Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|15 dicembre 2020| n. 28455.
In tema di appalto, il fondamento del diritto, di cui all’art. 1669 cod. civ., risiede nella circostanza che ricorrano gravi difetti della costruzione, tali da incidere sugli elementi essenziali dell’opera stessa, influendo sulla sua durata e compromettendone la conservazione, tali cioè da comprometterne la funzionalità globale e la normale utilizzazione, secondo la destinazione propria di quest’ultimo. In particolare, i gravi difetti che, ai sensi dell’art. 1669 cod. civ., fanno sorgere la responsabilità dell’appaltatore nei confronti del committente e dei suoi aventi causa consistono in quelle alterazioni che, in modo apprezzabile, riducono il godimento del bene nella sua globalità, pregiudicandone la normale utilizzazione, in relazione alla sua funzione economica e pratica e secondo la sua intrinseca natura
Ordinanza|15 dicembre 2020| n. 28455
Data udienza 15 luglio 2020
Integrale
Tag/parola chiave: Appalto – Azione di garanzia ex art. 1667 cc – Responsabilità dell’appaltatore di natura contrattuale – Differenza con la garanzia di cui all’art. 1669 cc – Nozione di grave difetti
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE SECONDA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente
Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere
Dott. ABETE Luigi – Consigliere
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11580-2019 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SAS (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 6231/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 04/10/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 536 del 2014, rigettava la domanda proposta da (OMISSIS), volta ad accertare l’idoneita’ all’uso del camino realizzato dalla (OMISSIS) s.a.s., nell’appartamento acquistato dall’attore dalla stessa societa’ convenuta, nonche’ la condanna della stessa all’eliminazione dei vizi ed il risarcimento dei danni, sul presupposto dell’intervenuta decorrenza dei termini per la denuncia, effettuata dopo quasi quattro anni dalla realizzazione dell’opera e dalla vendita dell’immobile, trattandosi di vizi non occulti.
In virtu’ di gravame interposto dal (OMISSIS), la Corte di appello di Roma, nella resistenza dell’appellata, con sentenza n. 6231 del 2018, rigettava l’appello condividendo le argomentazioni svolte dal primo giudice, insistendo sulla non tempestivita’ della denuncia, avvenuta la consegna dell’immobile in data 6.07.2006 a fronte di denuncia del 28.01.2010, peraltro generiche le deduzioni circa il momento di effettiva conoscenza dei vizi.
Avverso la sentenza della Corte di appello di Roma il (OMISSIS) propone ricorso per Cassazione, fondato su due motivi. La (OMISSIS) s.a.s. resiste con controricorso.
Ritenuto che il ricorso potesse essere rigettato, con la conseguente definibilita’ nelle forme di cui all’articolo 380 bis c.p.c., in relazione all’articolo 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, regolarmente comunicata ai difensori delle parti, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.
In prossimita’ dell’adunanza camerale parte ricorrente ha curato il deposito di memoria ex articolo 380 bis c.p.c..
Atteso che:
con il primo motivo il ricorrente denuncia, ex articolo 360 c.p.c., n. 4, la nullita’ della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c.. In particolare, ad avviso del (OMISSIS), la corte territoriale avrebbe erroneamente omesso di pronunciarsi sul motivo di appello con quale la difesa aveva invocato l’applicazione alla fattispecie dell’articolo 1669 c.c., in luogo dell’articolo 1667 c.c..
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’articolo 1669 c.p.c.. In particolare, il giudice di appello avrebbe erroneamente omesso di ricomprendere la vicenda in esame nell’ambito dell’articolo 1669 c.c., con conseguente mancata applicazione dei termini di prescrizione e decadenza ivi contenuti.
Le censure, che per l’intima connessione argomentativa meritano una trattazione congiunta, sono prive di pregio.
E’ preliminare osservare che dalla lettura della sentenza gravata si evince che la corte – condividendo l’approccio del primo giudice – ha ritenuto che l’ipotesi in esame fosse da ricondurre all’appalto (cfr. p. 4 della sentenza).
Fermo tale accertamento, ad avviso del ricorrente, in via consequenziale, il giudice del gravame avrebbe dovuto esaminare i vizi lamentati anche alla luce dell’articolo 1669 c.c., mentre si era limitato a sussumere la fattispecie concreta tra i vizi di cui all’articolo 1667 c.c..
Cio’ posto, giova rilevare che il giudice di merito ha ritenuto intempestiva la pretesa di garanzia per difetti dell’appartamento, a norma dell’articolo 1667 c.c., che fissa la prescrizione dell’azione contro l’appaltatore in due anni dal giorno della consegna dell’opera.
Premesso che alla societa’ resistente va attribuita la qualifica di “appaltatore-venditore” per avere la stessa provveduto alla realizzazione dell’appartamento e poi alla sua vendita, e’ appaltatore colui che stipula il contratto previsto dall’articolo 1655 c.c., per cui la circostanza di fatto che l’impresa sia stata anche costruttrice dell’immobile venduto, non rende per cio’ solo l’impresa medesima “appaltatore” nei confronti degli acquirenti, e “committenti” questi ultimi. Orbene, l’azione per ottenere l’adempimento del contratto di appalto e l’eliminazione dei vizi e dei difetti dell’opera, a norma degli articoli 1667 e 1668 c.c., spetta esclusivamente al committente (Cass. 7 novembre 1958 n. 3637) e configura una responsabilita’ dell’appaltatore di natura contrattuale (Cass. 29 luglio 1975 n. 2938; Cass. 16 maggio 1981 n. 3223; Cass. 9 luglio 1983 n. 4637).
Diversamente, la responsabilita’ sancita dall’articolo 1669 c.c. – responsabilita’ di natura extracontrattuale – opera non solo a carico dell’appaltatore nei confronti del committente, ma anche a carico del costruttore nei confronti dell’acquirente (Cass. 19 ottobre 1992 n. 11450).
Alle norme ed ai principi di diritto accennati ha correttamente fatto riferimento la Corte di appello, seppure facendo richiamo all’articolo 1667 c.c., individuando pero’ i criteri per il riparto dell’onere probatorio in relazione all’articolo 1495 c.c..
Non sussiste, pertanto, la denunciata violazione dell’articolo 1667 c.c.: a norma dell’articolo 1495 c.c., comma 3, l’azione si prescrive, “in ogni caso”, in un anno dalla consegna.
Del resto, il fondamento del diritto, di cui all’articolo 1669 c.c., risiede nella circostanza che ricorrano gravi difetti della costruzione, tali da incidere sugli elementi essenziali dell’opera stessa, influendo sulla sua durata e compromettendone la conservazione, tali cioe’ da comprometterne la funzionalita’ globale e la normale utilizzazione, secondo la destinazione propria di quest’ultimo.
La valutazione va eseguita in termini oggettivi, dovendosi – secondo la costante giurisprudenza di questa Corte – dare rilievo ai vizi che, al di fuori dell’ipotesi di rovina o di evidente pericolo di rovina, pur senza influire sulla stabilita’ dell’edificio, pregiudichino o menomino in modo rilevante il normale godimento, la funzionalita’ o l’abitabilita’ dell’immobile (Cass. 18 aprile 2002 n. 5632).
Piu’ precisamente i gravi difetti, che ai sensi dell’articolo 1669 c.c., fanno sorgere la responsabilita’ dell’appaltatore nei confronti dei committenti e dei suoi aventi causa, nonche’ degli acquirenti consistono in quelle alterazioni che, in modo apprezzabile, riducono il godimento del bene nella sua globalita’, pregiudicandone la normale utilizzazione, in relazione alla sua funzione economica e pratica secondo la sua intrinseca natura (Cass. 15 settembre 2009 n. 19868). A tal fine, non ignora questo Collegio i pronunciamenti che ravvisano tali vizi anche qualora non siano totalmente impeditivi dell’uso dell’immobile, come ad esempio quelli relativi all’efficienza dell’impianto idrico (Cass. 19 febbraio 2007 n. 3752) o alla presenza di infiltrazioni e umidita’ (Cass. 4 novembre 2005 n. 21351), ancorche’ incidenti soltanto su parti comuni dell’edificio, e non sulle singole proprieta’ dei condomini (Cass. 3 gennaio 2013 n. 84).
Nel caso di specie, pero’, il ricorrente ha omesso di provare che la gravita’ dei difetti lamentati del camino fossero di natura tale da rendere inidoneo all’uso l’appartamento o quanto meno parte di esso (ad esempio perche’ costituente unica o parziale fonte di riscaldamento) e, pertanto, rimanendo escluso dalla fattispecie di cui all’articolo 1669 c.c..
Peraltro, l’indagine volta a stabilire se i difetti costruttivi ricadano nella disciplina dell’articolo 1669 c.c., ovvero in quella posta dagli articoli 1667 e 1668 c.c. in tema di garanzia per le difformita’ e i vizi dell’opera, rientra nei compiti propri del giudice del merito, coinvolgendo l’accertamento e la valutazione degli elementi di fatto del caso concreto. Al giudice di merito spetta, quindi, di stabilire se le acquisizioni processuali sono sufficienti a formulare compiutamente il giudizio finale sulle caratteristiche dei difetti, dovendo egli accertare anche se, pur afferendo ad elementi secondari ed accessori, essi siano tali da incidere negativamente, pregiudicandoli in modo considerevole nel tempo, sulla funzionalita’ e sul godimento dell’immobile. Questo accertamento di merito e’ sottratto al sindacato di legittimita’ se, come nel caso in esame, adeguatamente motivato (Cass. 26 aprile 2005 n. 8577; Cass. 21 aprile 1994 n. 3794).
In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto al testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, il comma 1-quater della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimita’ in favore di parte controricorrente che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie e agli accessori come per legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis se dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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