., essendo il giudizio di rinvio un giudizio “chiuso” ed essendo stata la precedente sentenza di merito cassata esclusivamente per violazione di legge. Non residuava pertanto, secondo i ricorrenti, alcun margine per consentire ai sanitari convenuti di dimostrare che nessuna colpa professionale sussisteva a loro carico perche’ la malattia non era conseguenza di errori commessi nella fase finale del travaglio e del parto. Da tanto consegue che la Corte di merito non avrebbe dovuto fare altro che “applicare” i principi enunciati nella pronuncia di cassazione.

A questa impostazione difensiva, gia’ manifestata in sede di giudizio di rinvio attraverso le plurime contestazioni mosse al provvedimento di rinnovo della c.t.u., ha peraltro dato ampia risposta la Corte d’appello nella sentenza impugnata, dimostrando di avere chiara e lucida consapevolezza del problema. Ed invero la Corte d’appello, con un’affermazione sintetica ma, in sostanza, del tutto condivisibile, ha osservato che, se cosi’ fosse, questa Corte si sarebbe dovuta limitare a rinviare il giudizio solo per la liquidazione del danno, il che evidentemente non e’ avvenuto.

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5.2. Cio’ premesso, il Collegio ritiene che debba prendersi avvio da un esame della sentenza n. 8664 del 2017 di questa Corte per stabilire se, effettivamente, le osservazioni dei ricorrenti colgano nel segno oppure no.

La citata sentenza va sommariamente riassunta nei termini seguenti. Dopo aver richiamato una serie di principi in materia di responsabilita’ professionale medica, essa afferma che la Corte d’appello non li aveva rispettati. In particolare, la sentenza evidenzia due punti dai quali desume un’arbitraria inversione delle regole sull’onere della prova: la consulenza tecnica officiosa (cioe’ la consulenza genetica dei dottori (OMISSIS) e (OMISSIS), richiamata oggi dai ricorrenti), secondo cui era da ritenere “estremamente improbabile una causa della patologia diversa da un evento anossico-ischemico ed estremamente remota un’origine genetica di detta patologia”; e “l’interruzione del monitoraggio della partoriente con tracciato cardiotocografico nella fase terminale del travaglio e per un considerevole periodo di tempo (circa un’ora e quaranta prima dell’ingresso in sala parto)”. A questo la sentenza aggiunge che mancava nella cartella clinica il resoconto dell’ultima parte del travaglio.

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La pronuncia si conclude rilevando che “la riscontrata asseverazione dell’inesatta esecuzione della prestazione sanitaria in sede di assistenza al parto (peraltro con omissione del monitoraggio), in quanto idonea a provocare il danno, avrebbe dovuto condurre il giudicante a ritenere pienamente assolto l’onus gravante sul danneggiato”; mentre nessuna valenza poteva ascriversi all’assenza di sicura prova di uno stato di sofferenza fetale perche’, una volta accertata l’esistenza di un monitoraggio “non conforme alle regole della buona ostetricia, la mancanza di una conclusione certa circa la sussistenza o meno di una sofferenza fetale non puo’ deporre a favore della parte obbligata a controllare la situazione clinica della partoriente”.

Segue il dispositivo nel quale questa Corte ha disposto il rinvio alla Corte d’appello di Roma “per un nuovo esame della controversia alla luce dei precisati principi di diritto”.

5.3. Cosi’ ricostruiti i passaggi logici principali della sentenza n. 8664 del 2017, appare evidente che le censure contenute nei primi due motivi di ricorso non colgono nel segno.

Ed invero la pronuncia suindicata ha si’ evidenziato l’errore sul riparto dell’onere della prova, riconoscendo che gli attori avevano assolto l’onere gravante a loro carico, ma non ha affatto affermato che fosse preclusa la dimostrazione della non imputabilita’ dell’inadempimento al debitore della prestazione sanitaria, ai sensi dell’articolo 1218 c.c.; difatti non si rinviene, nella motivazione di quella pronuncia, alcuna affermazione ostativa in ordine all’eventuale prova contraria, da parte dei sanitari, sul fatto che l’evento dannoso fosse da ricondurre ad una causa a loro non imputabile.

E’ opportuno ricordare, a questo proposito, che la piu’ recente giurisprudenza di questa Corte e’ tornata piu’ volte sul tema del nesso di causalita’ in materia di responsabilita’ professionale medica.

Nella sentenza 26 luglio 2017, n. 18392, e’ stato affermato, tra l’altro, che in questa materia emerge “un duplice ciclo causale, l’uno relativo all’evento dannoso, a monte, l’altro relativo all’impossibilita’ di adempiere, a valle. Il primo, quello relativo all’evento dannoso, deve essere provato dal creditore/danneggiato, il secondo, relativo alla possibilita’ di adempiere, deve essere provato dal debitore/danneggiante. Mentre il creditore deve provare il nesso di causalita’ fra l’insorgenza (o l’aggravamento) della patologia e la condotta del sanitario (fatto costitutivo del diritto), il debitore deve provare che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile la prestazione (fatto estintivo del diritto). Conseguenzialmente la causa incognita resta a carico dell’attore relativamente all’evento dannoso, resta a carico del convenuto relativamente alla possibilita’ di adempiere. Se, al termine dell’istruttoria, resti incerti la causa del danno o dell’impossibilita’ di adempiere, le conseguenze sfavorevoli in termini di onere della prova gravano rispettivamente sull’attore o sul convenuto”.

I limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio

Tale orientamento ha ricevuto numerose successive conferme (si vedano, tra le altre, le sentenze 7 dicembre 2017, n. 29315, 11 novembre 2019, n. 28991, 29 marzo 2022, n. 10050, nonche’ l’ordinanza 22 febbraio 2023, n. 5490).

Facendo applicazione del principio ora richiamato, al quale l’odierna pronuncia intende dare ulteriore continuita’, appare evidente, alla luce dell’ulteriore c.t.u. disposta in sede di rinvio, che la prova della causa non imputabile al debitore e’ emersa in tutta la sua incontestabile chiarezza.

Il giudice di rinvio, infatti, ha evidenziato, ritenendola positivamente dimostrata alla luce dell’ultima c.t.u., l’esclusione della sofferenza fetale e la necessita’ di collegare la paralisi cerebrale infantile di (OMISSIS) ad una patologia insorta nel terzo trimestre di gravidanza e non nella fase del parto. Il che viene a significare, alla luce dell’ora richiamata giurisprudenza, che i sanitari curanti hanno positivamente dimostrato l’esistenza di una causa imprevedibile ed inevitabile che ha reso oggettivamente non imputabile la responsabilita’ dell’evento rispetto alla prestazione da loro dovuta e da loro eseguita.

5.4. I due motivi di ricorso ora in esame contestano, come si e’ detto, la stessa ammissibilita’ della nuova c.t.u. e tale censura impone di esaminare il punto dei limiti del giudizio di rinvio.

A questo riguardo e’ stato piu’ volte stabilito, con una giurisprudenza alla quale va data convinta adesione, che nel giudizio di rinvio, ai sensi dell’articolo 394 c.p.c., comma 3, non sono ammesse nuove prove, ad eccezione del giuramento decisorio; tuttavia, nel caso in cui la sentenza d’appello sia stata annullata per vizio di violazione o falsa applicazione di legge, che reimposti secondo un diverso angolo visuale i termini giuridici della controversia, cosi’ da richiedere l’accertamento dei fatti, intesi in senso storico o normativo, non trattati dalle parti e non esaminati dal giudice di merito perche’ ritenuti erroneamente privi di rilievo, sono ammissibili anche le nuove prove che servano a supportare tale nuovo accertamento, non operando rispetto ad esse la preclusione di cui all’articolo 345 c.p.c., comma 3, (cosi’ la sentenza 26 giugno 2013, n. 16180, confermata dall’ordinanza 18 aprile 2017, n. 9768).

I limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio

Nello stesso senso sono da richiamare le pronunce, sostanzialmente conformi a quelle ora citate, secondo cui i limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la pronuncia di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per entrambe le ragioni: nella prima ipotesi, il giudice deve soltanto uniformarsi, ex articolo 384 c.p.c., comma 1, al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilita’ di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo, mentre, nella seconda, non solo puo’ valutare liberamente i fatti gia’ accertati, ma anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in funzione della statuizione da rendere in sostituzione di quella cassata, ferme le preclusioni e decadenze gia’ verificatesi; nella terza, infine, la sua potestas iudicandi, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, puo’ comportare la valutazione ex novo dei fatti gia’ acquisiti, nonche’ la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione, nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse, sia consentita in base alle direttive impartite dalla decisione di legittimita’ (cosi’ le sentenze 7 agosto 2014, n. 17790, e 24 ottobre 2019, n. 27337).

I limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio

D’altra parte – com’e’ stato di recente ribadito dall’ordinanza 18 ottobre 2021, n. 28646 – il ricorso per cassazione avverso la decisione pronunciata in sede di rinvio implica il potere-dovere della Suprema Corte di interpretare direttamente il contenuto e la portata della propria precedente statuizione, mantenendo la propria decisione entro i limiti fissati dalla legge per il giudizio di rinvio. Esso e’, appunto, un giudizio chiuso, “in cui le parti non possono avanzare richieste diverse da quelle gia’ prese ne’ formulare difese, che, per la loro novita’, alterino completamente il tema di decisione o evidenzino un fatto ex lege ostativo all’accoglimento dell’avversa pretesa, la cui affermazione sia in contrasto con il giudicato implicito ed interno, cosi’ da porre nel nulla gli effetti intangibili della sentenza di cassazione ed il principio di diritto che in essa viene enunciato non in via astratta ma agli effetti della decisione finale” (cosi’ ancora l’ordinanza n. 28646 del 2021).

Tutto cio’ premesso, osserva la Corte che, a prescindere dalla discussione sulle singole affermazioni contenute nella sentenza n. 8664 del 2017, e’ decisivo il fatto che la medesima ha cassato la sentenza d’appello con rinvio alla medesima Corte d’appello per un nuovo esame della controversia. Il che dimostra senza ombra di dubbio che, richiamati i principi sull’onere della prova e poste in luce le mancanze nella motivazione alla luce di quei principi, al giudice di rinvio e’ stato demandato il compito di tornare sull’esame della controversia. Si tratta, dunque, di una cassazione sia per violazione di legge (errata applicazione delle regole sull’onere della prova) che per lacune di motivazione (nei termini in precedenza riportati); per cui e’ palese che la Corte romana non poteva (e non doveva) limitarsi a fare applicazione di principi (peraltro non enunciati) e a liquidare i danni, bensi’ era chiamata ad un nuovo esame della vicenda.

Ed e’ esattamente cio’ che il giudice di rinvio ha fatto, disponendo la nuova c.t.u. dei dottori (OMISSIS) e (OMISSIS) e condividendone in pieno le conclusioni, con un accertamento di merito che e’ senza dubbio incensurabile in questa sede.

5.5. Deve pertanto affermarsi, in conclusione, che l’espletamento di una nuova c.t.u. in sede di rinvio sia stato legittimo, siccome non precluso dalla sentenza n. 8664 del 2017.

L’impugnata sentenza, pertanto, non ha leso ne’ il giudicato ne’ i limiti processuali stabiliti dalla legge per il giudizio di rinvio e non sussiste alcuna nullita’ in relazione alla nuova consulenza tecnica svolta dalla Corte d’appello.

I limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio

Il che comporta il rigetto dei primi due motivi di ricorso.

6. Il terzo motivo di ricorso e’ manifestamente infondato.

La Corte osserva che e’ improponibile la tesi dei ricorrenti secondo cui le conclusioni della c.t.u. svolta in primo grado (da parte dei dottori (OMISSIS) e (OMISSIS)) non sarebbero state mai contestate, nemmeno in sede di appello, da parte della (OMISSIS) e dei medici convenuti in giudizio, con la conseguenza che da tale mancata contestazione deriverebbe l’intangibilita’ delle conclusioni della citata consulenza.

La c.t.u., com’e’ noto, non costituisce un mezzo di prova ma un ausilio che il giudice dispone per poter ottenere una serie di informazioni necessarie per la decisione e che esulano dalle sue competenze. Le relative conclusioni non sono in alcun modo assimilabili ad elementi idonei all’intangibilita’, quasi come se si trattasse del passaggio in giudicato di un capo di sentenza, e cio’ per la semplice ragione, correttamente rilevata dalla difesa della (OMISSIS), che il consulente tecnico non ha alcun potere decisorio.

Senza contare che, nella specie, i ricorrenti dimenticano che la suindicata c.t.u. non fu l’unica svolta in primo grado, ma la seconda, e che la prima (eseguita dai dottori (OMISSIS) e (OMISSIS)) era pervenuta a conclusioni sfavorevoli per i danneggiati, escludendo ogni responsabilita’ dei Sanitari convenuti in giudizio.

7. Dal complesso delle argomentazioni svolte fin qui deriva l’assorbimento del quarto motivo di ricorso, posto che in esso vengono mosse censure relative all’incompletezza della cartella clinica che sono evidentemente superate dal complesso della motivazione della sentenza impugnata.

8. L’esito della presente decisione rende superfluo accertare se – come sostengono gli eredi del Dott. (OMISSIS) nel controricorso (p. 4) – si sia formato o meno il giudicato sul capo della sentenza d’appello che aveva escluso la responsabilita’ di quel medico.

9. Il ricorso, in conclusione, e’ rigettato.

La complessita’ dell’iter processuale, l’esito del precedente giudizio di cassazione e l’obiettiva drammaticita’ della vicenda umana consigliano la compensazione integrale delle spese del presente giudizio di legittimita’.

Sussistono tuttavia le condizioni di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente le spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.

I limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio

 

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