I balconi aggettanti non determinano volume dell’edificio

Consiglio di Stato, Sezione quarta, Sentenza 16 ottobre 2020, n. 6275.

I balconi aggettanti sono quelli che sporgono dalla facciata dall’edificio, costituendo solo un prolungamento dell’appartamento dal quale protendono, non svolgono alcuna funzione di sostegno né di necessaria copertura, come viceversa è riscontrabile per le terrazze a livello incassate nel corpo dell’edificio, con la conseguenza che mentre i primi, quelli aggettanti, non determinano volume dell’edificio, nel secondo caso essi costituiscono corpo dell’edificio e contribuiscono quindi alla determinazione del volume.

Sentenza 16 ottobre 2020, n. 6275

Data udienza 9 luglio 2020

Tag – parola chiave: Interventi edilizi – Facciata di un edificio – Balconi aggettanti – Caratteristiche – Individuazione

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10602 del 2019, proposto dai signori Gi. Sp. ed altri, rappresentati e difesi dall’avvocato An. Ci., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Udine, viale (…);
contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati St. Co. e Fe. Ro., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato St. Co. in Roma, piazza (…);
nei confronti
La società Ri. Br. a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. An. Bi., Ma. Sa. e Gi. Sb., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ma. Sa. in Roma, viale (…);
la società En. Ri. Holding a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Friuli Venezia Giulia n. 348 del 1° agosto 2019, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e della società Ri. Br. a r.l.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 luglio 2020 il Cons. Alessandro Verrico e udito l’avvocato Fe. Ro., che ha chiesto il passaggio in decisione con tutti gli effetti di legge;
Visto l’art. 84 del decreto legge n. 18 del 2020;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso dinanzi al T.a.r. per il Friuli Venezia Giulia (R.G. n. 53/2019), gli odierni appellanti, ciascuno quale proprietario di appartamento sito nel condominio Co. Az. (palazzina D) di (omissis), chiedevano l’annullamento del permesso di costruire prot. n. 25397/P, in variante al permesso di costruire n. 13472/UEP, rilasciato alla società Ri. Br. per la realizzazione, davanti a tale palazzina, di un edificio a destinazione alberghiera, deducendo il mancato rispetto della distanza di legge fra edifici (dieci metri calcolata dal filo esterno delle terrazze a livello della palazzina, piuttosto che essere calcolata a partire solo dalle pareti interne della palazzina D).
2. Il T.a.r., con la sentenza n. 348 del 1° agosto 2019, ha respinto il ricorso e ha condannato i ricorrenti a rifondere al Comune di (omissis) ed alla società controinteressata Ri. Br. le spese del giudizio. Secondo il Tribunale, in particolare:
– sarebbe condivisibile la tesi difensiva avanzata dal Comune e dalla società Ri. Br., con cui è stato sostenuto il rispetto della distanza di legge vista la correttezza delle modalità di misurazione della distanza legale di dieci metri, effettuata dando applicazione delle previsioni contenute nel piano regolatore particolareggiato comunale (P.R.P.C.) di iniziativa privata “Casa del fanalista”, non tempestivamente impugnate;
– sarebbe applicabile la “norma tecnica sulle distanze integrata dalla tavola di progetto planovolumetrico B2 in base alla quale la distanza minima tra pareti finestrate “che costituiscono volume urbanistico”, pari a ml 10, è al netto dei balconi”.
3. Gli originari ricorrenti hanno proposto appello, per ottenere la riforma della sentenza impugnata e il conseguente accoglimento integrale del ricorso di primo (omissis). In particolare, gli appellanti hanno sostenuto la seguente censura rubricata: “Erroneita” della decisione del T.A.R. di ritenere corretto il calcolo della distanza di 10 metri fra edifici “al netto” delle terrazze – e conseguentemente legittimo il rilasciato permesso di costruire – assumendo applicabile alla fattispecie la previsione del P.R.P.C. di iniziativa privata “Casa del fanalista” (volto alla realizzazione del solo albergo antistante la palazzina dei ricorrenti) in violazione del principio pacifico per il quale quanto stabilito in un P.R.P.C. di iniziativa privata ha valenza solo per le realizzazioni edilizie da esso previste e non per quelle preesistenti esterne all’ambito considerato dallo stesso P.R.P.C.”.
Gli appellanti hanno inoltre svolto le proprie difese con riferimento alle tesi avanzate in primo (omissis) dal Comune e dalla società controinteressata, secondo cui:
a) “il calcolo della distanza di 10 metri “al netto dei balconi” sarebbe legittimamente stato effettuato a mente di quanto previsto dell’art. 3 co. 2 ter della L.R. F.V.G. n. 19/2009, siccome aggiunto dalla L.R. F.V.G. n. 29/2017″;
b) “il calcolo della distanza di 10 metri “al netto dei balconi” sarebbe legittimamente stato effettuato a mente di quanto previsto dal punto 11.9 delle Norme Tecniche di attuazione del P.R.P.C. del Comune di (omissis) aggiornate con la variante n. 28 del 28 gennaio 2018″.
3.1. Si sono costituiti in giudizio il Comune di (omissis) e la società Ri. Br., i quali, depositando rispettivamente memoria difensiva, si sono opposti all’appello e ne hanno chiesto l’integrale rigetto.
3.2. Con ulteriori memorie le parti hanno rispettivamente replicato alle avverse deduzioni, insistendo nelle proprie conclusioni.
4. All’udienza del 9 luglio 2020 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.
5. L’appello è infondato e deve pertanto essere respinto.
6. La censura sollevata dagli appellanti riguarda, in primo luogo, la possibilità per i Comuni di prescrivere distanze inferiori a quelle previste dalla normativa statale ove le costruzioni siano incluse in un piano particolareggiato o in una lottizzazione e, in particolare, pone la questione se tale possibilità riguardi o meno soltanto le distanze fra costruzioni insistenti su fondi che siano inclusi tutti nel medesimo piano particolareggiato o per costruzioni entrambi facenti parte della medesima lottizzazione convenzionata.
Invero, nel caso di specie, l’edificio di cui al condominio in esame non è ricompreso nel P.R.P.C. di iniziativa privata “Casa del fanalista”, con la conseguenza che, in caso di risposta negativa al detto quesito, il P.R.P.C. non avrebbe efficacia derogatoria rispetto alla previsione dell’art. 9 del d.m. 1444/68 (“è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di metri 10 fra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti”), che, ad avviso degli appellanti, sarebbe costantemente interpretata dalla giurisprudenza nel senso che la distanza vada calcolata dal filo esterno delle terrazze a livello.
6.1. D’altro canto, occorre considerare che in senso contrario:
a) la società controinteressata ha eccepito l’inammissibilità della censura, risolvendosi essa per gli appellanti in un venire contra factum proprium, atteso che anche l’edificio di loro proprietà sarebbe stato costruito illegittimamente non rispettando la distanza di cinque metri dal confine con il terreno di proprietà della medesima società, se fosse vero che i balconi dovessero essere computati;
b) il Comune, sostenendo l’applicazione al caso di specie delle previsioni del suddetto piano particolareggiato, ha eccepito l’inammissibilità del ricorso, a causa della mancata impugnazione del piano, quale atto presupposto dell’impugnato permesso di costruire.
6.2. La censura non risulta fondata.
6.3. Il Collegio rileva preliminarmente l’infondatezza della descritta eccezione di inammissibilità, ravvisando che la costruzione del condominio avveniva in un momento antecedente all’entrata in vigore della variante n. 32 del giugno 2019 alle norme tecniche di attuazione del P.R.G.C., con conseguente inapplicabilità alla fattispecie della distanza minima di cinque metri da essa prevista.
6.4. Quanto al merito della censura, occorre considerare che:
a) le norme tecniche di attuazione del P.R.P.C. di iniziativa privata, denominato “Casa del fanalista”, approvato con decreto del Commissario straordinario n. 25 dd. 21 febbraio 2011, prevedono nella tabella della normativa tabulata alle stesse allegata che la distanza minima di dieci metri vada misurata “tra fronti finestrati che costituiscono volume urbanistico”;
b) in applicazione di tale previsione, la tavola B2, allegata al P.R.P.C., rappresenta graficamente la sagoma della soletta dei balconi del condominio con una linea tratteggiata, in effetti misurando la distanza dei dieci metri dalla parete dell’edificio con destinazione alberghiera alla parete finestrata dell’edificio esistente, trascurando i balconi degli appellanti;
c) la richiamata norma tecnica del piano particolareggiato, in assenza di specificazioni ulteriori, deve trovare applicazione, non solo tra gli edifici inclusi nell’ambito territoriale interessato dal piano, ma anche con riferimento a quegli edifici che, come quello in esame, sono posti nell’area limitrofa esternamente al perimetro del piano, anche in considerazione della circostanza, non contestata, che il piano in oggetto prevede la costruzione del solo edificio alberghiero;
d) l’impugnato permesso di costruire ha fatto corretta applicazione della citata previsione del piano, pubblicato all’Albo pretorio dal 23 febbraio 2011 al 10 marzo 2011, la quale risulta non essere stata impugnata tempestivamente dai ricorrenti.
7. D’altro canto, la disciplina del piano particolareggiato risulta essere conforme alla previsione di cui alla l.r. n. 19/2009 inerente la distanza minima tra pareti finestrate, la quale, piuttosto che introdurre una deroga a quanto previsto dal d.m. n. 1444/1968, si è limitata a stabilire le modalità di calcolo della stessa.
Invero, ai sensi dell’art. 3, comma 2-ter, l.r. n. 19/2009 (come aggiunto dalla l.r. n. 29/2017), “salvo diversa previsione degli strumenti urbanistici, anche differenziata per zone urbanistiche, e ferme restando le disposizioni del Codice civile in materia di distanze, non vengono computati ai fini del calcolo della distanza tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti le opere o i manufatti non idonei a compromettere il profilo igienico-sanitario e il corretto inserimento dell’opera nel contesto urbanistico quali, a esempio: 1) sporti di gronda, abbaini, terrazze, poggioli e balconi aggettanti; …..”.
Pertanto, alla stregua di tale disposizione, non sarebbero da computarsi, in quanto “non idonei a compromettere il profilo igienico-sanitario e il corretto inserimento dell’opera nel contesto urbanistico”, oltre che gli sporti di gronda, gli abbaini, le terrazze, i poggioli, anche “i balconi aggettanti”.
L’applicabilità della disciplina alla fattispecie all’esame dipende pertanto dalla qualificazione dei terrazzi alla stregua di “balconi aggettanti”.
7.1. Del resto, nel medesimo senso depone la previsione della disciplina comunale, indicata dalle parti resistenti nel punto 11.9 delle norme tecniche di attuazione del P.R.G.C. del Comune di (omissis), come aggiornate con la variante n. 28 del 28 gennaio 2018, alla cui stregua la distanza fra edifici deve essere misurata dai “fili esterni” degli “elementi aggettanti”, solo ove questi ultimi (oltre che “sporgenti dalla muratura perimetrale degli edifici per più di ml 1,65”) siano “chiusi su cinque piani”.
7.2. Al riguardo, il Collegio rileva:
a) preliminarmente l’infondatezza dell’eccezione sollevata dal Comune in ordine all’inammissibilità della deduzione di parte appellante, in quanto essa, piuttosto che essere nuovo motivo introdotto per la prima volta in appello, costituisce mera difesa, ammissibile senza preclusioni;
b) che, secondo la giurisprudenza di questo Consiglio, “i balconi aggettanti sono quelli che sporgono dalla facciata dall’edificio, costituendo solo un prolungamento dell’appartamento dal quale protendono, non svolgono alcuna funzione di sostegno né di necessaria copertura, come viceversa è riscontrabile per le terrazze a livello incassate nel corpo dell’edificio, con la conseguenza che mentre i primi, quelli aggettanti, non determinano volume dell’edificio, nel secondo caso essi costituiscono corpo dell’edificio e contribuiscono quindi alla determinazione del volume” (Cons. Stato, sez. IV, 7 luglio 2008, n. 3381; conf. Cass. civ., sez. II, 12 gennaio 2011, n. 587; id., sez. II, 5 gennaio 2011, n. 218);
c) che, dall’esame della documentazione fotografica prodotta dagli appellanti, i terrazzi in questione devono essere ricondotti alla nozione giurisprudenziale di “aggetti”, non potendo, per converso, essere configurati quali corpi di fabbrica tali da ampliare la superficie abitabile degli appartamenti;
d) che il richiamo alla “chiusura su cinque piani” – di cui alla disciplina comunale – debba essere circoscritto alle sole ipotesi delle verande, le quali, essendo in effetti chiuse su cinque piani diversi dalla parete dell’edificio, costituiscono volumetria urbanistica.
7.3. I terrazzi del condominio in esame devono pertanto essere qualificati quali “elementi aggettanti” aperti, con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 3, comma 2-ter, l.r. n. 19/2009 e del punto 11.9 delle norme tecniche di attuazione del P.R.G.C., non sono computati ai fini del calcolo della distanza tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti.
8. In conclusione, in ragione di quanto esposto, l’appello deve essere respinto.
9. Le spese del presente (omissis) di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello R.G. n. 10602/2019, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna gli appellanti al pagamento delle spese del presente (omissis) di giudizio, nella misura di euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00), oltre accessori di legge, in favore di ciascuna delle parti costituite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 9 luglio 2020 svoltasi ai sensi degli artt. 84 del d.l. n. 18/2020 e 4 del d.l. n. 28/2020, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Luca Lamberti – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere, Estensore
Nicola D’Angelo – Consigliere
Michele Conforti – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Per aprire la pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *