Gli interventi volti ad eliminare le barriere architettoniche

Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 14 gennaio 2020, n. 355

La massima estrapolata:

Secondo l’art. 4 della legge n. 13/1989, gli interventi volti ad eliminare le barriere architettoniche, ovvero quelli volti a migliorare le condizioni di vita delle persone svantaggiate nel senso descritto, si possono effettuare anche su beni sottoposti a vincolo come beni culturali, e la relativa autorizzazione, come previsto dal comma 4 di tale articolo, può essere negata solo ove non sia possibile realizzare le opere senza serio pregiudizio del bene tutelato, precisandosi quindi al comma 5 che il diniego deve essere motivato con la specificazione della natura e della serietà del pregiudizio, della sua rilevanza in rapporto al complesso in cui l’opera si colloca e con riferimento a tutte le alternative eventualmente prospettate dall’interessato ed al comma 2 che la mancata pronuncia nel i 90 giorni equivale ad assenso.

Sentenza 14 gennaio 2020, n. 355

Data udienza 15 ottobre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8580 del 2008, proposto dal Comune di Napoli, in persona del suo Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. An., Ed. Ba., Fa. Ma. Fe., Gi. Pi., An. Pu. e Gi. Ta., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Gi. Ma. Gr. & As. S.r.l. in Roma, corso (…), e comunque con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
il Condominio di -OMISSIS-, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ga. Co., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Ma. De Ti. in Roma, via (…),
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Quarta n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente autorizzazione edilizia per realizzazione balconate.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Condominio di -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 15 ottobre 2019, il Consigliere Fulvio Rocco e udito per la parte appellante l’avvocato Fr. Ma. su delega dell’avvocato Gi. Pi.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.1. Nell’ormai lontano 1996 l’amministratore pro tempore del Condominio dello stabile di vico del -OMISSIS-, inoltrò al Sindaco la domanda di rilascio dell’autorizzazione edilizia per la costruzione alla quota di 7,95 metri di un ballatoio in struttura metallica di smonto all’impianto dell’ascensore, da realizzarsi in corrispondenza del secondo piano dello stabile medesimo e la cui autorizzazione all’installazione era stata contestualmente richiesta.
Nell’istanza si precisava che la realizzazione dell’anzidetto ballatoio risultava indispensabile per il superamento della rampa di scale da parte della condomina -OMISSIS-, la quale, essendo portatrice di handicap in quanto affetta da -OMISSIS-, aveva chiesto la realizzazione delle opere previste dalla l. 9 gennaio 1989, n. 13, recante – per l’appunto – “Disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati”.
L’istanza era stata debitamente corredata dal progetto completo di documentazione fotografica e di relazione tecnica, nonché dalla documentazione medica attestante l’handicap della condomina.
Essendo lo stabile vincolato à sensi dell’allora vigente l. 29 giugno 1939, n. 1497, venne acquisito il parere della Commissione edilizia comunale integrata che, nella seduta del 21 ottobre 1996, espresse parere favorevole all’installazione dell’ascensore ma contrario alla realizzazione del predetto ballatoio, suggerendo di superare la barriera architettonica costituita dalla rampa di scala mediante l’installazione di un apposito mezzo meccanico dedicato ai portatori di handicap.
Tale parere della Commissione venne confermato dalla Soprintendenza per i Beni architettonici e ambientali di Napoli con nota Prot. n. -OMISSIS-.
L’amministratore del condominio ritirò pertanto l’autorizzazione edilizia comunale n. -OMISSIS-relativa alla sola installazione dell’ascensore e recante – altresì – l’esplicita prescrizione di non realizzare anche il predetto ballatoio.
L’autorizzazione non venne impugnata nella parte recante tale divieto, il quale venne peraltro violato mediante la realizzazione del manufatto.
Con istanza dd. 19 febbraio 1998 il condominio chiese quindi il rilascio di un’autorizzazione edilizia in sanatoria per la realizzazione del ballatoio predetto e con ulteriore istanza dd. 23 aprile 1998 integrò la pratica edilizia in corso, corrispondente al n. 41/98, con la richiesta di installare a quota 13,26 metri un ulteriore ballatoio per le necessità di altro condomino portatore di handicap.
Nelle proprie istanze il condominio evidenziò che la realizzazione dei ballatoi era necessaria al fine di non deturpare le volte a crociera e a botte dei rampanti mediante l’installazione all’interno dello stabile di qualsivoglia mezzo meccanico.
L’Amministrazione comunale, nel corso dell’istruttoria, espresse il suggerimento di installare i mezzi meccanici lungo la rispettiva parete del rampante in modo da non interferire con le volte a botte ed a crociera.
A sua volta la Commissione edilizia comunale integrata, nella seduta del 28 gennaio 1999 si espresse in senso negativo sulle due richieste, richiamandosi anche al proprio precedente parere del 21 ottobre 1996.
Con disposizione dirigenziale n. -OMISSIS-le richieste del condominio sono state pertanto respinte con i seguenti ordini di motivazione: 1) l’autorizzazione rilasciata per l’installazione dell’ascensore conteneva già la prescrizione del Ministero dei Beni ambientali, formulata à sensi dell’art. 7 della l. n. 1497 del 1939, di non realizzare il ballatoio previsto a quota m. 7,99; 2) la Commissione edilizia integrata aveva espresso, nella seduta del 28 gennaio 1999, parere contrario in conformità al precedente parere del 21 ottobre 1996, “in quanto si configurerebbe alterazione della facciata laterale dello stabile”; 3) il Responsabile del procedimento aveva formulato, a conclusione dell’istruttoria, la seguente proposta: “l’intervento è da classificarsi come ristrutturazione edilizia, lettera d), art. 31, L. n. 457 del 1978, non consentito nella zona B del piano vigente. Inoltre, comporta modifica non omogenea ed organica della facciata”.
1.2.1. Con ricorso proposto sub R.G. -OMISSIS-innanzi al T.A.R. per la Campania, sede di Napoli, il condominio ha chiesto l’annullamento di tale provvedimento di diniego nonché di ogni suo altro atto presupposto e conseguente, deducendo al riguardo violazione e falsa applicazione di legge con riguardo alle pertinenti disposizioni contenute nella l. 28 febbraio 1985, n. 47, nella l. 29 giugno 1939, n. 1497, e nella l. 5 agosto 1978, n. 457, nonché carenza assoluta di motivazione ed errata qualificazione degli interventi.
Secondo il ricorrente condominio risultava in tal senso innanzitutto evidente la sussistenza del dedotto vizio di difetto di motivazione in relazione a quanto stabilito dall’art. 4 della l. 9 gennaio 1989, n. 13, posto che il richiamato parere della Commissione Edilizia Integrata (peraltro espresso due anni prima) si limiterebbe a rappresentare l’eventualità di un’ipotetica alterazione della facciata laterale dello stabile, ma non motiverebbe sulla gravità e serietà del pregiudizio estetico asseritamente arrecato allo stabile.
Inoltre, ad avviso del condominio, risulterebbe comunque errata la qualificazione dell’intervento così come espressa dal Responsabile del procedimento, dal momento che, à sensi dell’art. 7, comma 2, della l. n. 13 del 1989, la realizzazione di rampe o ascensori esterni si configurerebbe quale opera di manutenzione straordinaria e non già di ristrutturazione edilizia, risultando pertanto assoggettata a mera autorizzazione e, quindi, non a concessione edilizia, il cui titolo deve intendersi rilasciato ex lege qualora l’amministrazione comunale non si sia pronunciata nei 90 giorni susseguenti alla presentazione della relativa istanza.
1.2.2. Il Comune di Napoli si costituiva in giudizio eccependo in via preliminare l’irricevibilità del ricorso, da reputarsi tardivamente proposto in relazione al divieto di realizzazione del ballatoio a quota 7,95 metri già imposto con l’autorizzazione n. 7 dd. 26 gennaio 1998, non impugnata e rispetto alla quale l’atto impugnato si configurerebbe pertanto quale atto meramente confermativo.
In subordine il Comune ha chiesto la reiezione del ricorso, rilevando che l’impugnato provvedimento risulterebbe adeguatamente motivato mediante il puntuale richiamo agli atti acquisiti nel corso dell’istruttoria e che il provvedimento medesimo recherebbe comunque la valutazione e la scelta della soluzione migliore per contemperare tutti gli interessi contrapposti.
Secondo il Comune, inoltre, risulterebbe inconfenente ai fini di causa il secondo rilievo dedotto in ricorso, atteso che l’ultimo comma dell’art. 48 della l. n. 457 del 1978 escluderebbe l’applicazione del regime del silenzio-assenso nell’ipotesi di sussistenza di vincoli imposti à sensi della l. n. 1497 del 1939.
1.3. Con disposizione dirigenziale n. 824 del 26 giugno 2000 l’amministrazione comunale ha quindi ordinato al signor -OMISSIS-, nella sua qualità di responsabile dell’abuso, di provvedere alla demolizione delle seguenti opere abusivamente realizzate nello stabile ubicato al vico del -OMISSIS-: “taglio nella muratura perimetrale traslato di metri 6,00 dal progetto assentito con autorizzazione n. 7/98 (pratica 212/97) e sporto di metri 6,00 x 0,80 di larghezza strutturato in ferro, che dalla porta dell’ascensore serve un appartamento privato”.
1.4.1. Con ulteriore ricorso proposto sub R.G. n. 10718 del 2000 innanzi al T.A.R. per la Campania, sede di Napoli, R.G. il condominio ha chiesto l’annullamento anche di tale ulteriore provvedimento, deducendo al riguardo la nullità del provvedimento surriferito in quanto adottato nei confronti del signor -OMISSIS- in proprio e non nella sua qualità di amministratore dello stabile, nonché la sua invalidità per vizi derivati rispetto alla precedente disposizione dirigenziale n. -OMISSIS-già impugnata sub R.G. 8184 del 1999.
1.4.2. Anche in tale procedimento si è costituito il Comune di Napoli, concludendo per la reiezione del ricorso, rilevando che non sussisterebbe la dedotta nullità, in quanto l’impugnato provvedimento sarebbe stato chiaramente emesso nei confronti del sig. La Bruna non in proprio, ma nella qualità di responsabile dell’abuso, e che comunque il provvedimento si fonderebbe sulle risultanze dell’istruttoria e, in particolare, sul rapporto di denuncia redatto dagli agenti della Polizia Municipale in data -OMISSIS-e sul precedente diniego di sanatoria di cui alla predetta disposizione dirigenziale n. -OMISSIS-, mai annullata ovvero sospesa nei propri effetti.
1.4.3. Con ordinanza n. -OMISSIS-la Sezione IV^ dell’adito T.A.R. ha accolto à sensi dell’allora vigente art. 21, ultimo comma, della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, la domanda di sospensione cautelare dell’impugnata ingiunzione a demolire.
1.4.4. Con susseguente ordinanza collegiale n. 195 dd. 26 marzo 2007 la medesima Sezione IV^ dell’adito T.A.R. ha ravvisato l’opportunità della trattazione congiunta del ricorso in esame con quello già proposto sub R.G. n. -OMISSIS-al fine di un’eventuale loro riunione, per evidenti ragioni di connessione soggettiva ed oggettiva.
1.5. Con sentenza n. -OMISSIS-, resa in forma semplificata à sensi dell’allora vigente art. 26, quarto comma, della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, come modificato dall’art. 9 della l. 21 luglio 2000, n. 205, la medesima Sezione IV^ dell’adito T.A.R., previa riunione dei due ricorsi, ne ha disposto l’accoglimento, compensando integralmente tra le parti le spese e gli onorari di tale primo grado di giudizio.
In tal senso il giudice di primo grado ha testualmente rilevato che “2…. deve essere disattesa l’eccezione di tardività formulata dalla difesa dell’amministrazione comunale resistente in relazione al primo ricorso (n. 8184/1999 R.G.). Tale eccezione avrebbe avuto ragion d’essere se il Condominio ricorrente avesse ora impugnato l’autorizzazione n. 7 del 26 gennaio 1998 per la parte relativa alla prescrizione pregiudizievole (divieto di realizzazione del ballatoio a quota m. 7,95). Tuttavia, così non è . Oggetto del gravame in esame è, infatti, la verifica della legittimità del potere esercitato dal Comune, nell’ambito del diverso procedimento (ex art. 13 della legge n. 47 del 1985), successivamente instaurato dallo stesso Condominio ai fini della sanatoria dell’opera realizzata sine titulo (procedimento comunque ritualmente e tempestivamente esperibile dagli interessati, come chiarito dalla stessa norma citata, ‘fino alla irrogazione delle sanzioni amministrativè ). Nella fattispecie in esame, non può dunque sussistere alcun dubbio in ordine alla tempestività del ricorso, da correlare esclusivamente alla data di notifica dell’impugnata disposizione dirigenziale n. 258 del 27 maggio 1999 (3 giugno 1999). 3. Nel merito, i ricorsi in esame sono fondati e devono essere accolti. Come esattamente dedotto dal Condominio ricorrente nel primo ricorso (e ribadito in via derivata nel secondo ricorso), il Comune resistente, nell’esaminare le due richieste di autorizzazione in sanatoria relative all’esecuzione (per comprovate e non contestate esigenze di eliminazione di barriere architettoniche) di due balconate in corrispondenza degli smonti dell’impianto di ascensore (realizzato in forza del pregresso, esplicito, atto di assenso n. 7 del 26 gennaio 1998), avrebbe potuto legittimamente negare l’autorizzazione richiesta nella sola ipotesi in cui le opere in questione avessero arrecato grave e serio pregiudizio all’intero fabbricato. L’art. 4 della legge n. 13 del 1989, ai commi 4 e 5, così infatti recita: ‘4. L’autorizzazione può essere negata solo ove non sia possibile realizzare le opere senza serio pregiudizio del bene tutelato. 5. Il diniego deve essere motivato con la specificazione della natura e della serietà del pregiudizio, della sua rilevanza in rapporto al complesso in cui l’opera si colloca e con riferimento a tutte le alternative eventualmente prospettate dall’interessatò . La norma è chiarissima e non consente una diversa interpretazione. Tra l’altro, l’obbligo di una specifica ed esplicita motivazione, in caso di diniego di autorizzazione, delle ragioni del pregiudizio al bene tutelato è coerente con la ratio della citata legge 9 gennaio 1989, n. 13 (recante ‘Disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privatà ), che è rivolta a favorire, in una visione sostanzialistica dei rapporti di convivenza tra consociati (ed in diretta applicazione delle norme costituzionali poste a presidio della dignità della persona e del diritto alla salute), il miglioramento delle condizioni di vita dei soggetti portatori di handicap negli edifici con più piani (non a caso stabilendo, all’art. 1, comma. 3, che la progettazione relativa alla costruzione di nuovi edifici, ovvero alla ristrutturazione di interi edifici, ‘deve comunque prevedere: a) accorgimenti tecnici idonei alla installazione di meccanismi per l’accesso ai piani superiori, ivi compresi i servoscala; b) idonei accessi alle parti comuni degli edifici e alle singole unità immobiliari; c) almeno un accesso in piano, rampe prive di gradini o idonei mezzi di sollevamento; d) l’installazione, nel caso di immobili con più di tre livelli fuori terra, di un ascensore per ogni scala principale raggiungibile mediante rampe prive di gradinà ). Nella fattispecie in esame, l’impugnato provvedimento di diniego di sanatoria non è supportato dalla specifica motivazione all’uopo prevista dalla legge. Esso si limita infatti a richiamare il parere contrario espresso dalla Commissione Edilizia Beni Ambientali in data 28 gennaio 1999. Tuttavia, nel pervenire a conclusione negativa in ordine all’istanza del Condominio richiedente, né tale parere, né quelli da questo richiamati (parere della stessa Commissione del 21/10/96 e parere della Sovrintendenza BB.AA.AA. del 30 maggio 1997), fanno riferimento al grave e serio pregiudizio che lo stabile condominiale potrebbe ricevere dall’esecuzione delle opere in questione. Al riguardo, è sufficiente rileggere la motivazione di tali atti. Nel parere del 28 gennaio 1999, la Commissione Edilizia Beni Ambientali si limita ad affermare che ‘si configurerebbe un’ulteriore alterazione della facciata laterale dello stabilè . Nel precedente parere del 21 ottobre 1996, la stessa Commissione era pervenuta ‘tout court’, senza alcuna giustificazione, a conclusione negativa in ordine alla progettata costruzione della balconata a quota m. 7,95 (anche se era stata prospettata una soluzione alternativa al superamento della barriera architettonica, ‘con opportuno mezzo meccanico posto all’internò ). Nel parere della Sovrintendenza BB.AA.AA del 30 maggio 1997, l’adesione alla prescrizione posta dalla Commissione era poi giustificata con riferimento ad una generica ‘migliore tutela del sitò . Come appare evidente, nessuno degli atti posti direttamente o indirettamente a fondamento della motivazione dell’impugnato diniego di autorizzazione in sanatoria è sufficiente ad integrare lo specifico obbligo motivazionale di cui all’art. 4 della legge n. 13 del 1989, mancando in essi qualsiasi riferimento al grave e serio pregiudizio della sicurezza del fabbricato, necessario a giustificare l’eventuale determinazione negativa (nonché alla circostanza affermata dalla difesa del Comune resistente nella memoria difensiva depositata nel primo giudizio, secondo cui l’Ufficio avrebbe comunicato alla parte richiedente che ‘il mezzo meccanico suggerito era da installarsi lungo la parete del rampante perché in tal modo non avrebbe interferito con le volte a botte ed a crociera della stessà , circostanza che non risulta da alcun atto del procedimento). In conclusione, assorbito ogni altro motivo (e fatta salva ogni ulteriore attività amministrativa), i ricorsi in esame devono essere accolti e per l’effetto devono essere annullati gli atti impugnati”.
2.1. Con l’appello in epigrafe il Comune di Napoli chiede ora la riforma di tale sentenza.
2.2. Il Comune in tal senso insiste innanzitutto per l’accoglimento della propria eccezione preliminare di irricevibilità del ricorso proposto in primo grado avverso la determinazione dirigenziale n. -OMISSIS-, rilevando ancora una volta che il qui appellato condominio non ha adempiuto all’onere di impugnare in parte qua entro il previsto termine decadenziale l’autorizzazione edilizia n. -OMISSIS-recante – per l’appunto – l’assenso all’installazione dell’ascensore ma non già l’autorizzazione a realizzare il ballatoio progettato alla quota di m. 7,95.
Secondo il Comune, infatti, il diniego opposto con il provvedimento n. -OMISSIS-alla richiesta di sanatoria per la realizzazione del ballatoio in violazione della prescrizione contenuta nell’autorizzazione edilizia n. -OMISSIS-assumerebbe valenza meramente confermativa del diniego sostanzialmente già espresso nella stessa autorizzazione n. 7 del 1998 ed esplicitato con la prescrizione negativa del divieto di realizzazione del ballatoio di cui il condominio aveva chiesto l’effettuazione nell’istanza di rilascio del titolo edilizio del 1996, su tale punto pertanto denegata.
Come si è visto innanzi, secondo il giudice di primo grado risulterebbe dirimente, da un lato, che nella specie l’oggetto del contendere non riguarderebbe il contenuto dell’autorizzazione edilizia n. 7 del 1998, bensì la verifica della legittimità del potere esercitato dal Comune, nell’ambito del ben diverso procedimento successivamente instaurato dallo stesso condominio à sensi dell’allora vigente art. 13 della l. 28 febbraio 1985, n. 47, ai fini della sanatoria dell’opera realizzata sine titulo, ossia un procedimento liberamente esperibile dal soggetto responsabile dell’abuso “fino alla irrogazione delle sanzioni amministrative”, come testualmente precisato dallo stesso art. 13, con la conseguenza quindi di rendere irrilevante la circostanza dell’omessa impugnazione in parte qua della precedente autorizzazione edilizia n. 7 del 1998 e ammissibile l’impugnazione proposta avverso il susseguente provvedimento n. 258 del 1999 recante il diniego di sanatoria.
Viceversa, secondo l’appellante Comune l’istituto dell’accertamento di conformità contemplato a quel tempo dall’anzidetto art. 13 della l. 47 del 1985 e ad oggi disciplinato dall’art. 36 del t.u. approvato con d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 essenzialmente assolve allo scopo di ottenere da parte dell’amministrazione comunale un parere sulla conformità o meno di un intervento edilizio alla normativa vigente, e lo schema-tipo del relativo procedimento prevede l’esecuzione di interventi edilizi senza idoneo titolo abilitante, cui l’interessato fa seguire la presentazione dell’istanza all’amministrazione comunale per riceverne una pronuncia sulla conformità o meno degli interventi medesimi agli strumenti urbanistici e alla disciplina di settore.
Posto ciò, il Comune rileva che nel caso di specie – per contro – l’intervento oggetto della domanda di sanatoria era già stato reso oggetto di una puntuale pronuncia negativa da parte dell’amministrazione comunale, e ciò proprio in quanto la sua realizzazione era stata già chiesta mediante una precedente domanda di rilascio del titolo edilizio e già in tale occasione espressamente negato senza che il destinatario di tale precedente provvedimento proponesse al riguardo impugnazione: il che, dunque, fonderebbe secondo lo stesso Comune la propria tesi dell’inammissibilità del primo dei due ricorsi proposti dal condominio. Posto che – diversamente argomentando – di fatto si eluderebbe il divieto imperativo di violare i termini fissati dalla legge per l’impugnazione dei provvedimenti amministrativi.
L’appellante Comune insiste comunque anche per la reiezione nel merito dei due ricorsi proposti in primo grado dal condominio, affermando che il diniego alla realizzazione dei ballatoi risulterebbe espresso in modo del tutto conforme alla disciplina contenuta nell’art. 4 della l. 9 gennaio 1989, n. 13, e richiama in proprio favore il precedente di T.A.R. Lazio, Sez. II, 15 febbraio 2002, n. 1061, secondo cui ai sensi del comma 5 del medesimo art. 4 il provvedimento con il quale la Soprintendenza per i Beni Ambientali ed Architettonici nega il rilascio dell’autorizzazione necessaria per la realizzazione di un’opera preordinata al superamento delle barriere architettoniche (nella specie, per l’installazione di un ascensore nel cortile interno di uno stabile vincolato ai sensi della 1. 1 giugno 1939, n. 1089), al fine di soddisfare le esigenze di mobilità di coloro che si trovino in situazione di dimostrata difficoltà di deambulazione, “deve dare compiuta emersione alle reali e dimostrabili ragioni di pregiudizio che il progettato intervento è suscettibile di arrecare all’interesse di tutela del quale l’amministrazione è portatrice”.
Il Comune rimarca in tal senso che l’intervento di cui il condomino aveva chiesto l’autorizzazione era stato denegato proprio per le pronunce negative dell’autorità e degli organi preposti alla tutela del vincolo, le quali avrebbero puntualmente motivato le ragioni del diniego e fornito indicazioni a seguito delle obiezioni sollevate dal condominio medesimo; e, comunque sia, l’intervento realizzato in assenza di autorizzazione e contro le prescrizioni impartite dall’amministrazione comunale sulla scorta delle pronunce al riguardo espresse dalle autorità preposte alla tutela del vincolo risulterebbe intrinsecamente illegittimo, posto che la deroga invocata dal condominio e segnatamente prevista dall’art. 3, comma 1, della medesima l. n. 13 del 1989 riguarda le distanze previste dai regolamenti edilizi ed alcune prescrizioni del codice civile in tema di condominio e che, d’altronde, la non compatibilità dell’intervento, nemmeno in deroga, era comunque emersa e già dichiarata in sede procedimentale.
Il Comune reputa di aver legittimamente provveduto al contemperamento tra i diversi interessi coinvolti dalla disciplina in esame, ossia il diritto fondamentale alla salute e la tutela dei beni di valenza storico-artistica e ribadisce che la soluzione tecnica suggerita dall’amministrazione in risposta alla necessità evidenziata dal condominio costituirebbe – di per sé – l’eloquente comprova che la medesima amministrazione comunale non si è limitata ad opporre un mero diniego, in maniera poco sensibile, alle esigenze dei condomini portatori di handicap, ma ha valutato e scelto, proprio in dipendenza del contemperamento invocato dalla norma, la soluzione che salvaguardasse entrambi gli interessi tutelati dall’ordinamento.
Il Comune a questo stesso proposito rileva che il condominio ritiene irrilevante sotto l’aspetto del danno estetico alla facciata la realizzazione degli sporti realizzati, considerando peraltro che la facciata dello stabile, che già subisce una notevole alterazione per effetto dell’installazione dell’ascensore, per effetto dell’ulteriore addizione ivi apportata dagli sporti abusivi risulterebbe del tutto stravolta, e che – per contro – l’installazione dei mezzi meccanici all’interno risulterebbe funzionale per salvaguardare sia l’integrità della facciata, sia le necessità dei condomini diversamente abili.
Il Comune, da ultimo, dissente dall’affermazione della parte appellata secondo cui l’intervento non necessiterebbe di concessione edilizia ma di semplice autorizzazione, rileva in proposito che se è vero che nella specie è applicabile l’art. 48 della l. 5 agosto 1978, n. 457, è altrettanto vero che l’ultimo comma di tale articolo esclude espressamente l’applicazione dell’istituto del silenzio-assenso in caso di vincolo ex lege n. 1497 del 1939, sussistente nel caso in esame, senza contare che l’amministrazione comunale si era opposta alla domanda presentata dal condominio mediante un espresso provvedimento di diniego.
2.2. Si è costituito nel presente grado di giudizio l’appellato condominio di vico del -OMISSIS-, concludendo per la reiezione dell’impugnativa avversaria.
2.3. All’odierna pubblica udienza la causa è stata trattenuta per la decisione.
3.1. Tutto ciò premesso, l’appello in epigrafe va respinto.
3.2. La sentenza resa dal giudice di primo grado va innanzitutto confermata nel capo in cui è respinta l’eccezione di inammissibilità sollevata dal Comune in ordine all’impugnazione proposta avverso il provvedimento n. -OMISSIS-recante il diniego dell’accertamento di conformità del ballatoio, richiesto à sensi dell’art. 13 della l. n. 47 del 1985, a quel tempo vigente e ad oggi sostituito dall’omologa disciplina contenuta nell’art. 36 del t.u. approvato con d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
Invero mediante la propria prospettazione l’Amministrazione comunale sostiene un principio alquanto paradossale, ossia che se è in passato intervenuto un provvedimento di diniego di costruire un determinato manufatto e se tale atto non è stato impugnato, risulterebbe tout court precluso l’accertamento di conformità per chi successivamente, e malgrado il diniego, abbia realizzato abusivamente lo stesso manufatto.
La sanatoria per così dire “ordinaria”, ossia quella disciplinata all’epoca dei fatti di causa dall’anzidetto art. 13 della l. n. 47 del 1985 e, attualmente, dall’art. 36 del t.u. approvato con d.P.R. n. 380 del 2001 (e che in tal senso si distingue quindi da quella “straordinaria”, viceversa applicabile entro ben definiti spazi temporali per effetto delle disposizioni speciali introdotte in prosieguo di tempo dall’art. 31 e ss. della l. n. 47 del 1985, dall’art. 39 della l. 23 dicembre 1994, n. 724 e dall’art. 32 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni in l. 24 novembre 2003, n. 326) costituisce infatti lo strumento tipico per ordinariamente ricondurre alla legalità gli abusi edilizi, e la sua utilizzazione non può che essere consentita a chiunque abbia edificato sine titulo, anche a prescindere dalla pregressa sua mancata impugnazione di provvedimenti di diniego a costruire l’opera abusiva, purché ovviamente seguitino a sussistere al riguardo le condizioni inderogabilmente chieste dalla disciplina medesima, ossia sotto il profilo sostanziale la c.d. “doppia conformità ” (e cioè la rispondenza di quanto edificato alla strumentazione urbanistica vigente sia al momento della presentazione della domanda di sanatoria, sia al momento della realizzazione dell’abuso: cfr. sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. II, 13 giugno 2019, n. 3958) nonché sotto il profilo procedimentale – e per quanto qui segnatamente interessa, anche con riguardo a quanto testualmente disposto sia dal predetto art. 13 della l. n. 47 del 1985, sia, ora, dall’art. 36 del t.u. approvato con d.P.R. n. 380 del 2001 – la non ancora intervenuta irrogazione delle sanzioni amministrative previste per la realizzazione dell’abuso; condizione, quest’ultima, sicuramente sussistente nel caso di specie e che pertanto abilita la parte interessata a proporre l’istanza che in ogni caso obbliga l’Amministrazione comunale a esprimersi verificando la sussistenza dell’anzidetta “doppia conformità “, nonché l’osservanza di tutte le altre ulteriori disposizioni applicabili in proposito.
3.3. Venendo ora al merito di causa, a ragione il giudice di primo grado ha accolto i due ricorsi proposti dal condominio.
Va opportunamente premesso in proposito che, come anche affermato ad esempio da Cass. civ., Sez. II, 28 marzo 2017, n. 7938, la speciale disciplina di favore contenuta nella l. 9 gennaio 1989, n. 13, si applica anche a beneficio di persone anziane le quali, pur non essendo portatrici di disabilità vere e proprie, soffrano comunque di disagi fisici e di difficoltà motorie.
Tale legge infatti, in base ad un’interpretazione costituzionalmente orientata, esprime il principio secondo il quale i problemi delle persone affette da una qualche specie invalidità devono essere assunti dall’intera collettività, e in tal senso ha imposto in via generale che nella costruzione di edifici privati e nella ristrutturazione di quelli preesistenti, le barriere architettoniche siano eliminate indipendentemente dalla effettiva utilizzazione degli edifici stessi da parte di persone disabili, trattandosi comunque di garantire diritti fondamentali (così Corte Cost., 10 maggio 1999, n. 167, e Cass. civ., Sez. II, 25 ottobre 2012, n. 18334) e non già di accordare diritti personali ed intrasmissibili a titolo di concessione alla persona disabile in quanto tale (cfr. sul punto Cass. civ., Sez. II, 26 febbraio 2016, n. 3858).
In conseguenza di ciò, per le disposizioni contenute nella testé citata l. n. 13 del 1989 si impone “un’interpretazione estensiva, nel senso appena visto” (cfr. sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 18 ottobre 2017, n. 4824).
Va rimarcato inoltre che, in particolare, secondo l’art. 4 della legge stessa, gli interventi volti ad eliminare le barriere architettoniche previsti dall’art. 2 della legge, ovvero quelli volti a migliorare le condizioni di vita delle persone svantaggiate nel senso descritto, si possono effettuare anche su beni sottoposti a vincolo come beni culturali, e la relativa autorizzazione, come previsto dal comma 4 di tale articolo, “può essere negata solo ove non sia possibile realizzare le opere senza serio pregiudizio del bene tutelato”, precisandosi quindi al comma 5 che “il diniego deve essere motivato con la specificazione della natura e della serietà del pregiudizio, della sua rilevanza in rapporto al complesso in cui l’opera si colloca e con riferimento a tutte le alternative eventualmente prospettate dall’interessato”.
Si è in tal modo introdotto nell’ordinamento, in ordine ai peculiari valori presidiati dalla legge in esame (tra l’altro non soltanto inerenti all’art. 32 Cost., ma anche di rilievo internazionale, in quanto stabiliti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti per le persone con disabilità adottata dall’Assemblea Generale con risoluzione n. 61/106 del 13 dicembre 2006 e ratificata con l. 3 marzo 2009, n. 18) un onere di motivazione particolarmente intenso, e ciò in quanto l’interesse alla protezione della persona svantaggiata può soccombere di fronte alla tutela del patrimonio artistico, a sua volta promanante dall’art. 9 Cost., soltanto in casi eccezionali (così, puntualmente, la già citata sentenza di Cons. Stato, Sez. VI, n. 4824 del 2017; nonché id., 7 marzo 2016, n. 705, 28 dicembre 2015, n. 5845, e 12 febbraio 2014, n. 682).
Del tutto fondatamente, pertanto, il giudice di primo grado ha evidenziato che nel caso di specie il sopradescritto e alquanto rigoroso onere motivazionale non è stato adempiuto, posto che:
1) nel parere del 28 gennaio 1999, la Commissione edilizia integrata si è limitata ad affermare, in via del tutto generica, che mediante la realizzazione dei due ballatoi “si configurerebbe un’ulteriore alterazione della facciata laterale dello stabile”;
2) nel precedente parere del 21 ottobre 1996, la stessa Commissione aveva espresso parere negativo senza peraltro esprimersi in ordine all’asserito pregiudizio per l’estetica della facciata dello stabile, limitandosi unicamente a prospettare la soluzione alternativa dell’installazione di un “opportuno mezzo meccanico posto all’interno”;
3) in modo ancor più breviloquente la Soprintendenza per i Beni architettonici e artistici di Napoli, nella propria nota del 30 maggio 1997, ha aderito alla già di per sé carente motivazione espressa dalla Commissione edilizia integrata limitandosi ad affermare che la stessa era comunque congruente rispetto ad una “migliore tutela del sito”.
Puntualmente il giudice di primo grado ha colto l’intrinseco difetto motivazionale di tutti e tre tali atti rispetto all’anzidetto precetto di legge, posto che in nessuno di essi è stato enunciato un qualsivoglia riferimento a quanto esplicitamente e puntualmente chiesto dalla disposizione di legge, ossia – giova ribadire – la compiuta enunciazione della “natura e della serietà del pregiudizio, della sua rilevanza in rapporto al complesso in cui l’opera si colloca e con riferimento a tutte le alternative eventualmente prospettate dall’interessato”; né in tutti e tre tali atti sono contenuti rilievi in ordine alla criticità, rilevata dal condominio, della proposta installazione del mezzo meccanico rispetto alla presenza delle volte a botte e a crociera presenti all’interno dello stesso stabile e parimenti assoggettate a tutela.
Risulta ben evidente, quindi, che tali innegabili carenze che si riscontrano nelle pronunce da parte dei soggetti competenti ad esprimersi sotto il profilo della compatibilità del progetto con il vincolo insistente sull’immobile dispiegano i propri effetti vizianti sul provvedimento di diniego dell’accertamento di conformità il quale, a sua volta, non può che refluire altrettanto negativamente sulla susseguente ingiunzione a demolire susseguentemente emanata dallo stesso Comune, parimenti impugnata dal condominio e che risulta pertanto illegittima in via derivata rispetto al presupposto provvedimento di diniego: il tutto, con conseguente assorbimento di ogni altra censura dedotta e salvi e riservati restando gli ulteriori provvedimenti che l’Amministrazione comunale adotterà nella riedizione dell’azione amministrativa di propria competenza.
Invero soltanto nel corso di causa, segnatamente nel primo grado di giudizio, la difesa del Comune aveva fatto cenno ad un’interlocuzione intervenuta nelle vie brevi in sede di istruttoria della pratica, nel corso della quale l’amministrazione comunale avrebbe rappresentato al condominio che “il mezzo meccanico suggerito era da installarsi lungo la parete del rampante perché in tal modo non avrebbe interferito con le volte a botte ed a crociera della stessa”.
Tale circostanza, tuttavia, non trova un qualsivoglia riscontro negli atti dei procedimenti da cui è scaturita la presente causa, e può quindi essere – al più – ricondotta ad un’ipotesi di integrazione postuma della motivazione del provvedimento impugnato nella susseguente sede di contraddittorio giudiziale: fattispecie, questa che – come è ben noto – risulta comunque ex se illegittima (cfr. sul punto, tra le più recenti, Cons. Stato, Sez. III, 18 giugno 2019, n. 4119).
4. Le spese e gli onorari del presente grado di giudizio seguono la regola della soccombenza di lite, che il Collegio reputa sia da applicare nella specie avuto riguardo alla circostanza che nel pur consistente lasso di tempo trascorso dai fatti di causa il Comune – che, tra l’altro, significativamente nemmeno ha chiesto la sospensione cautelare della sentenza impugnata – ben più opportunamente avrebbe potuto dare esecuzione alla statuizione del giudice di primo grado mediante una riedizione dell’azione amministrativa da concludersi con l’adozione di un provvedimento conforme ai canoni motivazionali inderogabilmente imposti dall’art. 4 della l. n. 13 del 1989.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna il Comune di Napoli al pagamento, in favore dell’appellato condominio, delle spese e degli onorari del presente grado di giudizio, complessivamente liquidati nella misura di Euro 3.000,00 (tremila/00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 22, comma 8, d.lgs. n. 196/2003, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 ottobre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Raffaele Greco – Presidente
Fulvio Rocco – Consigliere, Estensore
Giovanni Sabbato – Consigliere
Giovanni Orsini – Consigliere
Cecilia Altavista – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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