Gli enti di fatto sono legittimati all’azione risarcitoria

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|31 dicembre 2021| n. 47428.

Gli enti di fatto sono legittimati all’azione risarcitoria .

Le persone giuridiche e gli enti di fatto sono legittimati all’azione risarcitoria anche in sede penale mediante costituzione di parte civile non soltanto quando il danno riguardi un bene su cui gli stessi vantino un diritto patrimoniale, ma più in generale quando il danno coincida con la lesione di un diritto soggettivo, come avviene nel caso in cui offeso sia l’interesse perseguito da un’associazione in riferimento ad una situazione storicamente circostanziata, assunto nello statuto a ragione stessa della propria esistenza e azione, con l’effetto che ogni attentato a tale interesse si configura come lesione della personalità o identità del sodalizio.

Sentenza|31 dicembre 2021| n. 47428. Gli enti di fatto sono legittimati all’azione risarcitoria

Data udienza 3 novembre 2021

Integrale

Tag – parola: Maltrattamenti in famiglia – Violenza sessuale – Fatto storico oggetto del processo penale – Fatto rientrante tra quelli che l’ente territoriale si è impegnato con stanziamento di risorse a contrastare – Comune – Danno all’immagine – Legittimazione come parte civile.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LIBERATI Giovanni – Presidente

Dott. GENTILI Andrea – Consigliere

Dott. NOVIELLO Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. MENGONI Enrico – Consigliere

Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Comune di Milano:
nel procedimento a carico di:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 12/01/2021 della corte di appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dr. Giuseppe Noviello;
udita la richiesta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Di Nardo Marilia, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio dinnanzi al giudice civile.
udito il difensore della parte civile (OMISSIS) che ha insistito per l’accoglimento del ricorso;
udito il difensore dell’imputato, avv. (OMISSIS) quale sostituto processuale dell’avv.to (OMISSIS) che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Gli enti di fatto sono legittimati all’azione risarcitoria .

RITENUTO IN FATTO

1. La corte di appello di Milano, con sentenza del 12 gennaio 2021 riformava parzialmente la sentenza del tribunale di Milano del 9 luglio 2020, con la quale (OMISSIS) era stato condannata in relazione ai reati di cui agli articoli 609 bis e 572 c.p..
2. Avverso la suindicata sentenza il comune di Milano, in persona del suo rappresentante p.t., propone ricorso, mediante il proprio difensore, sollevando due motivi di impugnazione.
3. Deduce il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), in relazione all’articolo 597 c.p.p., con riguardo alla intervenuta riforma della sentenza di condanna di primo grado in ordine alle statuizioni civilistiche riguardanti il Comune di Milano ed al contrasto sussistente tra dispositivo e motivazione. Si osserva che mentre dal dispositivo risulterebbe ferma la condanna dell’imputato al risarcimento del danno in favore del Comune di Milano, la motivazione sarebbe in contrasto con tale statuizione (da ritenersi necessariamente prevalente), facendo ritenere che la corte di appello abbia inteso riformare la sentenza anche in relazione alla stessa legittimazione della parte civile suindicata. Tema, quest’ultimo, insindacabile dai giudici di secondo grado, perche’ non fatto oggetto di impugnazione da parte dell’imputato. In particolare, il quinto motivo di gravame era rubricato “revoca o rideterminazione delle statuizioni civili ex articolo 574 c.p.p., comma 1” e riportava argomentazioni inerenti le ragioni per le quali il secondo giudice avrebbe dovuto ridurre la quantificazione delle somme risarcitorie determinate dal tribunale. Lo stesso difensore dell’imputato avrebbe invocato la revoca delle statuizioni civili in caso di accoglimento dei gravami proposti avverso la declaratoria di responsabilita’ penale, chiedendo invece la riduzione dei quantum liquidato per il risarcimento del danno in caso di conferma o rideterminazione della sanzione edittale inflitta. Confermando, cosi’, di non avere posto in discussione la legittimazione delle parti civili e la condanna al risarcimento del danno, punti non in connessione logico-giuridica con la quantificazione della somma da risarcire.

 

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Con la revoca, invece, delle statuizioni civili in favore del ricorrente, la corte avrebbe travalicato i limiti del devoluto, violando l’articolo 597 c.p.p., impedendo peraltro il contraddittorio su un punto mai devoluto.
4. Con il secondo motivo, ha dedotto il vizio ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) in relazione all’articolo 185 c.p.p., articoli 2043 e 2059 c.c. e il vizio di mancanza e illogicita’ della motivazione in ordine alla revoca di ogni liquidazione in favore della parte civile. Si osserva che la corte di appello non avrebbe considerato l’illustrato ruolo del comune, per il quale esso si e’ costituito, quale ente affidatario dei minori vittime dei reati in ordine ai quali l’imputato e’ stato condannato, essendo stati coinvolti i servizi sociali comunali nella gestione dell’affido dei minori predetti, seguiti in diverse comunita’; cosicche’ le condotte dell’imputato avrebbero svilito e vanificato gli impegni profusi dai Sevizi sociali di Milano, oltre a risultare il comune di Milano stesso quale ente esponenziale leso nelle proprie finalita’ statutarie.
Quanto alla legittimazione dell’ente in parola, si osserva come siano state esposte le previsioni statutarie che la fondano, assieme alla richiesta di risarcimento. Previsioni trasfuse in concrete linee di azione, dirette a garantire relazioni sociali pacifiche e ordinate tra i cittadini, comportanti notevoli esborsi attraverso attivita’ a sostegno e tutela delle vittime della violenza di genere e iniziative dirette a contrastare i reati di violenza sul territorio. Tutte specificamente illustrate in ricorso. Si tratta di attivita’ e investimenti di cui nulla direbbe la corte di appello, e su cui, invece, avrebbe ben motivato il primo giudice, a fronte di illustrati profili di danno patrimoniale e non patrimoniale. Si contesta poi, con riguardo ai tema dei danno all’immagine, l’assunto della corte di appello per cui i reati contestati non sarebbero “di particolare e singolare gravita’ ed eclatanza”, aggiungendosi che proprio la ritenuta diffusivita’ delle tipologie di reato in parola, all’interno della citta’ di Milano, dimostrerebbe l’intervenuta lesione dell’immagine della citta’ stessa.
6. L’imputato, mediante il proprio difensore ha depositato memoria sostenendo l’inammissibilita’ del ricorso proposto.

 

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CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con riguardo al primo motivo, e’ inammissibile la censura per cui la corte si sarebbe posta indebitamente in contrasto, attraverso la propria motivazione, con il contenuto del dispositivo, da ritenersi prevalente sulla prima. La questione cosi’ prospettata propone di per se’, piuttosto che un vizio – invero neppure individuato e specificato nella sua precisa tipologia dal ricorrente, che si e’ limitato anche in rubrica a rappresentare un mero “contrasto tra dispositivo e motivazione” -, un caso di contrapposizione tra le due componenti della sentenza, che da’ luogo solo a problematiche di individuazione della reale volonta’ decisoria.
In tali casi, al fine di giungere alla necessaria soluzione, si e’ specificato in giurisprudenza che il ritenuto contrasto tra dispositivo e motivazione della sentenza deve essere risolto secondo la regola della prevalenza del dispositivo, in quanto immediata espressione della volonta’ decisoria del giudice; regola tuttavia non assoluta, ma da contemperarsi. eventualmente, tenendo conto del caso specifico, con la valutazione degli elementi tratti dalla motivazione, che conserva la sua funzione di spiegazione e chiarimento delle ragioni della decisione e che, pertanto, ben puo’ contenere, in taluni casi, elementi certi e logici che facciano ritenere errato il dispositivo o parte di esso. (Sez. 3 – n. 3969 del 25/09/2018 (dep. 28/01/2019) Rv. 275690 – 01). Si e’ precisato, in particolare, che in caso di contrasto tra dispositivo e motivazione non contestuali, il carattere unitario della sentenza, in conformita’ del quale l’uno e l’altra, quali sue parti, si integrano naturalmente a vicenda, non sempre determina l’applicazione del principio generale della prevalenza del primo in funzione della sua natura di immediata espressione della volonta’ decisoria del giudice; invero, laddove nel dispositivo ricorra un errore materiale obiettivamente riconoscibile, il contrasto con la motivazione e’ meramente apparente, con la conseguenza che e’ consentito fare riferimento a quest’ultima per determinare l’effettiva portata del dispositivo, individuare l’errore che lo affligge ed eliminarne gli effetti, giacche’ essa, permettendo di ricostruire chiaramente ed inequivocabilmente la volonta’ del giudice, conserva la sua funzione di spiegazione e chiarimento delle ragioni fondanti la decisione. (Sez. F, n. 47576 del 09/09/2014 Rv. 261402 – 01).
1.1. Nel caso in esame, ed a prescindere dalla correttezza della decisione, che sara’ appresso analizzata, i giudici in motivazione hanno chiaramente espresso la scelta di revocare la condanna al risarcimento del danno in favore del comune di Milano, con argomentazioni che saranno meglio evidenziate ed esaminate nei successivi paragrafi e che, invero, trovano pieno riscontro nella determinazione espressa di revocare “ogni liquidazione in favore del comune di Milano”, di cui al dispositivo. Cosicche’, non puo’ che rinvenirsi la sussistenza di un errore materiale nella parte in cui e’ stata tuttavia disposta, in maniera incoerente rispetto alla suindicata scelta, “la refusione, infine, delle spese di proseguita difesa della parte civile Comune di Milano che si liquidano in Euro 600,00 oltre accessori di legge”. Errore materiale per il quale, ai sensi dell’articolo 130 c.p.p., questa corte potrebbe procedere a diretta correzione, che tuttavia non e’ necessario ne’ opportuno realizzare, in considerazione dei rilievi che di seguito sono riportati, in rapporto alle altre censure sollevate ed in ragione, lo si puo’ anticipare, del necessario annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
1.2. Quanto alla ulteriore censura secondo la quale la corte, in violazione dell’articolo 597 c.p.p., avrebbe valutato la legittimazione della parte civile suindicata, pur trattandosi di un tema insindacabile, perche’ non fatto oggetto di impugnazione da parte dell’imputato, occorre precisare che la legittimazione all’azione civile della parte civile, nel processo penale, va verificata esclusivamente alla stregua della fattispecie giuridica prospettata dalla parte a fondamento dell’azione, in relazione al rapporto sostanziale dedotto in giudizio ed indipendentemente dalla effettiva titolarita’ del vantato diritto al risarcimento dei danni; il cui accertamento, invece, riguarda il merito della causa, investendo i concreti requisiti di accoglibilita’ della domanda e, percio’, la sua fondatezza, ed e’ collegato all’adempimento dell’onere deduttivo e probatorio incombente sull’attore (Sez. 4, n. 14768 del 18/02/2016 Rv. 266899 – 01). La distinzione appena illustrata e’ peraltro richiamata dalla stessa giurisprudenza civile della S.C. in relazione all’azione civile esercitata nell’ambito del processo penale, tenendo conto della peculiarieta’ del suddetto giudizio, atteso che l’ammissione nel processo penale e’ sottoposta ad un preliminare vaglio di ammissibilita’ ad opera del giudice e che, superato lo stesso, lo svolgersi del dibattimento penale non e’ regolato dal sistema composito di preclusioni e decadenze del codice civile di rito.
Si puo’ dire, in tal modo, che in relazione al profilo di pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale dedotto nel presente giudizio, la sussistenza della titolarita’ del vantato diritto al risarcimento dei danni oltre che dei pregiudizi stessi lamentati, con la loro eventuale quantificazione, investono i concreti requisiti di accoglibilita’ della domanda e si sostanziano in questioni di merito che condizionano la risarcibilita’, in quanto rappresentano l’origine del pregiudizio e la sua riferibilita’ al soggetto che se ne assume portatore, in quanto leso dalla condotta illecita.
Requisiti, e’ bene ribadirlo, distinti dal profilo, di preliminare verifica, della legittimazione processuale.
E’ alla luce di tale ricostruzione che deve essere interpretata la previsione di cui all’articolo 574 c.p.p., comma 4 secondo il quale “l’impugnazione dell’imputato contro la pronuncia di condanna penale (…) estende i suoi effetti alla pronuncia di condanna alle restituzioni, al risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese processuali se questa pronuncia dipende dal capo o dal punto impugnato”.
Ed appare indiscutibile che i gravami dell’imputato, coinvolgendo il giudizio di sua penale responsabilita’, come riconosciuto dallo stesso ricorrente, si sono inevitabilmente estesi alla intervenuta pronunzia risarcitoria, da intendersi, alla luce della ricostruzione sopra formulata circa l’articolazione del giudizio di verifica dei profili di responsabilita’ civile, quale esito dell’indissolubile quanto progressivo accertamento della titolarita’ del diritto leso, della sua sussistenza e della sua lesione.
1.3. Consegue la piena legittimazione della corte di appello – che non ha messo in discussione la legittimazione processuale della parte civile come sopra delineata nei suoi principi generali ma ha solo proceduto alla verifica di profili risarcitori ulteriori e conseguenti, pur solo in apparenza involgenti i precedenti aspetti processuali – ad esaminare i dati, ulteriori (lo si ripete) rispetto alla mera legittimazione processuale dianzi citata, inerenti la titolarita’, in capo al comune di Milano, degli interessi assunti come lesi; tema che peraltro lo stesso ricorrente ha precisato di avere affrontato in giudizio, con pienezza, quindi, di contraddittorio.
Va quindi rilevata l’infondatezza della critica in esame.
2. Il secondo motivo e’ invece fondato. Deve rammentarsi che legittimato all’esercizio dell’azione civile nel processo penale non e’ solo il soggetto passivo del reato ma anche il danneggiato, che abbia riportato un danno eziologicamente riferibile all’azione od omissione del soggetto attivo del reato. Tale rapporto di causalita’ sussiste anche quando il fatto reato, pur non avendo determinato direttamente il danno, abbia tuttavia determinato uno stato tale di cose che, senza di esse, il danno non si sarebbe verificato (Cass., Sez. 1, n. 46084 del 21/10/2014 – dep. 07/11/2014, Rv. 261482).
Va altresi’ evidenziato che la giurisprudenza di legittimita’ ha oramai costantemente stabilito che gli enti e le associazioni sono legittimati all’azione risarcitoria, anche in sede penale, mediante costituzione di parte civile, ove dal reato abbiano ricevuto un danno ad un interesse proprio, sempreche’ tale interesse coincida con un diritto reale o comunque con un diritto soggettivo del sodalizio, e quindi anche se offeso sia l’interesse perseguito in riferimento a una situazione storicamente circostanziata, da esso sodalizio preso a cuore e assunto nello statuto a ragione stessa della propria esistenza e azione, come tale oggetto di un diritto assoluto ed essenziale dell’ente. Cio’ sia a causa dell’immedesimazione fra l’ente stesso e l’interesse perseguito, sia a causa dell’incorporazione fra i soci ed il sodalizio medesimo, sicche’ questo, per l’affectio societatis verso l’interesse prescelto e per il pregiudizio a questo arrecato, patisce un’offesa e percio’ anche un danno non patrimoniale dal reato (Sez. 6, n. 59 del 01/06/1989, Monticelli, Rv. 182947). Il principio e’ stato ripetutamente ribadito (ad es. sez. 4, n. 38991 del 10/06/2010, Quaglierini, Rv, 248848; Sez. 3, n. 38290 del 03/10/2007, Abdoulaye, Rv. 238103).
Lo sviluppo della giurisprudenza ha portato a ritenere la tutelabilita’ degli interessi collettivi senza che sia necessaria l’esistenza di una norma di protezione, essendo sufficiente la diretta assunzione, da parte dell’ente, dell’interesse in questione, che ne abbia fatto oggetto della propria attivita’, diventando lo scopo specifico o uno degli scopi dell’associazione.
Di particolare interesse, nell’analisi della giurisprudenza di legittimita’, e’ il dato per cui la legittimazione alla costituzione di parte civile e il relativo diritto risarcitorio sono stati ritenuti sulla base della considerazione che l’ente, per il proprio sviluppo storico, per l’attivita’ concretamente svolta e la posizione assunta avesse fatto proprio, in un determinato contesto storico, quale fine primario, quello della tutela di interessi coincidenti con quello leso dallo specifico reato considerato, derivando da tale immedesimazione una posizione di diritto soggettivo che lo legittima a chiedere il risarcimento dei danni ad esso derivati.
Ne e’ conseguita la perspicua individuazione (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014 Rv. 261110 – 01) di un principio regolatore che, ferme le linee di fondo dello sviluppo della giurisprudenza, eviti in ogni caso esiti inappropriati, con particolare riferimento alla indiscriminata estensione della legittimazione e del correlato diritto al risarcimento tutte le volte in cui un qualunque organismo rivendichi di essere custode dell’interesse leso dal reato.
A tale riguardo, le SS.UU. di questa Suprema Corte hanno sottolineato l’evocazione e la valorizzazione, ricorrente in giurisprudenza, della necessita’ di far riferimento ad una situazione storica determinata, in uno con il ruolo concretamente svolto dall’organismo che si costituisce in giudizio rispetto all’interesse che si assume leso.
Il predetto quadro ricostruttivo conduce a ritenere errata la considerazione preliminare della corte di appello, circa l’esclusione del comune di Milano quale ente titolare di interessi lesi da reati quali quelli in contestazione, in assenza della necessaria verifica della riconducibilita’ dell’interesse evocato nel quadro del ruolo concreto assunto dall’ente, all’interno di una situazione storica determinata.
La fondatezza, al riguardo, della censura proposta dal ricorrente, assorbe e rende pleonastico l’esame dei successivi rilievi critici.
3. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che la sentenza impugnata debba essere annullata limitatamente alle statuizioni civili inerenti il comune di Milano, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui va rimessa anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimita’.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili relative al comune di Milano, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimita’.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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