Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|8 maggio 2024| n. 12497.
I figli di una persona deceduta da fatto illecito maggiorenni ed indipendenti non esclude la risarcibilità del danno patrimoniale
Il fatto che i figli di una persona deceduta in seguito ad un fatto illecito siano maggiorenni ed economicamente indipendenti non esclude la configurabilità e la conseguente risarcibilità del danno patrimoniale da essi subito per effetto del venir meno delle provvidenze aggiuntive che il genitore destinava loro, posto che la sufficienza dei redditi del figlio esclude l’obbligo giuridico del genitore di incrementarli, ma non il beneficio di un sostegno durevole, prolungato e spontaneo, sicché la perdita conseguente si risolve in un danno patrimoniale, corrispondente al minor reddito per chi ne sia stato beneficato.
Ordinanza|8 maggio 2024| n. 12497. I figli di una persona deceduta da fatto illecito maggiorenni ed indipendenti non esclude la risarcibilità del danno patrimoniale
Data udienza 22 aprile 2024
Integrale
Tag/parola chiave:Risarcimento del danno – Morte di congiunti (parenti della vittima) danno patrimoniale subito dai prossimi congiunti della vittima maggiorenni ed economicamente indipendenti – Risarcibilità – Sussistenza – Fondamento.
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere – Rel.
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere
Dott. PORRECA Paolo – Consigliere
Ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17214/2021 R.G. proposto da:
Da.Sp., Ma.Sp., Va.Ma., elettivamente domiciliati in ROMA VIA (…), presso lo studio dell’avvocato CA.EM. (-) rappresentati e difesi dall’avvocato PI.LA. ((Omissis))
– ricorrenti –
contro
AZIENDA UNITÀ SANITARIA LOCALE (…), elettivamente domiciliato in ROMA VIA (…), presso lo studio dell’avvocato RU.SE. ((Omissis)) che lo rappresenta e difende
– controricorrente –
nonché contro
(…) ASSICURAZIONI Spa, elettivamente domiciliato in ROMA VIA (…), presso lo studio dell’avvocato MO.DA. ((Omissis)) rappresentato e difeso dall’avvocato SP.MA. ((Omissis))
– controricorrente –
(…) ASSICURAZIONI Spa, elettivamente domiciliata presso l’avv. CL.RU. che la rappresenta e difende
– controricorrente e ricorrente incidentale –
ER.ST., elettivamente domiciliato in ROMA VIALE (…), presso lo studio dell’avvocato CA.AD. ((Omissis)) rappresentato e difeso dall’avvocato BA.CA.((Omissis))
– controricorrente e ricorrente incidentale –
AZIENDA UNITÀ SANITARIA LOCALE (…), elettivamente domiciliato in ROMA VIA (…), presso lo studio dell’avvocato RU.SE. ((Omissis)) che lo rappresenta e difende
– controricorrente al ricorso incidentale –
nonché contro
Mo.Ra., Va.Ra., Ma.Pa., Am.Di., Ma.Pa.,
– intimati –
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 2684/2021 depositata il 21/04/2021 .
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 aprile 2024 dal consigliere ENRICO SCODITTI
I figli di una persona deceduta da fatto illecito maggiorenni ed indipendenti non esclude la risarcibilità del danno patrimoniale
Rilevato che
Ma.Sp. e Da.Sp. convennero in giudizio innanzi al Tribunale (…) Na.Du., Am.Di., Gi.Al. e l’Azienda Unità Sanitaria Locale (…) chiedendo il risarcimento cagionato dalla morte del padre Ad.Sp.. Gli attori esposero quanto segue. Ad.Sp. era stato sottoposto all’intervento di rimozione dei calcoli mediante “coangiopancreatografia retrogada endoscopica”, eseguito da Na.Du. presso il nosocomio di L. Trasferito il paziente dopo l’intervento presso il presidio ospedaliero di P, dove inizialmente era stato ricoverato, il quadro clinico del medesimo si era progressivamente aggravato, senza l’effettuazione di alcun esame, e solo dopo undici giorni lo Ad.Sp. era stato trasferito presso il presidio di L, dove, dopo alcuni giorni, era deceduto per la non diagnosticata – nel periodo di degenza presso il presidio di P – sepsi retroperitoneale da perforazione duodenale. I convenuti chiamarono in garanzia le società assicuratrici ed intervenne in giudizio il nipote dello Ad.Sp., Fe.Sp., legalmente rappresentato dai genitori Ma.Sp. e Va.Ma.
Disposta CTU, il Tribunale adito accolse la domanda dei due originari attori, rigettando quella dell’interventore, e condannò i convenuti in solido al pagamento della somma di Euro 275.000,00 in favore di Ma.Sp. e della somma di Euro 325.000,00 in favore di Da.Sp., accogliendo le domande di garanzia nei confronti degli assicuratori. Avverso detta sentenza propose appello Unipol Assicurazioni Spa, società assicuratrice di Am.Di. Proposero appello incidentale Ma.Sp., in proprio e quale genitore di Fe.Sp., e Da.Sp., nonché Er.St., quale erede di Na.Du. Con sentenza di data 13 aprile 2021 la Corte d’appello di Roma rigettò tutti gli appelli.
La corte territoriale osservò, per quanto qui rileva, quanto segue.
La sentenza emessa dal Tribunale (…) in data 4 settembre 2019, relativa al giudizio introdotto da Br.Se., coniuge dello Ad.Sp., non aveva rilievo, sia perché non assistita da giudicato, sia per le considerazioni seguenti sul piano del merito. L’istanza della Er.St. di rimessione in termini per la chiamata in causa delle società assicuratrici era tardiva ed inammissibile, non essendo state mosse censure specifiche alla decisione di primo grado rispetto alla mancata partecipazione di un non meglio precisato assicuratore, sicché quale motivo di appello l’istanza era inammissibile. Premesso che il giudizio penale si era estinto per morte di Gi.Al. e per prescrizione quanto a Am.Di., in relazione sia alla consulenza tecnica disposta nel corso delle indagini preliminari dal PM, che alla perizia disposta in sede di appello, doveva precisarsi che la Er.St. si era costituita tardivamente ai fini della produzione documentale e che tardiva era anche la produzione della perizia da parte della ASL e che comunque, avuto riguardo alle diverse conclusioni cui era pervenuto il CTU, doveva considerarsi la diversità del criterio del più probabile che non, seguito in sede civile, rispetto a quello penalistico della prova oltre ogni ragionevole dubbio. Con riferimento all’appello proposto dalla erede della Na.Du., non era sufficiente affermare che era intervenuta una mera complicanza, dovendo il sanitario provare l’imprevedibilità ed inevitabilità di quest’ultima, prova non fornita, alla luce della incompletezza della cartella sanitaria, nella quale peraltro si dava atto della mancata riuscita della manovra operatoria per problemi ricondotti ad un non identificato strumento chirurgico, evidentemente non idoneo all’utilizzo (l’inconfigurabilità della complicanza rendeva priva di rilievo la censura di avvenuta preventiva informazione, non estendendosi quest’ultima agli esiti anomali). Quanto all’appello proposto dai sanitari del presidio ospedaliero di P, la tempestiva diagnosi (alla luce della prevedibilità, anche come complicanza, della verificazione di una perforazione, del rialzo febbrile e degli altri rilievi clinici ingravescenti) sarebbe stata risolutiva rispetto all’aggravarsi dello Ad.Sp. e avrebbe molto probabilmente escluso l’evento morte.
I figli di una persona deceduta da fatto illecito maggiorenni ed indipendenti non esclude la risarcibilità del danno patrimoniale
Passando al quantum risarcibile, non spettava il danno patrimoniale in favore di Da.Sp., figlia convivente di 43 anni all’epoca del fatto illecito, perché il figlio maggiorenne, per avere diritto al mantenimento a carico dei genitori, doveva dimostrare di essersi adoperato per rendersi autonomo economicamente, e l’eventuale contribuzione del genitore corrispondeva ad una donazione, il cui venir meno non concretizzava un danno risarcibile. Quanto al danno per la perdita del nonno preteso da Fe.Sp., il motivo di appello era inammissibile per difetto di qualsivoglia allegazione in punto di circostanze idonee a concretizzare il danno al di là della mera relazione parentale, non risultando dimostrato l’allegato “ruolo suppletivo” del nonno rispetto ai genitori in relazione al minore di età inferiore ai due anni (il teste La. si era limitato ad affermare che quando incontrava Ma.Sp., questi gli diceva che andava a prendere il figlio Fe.Sp. dai genitori, e che quando aveva incontrato il piccolo Fe.Sp. con il padre, dopo la morte del nonno, aveva colto “un maggiore nervosismo del bambino”; la teste @16St@ aveva affermato di avere visto il bambino insieme con i nonni una sola volta). Quanto al danno non patrimoniale liquidato in favore dei due figli, difettava qualsiasi allegazione rilevante ai fini della personalizzazione, non potendo essere ricondotte a quest’ultima circostanze ricollegabili al normale contenuto del rapporto fra genitore e figli dell’età degli appellanti, mentre l’istruzione della causa, salvo la – già considerata nella liquidazione – convivenza con il padre di Da.Sp., non aveva dato prova di un particolare atteggiarsi dei rapporti dei figli con il padre.
Passando infine all’appello proposto dalla società assicuratrice, era nulla, sulla base di Cass. n. 8894 del 2020, la clausola “claims made” che poneva a carico dell’assicurato un termine di decadenza per denunciare l’evento dannoso, a fronte della scelta del danneggiato di proporre l’istanza risarcitoria successivamente alla cessazione del rapporto contrattuale. L’art. 20 delle condizioni di polizza (“premesso che gli Assicurati hanno in corso contemporaneamente alla presente altra copertura assicurativa personale per RC verso terzi (RCT), personali o sottoscritte dall’Azienda da cui dipendono, per una somma non inferiore a euro 515.000,00 per sinistro, la garanzia della presente polizza opera in eccedenza alle somme garantite dalle polizze di primo rischio (personali o dell’Azienda) e fino a concorrenza dei massimali indicati nella presente polizza, in eccedenza al maggiore dei massimali previsti dalle polizze di primo rischio e dell’Azienda”) costituiva una clausola di stile non riconducibile all’assicurato per diversi profili testuali e per la mancata indicazione di una specifica polizza, né vi era prova di una diversa polizza a copertura del medesimo rischio. L’istanza di esibizione della polizza, priva di riferimenti specifici, era esplorativa ed inammissibile. La polizza eventualmente stipulata dall’azienda sanitaria “per conto proprio” a copertura della responsabilità civile (tanto per il fatto proprio che per quello altrui) non poteva operare in eccesso rispetto all’assicurazione personale del medico, perché i due contratti, riguardanti soggetti diversi, non coprivano il medesimo rischio, essendo presupposto di un’assicurazione a secondo rischio l’identità del rischio coperto (Cass. n. 30314 del 2019). L’obbligo in base al CCNL dell’azienda ospedaliera di sottoscrivere la polizza a copertura del rischio dei sanitari dipendenti non esonerava l’assicurazione dall’onere della prova dell’esistenza di tale polizza, potendosi configurare un inadempimento del datore di lavoro e dovendo comunque la polizza essere esaminata. Circa infine la previsione secondo cui “qualora l’altra assicurazione venga annullata o sia inefficiente parzialmente o totalmente, rimarrà comunque a carico dell’assicurato la somma di Euro 500.000,00 per ogni sinistro”, si trattava di previsione inserita nella clausola disciplinante l’esclusa copertura a secondo rischio (e non di una previsione di franchigia) e dunque non operativa, per essere rimasta indimostrata l’esistenza di una polizza a primo rischio.
I figli di una persona deceduta da fatto illecito maggiorenni ed indipendenti non esclude la risarcibilità del danno patrimoniale
Hanno proposto ricorso per cassazione Da.Sp. e Ma.Sp., in proprio e, unitamente a Va.Ma., quale genitore di Fe.Sp., sulla base di tre motivi. Resistono con distinti controricorsi Er.St., quale erede di Na.Du., che ha proposto altresì ricorso incidentale sulla base di tre motivi, (…) Assicurazioni Spa, che ha proposto altresì ricorso incidentale sulla base di tre motivi, e (…) Assicurazioni Spa L’Azienda Unità Sanitaria Locale (…) ha proposto controricorso avverso sia il ricorso principale che il ricorso incidentale proposto da (…) Assicurazioni Spa. È stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 cod. proc. civ. È stata presentata memoria.
Considerato che
muovendo dal ricorso principale, con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente, in relazione al mancato riconoscimento del danno patrimoniale in favore di Da.Sp., che la corte territoriale, in luogo dell’art. 2043, ha applicato l’art. 147 c.c., posto che la questione è quella della perdita del sostegno economico di cui la figlia beneficiava pur in assenza di un obbligo giuridico, spettando il risarcimento anche in favore del figlio maggiorenne economicamente indipendente.
Il motivo è fondato. Il fatto che i figli di persona deceduta in seguito ad un fatto illecito siano maggiorenni ed economicamente indipendenti non esclude la configurabilità, e la conseguente risarcibilità, del danno patrimoniale da essi subito per effetto del venir meno delle provvidenze aggiuntive che il genitore destinava loro, posto che la sufficienza dei redditi del figlio esclude l’obbligo giuridico del genitore di incrementarli, ma non il beneficio di un sostegno durevole, prolungato e spontaneo, sicché la perdita conseguente si risolve in un danno patrimoniale, corrispondente al minor reddito per chi ne sia stato beneficato (Cass. n. 24802 del 2008; n. 4253 del 2012). A tale principio di diritto dovrà attenersi il giudice del merito.
Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 116 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. Osserva la parte ricorrente che il giudice di appello ha erroneamente recepito le risultanze istruttorie relative al nipote Fe.Sp., ove si consideri il contenuto dei capitoli di prova testimoniale e che non era condivisibile l’affermazione secondo cui la tenera età non consentiva di stabilire un rapporto con il nonno.
Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 116 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. Osserva la parte ricorrente che le testimonianze in atti hanno dimostrato il radicale sconvolgimento di vita che la morte del padre aveva provocato per i due figli e che non vi era stato alcun esame delle risultanze istruttorie.
I due motivi, da trattare congiuntamente in quanto attinti dal medesimo vizio, sono inammissibili. Attraverso i motivi in esame viene censurato il giudizio di fatto in ordine alle risultanze processuali, riservato al giudice del merito e non sindacabile in sede di legittimità.
Peraltro, quanto al secondo motivo, la ratio decidendi non è incentrata sull’età del minore, ma sulla mancata prova di una soglia di rapporti di affetto e solidarietà con il familiare defunto tale da giustificare il risarcimento. Quanto al terzo motivo, le circostanze di fatto sono state valutate dal giudice del merito e sono state considerate, in base al suo non sindacabile giudizio di merito, come deponenti nel senso di una fisiologia di rapporti non meritevole di personalizzazione.
I figli di una persona deceduta da fatto illecito maggiorenni ed indipendenti non esclude la risarcibilità del danno patrimoniale
Passando al ricorso incidentale proposto da Er.St., quale erede di Na.Du., con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 354 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360,comma 1, n. 3, cod. proc. civ. Osserva la parte ricorrente che non è stato valutato che Er.St. avesse ignorato dell’esistenza del giudizio promosso nei confronti della premorta figlia Na.Du., avendone appreso solo a seguito della lettera del legale della USL (…), e che, disattesa dal Tribunale l’istanza di rimessione in termini per la chiamata in causa dell’assicuratore, la corte territoriale non ha valutato le circostanze di una inconsapevole ignoranza circa il processo.
Il motivo è inammissibile. In violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6 c.p.c. non risulta specificatamente indicato se ed in quali termini sia stato proposto un motivo di appello sulla questione oggetto di censura, né se ed in quali termini nella sentenza del Tribunale vi fosse una statuizione di rigetto dell’istanza di rimessione in termini in relazione alla decadenza della parte dalla facoltà di chiamare un terzo in causa, facoltà da esercitare nel termine per la costituzione in giudizio (Cass. n. 12490 del 2007). In mancanza dell’assolvimento di tale onere processuale, il motivo non è scrutinabile.
Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 310, 115, 116 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ. Premette la parte ricorrente che, diversamente da quanto affermato dalla corte territoriale, nella sentenza del Tribunale (…), relativa al giudizio promosso dalla moglie della persona deceduta, la responsabilità, sulla base della consulenza tecnica disposta dal PM nel procedimento penale, è stata ascritta al presidio ospedaliero di P. Osserva che gli atti relativi alle indagini preliminari erano già presenti negli atti processuali in quanto depositati dalla parte attrice e che nella perizia penale disposta in appello si evidenziava il carattere di mera complicanza della perforazione del duodeno, non del tutto prevedibile. Aggiunge che la motivazione non può essere limitata al profilo della tardività del deposito, senza indicazione delle ragioni di diritto, e che vi è stato riconoscimento della responsabilità sulla base del criterio del più probabile che non senza giudizio controfattuale.
Il motivo è inammissibile. In primo luogo va evidenziata l’inidoneità dell’impugnazione della ratio decidendi rappresentata dalla tardività del deposito documentale. In violazione dell’art. 366, comma 1, n. c.p.c. non risulta specificatamente indicata la sede di ingresso nel processo di merito degli atti relativi alle indagini preliminari nel procedimento penale, essendo stata genericamente evocata una produzione da parte attorea. Quanto alla perizia disposta nella fase penale di appello è stata specificatamente rilevata la tardività del deposito dal parte della Azienda USL. In ogni caso, vi è l’ulteriore ratio decidendi che concerne il giudizio di fatto relativo alla riconosciuta responsabilità, avendo il giudice del merito reputato l’irrilevanza delle risultanze penali sulla base del diverso criterio (civilistico) del più probabile che non ed avendo poi svolto il relativo giudizio di fatto quanto alla mancanza di prova di una causa, imprevedibile ed inevitabile, che avrebbe reso impossibile la corretta prestazione sanitaria.
I figli di una persona deceduta da fatto illecito maggiorenni ed indipendenti non esclude la risarcibilità del danno patrimoniale
Peraltro, la corte territoriale ha correttamente fatto applicazione del principio di diritto secondo cui nel giudizio di responsabilità medica, per superare la presunzione di cui all’art. 1218 c.c. non è sufficiente dimostrare che l’evento dannoso per il paziente costituisca una “complicanza”, rilevabile nella statistica sanitaria, dovendosi ritenere tale nozione – indicativa nella letteratura medica di un evento, insorto nel corso dell’iter terapeutico, astrattamente prevedibile ma non evitabile – priva di rilievo sul piano giuridico, nel cui ambito il peggioramento delle condizioni del paziente può solo ricondursi ad un fatto o prevedibile ed evitabile, e dunque ascrivibile a colpa del medico, ovvero non prevedibile o non evitabile, sì da integrare gli estremi della causa non imputabile (Cass. n. 35024 del 2022).
Con il terzo motivo si denuncia violazione dell’art. 132 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., nonché omesso esame del fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. Osserva la ricorrente, premesso che nella sentenza del Tribunale (…) relativa al giudizio promosso dalla moglie della persona deceduta era stata esclusa la responsabilità della Na.Du. ed ascritto a complicanza la perforazione duodenale, che la motivazione è contraddittoria, e pertanto apparente, per le seguenti ragioni: da una parte si contesta l’incompletezza della cartella clinica, dall’altra si dice che i sanitari di P erano ben al corrente della storia clinica di Ad.Sp.; da una parte si afferma, quanto alla Na.Du., che non è sufficiente dimostrare il carattere di complicanza dell’evento dannoso, dall’altra si dice, quanto ai sanitari del presidio di P, che avrebbero dovuto considerare la possibile complicanza dell’intervento; inoltre si afferma che la tempestiva diagnosi sarebbe stata risolutiva rispetto all’aggravarsi dello Ad.Sp. e avrebbe molto probabilmente escluso l’evento morte.
Il motivo è infondato. Va preliminarmente rilevata l’inammissibilità della censura per vizio motivazionale (peraltro irritualmente formulata) ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., stante la doppia conforme e la mancata dimostrazione di una divergenza circa le ragioni di fatto alla base delle due decisioni di merito (non vi è, peraltro, specifica illustrazione della motivazione della sentenza del Tribunale).
Quanto alla denuncia di motivazione apparente, vanno premessi in modo succinto i principi di diritto vigenti nella materia della causalità materiale, secondo la giurisprudenza di questa Corte (ex multis, Cass. 7355/2022, Cass. 10046/2022, Cass. 10050/2022, Cass.30496/2022).
I figli di una persona deceduta da fatto illecito maggiorenni ed indipendenti non esclude la risarcibilità del danno patrimoniale
L’accertamento giudiziario (che non coincide con il concetto di certezza naturalistica dell’accadimento di un fatto) della causalità materiale si fonda sull’applicazione del principio di cui all’art. 40 c.p.c. e sulla regola con-causale di cui all’art. 41 c.p. Principi causali strutturali adottati dalla giurisprudenza civilistica (a differenza di quella penalistica, a tutt’oggi fondata sulla teoria condizionalistica) sono quelli della regolarità causale, integrata, se del caso, in relazione alle singole fattispecie concrete, da quelli dell’aumento del rischio e dello scopo della norma violata. Principi causali funzionali (id. est, di causalità specifica del caso concreto, operanti sul piano della prova) di causalità materiale sono quelli (a loro volta difformi da quello penalistico dell’alto grado di probabilità logica e di credenza razionale, nella sostanza trasfusi ex lege nell’art. 533 c.p.p.), della probabilità prevalente e del più probabile che non. Il primo criterio (la probabilità prevalente, che può essere più correttamente definito come quello della prevalenza relativa) implica che, rispetto ad ogni enunciato, venga considerata l’eventualità che esso possa essere vero o falso, e che l’ipotesi positiva venga scelta come alternativa razionale quando è logicamente più probabile di altre ipotesi positive, in particolare di quella/e contraria/e (senza che la relativa valutazione risulti in alcun modo legata ad una concezione meramente statistico/quantitativa della probabilità), per essere viceversa scartata quando le prove disponibili le attribuiscano un grado di conferma “debole” (tale, cioè, da farla ritenere scarsamente credibile rispetto alle altre). Il secondo criterio (il più probabile che non) comporta che il giudice, in assenza di altri fatti positivi, scelga l’ipotesi fattuale che riceve un grado di conferma maggiormente probabile rispetto all’ipotesi negativa. In entrambi i casi, il termine “probabilità” non viene riferito al concetto di frequenza statistica, bensì al grado di conferma logica che la relazione tra fatti ha ricevuto sulla base dei fatti storici acquisiti al processo.
Ciò premesso sulla causalità materiale in generale, e venendo al tema del concorso di cause, cui è pertinente la denuncia di motivazione apparente, va rammentato che in presenza di una pluralità di fatti imputabili a più persone, coevi o succedentisi nel tempo, a tutti deve essere riconosciuta un’efficacia causativa del danno, se abbiano determinato una situazione tale che, senza l’uno o l’altro di essi, l’evento non si sarebbe verificato, mentre deve attribuirsi il rango di causa efficiente esclusiva ad uno solo dei fatti imputabili o quando, inserendosi questo quale causa sopravvenuta nella serie causale, spezzi il nesso eziologico tra l’evento dannoso e gli altri fatti, ovvero quando, esaurendo sin dall’origine e per forza propria la serie causale, riveli l’inesistenza, negli altri fatti, del valore di concausa e li releghi al rango di occasioni estranee. Pertanto, ai fini della determinazione del nesso di causalità, in presenza di una pluralità di fatti riferibili a più persone, si deve a tutti riconoscere – di regola – una efficienza causativa ove abbiano determinato una situazione tale che senza di essi l’evento non si sarebbe determinato; tuttavia tale regola non trova applicazione allorquando la causa per ultima sopravvenuta, per la sua intrinseca idoneità ed autonomia si sganci dalle concause anteriori ed assurga a causa determinante esclusiva dell’evento; per causa sopravvenuta e sufficiente da sola a causare l’evento, ai sensi dell’art. 41, comma 2, cod. pen., deve intendersi quella indipendente dal fatto del presunto responsabile, avulsa dalla sua condotta ed operante con assoluta autonomia così da sfuggire al controllo ed alla prevedibilità di quello; si ha interruzione del nesso causale, per effetto del comportamento sopravvenuto di altro soggetto, soltanto quando il fatto di costui si ponga come unica ed esclusiva causa dell’evento di danno, sì da privare di efficienza causale e da rendere giuridicamente irrilevante il precedente comportamento dell’autore dell’illecito mentre non si ha interruzione del nesso causale quando, essendo ancora in atto ed in sviluppo il processo produttivo del danno avviato dal fatto illecito dell’agente, nella situazione di potenzialità dannosa da questi creata si inserisca un comportamento di altro soggetto che sia preordinato proprio al fine di fronteggiare e, se possibile, di neutralizzare le conseguenze di quell’illecito; illecito che resta, in tal caso, unico fatto generatore sia della situazione di pericolo sia del danno derivante dalla adozione di misure difensive e reattive a quella situazione, sempreché rispetto ad essa coerenti ed adeguate (Cass. n. 19180 del 2018; n. 18094 del 2005).
Alla luce di tali principi di diritto, la ratio decidendi della sentenza, oltre ad essere ad essi conforme, è chiaramente percepibile. Alla stregua del principio appena richiamato, il primo comportamento illecito (l’intervento di rimozione dei calcoli) sarebbe da considerare unico fatto generatore del danno se, nel corso della fase successiva a tale situazione pregiudizievole, fossero state assunte misure idonee per reagire alla detta situazione e ciononostante fosse rimasto permanente l’evento di danno. Il giudice del merito ha invece accertato che da parte dei sanitari successivamente intervenuti non vi è stata tempestiva diagnosi. A fronte dell’inadeguatezza del successivo intervento, il giudice del merito, coerentemente ai principi di diritto richiamati, ha considerato fatti generatori dell’evento dannoso sia la condotta dell’operatore, che quella dei sanitari successivamente intervenuti. Del resto si tratta di fatti relativi alla violazione della medesima regola cautelare, posto che entrambi hanno concorso a concretizzare il rischio alla cui prevenzione la detta regola era deputata. Al cospetto di tale ratio decidendi, alla motivazione non può essere attribuito il carattere dell’apparenza.
I figli di una persona deceduta da fatto illecito maggiorenni ed indipendenti non esclude la risarcibilità del danno patrimoniale
Passando al ricorso incidentale proposto da (…) Assicurazioni Spa, con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 ss., 1322, 1341 e 1917 c.c. Osserva la ricorrente, premesso che la richiesta risarcitoria era pervenuta dopo lo spirare del periodo di efficacia dell’assicurazione, che Cass. Sez. U. n. 22437 del 2018 ha ritenuto valida la clausola claims made, mentre è rimasta isolata Cass. n. 8894 del 2020.
Il motivo è fondato. La giurisprudenza di questa Corte, alla luce degli arresti delle sezioni unite, è giunta alla conclusione che il modello di assicurazione della responsabilità civile con clausole “on claims made basis”, quale deroga convenzionale all’art. 1917, comma 1, c.c., consentita dall’art. 1932 c.c., è riconducibile al tipo dell’assicurazione contro i danni e, pertanto, non è soggetto al controllo di meritevolezza di cui all’art. 1322, comma 2, c.c., ma alla verifica, ai sensi dell’art. 1322, comma 1, c.c., della rispondenza della conformazione del tipo, operata attraverso l’adozione delle suddette clausole, ai limiti imposti dalla Legge, da intendersi come l’ordinamento giuridico nella sua complessità, comprensivo delle norme di rango costituzionale e sovranazionale. Tale indagine riguarda, innanzitutto, la causa concreta del contratto, sotto il profilo della liceità e dell’adeguatezza dell’assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dalle parti, ma non si arresta al momento della genesi del regolamento negoziale, investendo anche la fase precontrattuale (in cui occorre verificare l’osservanza, da parte dell’impresa assicurativa, degli obblighi di informazione sul contenuto delle “claims made”) e quella dell’attuazione del rapporto (come nel caso in cui nel regolamento contrattuale “on claims made basis” vengano inserite clausole abusive), con la conseguenza che la tutela invocabile dall’assicurato può esplicarsi, in termini di effettività, su diversi piani, con attivazione dei rimedi pertinenti ai profili di volta in volta implicati (Cass. Sez. U. n. 22437 del 2018; conforme, da ultimo, Cass. n. 12981 del 2022).
Nell’ottica dell’indagine sulla causa concreta, le sezioni unite hanno chiarito quanto segue: “l’analisi dell’assetto sinallagmatico del contratto assicurativo rappresenta un veicolo utile per apprezzare se, effettivamente, ne sia realizzata la funzione pratica, quale assicurazione adeguata allo scopo (tale da superare le criticità innanzi ricordate: p. 17), là dove l’emersione di un disequilibrio palese di detto assetto si presta ad essere interpretato come sintomo di carenza della causa in concreto dell’operazione economica. Ciò in quanto, come già affermato da questa Corte, la determinazione del premio di polizza assume valore determinante ai fini dell’individuazione del tipo e del limite del rischio assicurato, onde possa reputarsi in concreto rispettato l’equilibrio sinallagmatico tra le reciproche prestazioni (Cass., 30 aprile 2010, n. 10596; ma, in forza di analoga prospettiva, anche Cass., S.U., 28 febbraio 2007, n. 4631). Non è, dunque, questione di garantire, e sindacare perciò, l’equilibrio economico delle prestazioni, che è profilo rimesso esclusivamente all’autonomia contrattuale, ma occorre indagare, con la lente del principio di buona fede contrattuale, se lo scopo pratico del regolamento negoziale “on claims made basis” presenti un arbitrario squilibrio giuridico tra rischio assicurato e premio, giacchè, nel contratto di assicurazioni contro i danni, la corrispettività si fonda in base ad una relazione oggettiva e coerente con il rischio assicurato, attraverso criteri di calcolo attuariale. Del resto, una significativa chiave interpretativa in tal senso è fornita dal considerando n. 19 della direttiva 93/13/CEE, che, sebbene abbia riguardo specificamente alla tutela del consumatore, esprime, tuttavia, un principio di carattere più generale, che trae linfa proprio dall’anzidetta relazione oggettiva rischio/premio, sterilizzando la valutazione di abusività della clausola di delimitazione del rischio assicurativo e dell’impegno dell’assicuratore “qualora i limiti in questione siano presi in considerazione nel calcolo del premio pagato dal consumatore””.
In questo quadro, richiamando l’estraneità del disposto dell’art. 2965 cod. civ. al giudizio relativo alla clausola claims made, la quale costituisce una delimitazione dell’oggetto del contratto, secondo quanto affermato dalle sezioni unite (Cass. Sez. U. n. 9140 del 2016 e poi la stessa Cass. Sez. U. n. 22437 del 2018), è stato affermato che “non può essere affetta da nullità, ex art. 2965 c.c., la clausola claims made “perché fa dipendere la decadenza dalla scelta di un terzo”, giacché l’atteggiarsi della richiesta del terzo, quale evento futuro, imprevisto ed imprevedibile, è del tutto coerente con la struttura propria del contratto di assicurazione contro i danni (nel cui ambito, come detto, è da ricondursi la polizza con clausola claims made), in cui l’operatività della copertura deve dipendere da fatto non dell’assicurato” (Cass. n. 12908 del 2022 – diversamente si era orientata sulla questione dell’art. 2965 c.c. Cass. 8894 del 2020, rimasta isolata, come si afferma nel motivo di ricorso, ma si veda, in senso contrario, già Cass. n. 30309 del 2019).
Al fine dell’indagine in ordine alla causa concreta, il giudice del merito deve pertanto svolgere l’analisi dell’assetto sinallagmatico del contratto assicurativo, dando valore alle circostanze rilevanti, quale quella, invero determinante, del premio di polizza. Spetta così al giudice del merito, facendo applicazione dei suddetti principi di diritto, giudicare dell’assenza o presenza di squilibrio sinallagmatico dal punto di vista del giudizio di fatto.
Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 ss., 1910, 1891, 1917, 2697, 2727 c.c., 210 c.p.c. Osserva la ricorrente, in relazione alla mancata valutazione dell’operatività della clausola a secondo rischio, che l’obbligo della ASL di assicurare i dipendenti costituisce presunzione ai sensi dell’art. 2727 e che l’ordine di esibizione ai sensi dell’art. 210, rispetto al quale (…) non disponeva di altro mezzo per acquisire la polizza “a primo rischio”, non richiedeva l’indicazione degli estremi della polizza.
Il motivo è inammissibile. Costituisce autonoma ratio decidendi della sentenza impugnata il richiamo al principio di diritto enunciato da Cass. n. 30314 del 2019: la polizza stipulata da una casa di cura “per conto proprio” a copertura della responsabilità civile (tanto per il fatto proprio quanto per quello altrui) non può “operare in eccesso” rispetto all’assicurazione “personale” del medico che in essa operi, poiché i due contratti, che sono diversi e riguardano soggetti differenti, non coprono il medesimo rischio. (in applicazione dell’enunciato principio, la Corte ha cassato la sentenza di appello, affermando che presupposto necessario perché possano sussistere una coassicurazione, una assicurazione plurima od una copertura “a secondo rischio” è proprio l’identità del rischio coperto). Tale ratio decidendi non è stata impugnata, da cui la non decisività della censura, la quale risulta comunque formulata nei termini, non consentiti in sede di legittimità, di confutazione del giudizio di fatto.
Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 ss. c.c. Osserva la ricorrente, in relazione alla mancata considerazione della franchigia, che la clausola negoziale è chiara nel senso che, in assenza di altre coperture assicurative, quella prestata da Unipol garantiva soltanto i danni causati dall’assicurato in eccedenza all’importo di Euro 500.000,00.
Il motivo è inammissibile. Circa la previsione secondo cui “qualora l’altra assicurazione venga annullata o sia inefficiente parzialmente o totalmente, rimarrà comunque a carico dell’assicurato la somma di Euro 500.000,00 per ogni sinistro” La., il giudice del merito ha accertato che si tratta di previsione inserita nella clausola disciplinante l’esclusa copertura a secondo rischio (e non di una previsione di franchigia) e dunque non operativa, per essere rimasta indimostrata l’esistenza di una polizza a primo rischio. Trattasi di un giudizio di fatto, integrante il risultato dell’ermeneutica svolta della clausola negoziale, non sindacabile in sede di legittimità. Nel motivo di ricorso non vi è specifica denuncia di violazione delle regole ermeneutiche, al di là del richiamo normativo in rubrica, ma vi è solo l’impugnazione del risultato interpretativo, non sindacabile in sede di legittimità.
I figli di una persona deceduta da fatto illecito maggiorenni ed indipendenti non esclude la risarcibilità del danno patrimoniale
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo del ricorso principale, dichiarando inammissibili gli altri motivi; rigetta il ricorso incidentale proposto da Er.St., quale erede di Na.Du.; accoglie il primo motivo del ricorso incidentale proposto da (…) Assicurazioni Spa, dichiarando inammissibili gli altri motivi;
cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti;
rinvia alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il giorno 22 aprile 2024.
Depositato in Cancelleria l’8 maggio 2024.
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